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Nuova Venezia – Galan blindato in villa, insulti dai passanti

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

11

ott

2014

Lungo incontro tra il procuratore Nordio e l’avvocato dell’ex assessore regionale

Galan: la multa da 2,6 milioni destinata a sfiorare i 4 milioni perché sarà tassata

Ora anche Chisso cede e tratta con la Procura

IL LEGALE FRANCHINI «Ha bisogno di cure urgenti e non poteva restare in carcere Dopo l’udienza del 16 richiesta di affidamento ai servizi sociali»

VENEZIA – Il commercialista padovano Paolo Venuti, almeno, qualcosa ha raccontato prima di raggiungere l’accordo con la Procura per patteggiare la pena (due anni e 4 mesi di reclusione e 70 mila euro di multa). Ha ammesso di aver fatto da prestanome all’ex ministro Giancarlo Galan per alcune operazioni finanziarie, quello che gli investigatori già sapevano grazie ad una microspia che aveva catturato una conversazione in auto tra il professionista e la moglie che parlavano dei conti a loro intestati ma in realtà di proprietà dell’esponente di Forza Italia e della moglie. Venuti, ai pm Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini, ha aggiunto pure che a sollecitare queste operazioni di copertura a favore di Galan sarebbe stato Piergiorgio Baita, all’epoca presidente della «Mantovani». Galan, invece, non ha detto una parola, anzi i suoi difensori, gli avvocati Antonio Franchini e Niccolò Ghedini continuano a ribadire che il loro cliente è innocente e che la scelta dell’accordo con la Procura per due anni e 10 mesi di reclusione e due milioni e 600 mila euro di multa (ma secondo fonti autorevoli l’importo è destinato ad avvicinarsi ai 4 milioni tenendo conto dell’imposizione fiscale) è dettata dalla ricerca di una sorta di «patteggiamento umanitario»: Galan ha numerose patologie e proprio per questo è finito nel carcere-ospedale milanese di Opera, anche la figlia minorenne ha bisogno di cure. Il suo nome è finito nella lista di coloro che hanno raggiunto l’accordo con i rappresentanti dell’accusa, sono 19 e i loro avvocati si presenteranno il 16 ottobre davanti al giudice veneziano Giuliana Galasso, che dovrà dire se le pene su cui c’è l’accordo siano congrue o meno. Galan, ma neppure gli altri indagati, saranno presenti. «Sicuramente chiederemo l’affidamento ai servizi sociali» ha dichiarato ieri l’avvocato Franchini. I due anni e 10 mesi, infatti, superano abbondantemente il limite per il quale scatta la sospensione condizionale della pena, ma nessuno, da tempo, finisce in carcere se ha una condanna sotto i tre anni da scontare, anche a causa del sovraffollamento. Per la prossima settimana, fino a giovedì, non è prevedibile nessun cambio della misura degli arresti domiciliari. «Valuteremo se aspettare la scadenza dei termini (il 21 ottobre) e presentare richiesta quando il provvedimento diventerà definitivo, o se impugnare subito in Cassazione. Lo decideremo più avanti» ha sostenuto il legale. E se il giudice dovesse rifiutare il patteggiamento? «In tal caso Galan», ha concluso Franchini, «sarà ben lieto di affrontare il processo». Ieri, intanto, il difensore di Renato Chisso è stato a lungo nell’ufficio del procuratore aggiunto Carlo Nordio. L’avvocato Antonio Forza, che punta sempre alla liberazione dell’ex assessore regionale per motivi di salute (la decisione spetta al giudice Roberta Marchiori che la farà conoscere entro il 13 ottobre), non ha rilasciato dichiarazioni come del resto il magistrato. È evidente che, dopo la decisione di Galan, anche Chisso e il suo legale pensano ad un cambio di strategia difensiva e avrebbero già avviato la trattativa con la Procura per cercare un accordo per una pena probabilmente di poco inferiore a quella di Galan per quanto riguarda la reclusione e molto più bassa, invece, per quanto riguarda la multa.

Giorgio Cecchetti

 

Ivano Nelson Salvarani, il pm che inquisì Bernini e De Michelis

«L’accordo accusa-difesa spegne il processo, non è giusto»

«Patteggiamenti troppo generosi. Io avrei detto no»

L’INTESA SULLA PENA – Al posto della Procura non darei il mio parere positivo, l’opinione pubblica ha diritto ad assistere al dibattimento

VENEZIA – È stato pretore e giudice del lavoro, pubblico ministero e presidente del Tribunale, procuratore capo e presidente di Corte d’Assise. Ivano Nelson Salvarani, il magistrato che nel 1992 inquisì il Doge democristiano Carlo Bernini e quello socialista Gianni De Michelis adesso è un elegante e lucido signore di 75 anni, che ha lasciato la magistratura in anticipo dopo che il Csm gli preferì – d’un solo voto – Luigi Delpino a capo della Procura di Venezia. Cosa pensa dell’inchiesta sul Mose di Venezia? «Penso, anche alla luce della mia esperienza passata, che non mi ha sorpreso per nulla. Sospettavo che le cose non fossero cambiate poi tanto, rispetto ai miei tempi. Sulla Regione si avvertiva da tempo una vox populi. Nel Mose la concessione unica e l’identità delle imprese faceva pensare a meccanismi di scarsa trasparenza» Il sistema Galan è durato quindici anni e solo ora viene svelato: non c’è stato un certo ritardo anche delle Procure? «Non credo, per istruire un processo ci vogliono buone prove e ottimi riscontri. Le indagini devono essere rigorose. Fino a quando la magistratura non ha avuto contezza di prove e riscontri si è mossa con doverosa cautela. Sono stati molto bravi soprattutto a ricostruire le tracce del denaro, a partire dal giro di fatture false tra imprese». All’epoca non c’erano gli strumenti investigativi odierni? «Le intercettazioni c’erano anche allora. La mia inchiesta si avvicinò al Consorzio Venezia Nuova, che aveva tuttavia una composizione diversa. Dell’epoca ricordo Mazzacurati ma c’era una più equilibrata ripartizione di quote tra le imprese. E anche allora c’erano anche le coop rosse». Ricorda Piergiorgio Baita? «C’era, c’era: lo ricordo abile, astuto e spregiudicato. Ottenni il suo rinvio a giudizio, anche all’epoca raccontò i meccanismi del Consorzio Venezia Nuova e del Consorzio Venezia Disinquinamento, elementi di un patto tra Dc e Psi». Dica la verità: qual è il suo stato d’animo? «Sconforto, non c’è dubbio. Ritrovare in parte gli stessi protagonisti, rivedere nei politici di oggi gli stessi atteggiamenti che ebbero all’epoca quelli di Dc e Psi non fa che salire lo sconforto. Ma allora tutti i processi si celebrarono: e i principali indagati furono condannati a pene superiori a 4 anni in primo grado. Solo in Appello scelsero il patteggiamento». Le difese sostengono che patteggiare non è un’ammissione di colpa. «Tecnicamente non è una condanna, difesa e accusa concordano una pena da scontare. Ma un imputato che patteggia non può essere considerato innocente. Vedere politici che prima gridano alla congiura e poi patteggiano fa sorridere, se non ci fosse da indignarsi». L’ondata di indignazione è legittima da parte dell’opinione pubblica? «Legittima e giustificata, assolutamente» Cosa pensa dello strumento del patteggiamento in primo grado? «Personalmente sarei sempre molto cauto nell’accettare il patteggiamento, se fossi il pm non darei il mio parere positivo. Soprattutto nel caso di figure che abbiano ricoperto ruoli pubblici di grande responsabilità. La finalità dell’accusa è soprattutto acquisire la verità, dentro a un giusto processo. Con il patteggiamento muore il processo, si occulta all’opinione pubblica il confronto tra accusa e difesa. Io penso che vada usato con grande, grandissima parsimonia». Mai tentato dalla politica? «Mi chiesero di fare il sindaco di Venezia, nel 1993. Ma dissi di no: non volevo che si pensasse neanche per un attimo che avevo condotto un’inchiesta sui politici per un tornaconto personale. Sono felice di aver rifiutato». Come se ne esce ? «Non lo so. Ci sono responsabilità molto grandi della politica, che non ha mai voluto fare i conti con l’illegalità che essa stessa ha espresso. I politici devono essere i garanti della legalità, non possono mai essere sfiorati nemmeno dal dubbio di una opacità».

Daniele Ferrazza

 

Nel primo giorno ai domiciliari il parlamentare è rimasto invisibile. La moglie Sandra ai giornalisti: non possiamo dire nulla

Galan blindato in villa, insulti dai passanti

CINTO EUGANEO – Primo giorno da recluso in casa per Giancarlo Galan, l’ex governatore del Veneto costretto agli arresti domiciliari da giovedì pomeriggio. La sontuosa Villa Rodella, nel cuore dei Colli Euganei, non è certo il carcere di Opera e dopo ottanta giorni di cella il balzo di qualità è notevole. Nel primo giorno passato tra le mura amiche, tuttavia, Galan ha evitato di mettere il naso fuori di casa – circostanza che peraltro gli è permessa visto che i domiciliari comprendono l’intera proprietà, giardino incluso – forse per evitare i flash dei fotografi o le domande a distanza dei giornalisti. «Non c’è nessuno, grazie»: all’ora di pranzo ha risposto così Sandra Persegato, la moglie dell’ex ministro, a chi ha suonato ad uno dei tre citofoni della villa. Il suo tono irritato della donna si è tuttavia placato qualche minuto dopo, quando ha deciso di uscire di casa per gentile, breve e chiara comunicazione: «Comprendiamo che questo è il vostro lavoro, ma non possiamo dire nulla. Arrivederci». Sandra indossa un vestitino a fiori a tinte scure e – per quel poco che si rivela al pubblico – pare avere il volto segnato dal pianto. Sarà impressione, ma è certo che il can-can degli ultimi tre mesi ha segnato l’intera la famiglia che vive assieme al parlamentare. Attorno a Villa Rodella, per il resto, c’è l’ordinaria tranquillità di un giovedì euganeo: i cani zompettano nel cortile e nei viali ricchi di rose – le stesse che, in una seduta di giardinaggio, sono costate l’infortunio al ginocchio all’ex Doge, lo scorso luglio – mentre dalla pertinenza dell’abitazione si sentono i cinguettii dei tanti uccellini ospitati nelle voliere della villa. All’esterno c’è anche un pappagallo, il più “attivo” degli animali di casa Galan, che con grande “disponibilità” si intrattiene con giornalisti e passanti. Dall’altra parte della strada, lungo la pista ciclopedonale che costeggia il Bisatto, continua inoltre il via vai di ciclisti, una categoria che si dimostra estremamente ostile verso l’ex governatore: i «Ladro! Ladro!» si sono sprecati anche ieri, e c’è anche chi si è avventurato in invettive ben più complesse, come il ciclista che si ferma e in un dialetto comprensibile anche ai non autoctoni, urla: «Maledetto! Ghe xe fameje che non gà la ciopa de pan in te la tola e ti te sì beato in casa». Tra i visitatori di Villa Rodella, costante la presenza dei carabinieri di Lozzo Atestino che, oltre a monitorare la situazione, sono entrati ed usciti a più riprese dall’abitazione dell’ex ministro.

Nicola Cesaro

 

La cricca delle discariche

Corte dei conti contesta a Fior un danno di 600 mila euro

VENEZIA – Seicentomila euro. Tanto il procuratore aggiunto della Corte dei Conti Giancarlo Di Maio contesta come danno erariale a Fabio Fior, il dirigente della Regione Veneto da martedì agli arresti domiciliari con l’accusa di peculato e falso, per essere stato al centro di un traffico milionario: referente del delicato settore Rifiuti della Regione, insieme ad imprenditori come Sebastiano Strano e Maria Dei Svaldi, si sarebbe appropriato di circa un milione di euro – secondo l’accusa mossa dal pm Giorgio Gava – controllando come dirigente pubblico fondi per progetti che poi come privato incassava attraverso società del settore come Sicea, Zem, Nec, Marte, Eco Environment, tramite prestanome. Da parte sua, la Corte dei Conti si era già mossa all’inizio dell’anno su un altro filone: quello delle consulenze private non autorizzate, ma lautamente pagate, che Fior per anni ha eseguito, talvolta senza la necessaria autorizzazione della Regione Veneto, anche per aziende dello stesso settore rifiuti di sua competenza come funzionario pubblico. Una decina i casi finiti nel fascicolo d’inchiesta della Corte dei Conti, con il procuratore aggiunto Di Maio che nei giorni scorsi ha inviato a Fior il cosiddetto “invito” a controdedurre: ovvero, la notifica delle accuse erariali mosse al dirigente regionale, perché nomini un avvocato e si difenda. Seicentomila euro è, appunto, l’ammontare delle parcelle contestate a Fior, per un’attività di consulenza poco limpida in violazione dell’articolo 53 comma 7 e 8, del decreto legge 165/2001, che impone al dipendente pubblico di avere l’autorizzazione del proprio ente di appartenenza per effettuare attività professionale privata. Permessi che talvolta otteneva, in altri caso no, per consulenze iniziate nel 1998 e concluse (nei pagamenti) sino ad anni recenti, sia per privati che per enti pubblici. Il perché è ovvio: non trovarsi in conflitto di interesse con i propri uffici pubblici. Fascicolo contabile nel quale ora confluiranno anche gli atti della nuova inchiesta penale, nella quale il pm Gava contesta anche consulenze non autorizzate: in caso di condanna penale , la Corte dei Conti potrebbe inoltre contestare al dirigente anche il danno all’immagine procurato all’ente.

Roberta De Rossi

 

I FUOCHI D’ARTIFICIO DI GALAN

Ha sempre prosperato sul «clamore mediatico», ora ne ha paura

I fuochi d’artificio dell’ex governatore

C’è da fare un salto sulla sedia a leggere quello che gli austeri avvocati Nicolò Ghedini e Antonio Franchini hanno scritto nell’istanza di patteggiamento presentata in procura per Giancarlo Galan. Si tratta di noti professionisti del foro, non di autori di canovacci per commedie venete. Dunque non è una barzelletta: Giancarlo Galan ha chiesto il patteggiamento perché non vuole il processo.E non vuole il processo perché «significherebbe affrontare un dibattimento estremamente lungo, complesso e accompagnato costantemente da eccezionale clamore mediatico». Da stropicciarsi gli occhi, bisogna rileggere: «Accompagnato costantemente da eccezionale clamore mediatico». Allora è proprio vero che il carcere cambia le persone. E non occorre neanche starci una vita, bastano 80 giorni in infermeria. Un politico che ha costruito tutta la sua carriera sul clamore mediatico, d’improvviso non vuole più saperne. Ne ha addirittura paura. Da non credere. Chi riconosce più il Galan che nell’anno Duemila terrorizzava l’Italia con la sua proposta di statuto per la Regione Veneto destinata a trattenere due terzi delle tasse a Venezia e a darne uno solo a Roma? È vero che non è mai stata approvata ma che bisogno c’era: bastava sfruttare il clamore mediatico. E che clamore: il ministro per gli affari regionali Agazio Loiero abboccava al primo colpo e sentiva arrivare dal Veneto «un tintinnio di spade come nella ex Jugoslavia»; Bruno Vespa lo invitava a Porta a Porta per farsi spiegare la rava e la fava della rivoluzione in arrivo; e lui in groppa al cavallo da corsa scippato alla Lega, erudiva il Paese cercando di tranquillizzare, ma non troppo, i benpensanti. Per non parlare del clamore mediatico portato a casa con il baruffone, tenuto in piedi per settimane, con l’allora presidente della Repubblica Scalfaro. O con l’ex presidente Ciampi, prima rispettato e poi irriso. «Se esiste un reato di vilipendio di ex presidente della Repubblica, io lo commetto», andava ripetendo allegramente nel 2007. Tutto perché Ciampi votava con il centrosinistra. Sparare sul bersaglio più alto, ma solo quando Berlusconi era all’opposizione e dimenticarsene subito dopo, è stato lo sport preferito di Giancarlo Galan per una vita. Creare il nemico, anche se non esisteva. Metterlo nel mirino, scatenare la rissa e camparci sopra. La tattica di Capo in Italia, trapiantata nel Veneto e riproposta tutti i santi giorni. Sempre i fuochi d’artificio, in cerca del clamore mediatico che gli regalasse campagne pubblicitarie gratis. Il ministro Bassanini si doveva vergognare. Se passava la candidatura di Torino per le Olimpiadi invernali avrebbe venduto le auto Fiat della Regione Veneto e comprato tutte Mercedes. «Panto il falegname» somministrava ai veneti una «prodaglia» per far perdere Berlusconi. Prodi dirigeva «il governicchio del droghiere» quando era contrario al Mose. Massimo Cacciari era «il sindaco menagramo» e gli ambientalisti «i professionisti della bugia politica» perché si mettevano di traverso all’approvazione del progetto definitivo in Commissione di Salvaguardia. Tutto rilanciato dalle agenzie, un martellamento spaccatimpani, una definizione bruciante al giorno, evitando tutte le volte di entrare nel merito. Sempre e solo clamore mediatico. Quanto sarebbe costato un ritorno pubblicitario del genere valutato con il prezzario di un inserzionista? Gli toccava vendere Villa Rodella prima del tempo. I veneti dopati da vent’anni di questo trattamento, assistono sconcertati alla metamorfosi: adesso basta con il clamore mediatico? Ma dài, non è possibile. Gatta ci cova. Prepariamoci.

Renzo Mazzaro

 

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