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Monta la rivolta per l’alt del governatore alla società pubblica Regione-Comune che deve bonificare e vendere 108 ettari

Marghera ha già perso molte occasioni, come quelle messe in campo e poi ritirate da grandi gruppi chimici nazionali come Mossi & Ghisolfi e Bertolini Group, che volevano investire nelle aree industriali non più usate con produzioni più sostenibili dal punto di vista ambientale. Ben per questo imprenditori e sindacati dei lavoratori si scagliano contro il governatore Zaia per la sua «incomprensibile e sbagliatissima decisione di dare un calcio alla grande opportunità di risanare le aree industriali di Porto Marghera e rimettere in moto lo sviluppo e l’occupazione».

Ma dov’era il governatore Zaia negli ultimi due anni, quando i suoi assessori e tecnici, insieme a quelli del Comune e ai responsabili di Syndial (Eni) mettevano a punto il contratto per la cessione gratuita di 107 ettari di terreni e la concessione di 38 milioni per rimettere a norma le aree e vendere per rilanciare lo sviluppo?

Se lo sono chiesti in tanti dopo la notizia, pubblicata dal nostro giornale, che il governatore del Veneto, Luca Zaia, ha sorprendentemente buttato all’aria gli accordi faticosamente raggiunti e sottoscritti, a cominciare da quello – firmato da Zaia stesso nell’aprile dell’anno scorso ne Capannone del Petrolchimico – che prevede la costituzione di una società pubblica (soci l Comune e Regione al 50%) – alla quale Eni avrebbe conferito, con la firma di un rogito, la proprietà di oltre cento ettari di aree pronte per essere messe in sicurezza e riutilizzate.

«Chi decide di bloccare il percorso di riutilizzo delle aree industriali dismesse di porto Marghera deve assumersi anche la grave responsabilità di bloccare una promettente opportunità di sviluppo produttivo ed occupazionale», dice Lino Gottardello, segretario generale della Cisl veneziana.

«L’impatto dell’inchiesta sulle tangenti del Mose, il commissariamento del Comune di Venezia e la campagna elettorale non giustificano la battuta d’arresto alla costituzione della società pubblica che deve rimettere sul mercato le aree, bonificate, cedute da Eni al preciso scopo di permettere il loro riutilizzo per nuove attività. Faccio appello al presidente della Giunta regionale affinché non interrompa un processo che punta a restituire al territorio aree produttive evitando così, come è successo con le aree acquisite dall’Oleificio Medio Piave, che possono finire in mano alla speculazione. Se ci sono difficoltà, la Regione deve riconvocare subito il tavolo su Porto Marghera e dire quali sono, ma per andare avanti e non per tornare indietro».

Si aggiunge Enrico Piron, segretario generale della Cgil veneziana: «È ora di finirla con il rinvio dei progetti di sviluppo che i lavoratori, vittime della crisi, aspettano da troppo tempo. Gli accordi sottoscritti vanno rispettati, soprattutto da chi, come Zaia, ha un ruolo istituzionale . Non si può giocare sulla pelle dei lavoratori che aspettano nuove occasioni di occupazione. La cessione delle aree da parte di Eni, insieme al nuovo Accordo di Programma per Porto Marghera con i suoi 23 progetti finanziati con oltre 152 milioni di euro sono l’unica strada che abbiamo davanti per uscire da anni di tagli di posti di lavoro e ammortizzatori sociali che adesso stanno finendo».

Non ci sono commenti ufficiali all’alt di Zaia da parte di Confindustria Venezia, ma quel che è certo è che la stragrande maggioranza degli imprenditori non capisce la decisione del governatore Veneto che, di fatto, blocca la possibilità di risanare e rimettere sul mercato aree dismesse a prezzi calmierati e perfettamente infrastrutturate.

Tutti si ricordano le uscite trionfalistiche dello stesso Zaia, il giorno della sottoscrizione del contratto preliminare con Syndial-Eni, che parlava di decine di imprenditori e miliardi di euro in attesa di essere investiti a Porto Marghera.

Nemmeno Eni ha voluto commentare in alcun modo l’alt di Zaia alla nuova società che dovrebbe firmare il rogito e acquisire la proprietà delle aree. La sorpresa deve essere stata grande soprattutto da parte dei dirigenti che – su incarico dell’allora amministratore delegato Paolo Scaroni – hanno lavorato a lungo insieme ai dirigenti del Comune di Venezia e della Regione per mettere a punto il preliminare di vendita firmato l’11 aprile dell’anno scorso che ora rischia di diventare carta straccia. Se ciò accadesse, le aree in cessione resterebbero in capo ad Eni che ne ha già tante altre nello stesso stato in varie parti dell’Italia. Del resto Eni ha costituito Syndial – sulle ceneri di Enichem – al preciso scopo di di restituire al territorio le aree risanate che non utilizza più da anni.

Gianni Favarato Porto

 

Oltre due anni di lavoro buttati al vento. A rischio il rilancio di Porto Marghera

CI sono voluti più di due anni di commissioni di lavoro e di tavoli tecnici e politici – con rappresentanti ed esperti di Comune, Regione e Syndial (Eni) – per definire e firmare il contratto preliminare che, unico nel suo genere in Italia, prevede la cessione gratuita di aree industriali dismesse a Porto Marghera, con l’aggiunta di 38 milioni di euro per bonificarle o metterle in sicurezza prima di venderle nel mercato europeo a imprenditori interessati a riutilizzarle.

Il contratto preliminare è stato sottoscritto l’11 aprile dell’anno scorso, dopo oltre un anno di confronti e approfondimenti, con la prospettiva di firmare il rogito pochi mesi dopo. Il preliminare di compravendita prevede la cessione di un’estensione totale di 1.073.358 metri quadrati di aree, suddivise nei macrolotti A e B; dei quali 50 hanno i progetti di bonifica autorizzati da realizzare con i soldi messi a disposizione da Eni e 60 sono già stati messi in sicurezza permanente. Syndial (la società dell’Eni proprietaria delle aree in questione) ha riconosciuto a favore degli acquirenti (Comune e Regione attraverso la nuova società pubblica Marghera Eco Industries) 38 milioni di euro da corrispondere all’atto del trasferimento delle aree con il rogito. Inoltre Syndial si è impegnata a portare a termine «interventi di bonifica o messa in sicurezza già approvati da ministeri e a cedere alcuni impianti mobili da impiegare nella bonifica dei suoli e a realizzare a propria cura e spesa la demolizione di alcuni fabbricati, impianti e sottoservizi non più utilizzabili».

 

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