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Gazzettino – “Chisso puo’ restare in carcere a Pisa”

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

3

ott

2014

«Chisso può restare in carcere a Pisa»

Anche i periti medici del Gip non ritengono incompatibili con la prigione le sue condizioni di salute

IN CELLA – L’ex assessore alle infrastrutture del veneto Renato Chisso resterà a Pisa: Quel carcere, per i periti, è attrezzato anche per emergenze sanitarie

Renato Chisso resta in carcere. Fino a Natale, come minimo. «Esaminate le condizioni cliniche attuali del detenuto ed esaminate nel dettaglio le risorse sanitarie complessive della struttura carceraria di Pisa, si ritiene che il signor Chisso Renato possa proseguire la detenzione preso la sede ove è attualmente ristretto». Questo scrivono i periti nominati dal Gip Roberta Marchiori. Dunque, il terzo team di medici messo in campo per giudicare le condizioni di salute di Chisso si schiera con i periti della Procura i quali avevano giudicato il carcere “compatibile” con le condizioni di salute dell’ex assessore regionale alle Infrastrutture. E adesso il ritorno a casa per motivi di salute di Chisso è appeso ad un corsivo. Il termine attuali, riferito alle sue condizioni cliniche, testimonia infatti che i periti oggi non hanno dubbi, domani si vedrà.
Ma che cosa può succedere domani? I periti della Difesa possono presentare i loro rilievi e l’avv. Antonio Forza ha allegato alle sue richieste una relazione firmata dal primario di Cardiologia dell’ospedale dell’Angelo che ha curato Chisso a settembre 2013 in seguito ad un infarto. Ebbene, secondo il dottor Fausto Rigo, Chisso ha bisogno subito di una coronografia per impiantare un paio di stent ed aprire una arteria che si sta chiudendo.
Secondo il dottor Antonello Cirnelli – perito della Procura – invece la coronografia non è urgente. In ogni caso, che sia urgente o meno, Chisso può essere operato a Pisa. Non hanno dubbi, infatti, i periti nominati dal Gip: a Pisa c’è tutto quello che gli può servire, anche in caso di infarto. Scrivono infatti Silvia Tambuscio, Davide Roncali e Paolo Ius, che a Pisa sono a disposizione: «1- le risorse cliniche e terapeutiche di cui necessita abitualmente il paziente; 2 – le adeguate risorse di monitoraggio sanitario, sia cardiologico che psicopatologico, rispetto ad eventuali variazioni gradualmente peggiorative dello stato di salute; le risorse cliniche utili a gestire eventuali condizioni peggiorative acute sia che richiedano l’eventuale spostamento temporaneo del detenuto presso il Centro clinico carcerario della medesima Casa circondariale, sia che richiedano il suo eventuale trasferimento presso una struttura sanitaria esterna, tra le varie strutture viciniore a disposizione presso la città di Pisa».
Insomma, secondo i medici nominati dal Gip il carcere di Pisa è super attrezzato per qualsiasi emergenza. E dunque la Procura di Venezia lo ha scelto con attenzione, proprio prevedendo la richiesta di arresti domiciliari per motivi di salute. Dunque, per Renato Chisso si profila un futuro tutt’altro che breve dietro le sbarre. Se la libertà – come ormai pare certo, leggendo la relazione dei periti del Gip – non verrà concessa per motivi sanitari, infatti, all’avvocato difensore di Chisso, Antonio Forza, non resta che la strada maestra del processo, quando in aula si confronteranno le prove raccolte dalla Procura con quelle a discarico che sta preparando ormai da mesi la difesa e che, secondo Forza, sono in grado di smontare l’accusa rappresentata dalle dichiarazioni di Giovanni Mazzacurati, di Piergiorgio Baita, di Claudia Minutillo e di Pierluigi Alessandri. Se ne riparla nel 2015.

 

RICHIESTA AL SENATO – La Procura insiste: «Matteoli va processato»

La Procura di Venezia insiste: deve essere inoltrata al Senato la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex ministro Altero Matteoli, accusato di aver ricevuto in varie occasioni più di 400mila euro dall’allora presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, nonché di aver ottenuto come favore l’inserimento dell’azienda di un imprenditore a lui vicino, Erasmo Cinque, nell’appalto per i lavori di bonifica e marginamento della laguna.
Il sostituto procuratore Paola Tonini lo ha chiesto al Tribunale dei ministri, che in questi giorni si appresta a concludere le indagini su Matteoli, che viene chiamato in causa proprio in qualità di ministro. Spetta al collegio presieduto dal giudice veronese Monica Sarti il compito di trasmettere il fascicolo d’inchiesta al Senato per formalizzare la richiesta di autorizzazione a procedere, senza della quale Matteoli non potrà essere processato. In teoria il Tribunale dei ministri potrebbe anche chiedere l’archiviazione, ma l’esito dei tre mesi di indagini fa pensare che chiederà di procedere contro Matteoli: tutte le testimonianze assunte hanno infatti confermato le accuse che già erano state rivolte all’ex ministro davanti ai pm Ancilotto, Tonini e Buccini.

 

MOSE – L’ex generale, ai vertici della Guardia di Finanza, avrebbe ricevuto i soldi da Mazzacurati

Spaziante pronto a patteggiare 4 anni

L’accusa: 500mila euro per fornire al Consorzio informazioni sulle indagini e ammorbidire i controlli fiscali

L’ex generale della Guardia di Finanza, Emilio Spaziante, chiede di patteggiare una pena di 4 anni di reclusione per poter uscire dall’inchiesta sul Mose. I legali dell’alto ufficiale delle Fiamme Gialle, oggi in pensione, hanno presentato l’istanza ieri mattina: la Procura di Milano, alla quale la scorsa estate i magistrati veneziani hanno trasferito il fascicolo per competenza territoriale, non ha ancora dato il suo parere sulla richiesta. L’inchiesta a carico di Spaziante è coordinata dai pm Roberto Pellicano e Luigi Orsi.
La richiesta Spaziante arriva dopo quella dell’ex amministratore delegato e vicepresidente di Palladio Finanziaria, il vicentino Roberto Meneguzzo, che ha trovato un accordo con la Procura per patteggiare una pena a due anni e sei mesi ed è in attesa della decisione del gip.
L’ex generale della Finanza e l’imprenditore e Meneguzzo sono accusati di concorso in corruzione assieme all’ex deputato del Pdl, Marco Milanese, in uno stralcio dell’inchiesta sul cosiddetto “sistema Mose”, condotta dai sostituti procuratore Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini. A Spaziante viene contestato di aver ricevuto 500mila euro dall’allora presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, per “ammorbidire” i controlli fiscali alle imprese che si stavano occupando della realizzazione del Mose e per ottenere informazioni in merito alle iniziative assunte dalla Procura. A creare il contatto tra i due ero stati Meneguzzo e Milanese, all’epoca il più stretto collaboratore del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti.
Milanese a sua volta è accusato di aver ricevuto una “mazzetta” di 500 mila euro, sempre versata da Mazzacurati (a lui presentato da Meneguzzo) e finalizzata ad ottenere un aiuto per lo sblocco di alcuni fondi per il Mose da parte del Cipe.
Milanese, a differenza dai due coimputati, non ha chiesto il patteggiamento: il processo a suo carico inizierà il 4 novembre prossimo, davanti alla quarta sezione penale del Tribunale di Milano.

 

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