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Acquisiti gli atti sui 50 milioni che la Regione ha destinato al restauro dello Studium e del palazzo del Patriarca. Gli errori sui lavori alla bocca di porto di Malamocco

VENEZIA – Un’indagine sulla pioggia di milioni di euro erogati dalla Regione Veneto a favore dello Studium Marcianum inaugurato nel 2008, voluto dall’ex patriarca di Venezia Angelo Scola, e un’altra indagine sulla conca di navigazione realizzata da Magistrato alle Acque e Consorzio Venezia Nuova in bocca di porto di Malamocco – per far entrare le navi in laguna quando il Mose sarà alzato – che il porto di Venezia ha chiesto al ministero delle Infrastrutture di modificare (progetto da 15 milioni di euro) perché troppo piccola per far transitare in sicurezza le navi oltre i 280 metri di lunghezza.

Sono le due nuove inchieste avviate dal procuratore della Corte dei conti Carmine Scarano (conca di navigazione) e dal procuratore aggiunto Giancarlo Di Maio (Marcianum) sul fronte sempre più controverso delle spese di “salvaguardia” della laguna di Venezia. Marcianum.

La Procura veneta ha in corso da qualche mese un’indagine contabile sui 50 milioni di euro di Legge speciale che la Regione Veneto – allora retta da Giancarlo Galan – aveva stornato dalle opere di disinquinamento (cui erano per legge destinati) per assegnarli alla Curia veneziana per il restauro del palazzo patriarcale in piazza San Marco e la nascita dello Studium Marcianum in Punta della Salute, ambizioso e patinato polo teologico-culturale voluto dall’allora patriarca Angelo Scola. Scuola media, liceo classico, facoltà di Teologia per qualche anno finanziato con generosi contributi pubblici e privati. O entrambi: come nel caso dei 100 mila euro del Consorzio Venezia Nuova che l’allora presidente del Cvn e della stessa Fondazione Studium Marcianum, Giovanni Mazzacurati non mancava mai di versare.

Poi i conti che non tornano, l’inchiesta sulle Tangenti Mose che ha fatto venire meno i finanziatori più ricchi e “fedeli”, la decisione del patriarca Francesco Moraglia – appena giunto a Venezia, nel 2013 – di chiudere l’esperienza Marcianum, per non dipendere da chicchessia. E ora l’indagine della Corte dei conti per verificare se vi sia stato un uso improprio dei fondi di Legge speciale, partendo da quanto segnalato da un articolo della scorsa estate de “La Nuova di Venezia e Mestre”, che ripercorreva il fiume di finanziamenti erogati dalla Regione Veneto al Marcianum – e al Patriarcato – per anni gigantesco cantiere per trasformare il vecchio seminario in Punta della Salute nel polo culturale ecclesiastico in laguna, con tanto di foresteria da 70 camere, spazi di ristoro, sale multimediali, biblioteca, spazi espositivi e sale congressi. Come foresteria, uffici e nuove sale vennero realizzate anche nel palazzo patriarcale di San Marco.

Si potevano spendere a questo scopo fondi di Legge speciale per il disinquinamento? Questo intende chiarire l’indagine, con i finanzieri del Nucleo Tributario incaricati di acquisire la documentazione.

Mose e conca di navigazione. Di ieri, invece, la decisione del procuratore veneto Carmine Scarano di aprire un fascicolo contabile per stabilire se vi sia o meno qualche ipotesi di danno erariale in merito a una notizia delle ultime ore: la conca di navigazione realizzata sulla diga di Pellestrina – per garantire il transito delle navi anche in caso di Mose in attività – e costata 280 milioni di euro, va già modificata. Costo, altri 10-15 milioni, Sin dal 2006 i piloti del porto avevano evidenziato il fatto che la “lunata” realizzata a protezione della conca era troppo vicina e le navi superiori ai 280 metri avrebbero avuto difficoltà di manovra. Allarme rilanciato anche dalla Capitaneria di Porto, ma sempre respinto dal Magistrato alle Acque. Ora il presidente del Porto Paolo Costa – che la conca aveva voluto da allora sindaco di Venezia – ha formalizzato al ministero un progetto, per realizzare una sorta di muro di sponda rafforzato dove le navi possono appoggiarsi per virare e allinearsi. Bisognava farlo prima? C’è danno? Questo intende verificare l’indagine.

Roberta De Rossi

 

Il bacino consente il transito fra due specchi d’acqua

Ma cos’è la conca di navigazione? È un apparato idraulico interposto tra due specchi d’acqua, collocati a un livello differente. La sua funzione è quella di garantire il passaggio di navi, imbarcazioni e natanti. La conca di navigazione viene utilizzata ad esempio, per consentire la navigazione tra il mare e le acque interne. Detta anche bacino di navigazione, la conca è costituita da due o più paratoie stagne mobili; da un invaso; da un sistema di tubazioni e valvole. Attraverso il sistema di valvole si mette in comunicazione l’invaso con lo specchio d’acqua da cui proviene l’imbarcazione. Per il principio dei vasi comunicanti il livello all’interno del bacino raggiunge quello esterno, permettendo l’accesso dei natanti all’interno della conca. Il sistema di conche di navigazione più conosciuto al mondo è quello del canale di Panama. I bacini vengono largamente usati nel Nord Europa per mantenere isolato dal mare (e, nel contempo, consentirgli di comunicare con esso) il vasto sistema di canali navigabili interni.

 

Inchiesta dell’Espresso da oggi in edicola: comandano sempre gli stessi

I Gattopardi del Mose

VENEZIA «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». La tesi espressa da Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo capolavoro, Il Gattopardo, sembra attagliarsi alla perfezione al destino del Mose, a sette mesi dal maremoto giudiziario che lo ha travolto. Non è un caso, insomma, che sia intitolata «I gattopardi non mollano il Mose» l’inchiesta, firmata da Gianfranco Turano con la collaborazione di Alberto Vitucci, che appare sull’Espresso, in edicola da oggi. «Il nuovo e sorprendente protagonista degli affari in laguna è l’incontenibile prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro, amico del piduista e piquattrista Luigi Bisignani, nonché cinghia di trasmissione di chi ha spadroneggiato sui sei miliardi di appalto del Mose e non intende lasciare la presa». È proprio lui, il prefetto Pecoraro – raccontano Turano e Vitucci – che ha redatto l’ordinanza di commissariamento che ha dato il benservito a Mauro Fabris e ha nomina i due nuovi commissari del Consorzio Venezia Nuova: Luigi Magistro, braccio destro di Gherardo Colombo, ai tempi di Mani Pulite, e di Francesco Ossola, progettista dello Juventus stadium. Prima di Natale – si ricorda nell’articolo – il prefetto Pecoraro è addirittura sbarcato in laguna, nella nuova sede del Consorzio all’Arsenale, e ha incontrato i rappresentanti delle tre principali imprese del Mose: Alberto Lang, per Condotte; Salvatore Sarpero, direttore generale di Fincosit; Romeo Chiarotto, proprietario della Mantovani. Insomma, i lavori saranno completati dalle stesse imprese che li hanno iniziati. Mentre i commissari resteranno in carica «fino a collaudo avvenuto». Questo significa almeno 2018 se i lavori, dopo l’ultimo slittamento, saranno completati nel 2017.

 

Il via libera al processo della giunta elezioni del Senato

«Matteoli incassò 550 mila euro per gli appalti a Socostramo»

VENEZIA – Un investimento di 25 mila euro per acquistare le quote aveva fruttato ben 48 milioni di utili. Molto più che un Gratta e Vinci quello strappato dall’impresa romana Socostramo srl dell’imprenditore Erasmo Cinque. Che, senza eseguire alcun lavoro, alla fine grazie all’ex ministro Altero Matteoli aveva guadagnato qualcosa come 48 milioni di euro. Un quadro chiaro e denso di prove quello ricostruito dai tre giudici per il Collegio dei reati ministeriali del Tribunale veneziano che ha chiesto – e ottenuto – dal Senato l’autorizzazione a procedere per l’ex ministro dell’Ambiente e delle Infrastrutture e Trasporti Altero Matteoli e i suoi «correi» Giovanni Mazzacurati, Piergiorgio Baita, Nicolò Buson, Erasmo Cinque e William Colombelli.

I tre giudici (Monica Sarti, Priscilla Valgimigli e Alessandro Girardi) ricostruiscono nella memoria inviata ai senatori i passaggi chiave che dimostrerebbe l’esistenza del reato di corruzione. Il reato, secondo i giudici, nasce in laguna nel giugno 2003 e continua nel maggio 2011, quando vengono sottoscritti gli «atti di impegno» per avviare il disinquinamento delle aree di Porto Marghera. Nell’ottobre del 2001 viene firmato il primo atto di transazione tra lo Stato e la Montedison che si impegnava allora a versare 271 milioni di euro a titolo di risarcimento per l’inquinamento prodotto a Marghera. L’ipotesi sostenuta da Matteoli è quella di affidare gli importi e l’attività di disinquinamento al Consorzio Venezia Nuova. Ma la condizione perché questo avvenga «è che di quei fondi doveva beneficiare la società Socostramo». Che nel novembre del 2000 era entrata a far parte della compagnia consortile di Venezia Nuova con una cifra irrisoria dello 0,006583 per cento, investendo poche migliaia di euro. Quota non sufficiente per partecipare a lavori così importanti, per cui del resto la Socostramo non era neanche attrezzata. Il rimedio è presto trovato: Mazzacurati assegna i lavori con il metodo del «fuori quota», e Baita associa l’impresa alla Mantovani, che effettua realmente i lavori. E rinuncia al 50 per cento dei suoi introiti in favore della piccola impresa.

Il Consorzio da parte sua, continua la memoria dei giudici, «beneficiava di un cosiddetto onere del concessionario per un ammontare complessivo di oltre 60 milioni di euro». Un’operazione con soldi dello Stato da cui tutti gli imputati traggono vantaggio. Matteoli avrebbe ricevuto secondo le indagini 400 mila euro in contanti da Mazzacurati e Baita, 150 mila da Colombelli e Nicolò Buson. «Le indagini hanno dimostrato un totale asservimento dei presidenti del Magistrato alle Acque (Patrizio Cuccioletta e Maria Giovanna Piva) al volere di Mazzacurati, che li remunerava con denaro contante ed utilità». E un «asservimento al Consorzio Venezia Nuova da parte di Altero Matteoli, nella sua veste di ministro dell’Ambiente e delle Infrastrutture». Quanto all’imprenditore Cinque, «forte del suo rapporto con Matteoli, decideva le sorti dei presidenti del Magistrato alle Acque». E il legame tra i due era talmente forte che l’imprenditore convocava nel suo ufficio Cuccioletta. «Per redarguirlo e minacciare il suo trasferimento a direttore del Personale».

Alberto Vitucci

 

Il processo a milano

Il Consorzio Venezia Nuova parte civile contro Milanese

VENEZIA – Il Consorzio Venezia Nuova, ora commissariato ma un tempo guidato da Giovanni Mazzacurati, il principale artefice del presunto «sistema corruttivo»al centro dello scandalo Mose, è parte civile al processo in corso a Milano a carico di Marco Milanese, l’ex parlamentare ed ex braccio destro dell’allora ministro Giulio Tremonti e che ieri era in aula.

Ad ammettere come parte civile il Cvn, così come il ministero dell’Economia, sono stati i giudici della quarta sezione penale del Tribunale di Milano presieduti da Oscar Magi.

Il collegio non ha invece accolto le eccezioni presentate dall’avvocato Bruno La Rosa, uno dei difensori di Milanese, tra cui quella sull’incompetenza territoriale a favore di Venezia, che aveva come obiettivo quello di ritrasferire il procedimento nella sede in cui è nato ed è incardinato il filone principale di indagine: insomma, in tal caso, secondo i difensori, l’inchiesta avrebbe dovuto partire da zero.

Il pm Roberto Pellicano, inoltre, in base alla sentenza con cui lo scorso 28 novembre la Cassazione ha scarcerato Marco Milanese, rimettendolo in libertà, ha leggermente modificato il capo di imputazione. Ha «bocciato» il reato di traffico di influenze ipotizzato nel provvedimento con cui oltre un mese fa la Suprema Corte ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere ma ha riformulato l’accusa: ha ritenuto sia corretto contestare all’ex deputato del Pdl il concorso in corruzione ma, e questa è la differenza rispetto a prima, non con un ruolo di pubblico ufficiale bensì con una veste di «intermediario qualificato» in virtù dell’«autorevolezza» delle cariche politiche e i rapporti privilegiati – ha spiegato il pm ai giudici – con l’allora ministro dell’Economia che era anche presidente del Cipe».

Fu proprio il Cipe a decidere il maxistanziamento che nel 2003 ha di fatto sbloccato gli appalti per le paratoie del Mose da collocare nelle tre bocche di porto della laguna di Venezia. Per l’accusa Mario Milanese avrebbe ricevuto negli uffici di Milano di Palladio Finanziaria 500 mila euro da Mazzacurati in cambio del suo intervento per introdurre «una norma ad hoc per salvare il finanziamento di 400 milioni» per il Mose che altrimenti il Cipe avrebbe destinato ad altre opere nel Sud Italia. Il processo è stato aggiornato il prossimo 19 febbraio sempre a Milano.

 

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