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Gazzettino – Mose, Chisso cede e patteggia 2 anni e 6 mesi

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

14

ott

2014

Mose, Chisso cede e patteggia 2 anni e 6 mesi

Concessi i domiciliari all’ex assessore regionale. Ma manca l’accordo sulla parte economica: la Procura punta a confiscare non meno di un milione. Deciderà il gip

DOPO QUATTRO MESI DI CARCERE

Dimagrito e sofferente. Da venerdì in ospedale. E’ rientrato a casa accompagnato dalla moglie. Resta aperta la caccia ai soldi: dove sono finiti?

La Procura di Venezia porta a casa la condanna a 2 anni 6 mesi e 20 giorni. L’avv. Antonio Forza porta a casa il suo cliente e non molla un centesimo. Del resto aveva a disposizione solo 1.500 euro, quelli trovati a suo tempo nel conto corrente di Renato Chisso e puntualmente sequestrati. Ad oggi infatti altri soldi non ne sono stati trovati e c’è da giurarci che l’avv. Forza abbia continuato a ribadire alla Procura, anche mentre faceva l’accordo sul patteggiamento, che i quattrini non devono cercarli da Chisso, ma da qualcun altro. Dunque le tracce del tesoro ci sono, ma il tesoro vero e proprio non si trova e il legale dell’ex assessore regionale alle Infrastrutture ha gioco facile nel sostenere che chi ha condotto la Procura sulle tracce dei soldi sta facendo il gioco delle tre carte nel senso che accusa Chisso e invece i soldi se li è tenuti lui. O lei.
Sul patteggiamento continuava ad insistere la moglie di Chisso che ieri è partita di corsa in auto, accompagnata dal genero, per andare a Pisa a riprendersi il suo Renato. E’ stata l’unica volta che, appena uscita dal carcere, non si è attaccata al telefono per urlare all’avvocato che doveva darsi da fare. «Mi esce con i piedi in avanti se lei non si sbriga a chiudere» – gli diceva in lacrime.
L’altra accelerazione è derivata dal fatto che nei giorni scorsi Chisso era finito anche dentro l’inchiesta su Fabio Fior. Poca roba visto che si trattava di abuso d’ufficio, un reato da poco, ma sufficiente per far capire a Chisso e al suo legale che la Procura di Venezia non lo avrebbe mai mollato e, in caso di scarcerazione per motivi di salute, avrebbe subito stilato un altro mandato di cattura. Infine c’era la questione del processo immediato. La Procura aveva deciso di portare Chisso a giudizio subito e questo non dava tempo alla difesa di prepararsi adeguatamente. Teniamo presente che Chisso continua a battere sempre sullo stesso tasto: i soldi non li ho presi io, li dovete cercare da qualche altra parte. Ma per dimostrare che i soldi sono finiti in tasca a qualcun altro, ci vuole tempo. Le indagini difensive non sono ancora arrivate alla fine e siccome si tratta di indagini in grado di incastrare qualcuno che ha incastrato Chisso, c’era bisogno di prendere tempo. E così adesso la Procura dovrà fare esattamente questo dal momento che Chisso esce definitivamente di scena. Se verrà accettato il patteggiamento infatti, a Chisso la Procura potrà chiedere solo quei 1.500 euro che si trovano sul suo conto corrente. Ma questo non significa che i pm dell’inchiesta Mose abbandonino le ricerche del tesoro. E non serve essere degli stregoni per capire che l’avv. Forza sta per offrire alla Procura su un piatto d’argento almeno un nome di spicco tra coloro che si sono tenuti i soldi.
Del resto nella richiesta di patteggiamento Chisso è stato chiaro, quando ha scritto che «le mie precarie condizioni di salute non mi consentono di affrontare un processo che si preannuncia lungo e faticoso» e ha aggiunto che deve sottoporsi a coronarografia «per un eventuale intervento chirurgico». Dunque, «pur continuando ad asserire la mia completa estraneità ai fatti che mi vengono contestati» ha chiesto di essere ammesso al patteggiamento. E l’accordo, per l’appunto è stato trovato sui 30 mesi e 20 giorni di carcere.
Da ieri sera Renato Chisso è a casa a Favaro Veneto. E’ arrivato poco dopo le 21 ed è entrato in casa sorretto dalla moglie Gerarda. Barba lunga, dimagritissimo, camminava a fatica ed era visibilmente provato. Venerdì entrerà in ospedale dove sarò sottoposto a coronarografia e dove gli impianteranno con tutta probabilità un paio di stent per aprire una coronaria ostruita. E in ospedale Chisso attenderà la decisione del Gip sulla sua richiesta di patteggiamento. Dopodiché per lui la partita giudiziaria si chiuderà per sempre, mentre resterà aperta quella pecuniaria. Da qualche parte infatti i soldi devono essere pur finiti, no? E se non li ha Chisso…

Maurizio Dianese

 

Ieri l’ultima perizia: stato di salute compatibile con il carcere

MAXI UDIENZA – Giovedì per 19 indagati l’udienza davanti al giudice per chiudere ogni pendenza

L’ULTIMO DETENUTO – L’ex assessore ha lasciato dopo più di quattro mesi la cella nel carcere di Pisa

Anche Chisso si arrende patteggia 2 anni e 6 mesi

Concessi gli arresti domiciliari. Ancora non c’è accordo sulla parte economica

La Procura intenzionata a confiscare oltre un milione: la parola adesso al gip

Sequestrati soli i 1.500 euro trovati sul conto corrente

L’avvocato: «Scelta dettata da imprescindibili motivi sanitari»

Alla fine anche Renato Chisso sceglie di patteggiare e torna a casa. Così quella scarcerazione invocata per settimane per ragioni di salute, arriva come per Giancarlo Galan: grazie a un accordo con la Procura per un patteggiamento (in questo di 2 anni, 6 mesi e 20 giorni) e con il gip che, in attesa dell’udienza che dovrà applicare l’accordo, concede gli arresti domiciliari. Fino a ieri l’ex assessore regionale arrestato nel blitz del 4 giugno, sembrava destinato ad essere uno dei pochi big ad affrontare un processo sul sistema Mose. Invece non andrà così. Salvo decisioni a sorpresa del gip che potrebbe rigettare il patteggiamento, non ci sarà un dibattimento pubblico per Chisso. Lo scandalo dell’assessore a libro paga del Consorzio Venezia Nuova, finirà con una pena concordata tra accusa e difesa. E una “caccia” ai soldi da confiscare che, nel caso di Chisso, a differenza di Galan, non sono stati trovati.
Tutto si è deciso nel giro di poche ore. Fondamentale, probabilmente, è stato il parere con cui i periti nominati dal giudice per le indagini preliminari, Roberta Marchiori, avevano confermato la “compatibilità” delle condizioni di salute del detenuto con il carcere, tra l’altro un istituto penitenziario specializzato per il trattamento dei cardiopatici, come quello di Pisa, scelto proprio per questo. Ieri la relazione conclusiva dei dottori era sul tavolo del giudice, che a quel punto non poteva far altro che rigettare l’ennesima richiesta di scarcerazione presentata dal difensore di Chisso, l’avvocato Antonio Forza. Ma già nei giorni scorsi la difesa aveva avuto dei contatti con il procuratore aggiunto Carlo Nordio – che coordina il pool di magistrati che ha scoperchiato il sistema Mose: Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini – per una diversa uscita di scena dell’ex assessore. Trattative che si sono chiuse ieri. Per l’avvocato Forza una scelta dettata da «imprescindibili motivi sanitari».
La pena concordata è di 2 anni e 6 mesi per le vicende del filone principale, più 20 giorni per il reato di abuso d’ufficio emerso dalla nuova inchiesta sugli uffici regionali. Più spinosa la questione della cosiddetta confisca per equivalente al profitto del reato. A differenza di Galan, per cui nell’istanza di patteggiamento è stata fissata anche la cifra da restituire (2 milioni e 600mila), per Chisso non c’è accordo sui numeri. Sarà il gip chiamato a valutare la congruità della pena, a dover stabilire anche l’entità della confisca sulla base del capo d’imputazione, tenendo conto dei reati caduti in prescrizione. A spanne una cifra che supera il milione. La Procura, da parte sua, continuerà la sua ricerca di eventuali fondi che Chisso potrebbe avere all’estero attraverso le rogatorie in corso. In un’ottica, a questo punto, di confisca.
Ieri, intanto, il gip Alberto Scaramuzza, dopo l’accordo sul patteggiamento, ha concesso gli arresti domiciliari a Chisso. Mentre il gip Marchiori ha dichiarato il “non doversi procedere” sulla richiesta di scarcerazione per motivi di salute, ormai superata dai fatti. A un altro gip, a questo punto, toccherà decidere sulla congruità della pena concordata. Non ci sono più i tempi tecnici per far rientrare anche Chisso nella mega udienza di giovedì prossimo, quando davanti al giudice Giuliana Galasso sono fissati i patteggiamenti di 19 indagati, Galan compreso. L’ex assessore dovrà attendere.

Roberta Brunetti

 

IL RETROSCENA – Chiusa la partita giudiziaria, continua la caccia ai soldi

Renato Chisso poco dopo le 21 è arrivato in auto in via Col San Martino 5. Era a bordo della Mercedes Classe A del genero, che nel pomeriggio è andato a prenderlo a Pisa. Barba lunga, estremamente dimagrito e sofferente, è sceso a fatica dall’auto e si è incamminato verso l’entrata di casa, sorretto dalla moglie Gerarda. Chisso resterà a casa sua fino a venerdì mattina quando uscirà per andare in ospedale. Il suo avvocato difensore gli ha già fissato il ricovero all’Angelo, dove sarà sottoposto a coronografia. E’ probabile, molto probabile, che i cardiochirurghi decidano di impiantargli altri due stent oltre ai due che hanno già piazzato nelle sue coronarie nel settembre dello scorso anno. Via Col San Martino è una stradina, larga quanto una macchina, che si trova alla periferia di Favaro, in mezzo ai “grebani” come si dice da queste parti. L’abitazione dell’ex assessore regionale alle Infrastrutture, che era detenuto a Pisa dal 4 giugno, è una casetta ad un piano, di quelle che negli anni Sessanta gli operai si costruivano da soli, in economia. Bianca, con una copertura di coppi rossi. Una casetta qualsiasi, nessun segno di opulenza. Parcheggiata in cortile, di fianco alla casa la vecchia Alfa, impolverata. Del resto è ferma da 4 mesi. Dietro l’Alfa c’è la Fiat 16 di sua figlia. Le persiane tutte giù e i vicini che nel pomeriggio guardavano con sufficienza l’affollamento di fotografi e telecamere. E chi accettava di parlare, era per dire che di Chisso, comunque, poteva parlare solo bene. Del resto, trovare qualcuno che parli male di Chisso non è difficile, a Favaro è impossibile. A meno che non vai al bar di piazza Pastrello dove tra un’ombra e l’altra c’è sempre qualcuno disposto a sostenere che lui lo sapeva da sempre che Chisso era un ladro e che era solo questione di tempo che lo prendevano e lo mettevano al gabbio. Ma se vai dai vicini di casa farai solo collezione di superlativi “bravissimo” o “buonissimo”. Insomma a Chisso è difficile che capiti quel che sta succedendo a Galan e cioè che facciano la fila a passare davanti a casa sua per fargli sapere quel che pensano di lui. Del resto ieri sera, nonostante l’affollamento di fotografi e giornalisti, non c’è stato nessuno che si sia fermato o che abbia messo fuori di casa la testa per dire che basta e non se ne può più dei ladri. Macchè, qui a Favaro, Chisso è come il parroco, lo conoscono tutti e in tanti sono andati almeno una volta a chiedergli aiuto. E per quanto impossibile possa sembrare, anche adesso che ha patteggiato e quindi in qualche modo ha ammesso di essere colpevole, trova sempre qualcuno disposto a mettere la mano sul fuoco per lui. «Vive come vivo io che ho fatto l’autista dell’Actv – dice Ennio Franchin che di Chisso è amico da sempre – Le vacanze insieme erano ferie da impiegato. Prendevamo una casa in affitto a 700 euro alla settimana e ci dividevamo tutte le spese. Per anni siamo andati in vacanza in Calabria, ore e ore di macchina, una “coppata” da fare in giornata, per risparmiare. L’anno scorso siamo andati in Sardegna e anche quest’anno, se non fosse successo niente, saremnmo andati in vacanza insieme». Insomma Ennio non crede ad un Chisso dottor Jeckyll e mister Hyde. «Ma dai. Io non ci credo. Non ha mai fatto una vita da soldi.»

Maurizio Dianese

 

 

IN TRIBUNALE – L’ex sindaco sarà l’unico politico di spicco ad affrontare il processo

Orsoni in aula, l’incubo del Pd

IL RISCHIO – Le udienze durante la campagna elettorale

Al Pd che conta di tornare ad amministrare il Comune di Venezia e che sogna di strappare la Regione a Luca Zaia, forse conveniva che Renato Chisso non chiedesse il patteggiamento. Gli imputati eccellenti su cui accendere i riflettori giusto sotto elezioni, sarebbero stati due. Un tritacarne mediatico bipartisan. Invece, a processo al momento va solo Giorgio Orsoni, l’ex sindaco di Venezia che il Pd, dopo gli arresti domiciliari, si era premurato di scaricare: “non è iscritto al partito”. Il che era vero, solo che la precisazione del partito peccava di omissione. Perché Orsoni nel 2010 aveva fatto le primarie di coalizione ed era sostenuto da quasi tutto il Pd. E perché dopo la vittoria, il Pd in giunta a Venezia c’era.
Con Orsoni (che inizialmente aveva concordato un patteggiamento di quattro mesi cui però si era opposto il gip e a quel punto l’ex sindaco ha deciso per il processo), andranno a giudizio l’ex europarlamentare di Forza Italia Lia Sartori e Enzo Casarin, che di Chisso era il braccio destro in Regione, mentre Federico Sutto, del Consorzio Venezia Nuova, pare patteggi. Il processo a Orsoni rischia di oscurare gli altri. Tant’è che nel Pd si spera che i procedimenti inizino a primavera inoltrata, dopo le primarie e dopo le elezioni. Perché sarebbe imbarazzante leggere di Orsoni che ripete quanto detto durante gli interrogatori: i soldi di Mazzacurati? li voleva il Pd, Zoggia, Marchese e Mognato insistevano. Zoggia e Mognato hanno negato, Marchese ha patteggiato. Ma le cronache dal tribunale nessuno vorrebbe leggerle in campagna elettorale.

 

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