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IL CASO MOSE – Il procuratore aggiunto di Venezia parla delle pene e dei patteggiamenti

VENEZIA – Il dilemma se sia meglio una condanna severa domani, o una pena più leggera, ma concordata oggi, se lo sono posto i pubblici ministeri che hanno condotto l’inchiesta sul Mose. Per quello scialo colossale di denaro pubblico, con arricchimenti personali davvero scandalosi, si è giunti già ad una ventina di patteggiamenti. E gli inquirenti veneziani hanno dimostrato in qualche modo di accontentarsi, anche se dall’opinione pubblica veniva una richiesta ben diversa, almeno nei confronti di un politico-simbolo del potere del calibro di Giancarlo Galan.
Ieri il procuratore aggiunto di Venezia, Carlo Nordio, è stato intervistato da Maria Letella su Sky Tg24. E ha parlato a ruota libera di questi temi. Ha detto di aver colto «grande consenso» tra chi segue con maggiore attenzione e preparazione i problemi della giustizia, ma anche «reazioni più sanguinarie e un po’ emotive tra la gente». «Per la strada ti fermano e ti dicono che forse era meglio gettare le chiavi nel pozzo» ha spiegato. «Ma la magistratura penale – ha aggiunto – non deve avere fini salvifici, e tantomeno sanguinari. Deve comporre vari interessi, compreso quello della certezza della pena, del tempo ragionevole, della serietà della pena e anche, come in questo caso, di un buon incasso per l’Erario».
A proposito di soldi, Nordio ha detto che la norma sul rientro dei capitali, approvata dalla Camera, è «uno dei tanti compromessi necessari, certamente utile per implementare le finanze», ma è anche «una sorta di resa da parte dello Stato». Per il pm veneziano, che ha condotto molte importanti inchieste sulla corruzione, la norma è tuttavia la dimostrazione «dell’assoluta inefficacia della misura penale come arma deterrente: non funziona nei confronti di chi ha deciso di delinquere». Come evitare la fuga di capitali? «Con una seria politica fiscale e finanziaria, che renda più semplice e attrattiva la norma per gli investimenti». Nordio si è anche detto dell’opinione che tra i motivi che alimentano la corruzione vi siano la difficoltà di arrivare «a una pena certa» e «il delirio proliferativo e disordinato di leggi» che affligge l’Italia. Insomma, «il legislatore ha prodotto leggi complicate fatte apposta per farsi corrompere».
Nordio ha anche affrontato il caso del giudice milanese Enrico Tranfa, dimessosi dopo la sentenza d’appello del caso Ruby, perchè non d’accordo con gli altri due giudici che lo avevano messo in minoranza. «Ha violato clamorosamente ogni regola deontologica e ordinamentale, perché nel momento in cui si fa parte di un collegio si accetta il principio di essere messo in minoranza». E ha spiegato: «La legge consente l’opinione dissenziente, che va messa in busta chiusa e sigillata, ma non consente affatto di dare le dimissioni per una divergente opinione rispetto a colleghi di un collegio che hai accettato di presiedere».
Nordio ha concluso che «un magistrato può andarsene quando è costretto ad applicare leggi che confliggono con la sua coscienza. Ma questo è un caso diverso. La decisione, se sono vere le ragioni asserite, perché sono ancora incredulo di fronte all’enormità di questa notizia, metterà in grande difficoltà gli altri due colleghi che hanno fatto il loro dovere, perché la decisione collegiale, proprio perché è tale, deve essere unitaria».

Il lavoro del pm Nordio è vanificato da leggi assurde ma fatte dai politici per salvare se stessi. Galan e Chisso andavano tenuti in carcere 20 anni. E’ uno scandalo immane che siano già a casa, specialmente quello che è stato il governatore e poi ministro per tanti anni.
Michele e Roberta

 

POLITICA – SE CI FOSSERO I GIACOBINI

L’ex portavoce di Galan, Franco Miracco, in un’intervista dell’11 ottobre, esprimeva costernazione per i fischi e gli insulti rivolti dai cittadini all’ex ministro, tacciandoli di giacobinismo. Mi sono chiesto se l’ex comunista Miracco ha sorvolato lo studio della rivoluzione francese del 1789 passando per amor di patria a quella d’ottobre del 1917. In ogni caso, non ultimo quello di Genova, auguro a tutta la classe politica – sia quella rottamata con vitalizio, sia quella in servizio, analogamente ai burocrati, in primis quelli della Liguria – di provare (per il bene di tutti noi) il vero giacobinismo, per questo Paese non è mai troppo tardi.

Giancarlo Parissenti – Mestre

 

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