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Il commercialista riconosce di essere il prestanome dell’ex ministro, chiede il patteggiamento e ottiene la scarcerazione

Concordato un patteggiamento di pena di due anni di reclusione e 70 mila euro La confessione inguaia l’ex presidente veneto, unico con Chisso ancora in carcere

VENEZIA – Si è fatto quattro mesi di carcere in assoluto silenzio. Fino a ieri, quando il commercialista Paolo Venuti ha parlato e ha ammesso la sostanza di quello che la Procura di Venezia gli contesta dal 4 giugno, giorno delle manette dello scandalo Tangenti Mose che ha terremotato Venezia, il Veneto e l’Italia: ovvero, essere il prestanome dei beni di Giancarlo Galan, l’amico di una vita. Attorno alla cui cella ha scavato un fosso, aggiungendo particolari che alla Procura ancora mancavano Nel corso di un interrogatorio durato quattro ore, davanti ai pubblici ministeri Ancilotto, Buccini e Tonini, Venuti ha infatti ammesso che – sì – alcuni dei beni in suo possesso sono riconducibili a Giancarlo Galan. Ha aggiunto l’ovvia chiosa di non sapere che fossero di provenienza illecita, ma ha detto di essere stato il prestanome dell’ex presidente della Regione Veneto, agli arresti da fine luglio nel carcere di Opera. Fedeli alla regola che si sono dati “chi parla torna a casa”, i pm hanno preso nota degli «importanti chiarimenti» ricevuti da Venuti sul patrimonio del deputato pdl e hanno dato parere favorevole alla richiesta di patteggiamento avanzata dalla difesa e alla scarcerazione. Detto, fatto: il giudice per le indagini preliminari Scaramuzza ha revocato la misura cautelare e Paolo Venuti, ieri, alle 18.40, è tornato un uomo libero. Accusa e difesa hanno concordato una pena a 2 anni di reclusione e 70 mila euro di multa, sulla quale l’ultima parola spetta però al giudice per le udienze preliminari Vicinanza, mentre la morsa della Procura si stringe sempre più attorno all’ex governatore veneto, accusato dal presidente Mazzacurati di essere stato “a stipendio” per un milione l’anno dal Consorzio Venezia Nuova per agevolare le procedure sul Mose e dall’ex presidente Mantovani Piergiorgio Baita e dall’ex segretaria-manager Claudia Minutillo di essere stato pagato con restauri della sua grande villa storica a Cinto Euganeo e azioni di società, per seguire project financing dei privati. Lo stesso Galan, nel suo memoriale difensivo aveva detto che il suo più grande errore è stato di aver pensato di fare l’imprenditore entrando in Adria Investimenti, interessata a project financing regionali. Certamente, però, Venuti deve aver aggiunto qualcosa in più rispetto quello che la Procura già sapeva, sui conti correnti all’estero dei quali parlava nei colloqui intercettati con la moglie. Sulle azioni, infatti, il Tribunale della Libertà aveva già scritto: «È documentalmente provato in atti e non smentito dalla difesa che a pagare il 7% delle azioni dell’Adria per 237 mila euro, formalmente acquistate dalla società Pvp, riconducibile al commercialista Venuti, ma realtà riconducibile all’indagato Galan» – fu «la Mantovani con liquidità proprie. Non vi era ragione alcuna che giustificasse una tale “donazione”». Azioni poi convertite nel 70% di Nordest media, del valore valutato da Claudia Minutillo in 9 milioni di euro. In carcere ora restano solo Galan e l’assessore Renato Chisso, la cui difesa continua a sostenere l’incompatibilità con il carcere per le sue «crisi anginose notturne; sviluppo di una franca psicopatologia depressiva e ansiosa; deficit di perfusione accertato; gravi scompensi pressori di difficile controllo; marcata perdita ponderale di 10 chili in breve tempo», come ripete l’avvocato Forza nella memoria presentata alla gip Marchiori che dovrà decidere sull’istanza di scarcerazione, ma che ha già sul tavolo il parere negativo dei suoi tre periti che come i tre consulenti della Procura ritengono le condizioni di Chisso compatibili con il carcere.

Roberta De Rossi

 

L’intercettazione: «In Svizzera li tengo io quelli in Croazia lui: siamo i prestanome»

In un’intercettazione ambientale di una conversazione tra il commercialista padovano Paolo Venuti e la moglie Alessandra Farina, il succo dell’intesa. Venuti è il consulente dell’ex governatore del Veneto e con la moglie parla liberamente dei soldi di Galan, fa riferimento ad un milione e 800 mila euro, «Per cui alla fine in Svizzera li tengo io e quelli in Croazia li tiene lui» sostiene, confermando di fatto che l’esponente di Forza Italia soldi all’estero ne ha e su più conti correnti. E ancora, questa volta è la donna che al marito spiega che se Galan «Morisse domani, io potrei anche tenermeli, ma non riuscirei a fare questa roba perché so che sono suoi e di sua figlia e tutti dobbiamo rispettare questo, anche sua moglie (…) sono la prestanome». Confermando i sospetti degli investigatori della Guardia di finanza sul fatto che Venuti non è semplicemente il commercialista dell’uomo politico, ma anche il prestanome.

 

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