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L’INTERVENTO

Non risulta facile da comprendere l’articolo di Paolo Costa in difesa del Mose pubblicato dal Gazzettino alcuni giorni fa. Costa afferma che il Mose, quando terminato e operativo, sarà uno dei motivi di orgoglio dell’ingegneria italiana. Per adesso non lo è per molte ragioni. La prima è che il messaggio più rilevante trasmesso da questa opera idraulica è quello di essere stata l’emblema di un enorme saccheggio di denaro pubblico. Quasi di diverso parere sono Fulvio Fontini e Massimiliano Caporin, docenti al dipartimento di scienze Economiche e Aziendali all’Università di Padova, i quali scrivono che i costi-benefici del Mose sarebbero in equilibrio. I costi cioè giustificherebbero i benefici. Vorrei vivere ancora 100 anni per vedere acque alte che producano 6.000 milioni di danni. Dal 1966 compreso ad oggi, i danni non sono stati superiori a 100 milioni. Forse gli emeriti professori si aspettano a breve l’apocalisse. Oppure c’è da pensare che il solo pensiero dell’acqua abbia gonfiato le stime.
I danni delle alte maree possono essere valutati su almeno tre parametri. Il deterioramento agli edifici, i guasti alle cose e i danni psicologici oltre ai disagi che subiscono i cittadini. Forse i professori Fontini e Caporin non sanno che il Mose difende, si fa per dire, la Città solo se la marea supera i 110 cm., ma, se lo sanno, come mai non hanno valutato che la Piazza San Marco è ad un livello medio di 90 cm e perciò continuerà ad essere allagata malgrado l’intervento del Mose?
Cuccioletta, il famoso presidente del Magistrato alle Acque coinvolto nell’inchiesta, un giorno sentenziò che la Piazza così continuerà ad essere un’attrattiva per il turismo curioso. La Piazza seguiterà a subire danni che il Mose non potrà evitare. Quindi, alcuni dei seimila milioni del costo del Mose sono inutili e non serviranno a salvaguardare la Piazza né i danni alle merci nei negozi che vi operano.
Francamente valutare in milioni di euro i guasti ad edifici, che comunque sono costruiti nell’acqua e bagnati quotidianamente dall’acqua, sembra eccessivo, a meno che i due esperti universitari non confondano il fenomeno dell’alta marea con una piena del Bacchiglione.
I danni psicologici andrebbero valutati in centinaia di anni, ma non sembra che i veneziani siano mai stati terrorizzati dalle acque alte. La verità sembra invece un’altra. L’impressione quasi consolidata è che l’opera sia stata pensata in grande per rubare in grande. È singolare il fatto che tutti gli altri progetti alternativi che avrebbero potuto ottenere risultati certi, con costi infinitamente inferiori, siano stati bocciati senza nemmeno essere stati presi in considerazione.
Il Mose non è finito e forse non lo sarà mai. Se lo sarà i suoi costi di manutenzione assorbiranno la spesa di conservazione della città. È sembrato perlomeno stravagante che, quando con grande fracasso mediatico, le prime paratie sono emerse dalle acque, una delle tre galleggiava una cinquantina di centimetri meno delle altre due. Forse per quella non era stata pagata alcuna tangente. E c’è anche da dire che l’operazione è stata fatta senza dislivelli di marea. Di paratie ce ne saranno ancora una settantina. Speriamo bene.

 

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