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Gazzettino – “Chi ha colpe affoghi nel mare”

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

28

set

2014

CAMPOLONGO – Il dolore di don Renato Galiazzo per la morte ad Adria dell’amico. Un riferimento anche a Chisso e Galan

Addio a Baldan, la rabbia del parroco

«Coloro che non hanno vigilato dovrebbero prendere una pietra e buttarsi nel mare»

TRAGEDIA DI ADRIA – Durissima omelia del parroco ai funerali di Giuseppe Baldan

Chiesa e sagrato gremiti a Liettoli per l’addio all’autista deceduto sul lavoro

«Chi ha bevuto il sangue dei poveri è meglio che si metta una macina al collo e si getti in mare».
Quando è giunta l’ora dell’omelia, il parroco di Liettoli, don Renato Galiazzo, tra le lacrime, ha letteralmente «tuonato» dal pulpito, citando un passo dal Vangelo di San Marco e lanciando dure accuse contro «le istituzioni e chi doveva vegliare sulla sicurezza delle persone». Parole fortissime dettate dalla commozione e dalla disperazione per aver perduto un fedele sincero ed un amico personale, Giuseppe Baldan “Dino”, l’autista deceduto sul lavoro nel tragico incidente di Adria. «La Bibbia ed il Vangelo non dicono da nessuna parte che si debba morire di lavoro. Patire sì, ma non morire – ha proseguito il parroco – Dall’inizio dell’anno sono morte sul lavoro in Veneto 24 persone, una alla settimana. Non si può morire così. Non parlo di colpe, ma chi ha competenze in tali contesti, compresi i parlamentari e i nostri amministratori regionali devono intervenire». Don Renato ha fatto un riferimento piuttosto esplicito anche ai leader finiti al centro dell’inchiesta Mose, l’ex governatore Giancarlo Galan e l’ex assessore regionale Renato Chisso. «Quando vengono incastrati, poi, si dichiarano incompatibili con il carcere. Chi è debole di cuore, chi cade accidentalmente in giardino potando le rose. Che vergogna, hanno bevuto il sangue di questi ragazzi».
Tanti applausi, i saluti degli amici dall’altare, la bara portata in spalla dalla chiesa fino al camposanto e la canzone «Gli Angeli» di Vasco Rossi a salutare «Dino» durante la sepoltura sotto un cumulo di terra, proprio di fronte al loculo della madre, morta esattamente 11 mesi prima.
La bara di Baldan era partita un’ora prima da Adria, dopo essere stata benedetta in piazza assieme alle altre quattro vittime della tragedia successa lunedì scorso alla Co.Im.Po. di Cà Emo ad Adria dal vescovo della diocesi di Adria-Rovigo, monsignor Lucio Soravito De Franceschi. Ad Adria era presente anche il presidente della Regione del Veneto, Luca Zaia, assieme ad altre autorità locali e nazionali.
Ciascuna salma è poi ripartita per il vero e proprio rito funebre verso le rispettive parrocchie di appartenenza.
Ad aspettare il feretro di Giuseppe Baldan «Dino», a Liettoli di Campolongo Maggiore, c’era un migliaio di persone, la maggioranza delle quali ha dovuto ascoltare la cerimonia funebre dal piazzale della chiesa di San Lorenzo tramite l’impianto di amplificazione appositamente installato per l’occasione.
A seguire il rito concelebrato da sei sacerdoti c’erano in prima fila la moglie Monica, la figlia 17enne, il figlio 12enne, il fratello e la sorella di Giuseppe Baldan. Una cerimonia alla quale ha partecipato il coro e il gruppo musicale parrocchiale. Giuseppe Baldan era un abituale frequentatore della parrocchia di Liettoli ed era il più assiduo partecipante in ogni iniziativa pubblica.

Vittorino Compagno

 

INDIGNAZIONE – La rabbia del vicesindaco: «La responsabilità ricade su chi doveva controllare»

Il sindaco di Campolongo Maggiore, Alessandro Campalto, non ha potuto partecipare al funerale di Giuseppe Baldan “Dino” in quanto si trova all’estero. Al suo posto, con la fascia di primo cittadino, in rappresentanza dell’intera Amministrazione comunale e il gonfalone comunale accompagnato da una coppia di agenti di Polizia locale, era presente il vicesindaco Andrea Zampieri, tra l’altro amico di famiglia di Baldan. Dure anche le sue parole dette al microfono dall’altare della chiesa di Liettoli.
«Non si può morire così, partire al mattino per andare al lavoro e poi morire per un incidente sul luogo dell’attività. È stata tradita la fiducia delle persone che chiedevano solo di poter svolgere il proprio lavoro per guadagnare da vivere alla famiglia. Questo incidente non doveva succedere. Da infaticabile lavoratore qual era, Giuseppe sarà sempre ricordato dai suoi concittadini. La responsabilità della sua morte ricade su chi doveva controllare e invece non l’ha fatto».

(V.Com.)

 

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