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CRACKING – I sindacati chiedono da tempo a covocazione del tavolo della chimica a Roma per discutere della questione

Mentre i sindacalisti dei chimici veneziani continuano a insistere con il ministero dello Sviluppo economico perché si sbrighi a convocare il tavolo su Porto Marghera, l’Eni annuncia che investirà 150 milioni di euro per trasformare il Cracking e farlo andare a etano invece che a virgin nafta. Peccato che non si tratti del Cracking di Porto Marghera ma di quello di Dunkerque. «In Francia il Cane a sei zampe non può chiudere stabilimenti a suo piacimento, e quindi deve investire per renderli competitivi» afferma Antonio Cavaliere, responsabile Lavoro per il Nuovo Centro Destra (Ncd) che commenta l’annuncio fatto dai vertici Eni due settimane fa all’assemblea annuale dell’European Petrochemical Association.
Andando a vedere le caratteristiche dei due impianti, quello veneziano ha la stessa età del cracker francese, e quindi non dovrebbero esserci particolari difficoltà tecniche a trasformare anche Porto Marghera garantendone così il futuro, dato che l’etano ricavato dallo shale gas estratto nel Golfo del Messico, e che verrà utilizzato a Dunkerque, costa tre volte meno del petrolio, oltre a non risentire delle incertezze geopolitiche legate all’estrazione del greggio. E secondo Cavaliere non è accoglibile nemmeno l’obiezione che Porto Marghera potrebbe essere in una situazione geografica svantaggiosa per il rifornimento di etano: «Eni ha già programmato la conversione parziale ad etano anche del cracker di Brindisi, e Brindisi e Marghera sono molto vicine per navi che devono arrivare dal golfo del Messico».
Perciò il responsabile Lavoro di Ncd torna a rivolgere un appello al Governo Renzi, alle istituzioni locali e ai parlamentari veneziani affinché «si impegnino nel convincere Eni a fare a Porto Marghera quello che vuole realizzare in Francia».
A metà settembre proprio Cavaliere illustrò uno studio realizzato con un gruppo di tecnici e industriali in base al quale, senza il Cracking, Porto Marghera perderà il valore aggiunto che ha rispetto a tutte le altre aree industriali del Veneto, e quindi gli investitori non avranno più alcun motivo per scegliere di venire qui, nemmeno nei 110 ettari che Syndial (Eni) ha ceduto a Comune e Regione proprio per contribuire a far rinascere l’area in crisi. Perché? Per il fatto che a Marghera i servizi vari (viabilità, sicurezza, reti elettriche eccetera) sono in condominio, sono integrati e costano meno. Se chiude il Cracking, dopo le tante altre chiusure avvenute negli anni scorsi, il livello minimo per garantire l’integrazione viene a mancare.
Dallo studio, è vero, emergeva anche un altro problema, il costo dell’energia: oggi le industrie sono costrette a comprare l’energia elettrica dalla rete normale dell’Enel, mentre con una centrale interna al petrolchimico non pagherebbero gli oneri di trasporto e i cosiddetti oneri accessori, ottenendo un risparmio enorme di circa 50 euro per ogni megawatt-ora. A Marghera c’è una centrale, la Edison ma è ferma. E Cavaliere il mese scorso aveva detto che Comune e Regione dovrebbero chiedere al Ministero di ripristinarla: «Ma intanto sarebbe un ottimo segnale se Eni decidesse di riavviare il Cracking convertendolo ad etano e salvando così anche i petrolchimici di Mantova e Ferrara che, altrimenti, non avrebbero vita lunga».

Elisio Trevisan

 

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