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MOSE – La difesa: impossibile il confronto chiesto da Galan

«Mazzacurati sta molto male non riesce a ricordare più nulla»

Giovanni Mazzacurati non ricorda più nulla. Il grande accusatore dei politici travolti dallo scandalo Mose non può essere interrogato, come hanno chiesto invece i difensori dell’ex governatore veneto Giancarlo Galan. L’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova è negli Usa per curarsi, ma la sua potrebbe essere una forma di demenza senile tale da rendere impossibile l’incidente probatorio. «Non sa che cosa ha detto», dice il suo legale.

 

SCANDALO MOSE – La rivelazione dopo la richiesta di incidente probatorio presentata dai difensori di Galan

«Mazzacurati non ricorda più nulla»

Il grande accusatore dei politici è affetto da demenza senile. Il suo legale: inutile interrogarlo

Giovanni Mazzacurati, il “grande vecchio” del Mose, l’indagato che ha riempito centinaia di pagine di verbali accusando (e autoaccusandosi) di aver pagato mezzo mondo con i soldi del Consorzio Venezia Nuova, non ricorda quasi più nulla. Se dovesse essere interrogato nuovamente, anche a breve, non riuscirebbe a rammentare dettagli, circostanze, nomi, cifre. Al massimo potrebbe confermare di avere rilasciato dichiarazioni ai pm dal luglio 2013 in poi, dopo il suo arresto, ma non sarebbe in grado di ribadirle, nè di rispondere alle contestazioni dei difensori degli altri indagati nel corso di un interrogatorio incrociato. Viene così meno la possibilità di confutarne le scomode verità o di metterlo in contraddizione.
La notizia è trapelata ieri, dopo che gli avvocati Antonio Franchini e Niccolò Ghedini, difensori di Giancarlo Galan, avevano presentato al Tribunale di Venezia una istanza di incidente probatorio. Chiedevano di poter cristallizzare i verbali dell’ingegnere (che ha tra l’altro dichiarato che il governatore del Veneto riceveva un milione di euro all’anno dal Consorzio) visto il diffondersi di notizie preoccupanti sulle condizioni di salute di Mazzacurati, che si trova negli Stati Uniti.
A sorpresa è venuta, invece, la conferma che il grande accusatore dei politici veneziani e romani, dei generali della Finanza e dei magistrati alle Acque di Venezia, non è già più nelle condizioni di rispondere alle domande. Qualcosa era trapelato, ma in modo non così netto, quando era stato sentito a San Diego, in California, di fronte alla Corte Federale, a seguito dell’indagine del Tribunale dei ministri sull’ex ministro dell’ambiente Altero Matteoli, che è indagato a Venezia.
«Innanzitutto è impreciso sostenere che la Procura lagunare abbia autorizzato l’espatrio dell’ingegner Mazzacurati – dichiara l’avvocato difensore Giovanni Battista Muscari Tomaioli – Il mio assistito ha lasciato l’Italia attorno a Pasqua del 2014, ma era in libertà dall’agosto 2013. E quindi non doveva essergli concessa alcuna autorizzazione». Mentre era a San Diego, in Italia sono stati eseguiti una trentina di arresti. Nel frattempo le condizioni di Mazzacurati sono peggiorate, da un punto di vista psico-fisico. Il suo avvocato aggiunge: «L’ingegnere ricorda di aver reso dichiarazioni veritiere ai magistrati, ma non che cosa ha detto». Una diagnosi non è ancora certa, ma potrebbe trattarsi di una forma di demenza senile che rende ormai inutile un incidente probatorio. «Se anche l’ingegnere venisse chiamato domani, non sarebbe in grado di sostenere un interrogatorio, perché gli verrebbero chiesti dettagli di cui non ricorda nulla».
La richiesta di incidente probatorio, quindi, è ormai tardiva e le speranze di chi spera di contestare la verità di Mazzacurati sono destinate al fallimento. Casomai si potrà discutere se i verbali sono utilizzabili ai fini di una sentenza.

 

Chisso e il suo segretario davanti alla Cassazione per tornare in libertà

OGGI LA DECISIONE «Imputazioni generiche»

Lo scandalo del Mose approda in Corte di Cassazione. I primi due imputati che chiedono l’intervento della Suprema Corte sono Renato Chisso ed Enzo Casarin. Entrambi sono stati arrestati il 4 giugno. Il ricorso alla Cassazione è contro la decisione del Tribunale del riesame di Venezia che, per entrambi, ha confermato il carcere. Che cosa dicono gli avvocati Antonio Forza, per Chisso, e Carmela Parziale, per Casarin? Che non ci sono motivi validi per tenerli in carcere, prima di tutto, dal momento che Chisso ha dato le dimissioni da assessore alle Infrastrutture e Casarin dall’incarico di segretario di Chisso. Insomma per entrambi non c’è possibilità di reiterazione del reato se, invece del carcere, vengono messi agli arresti domiciliari.
Per Casarin l’avvocato Parziale batte sul tasto della genericità dell’accusa, che non indica date e luoghi esatti delle mazzette: «Dalla lettura degli atti – scrive – non emerge dove, quando e soprattutto da chi Casarin avrebbe preso in consegna i soldi».
E veniamo a Renato Chisso. L’avvocato Forza ha preparato una memoria di 100 pagine per cercare di smontare l’accusa. «Nel loro insieme e nella stragrande maggioranza si tratta di imputazioni, per così dire, liquide, generiche, sovrapposte o sovrapponibili, spalmate senza data in un arco temporale di più di quindici anni. Tutto è incerto e vago», scrive il difensore. Prendiamo i pagamenti per aver agevolato i project financing. Il legale ricorda che il solo progetto portato a compimento, quello della Pedemontana Veneta, è stato assegnato alla Sis, che aveva vinto in Consiglio di Stato il ricorso contro l’aggiudicazione. Ebbene, secondo il Tribunale del riesame, Chisso e Galan avrebbero fatto vincere ditte amiche e solo una sentenza del Consiglio di stato avrebbe poi provveduto a far vincere i concorrenti. «Come è stato documentato dalla difesa, l’aggiudicazione alla Pedemontana Veneta S.p.A., originariamente, era avvenuta il 4 dicembre 2007, l’aggiudicazione definitiva all’Ati Sis, a seguito della decisione del Consiglio di Stato, era avvenuta il 30 giugno 2009». Ebbene, le mazzette sarebbero state incassate da Chisso nel dicembre 2010 e nel 2011. «Che senso avrebbe avuto “finanziare” l’Assessore Chisso a posteriori e, soprattutto, per la mancata aggiudicazione?», si chiede l’avvocato, secondo il qual «questo processo è ricco di fatti corruttivi con dazioni “a scoppio ritardato”. Oggi la pronuncia della Cassazione.

 

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