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MARGHERA – Uno studio promosso da Cavaliere (Ncd) sul futuro del settore petrolchimico

I 110 ettari che Syndial ha ceduto a Comune e Regione per favorire la reindustrializzazione di Porto Marghera resteranno vuoti se il Cracking dell’Eni non verrà riaperto. Non lo dicono i sindacalisti ma Antonio Cavaliere, responsabile Lavoro per Ncd che ha riunito un gruppo di tecnici e industriali per uno studio e una valutazione complessiva. E il risultato è sorprendente: senza il Cracking Porto Marghera perde il valore aggiunto che ha rispetto a tante altre aree industriali mezze vuote sparse per il Veneto, ossia l’integrazione dei servizi che permette alle aziende insediate di avere costi più bassi.
«Dov’è finita la fila di imprenditori che sgomitavano per aprire nuove fabbriche a Porto Marghera?» si chiede Cavaliere ricordando le affermazioni del governatore del Veneto Luca Zaia allorquando venne firmato l’accordo con il quale Syndial trasferisce a Comune e Regione i 110 ettari del petrolchimico. Terreni destinati, appunto, ad essere ceduti a imprenditori pronti ad avviare nuove imprese.
«Il problema è che nelle condizioni attuali nessun imprenditore aprirà un solo capannone a Porto Marghera. E l’operazione sui terreni Syndial può avere un senso industriale solo se si torna a renderli attraenti non solo garantendo procedure rapide e certe di bonifica (i 38 milioni di euro che Eni verserà agli enti locali, oltretutto, sono decisamente insufficienti per ripulirli) ma ripristinando un’area industriale integrata attraverso il reinserimento della centrale Edison nella rete del Petrolchimico, e rinnovando tecnologicamente il Cracking. E naturalmente bisogna evitare che, una volta diventati interessanti, finiscano nelle mani di speculatori immobiliari, quindi vanno vincolati all’uso industriale».
Cosa c’entra la centrale Edison? «È fondamentale. Oggi le industrie di Marghera sono costrette a comprare l’energia elettrica dalla rete normale dell’Enel, mentre con una centrale interna al petrolchimico, com’era quella Edison, non pagherebbero gli oneri di trasporto e i cosiddetti oneri accessori con un risparmio enorme di circa 50 euro per ogni megawatt-ora. Perciò Comune e Regione dovrebbero chiedere immediatamente al ministero di ripristinare quella centrale. La stessa Eni potrebbe risparmiare 100 milioni di euro per le nuove caldaie, e ottenere energia elettrica e vapore a prezzi competitivi».
D’accordo, ma anche se l’Eni risparmia ha già fatto capire che il Cracking è destinato a chiudere per sempre nel giro di una decina d’anni, o anche molto meno. «Un errore madornale perché, appunto, salta l’integrazione del petrolchimico e la convenienza ad investirci. Il Cracking così com’è non ha senso, sono il primo a dirlo, perché va ancora a virgin nafta, mentre le economie più avanzate ormai fanno funzionare questi impianti a gas, lo shale gas che viene estratto nel Golfo del Messico. Costa tre volte meno del petrolio e rende chi lo utilizza libero dalle incertezze geopolitiche legate al petrolio. Oltretutto l’Eni a Porto Marghera sta trasformando i serbatoi criogenici per l’ammoniaca in serbatoi per lo stoccaggio del Gpl. Potrebbe utilizzare questa opportunità per trasformare il Cracking in un impianto “verde” e addirittura redditizio, mentre prima di chiudere era in perdita secca».

 

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