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AL SUMMIT PROMOSSO DALL’ASSESSORE CONTE

VENEZIA – Venezia frena sull’idrovia. La grande opera, del valore di 700 milioni di euro tutti da trovare, metterebbe di certo al riparo da alluvioni il territorio padovano, ma non darebbe ancora garanzie sicure sull’impatto dello scolmatore sulla laguna. È questa la preoccupazione di comitati e associazioni, espressa ieri nel Palazzo Grandi Stazioni di Venezia all’assessore all’Ambiente Maurizio Conte, all’ingegnere Luigi D’Alpaos e al dirigente Settore Suolo della Regione Tiziano Pinato.

Immediata la risposta dell’ingegnere padovano che replica ai veneziani di non barricarsi dietro a inutili “no” e di non perdere questa straordinaria occasione di riportare dei sedimenti in una laguna «che è già mare e che perde 500.000 metri cubi di sedimenti all’anno».

Dopo l’aggiudicazione definitiva del bando di gara europeo al padovano Beta Studio e alla società milanese Technital s.p.a. per l’«affidamento del progetto preliminare per il completamento dell’idrovia Padova Venezia come canale navigabile e scolmatore», ieri si sono ribadite ai progettisti le criticità: i comitati chiedono uno studio di impatto ambientale, costi e benefici del progetto e trasparenza sugli effetti nella laguna. Alessandro Campalto, presidente della Conferenza dei sindaci della Riviera, composto da dieci Comuni padovani e veneziani, ha ribadito il loro unanime sì, ma verificando che sia un progetto che porti benefici a tutti.

Si è parlato poi del ruolo strategico che potrebbe avere il Porto Off Shore per favorire l’attività industriale di Padova e della necessità di pensare alla navigazione con chiatte e non con navi.

Nel progetto è inserito anche lo studio della possibilità di utilizzare l’idrovia come scolmatore del Bacchiglione e non solo del Brenta.

Per adesso non ci sono fondi, il Piano Dissesto del premier dirà se ci sono soldi per il Veneto.

Vera Mantengoli

 

L’INTERVENTO

Nove candidati sindaco su nove sono contrari allo scavo del Canale Contorta Sant’Angelo: Paolo Costa ne prenda atto e si dimetta da presidente dell’Autorità Portuale dato che praticamente l’intera città è ostile al suo devastante progetto. È un uomo solo al comando, ma non è Fausto Coppi al Giro d’Italia.

Se non lo farà, ne prenda atto il presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, al quale sono indirizzate le oltre 120 mila firme a oggi raccolte su Avaaz contro lo scavo: commissari il Porto e imponga il ritiro del progetto, Valutazione di impatto ambientale o non Valutazione di impatto ambientale, non può esistere una valutazione positiva su di un progetto che Venezia rifiuta. Ci si metta sopra una pietra tombale e si cominci a riflettere sulle vere alternative.

Il corteo di sabato scorso ha gridato un festoso “no” alle grandi opere inutili, e l’unico grande intervento di cui Venezia e la Laguna hanno oggi bisogno è un certosino intervento di manutenzione ordinaria per rimediare ai troppi anni di abbandono, dato che il Mose ha fagocitate tutte le risorse, e al dissesto prodotto dall’uomo per adattare la Laguna a una portualità sempre meno compatibile. In particolare, gli interventi in Laguna dovranno declinarsi su due versanti, anche per garantire un futuro alla portualità veneziana: il recupero morfologico, che deve nascere da un piano libero dalle ambiguità del Corila, e un nuovo Piano Regolatore Portuale. Il nuovo sindaco dovrà farsene immediatamente carico.

Nell’ostinarsi sul Contorta, Paolo Costa ha dimostrato di non avere alcuna visione strategica, gettando via risorse pubbliche e quattro anni per una soluzione perdente e già oggi fuori dalla storia, e anche per questo se ne deve andare. Crescita ormai conclamata del livello del mare a causa dei cambiamenti climatici (il Centro Maree del Comune lo conferma già oggi), Mose alle bocche di porto, gigantismo navale metteranno presto in ginocchio il porto lagunare, altro che “Cina e Via della Seta” evocate da Costa per fantasticare sulle sue sorti magnifiche e progressive. Questo devono capirlo anche quei candidati sindaco che ancora propongono attracchi croceristici in Marittima o a Marghera.

I problemi del crocerismo oggi sono quelli che affliggeranno presto tutta la portualità veneziana, si ringrazi chi li ha sollevati e si cominci a pensare in grande. L’unico orizzonte possibile per la portualità veneziana è quello offshore, per tutti quei traffici che la Città vorrà e potrà mantenere: se ne prenda atto e si cominci a pensarci sul serio.

Silvio Testa – Autore del saggio “E le chiamano navi”

 

Dall’Asia i soldi per il porto offshore

ECONOMIA – Dall’Asia i milioni per il porto offshore

Aperto l’anno portuale 2015. Per il presidente dell’Autorità «il risultato è molto vicino»

«Momento eccezionale per far nascere la nuova Porto/Industria di Marghera»

Un miliardo e 400 milioni di euro privati per il nuovo porto offshore al largo di Malamocco sono quasi a portata di mano. «Il risultato è molto vicino» ha detto ieri mattina nello stabilimento Grandi Molini di Porto Marghera Paolo Costa, presidente dell’Autorità portuale veneziana, nella sua relazione annuale sullo stato dello scalo. E ha anche buttato lì da dove potrebbero arrivare questi soldi, quando ha mostrato la mappa della nuova “Via della seta” secondo i cinesi, via che porta direttamente a Venezia per raggiungere poi il resto d’Europa con costi molto minori, «perché la relazione tra Europa e Asia è diventata molto più importante commercialmente di quella tra Europa e Nord America». I capitali privati, insomma, potrebbero venire proprio dall’Asia.

Gli astri protettori della Serenissima, a quanto dice Costa, si sono allineati sopra il porto, e non solo per la Via della seta: «Il vecchio modello industriale è venuto meno nel momento opportuno» e c’è lo spazio «per un diverso modello fondato su manifattura, quasi manifattura e logistica».

Eccola la nuova area industriale che i mercati mondiali chiedono, «e Venezia è nel posto giusto perché all’incrocio di due dei quattro corridoi europei delle merci, e diventa il luogo più vicino ai luoghi della produzione, quello che minimizza i costi diretti e indiretti di trasporto sulla tratta terrestre; inoltre è sulla costa e ha immense aree abbandonate per ospitare produzioni e logistica».

Nella sua relazione Costa ha mostrato la luna e le astronavi per arrivarci ma anche i pesi che le tengono incatenate a terra, legati soprattutto alla disattenzione del Governo. Il presidente li chiama tappi che frenano l’esplosione del porto veneziano, quattro e tutti grossi: il primo è la conca di navigazione di Malamocco che doveva essere realizzata da un pezzo «in cambio del sacrificio fatto dal Porto per salvaguardare Venezia», ossia la limitazione dei traffici causata dalle dighe mobili del Mose; il secondo è costituito dai vincoli amministrativi «che impediscono di accogliere in piena competizione i traffici dei traghetti dai paesi extra europei, in primis la Turchia».

E poi c’è la questione dell’accessibilità nautica: anche con la nuova conca di navigazione funzionante, il Mose sarà un ostacolo superabile solo con il nuovo scalo offshore: «Servono 2,1 miliardi, e allo Stato chiediamo 700 milioni» ha detto Costa che il 25 maggio incontrerà i progettisti dei maggiori porti offshore del mondo. L’ultimo tappo riguarda il settore delle crociere e la necessità di trovare una via alternativa al passaggio delle grandi navi davanti a San Marco. Quella individuata da Porto, Capitaneria e dagli altri responsabili è il nuovo canale Contorta Sant’Angelo, «l’unica soluzione a breve che può coniugare la sicurezza di Venezia, il settore economico con i suoi 5 mila dipendenti, e il futuro industriale di Porto Marghera; ma anche la soluzione per la necessaria sistemazione morfologica della laguna. E su questo il Governo deve rispondere. Quanto a me farò tutto quello che devo fare fino all’ultimo momento del mio mandato, dopo aver investito 525 milioni di euro dal 2004 ad oggi per rendere il nostro Porto in grado di cogliere l’opportunità del futuro».

 

Nuova Venezia – Crociere, decidere le alternative

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19

apr

2015

Vertice con operatori del porto e società armatrici. Venice 2.0 sul sito del Ministero

VENEZIA «Io contro l’off shore? Ma non è vero. Sono balle messe in giro in malafede da chi vorrebbe insinuare che blocchiamo lo sviluppo. È vero esattamente il contrario». Felice Casson si prepara a incontrare Matteo Renzi. E nel suo dossier ci sono anche le Grandi navi. Un problema che ha diviso non poco il centrosinistra e in particolare il Pd.

Con l’attuale candidato sindaco in prima linea per togliere le grandi navi da crociera da San Marco. «Ma la linea è chiara e condivisa», dice Casson, «ho detto che ci sono tre progetti alternativi che vanno valutati per una decisione in tempi brevi. Dobbiamo privilegiare il lavoro, la crocieristica e la difesa della laguna. Quanto all’off shore, deciderà il governo. Non ho mai detto che sono contrario a priori».

La patata delle alternative alle grandi navi davanti a San Marco è ora in mano al governo. Il Porto preme perché sia scelto al più presto il progetto Contorta Sant’Angelo, che consentirebbe di mantenere la Marittima e far entrare le navi da Malamocco e non più dal Lido e San Marco.

I comitati spingono perché sia valutata la soluzione del Lido, che consentirebbe di tenere le navi fuori dalla laguna. Ipotesi realizzabile in due anni, già bocciata dall’Autorità portuale. Ma da ieri presente nel sito del ministero dell’Ambiente con il progetto Venice cruise 2.0., presentato da Cesare De Piccoli e dalla società Duferco. Con tanto di studio di impatto ambientale (Sia) presentato dalla società D’Appolonia.

Infine l’ipotesi Marghera, con progetto firmato da Roberto D’Agostino. Anche qui il porto ha espresso parere contrario. «Le navi commerciali e da crociera», dice Costa, si incrocerebbero e la legge non lo consente. Con il Contorta si risparmierebbe tempo, il tratto in comune sarebbe molto più breve».

Per anticipare i tempi Casson ha incontrato l’altra sera una delegazione di operatori del porto e industriali. E anche i vertici delle principali società delle crociere.

«Ho spiegato», dice, «che la volontà della città è quella di risolvere il problema senza penalizzare il settore, rispettando la laguna. Ho avuto risposte incoraggianti: in attesa dell’alternativa anche le compagnie sono disposte a soluzioni transitorie e a qualche sacrificio per il bene della città. Ma l’obiettivo deve essere il rilancio. Con le soluzioni alternative potremo ricavare anche nuovi posti di lavoro».

Anche questo un argomento di confronto con il premier. E con l’alleanza di centrosinistra, che ha sottoscritto su questo punto un programma comune.

(a.v.)

 

Dal Pd veneziano siluro alla Serracchiani

PORTO E POLEMICHE – La vice Renzi non considera strategico lo scalo lagunare

EMANUELE ROSTEGHIN «La vera sfida è all’Europa bisogna unire l’Alto Adriatico»

Simionato: «Sbaglia a fomentare la concorrenza con Trieste»

L’ex vicesindaco «Non possiamo essere relegati a scalo di serie B»

Bordate alla Serracchiani. Il Pd veneziano all’attacco

«Non c’è porto senza Venezia e non c’è Venezia senza porto. Chi tenta di dire il contrario è fuori strada». Sandro Simionato, ex vice sindaco ed esponente di spicco del Pd veneziano dice a Debora Serracchiani che le sue idee in laguna non passeranno. La vice segretaria nazionale del Partito democratico e governatrice del Friuli Venezia Giulia non perde l’occasione per dire che tra i porti più importanti d’Italia c’è Trieste e non Venezia, e che il nuovo port offshore al largo di Malamocco non si deve costruire. Il fatto è che, senza il porto in mare aperto, lo scalo veneziano è destinato un po’ alla volta a morire perché già oggi le navi più grandi in circolazione per il mondo non riescono ad entrare a causa dei fondali dei canali, che sono stati scavati ma oltre la profondità di 12 metri non si può andare, e perché le dighe del Mose impediscono l’operatività 365 giorni l’anno.

«Il Pd territoriale è assolutamente contrario a quel che dice la Serracchiani e mi auguro che il Governo ne tenga conto – continua Simionato che è anche candidato al Consiglio regionale del Veneto nelle file dei Democratici -. È profondamente sbagliato continuare a fomentare la concorrenza tra i porti italiani perché bisogna avere una visione più ampia della tenuta dell’intero sistema portuale italiano e, per quel che ci interessa, di quello dell’Alto Adriatico. Casomai si deve parlare della concorrenza con i porti del nord Europa. E in quest’ambito chiudere il porto di Venezia o relegarlo a scalo di serie B, come vorrebbe la Serracchiani, è controproducente per tutti».

E lo stesso Emanuele Rosteghin, segretario comunale del Pd, conferma che il Partito è tutto con il porto: «La sfida vera è fare sinergia tra i porti dell’Alto Adriatico perché ciascuno di questi ha caratteristiche specifiche, e devono fare massa critica, con al centro Venezia, per affrontare la competizione con i porti del nord Europa».

La vice di Matteo Renzi nel Pd, una settimana fa al meeting dei Giovani di Confindustria del Nordest Trieste ha anche detto che, in un periodo di scarse risorse, bisogna “rammendare l’esistente”. Gli operatori portuali veneziani e i Sindacati le hanno già risposto per le rime. E Sandro Simionato ribadisce che «non si può frenare chi, come Venezia, ha già fatto grossi investimenti per ammodernare il proprio scalo e per prepararsi ad affrontare il futuro». Mentre altri scali, come Trieste, gli investimenti hanno appena cominciato a farli.

L’ex vice sindaco, oltretutto, ricorda che il porto commerciale di Venezia «ha un ruolo fondamentale nella strategia europea dei trasporti, ed è al pari importante per le aziende del Veneto. Parlare, quindi, solo di ricucitura del’esistente mi sembra senza senso. E quel che sto dicendo è indipendente dal discorso sulle grandi navi turistiche, che è un’altra questione altrettanto urgente e essenziale da affrontare».

 

MOSE – Il presidente di Assoagenti: «Le autorità non si fidano a far passare unità sopra i 218 metri»

MALAMOCCO – La conca di navigazione pensata per le navi lunghe fino a 280 metri. Al momento possono però passare solo navi medio-piccole

D’accordo, da una conca di navigazione progettata per navi fino a 280 metri e larga fino a 39 non potrà passare nemmeno una delle navi da crociera di nuova generazione. Questo è assodato perché tutte le unità più recenti superano queste misure. Il problema ancora aperto riguarda invece la possibilità di far arrivare in porto, con il Mose alzato, le navi di dimensioni inferiori a quelle di progetto.

Per Alessandro Santi, presidente di Assoagenti Veneto, l’associazione che raggruppa gli agenti marittimi e raccomandatari che si servono quotidianamente del porto di Venezia, le rassicurazioni fornite dall’ingegner Redi, direttore generale del Consorzio Venezia Nuova, non sono sufficienti. Redi, un paio di giorni fa aveva detto che erano passate per la conca durante la posa dei cassoni del Mise oltre cento navi fino a 218 metri. Navi più grandi, aveva poi detto Redi, non ne sono passate e quindi non si sono potute fare le prove.

«Durante il periodo di posa dei cassoni iniziata il 19 giugno e terminata il 16 ottobre – smentisce Santi – il porto ha avuto l’entrata di 15 unità con lunghezza superiore ai 218 metri (tra le quali la mv Fyla da 235 metri). Quindi, contrariamente a quanto evidenziato da Cvn, vi sono state navi di dimensioni maggiori che potevano essere fatte transitare per la conca. Vi sono state molte navi di dimensioni comunque inferiori a quelle di progetto che non sono state fatte transitare per la conca ma hanno dovuto aspettare di transitare per la canaletta, proprio per i limiti imposti dalle autorità competenti, che evidentemente non si fidavano di farle passare per la conca. Questo – continua – a conferma della non idoneità della conca con i dati di progetto. E navi di tali dimensioni scalano regolarmente il nostro porto: le autorità competenti, a loro discrezione, possono provvedere a farle transitare in conca».

Ma gli agenti ne hanno anche per il presidente dell’Autorità portuale, Paolo Costa, il quale afferma che con il molo offshore i problemi per le unità più grandi saranno risolti.

«Sulla base degli accessi del 2014, anche in presenza della piattaforma offshore per container e prodotti petroliferi, circa 2000 unità transitano annualmente in ingresso e altrettante in uscita – puntualizza Santi – Di queste, almeno 350, allo stato attuale e con i limiti in essere, sarebbero interdette al transito in conca».

Tra queste ci sono anche le preziose navi portacarbone che riforniscono la centrale Enel di Fusina.

«Ribadisco – conclude Santi – che gli operatori portuali e gli armatori che rappresento, richiedono semplicemente alle autorità preposte che la conca garantisca l’agibilità portuale con navi fino a 280 metri come da progetto e da accordi sottoscritti».

Michele Fullin

 

Gazzettino – Porto Marghera, la firma della rinascita

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9

gen

2015

Siglato l’accordo a Roma per 152 milioni. Zaia: «Ci sono imprese pronte a investire due miliardi»

23 progetti per rifare banchine, potenziare le reti ferroviarie e sistemare le strade

Pierpaolo Baretta: «Così si creano le condizioni per gli investimenti»

«Ci sono imprese, soprattutto italiane e venete, pronte a investire due miliardi di euro a Porto Marghera» ha commentato il governatore del Veneto Luca Zaia dopo aver firmato al ministero dello Sviluppo economico l’Accordo di programma per la riconversione e la riqualificazione economica dell’area industriale di Porto Marghera. L’accordo di ieri, siglato assieme al ministro Federica Guidi, al commissario straordinario del Comune di Venezia Vittorio Zappalorto e al presidente dell’Autorità Portuale Paolo Costa e alla presenza del sottosegretario all’Economia Pierpaolo Baretta, stanzia 152 milioni di euro per realizzare in tre anni (e dando sei mesi di tempo per avviare i lavori) 23 progetti per rifare banchine e potenziare altre strutture portuali comprese le reti ferroviarie, sistemare le strade, mettere in sicurezza idraulica l’area, gestire i fanghi dei canali industriali, portare la fibra ottica. Non porta, insomma, nuove fabbriche ma crea le condizioni logistiche per attirare nuovi investitori.

Il nuovo patto arriva dopo diciassette anni di accordi che fino ad oggi non hanno prodotto la sperata rinascita di quella che è stata una delle più grandi e importanti aree industriali europee. Non a caso il presidente di Confindustria Venezia Matteo Zoppas ha detto che gli industriali vigileranno sull’effettiva applicazione.

Il ministro Guidi ha tranquillizzato sulle intenzioni del Governo ricordando che gli Accordi di programma «si stanno rivelando strumenti di politica industriale molto efficaci, come dimostrano le recenti intese di Rieti, Piombino, Frosinone-Agnani, del distretto del mobile della Murgia, dell’area di crisi industriale del Gruppo Antonio Merloni e di Trieste-Servola. Consentono di mobilitare risorse finalizzate a interventi coordinati e di ampio respiro senza disperdersi in mille rivoli».

Chiaro che per raggiungere l’obiettivo di reindustrializzare Porto Marghera serve anche altro, come ha ricordato Zaia parlando della necessità di «sburocratizzare, semplificare le norme e, soprattutto, dare la certezza del diritto», altrimenti le imprese pronte a investire non verranno mai. Anche perché la maggior parte dei terreni è ancora da bonificare.

L’Accordo firmato ieri, ad ogni modo, è stato giudicato da tutti un primo passo importante («si creano le condizioni per i grandi investimenti, anche perché il sito è collegato alla ferrovia e alla rete autostradale» ha detto Baretta) e stabilisce ancora una volta che i 2 mila ettari di aree di Porto Marghera sono e dovranno rimanere industriali: «Siamo convinti che il futuro non sia quello di pensare a un grande campo da golf o a un luna park, come qualcuno vorrebbe» ha aggiunto ancora Zaia ricordando che ogni prospettiva dovrà essere percorsa nel rispetto di tutti i 13 mila lavoratori che ancora sono impiegati.

Elisio Trevisan

 

ACCORDO FIRMATO – Ecco i 152 milioni per rilanciare Porto Marghera

L’ACCORDO DI PROGRAMMA

Marghera, 152 milioni per il futuro

Zoppas: «Stavolta i soldi ci sono davvero». Zaia: «Ora meno burocrazia e norme più semplici»

SODDISFAZIONE – I sindacati:«Adesso vigileremo per verificare che siano investiti»

La maggior parte dei fondi è destinata alle infrastrutture portuali

152 milioni di euro per il futuro di Porto Marghera grazie all’ennesimo Accordo di programma firmato ieri a Roma. Questa volta, però, come ha sottolineato il presidente degli Industriali veneziani Matteo Zoppas, «i soldi ci sono davvero».

Già troppe volte, infatti, «abbiamo assistito alla firma di accordi che poi non sono stati onorati» ha aggiunto il segretario generale della Camera del lavoro Cgil di Venezia Enrico Piron, annunciando che il sindacato resterà in guardia per controllare che i soldi arrivino davvero e vengano spesi per ciò che è stato deciso: 23 progetti per rifare banchine e potenziare altre strutture portuali comprese le reti ferroviarie, sistemare le strade, mettere in sicurezza idraulica l’area, gestire i fanghi dei canali industriali e per la fibra ottica.

La maggior parte della cifra (102 milioni di euro) è una parte di quanto la multinazionale dell’alluminio Alcoa ha dovuto restituire delle agevolazioni energetiche godute e considerate invece dall’Europa indebiti aiuti di Stato; per il resto 20 milioni dalla Regione, 4 milioni e 350 mila dal Comune, 15 milioni dall’Autorità portuale e 10 milioni da altre fonti come il Provveditorato alle opere pubbliche (per la banchina Molini) e la San Marco Petroli (per allontanare l’azienda da Malcontenta).

Il fatto che questa volta si parli di soldi veri ha scosso persino Paolo Zabeo, segretario della Cgia artigiani di Mestre, secondo il quale «nel giro di un triennio l’area di Porto Marghera si rifarà il trucco» e cioè si preparerà nel migliore dei modi ad accogliere nuovi investitori, sperando che arrivino.

Il governatore del Veneto Luca Zaia non a caso ha ricordato che, oltre alle nuove infrastrutture moderne e alla favorevole posizione geografica, per attirare davvero capitali «servono sburocratizzazione, semplificazione normativa e soprattutto certezza del diritto. Siamo in un paese dove la gestazione di una causa civile ha una media di sette-otto anni ed è difficile spiegarlo ad uno straniero».

Senza contare che la maggior parte delle aree è ancora da bonificare.

Pure il presidente Zoppas assicura che gli Industriali vigileranno sull’effettiva applicazione di questo nuovo Accordo, anche perché «accoglie le istanze che le imprese hanno indicato come strategiche, in particolar modo la sistemazione idraulica, oltre al miglioramento delle tratte ferroviarie e al potenziamento della viabilità nell’area industriale».

Per Paolo Pirani, segretario generale della Uiltec nazionale e per Gerardo Colamarco, segretario della Uil del Veneto, l’Accordo infine «è uno dei passi per garantire un futuro industriale a Porto Marghera», «luogo ideale per un secondario moderno, in cui chimica verde, logistica, meccanica e attività indotte possono trovare spazio e sviluppo».

 

Costa: «Lo sviluppo è legato alle attività porto-centriche»

Il vero leone di questo Accordo è l’ex ministro dei lavori pubblici ed ex sindaco di Venezia Paolo Costa. Cogliendo nel segno, il commissario prefettizio Vittorio Zappalorto ha dichiarato che «si realizza parte di un sogno: restituire a Marghera le sue antiche funzioni di porto».

E il presidente dell’Autorità portuale veneziana, dimostrando di essere rimasto uno dei pochi uomini pubblici di peso in questa Venezia, ha portato a casa un patto da 152 milioni di euro dei quali quasi un centinaio destinati direttamente a infrastrutture portuali.

Del resto è proprio Paolo Costa che sceglie per il futuro di Marghera il «modello portocentrico» e che parla di un «accordo che esalta quell’unicum che da sempre ha fatto la fortuna di quest’area: il porto per l’industria e l’industria per il porto». Non è, insomma, un semplice firmatario di questo nuovo patto ma uno dei principali ispiratori dei suoi contenuti: «Il futuro di Porto Marghera si fonda su tre pilastri: l’attrazione di attività porto-centriche logistiche e produttive, la ritrovata accessibilità (grazie ai lavori di escavo dei canali) e il ripristino dei tracciati ferroviari; e infine la realizzazione del porto offshore».

Il porto offshore in realtà è ancora in viaggio e parecchio contestato, anche se il presidente di Apv ricorda che il progetto «è completo in ogni sua parte ed è pronto per essere sottoposto alla valutazione del Cipe per l’approvazione finale». D’altro canto sempre Costa ha più volte affermato che senza il nuovo porto al largo di Malamocco non ci sarà futuro per quello vecchio ed è facile immaginare che fine farebbe l’area industriale.

Non è colpa del presidente dell’Apv se i connotati di Porto Marghera sono profondamente mutati rispetto agli anni ’70 e all’industria pesante: all’epoca la sua ricchezza veniva dall’abbondanza di manodopera e di energia elettrica a basso costo, e dalla vicinanza al mare. Oggi è il tempo «di un’economia basata sulla manifattura e sui servizi, ma la vicinanza al mare è, oggi come allora, sempre fondamentale».

Che significa futuro portocentrico? «Che porta le imprese a trasferire i propri stabilimenti produttivi attorno alle aree portuali per essere più vicine ai mercati – internazionali – di destinazione delle proprie merci e ridurre i tempi e costi». Appunto, Marghera è sul mare (sulla laguna) ed ha 2mila ettari da utilizzare per le merci, per la loro movimentazione, produzione (chimica verde e qualsiasi altro settore a basso impatto ambientale) e ultime fasi di lavorazione.

(e.t.)

 

LA CRONISTORIA – Sin, bonifiche, marginamenti. Diciassette anni di accordi

Diciassette anni di accordi per rilanciare Porto Marghera che, nel frattempo, però ha continuato a svuotarsi. Ecco solo alcune delle tappe.

– Tutto comincia il 21 ottobre del 1998 con l’Accordo di Programma per la Chimica. Accordo che sarà integrato varie volte nel corso degli anni.

– 23 febbraio 2000 il ministero dell’Ambiente vara il perimetro del Sito di Interesse Nazionale (S.I.N.) di Porto Marghera, e le modalità per messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale.

– 22 aprile 2004 approvazione del Master Plan per la bonifica dei siti inquinati.

– 7 aprile 2006: Accordo di programma per la “grande muraglia”, il marginamento della zona industriale per isolarla dalla laguna.

– 5 maggio 2011: il ministero dello Sviluppo Economico riconosce l’area di crisi complessa per Porto Marghera, con le relative facilitazioni.

– 16 aprile 2012: Accordo di Programma sulle bonifiche per snellire procedure e tempi, vero ostacolo alla riconversione.

– 24 aprile 2013: il ministero dell’Ambiente restringe il perimetro del Sito di Interesse Nazionale che bloccava lo sviluppo di parte della laguna e dei centri urbani di Mestre e Marghera.

– 8 ottobre 2014, dopo che il Mi.Se ha messo a disposizione 102 milioni di euro pagati da Alcoa, il Tavolo Permanente per Porto Marghera approva la proposta di “Accordo Programma per la riconversione e riqualificazione industriale dell’Area di crisi industriale complessa di Porto Marghera”. Accordo firmato ieri a Roma.

(e.t.)

 

NELLE IMPRESE DI APPALTO

Cresce l’occupazione: +2440 unità

Inversione di tendenza rispetto al 2013. L’anno appena trascorso ha visto a Porto Marghera crescere l’occupazione, salita da 11.120 unità a 13.560, quindi con un più 2440 su un totale di 1034 aziende. Sono i primi dati contenuti nella terza edizione dell’Indagine conoscitiva sulle attività economiche presenti nell’area di Porto Marghera, realizzata da Comune, Autorità Portuale di Venezia, Ente Zona Industriale di Porto Marghera e Regione Veneto.

Si tratta di incrementi verificatisi sostanzialmente nelle imprese di appalto che operano per Fincantieri (grazie alle nuove commesse che hanno portato nel 2014 ad avviare la costruzione di più navi da crociera) e in quelle attive nelle industrie storiche dell’area, e consolidati da una buona tenuta generale dell’intero sito portuale-industriale.

(e.t.)

 

Nuova Venezia – L’incognita off shore e le crociere

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8

gen

2015

Due temi strategici. Intanto, dieci anni dopo, ci si accorge che la conca è piccola

Marghera e il porto. Una possibilità di espansione che dipende anche dal futuro di molti progetti sul tappeto. L’ex assessore all’Urbanistica Roberto D’Agostino ha proposto di attrezzare le banchine dell’ex Zona industriale dismessa per ospitare le grandi navi passeggeri. Progetto presentato al ministero dell’Ambiente per la Valutazione di Impatto ambientale. È una delle alternative alle grandi navi davanti a San Marco, insieme al nuovo terminal a Punta Sabbioni e allo scavo del canale Contorta, anche questi all’esame della Via.

Il futuro dipende anche dalla nuova piattaforma off-shore, costo due miliardi e duecento milioni, dove il Porto vorrebbe far attraccare le petroliere e le grandi navi cargo oceaniche. Progetto ambizioso, per cui il governo non dà finanziamenti. Necessario, secondo il Porto, a garantire un futuro allo scalo veneziano. Anche perché, pur con dieci anni di ritardo, ci si accorge oggi che la conca di navigazione, costruita dal Consorzio Venezia Nuova a Malamocco nell’ambito del progetto Mose, non è sufficiente a far passare le navi di grandi dimensioni, superiori ai 280 metri di lunghezza.

Eppure era stata proprio l’amministrazione presieduta dal sindaco Costa, attuale presidente del Porto, a mettere fra le condizioni per il via libera al Mose la costruzione della nuova conca. 250 milioni di euro di spesa, qualche anno di lavori. E adesso il collaudo, salvo scoprire – ma tutti lo sapevano dal 2003 – che le dimensioni della conca sono (relativamente) limitate. Non consentono nemmeno l’ingresso delle grandi navi passeggeri, dunque renderebbero inutile anche lo scavo del canale Contorta. Anche se in realtà durante la stagione croceristica, in estate, le alte maree-– e dunque la necessità di chiudere le dighe mobili – non sono frequenti. Lo scopo, si leggeva allora nell’ordine del giorno del Consiglio comunale, sarebbe stato quello di separare l’attività portuale dalla tutela della laguna, consentendo un leggero rialzo dei fondali. In realtà i fondali sono stati scavati e la conca costruita. Costosissima ma troppo piccola.

Alberto Vitucci

 

DIFFICILE La conca di navigazione. Per gli operatori portuali c’è difficoltà di allineamento

COSTA (PORTO) «È già piccola. Per quello serve il molo offshore»

MOSE – Il direttore Redi risponde alle preoccupazioni degli agenti marittimi sulla funzionalità della struttura

La conca di navigazione di Malamocco funziona, almeno con le navi medio – piccole. Certamente non con le navi di ultima generazione, essendo stata progettata per sopportare il passaggio di scafi lunghi fino a 280 metri, larghi 39 e con pescaggio di 12.

Il direttore del Consorzio Venezia Nuova, Hermes Redi, replica così alle preoccupazioni degli operatori marittimi veneziani. In particolare è stato il presidente dell’Associazione agenti e raccomandatari marittimi del Veneto, Alessandro Santi, a ricordare come al Ministero delle Infrastrutture siano state depositate formali richieste di intervento correttivo perché il complesso conca e lunata di protezione non consente il corretto allineamento delle navi soprattutto in entrata.

«Come non funziona? – risponde Redi – per quella conca sono passate un centinaio di navi mentre posavamo i cassoni. Navi lunghe fino a 218 metri, perché di più grandi in quel periodo non ne erano arrivate. Il Consorzio ha realizzato l’opera così come era stata progettata e approvata. E se qualcuno ritiene debbano essere fatte migliorie per un accosto più veloce se ne può parlare».

Anche i Piloti del porto (coloro che “guidano” le navi all’interno della laguna) condividono le preoccupazioni sulla mancanza di spazio per un corretto allineamento. Una situazione – dicono – che può però essere corretta facilmente. Per Paolo Costa, presidente dell’Autorità portuale, il limite era evidente da tempo e per questo è stato concepito il porto offshore.

«Il sistema Mose – specifica Costa – non è solo le barriere mobili, ma comprende anche la conca di navigazione e, dal Comitatone del Luglio 2011 anche la piattaforma offshore. La conca era stata disegnata a fine anni ’90 quando le navi erano più piccole e strette. Poi, ci siamo accorti che le navi oggi sono più di 300 metri e quindi la conca, anche perfettamente funzionante, non sarebbe stata sufficiente. Questo è sulle carte. Invece – aggiunge – ci siamo accorti che ha comunque un difetto di allineamento. Come si può fare per rimediare? Bisognerebbe realizzare una sorta di “muretto” su cui la nave si possa appoggiare, allineandosi e quindi entrare in sicurezza».

 

Nuova Venezia – Sul tavolo Ue l’agenda di Chisso

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10

dic

2014

Libro dei sogni come quello dell’ex assessore finito nell’inchiesta Mose

Sul tavolo Ue l’agenda di Chisso

VENEZIA – Sembra un libro dei sogni, solo a pensare da quanti anni se ne parla. Ma il quaderno delle infrastrutture strategiche assomiglia anche a un’altra cosa: all’agenda dell’ex assessore regionale Renato Chisso, rovinosamente caduto nell’inchiesta Mose.

Dalla Superstrada Pedemontana Veneta alla Orte Ravenna, dalla terza corsia dell’A4 alla cosiddetta Linea dei bivi a Mestre e sino al collegamento ferroviario con l’aeroporto di Venezia. Insomma, l’agenza di Chisso sembra finalmente trovare uno slancio nel governo Renzi, che ha fortemente sostenuto in Europea il programma di investimenti che, nel dettaglio, prevede sette opere strategiche nel Veneto. Per il potenziamento della ferrovia del Brennero, di cui è corso la costruzione, l’investimento complessivo è di 12,2 miliardi; per l’Alta Velocità Milano-Venezia 8,050 miliardi, per il porto Off shore di Venezia 2,5 miliardi, per il raccordo ferroviario del Marco Polo 2,6 miliardi (da dividere con Roma Fiumicino e Milano, però), per la terza corsia Venezia-Trieste 2,4 miliardi, per la Orte Mestre 7,3 miliardi, per la Pedemontana Venezia 2,3 miliardi.

Si tratta di opere in larga parte finanziabili attraverso meccanismi di finanza di progetto (il privato mette i soldi in cambio di una gestione pluriennale). Ma quanti soldi arriveranno dal Piano Juncker a queste opere? Tutto dipende dalla velocità con cui i governi riusciranno ad autorizzare i progetto avvicinandoli alla cantierabilità. Il piano europeo infatti ha durata triennale e solo le opere già iniziate potranno beneficiarne. Per le altre, bisognerà aspettare.

(d.f.)

 

Ci sono Orte-Mestre, Pedemontana e ferrovia al Marco Polo insieme a porto off shore, Alta velocità e terza corsia in A4

Sette opere venete nel piano Juncker

VENEZIA – C’è il raddoppio della ferrovia del Brennero fino a Verona, il corridoio Milano/Venezia dell’Alta Velocità, il porto off shore di Venezia, il collegamento ferroviario per l’aeroporto Marco Polo di Venezia, la terza corsia dell’A4 fino a Trieste, la nuova Orte-Mestre e persino la Superstrada Pedemontana Veneta. Sette infrastrutture del Nordest potrebbero entrare nel cosiddetto Piano Juncker, dal nome del presidente della Commissione europea di Bruxelles. Finanziati grazie a un meccanismo finanziario destinato a far ripartire la crescita e l’occupazione. La task force tecnica europea incaricata di selezionare i progetti presentati da ciascun governo ha presentato ieri ai ministri economici finanziari dell’Unione europea la short list di progetti che hanno le caratteristiche di finanziabilità e di sostenibilità economica: 42 sono i progetti italiani, sette riguardano il Nordest.

Si tratta di opere finanziabili attraverso il cosiddetto piano Juncker, dal nome del presidente della commissione europea che ha escogitato un programma per la crescita da 315 miliardi: con 16 miliardi di garanzie europee e cinque miliardi messi dalla Banca europea degli investimenti, l’Europa intende mobilitare risorse a leva finanziaria per oltre trecento miliardi di euro, capace di smuovere i pil dei rispettivi paesi. Una iniezione di liquidità che, nel triennio 2015-2017, è destinata nelle intenzioni dei governi europei a mettere un po’ di carburante nelle asfittime economie del vecchio continente.

Molte le perplessità suscitate dal meccanismo: i soldi «veri» sono unicamente 21 miliardi di euro, da spartire in 28 paesi. Un’inezia, secondo molti osservatori. L’elenco delle opere strategiche è costituito da quasi duemila progetti, per un valore complessivo pari a 1300 miliardi di euro. Solo 760 di questi avrebbe avuto il via libera «tecnico». Sul tavolo dell’Ecofin è giunto infatti il lavoro della task force tra Banca europea per gli investimenti (Bei) e Commissione europea. Dopo il via libera dell’Ecofin adesso tocca ai governi nazionali predisporre una legge ad hoc per approvare l’elenco e garantirne la fattibilità entro il mese di giugno. L’ultimo passaggio europeo sarà il prossimo vertice europeo dei primi ministri, in programma il 18 e 19 dicembre prossimo, quando il piano Juncker dovrebbe essere definitivamente approvato.

Per alcune di queste opere, come la Superstrada Pedemontana Veneta o la Orte Ravenna, si tratta soprattutto di garantirne la «bancabilità» alla società concessionaria. A lavorare sul dossier italiano i tecnici del Ministero delle Infrastrutture, in concerto con il Ministero dell’Economia. Il ministro Maurizio Lupi in particolare si è speso nell’ambito della partita per ottenere il prolungamento delle concessioni autostradali. Si tratta in gran parte di opere conosciute e in parte avviate: ma quasi tutte prive di copertura economica. Così, l’uovo di colombo potrebbe ora venire dall’Europa e dal sul meccanismo di leva finanziaria con i soldi della Bei. Basterà la fantasia per vedere qualche cantiere ripartire?

Daniele Ferrazza

 

VENEZIA – Oggi all’esame dell’Europa i programmi di sviluppo di un’area strategica del Nordest

Nel progetto, vie navigabili interne fino a Chioggia e Porto Levante, l’espansione dell’aeroporto di Tessera, la terza corsia Venezia-Trieste

Bruxelles discute il “pacchetto Venezia”. L’Unione Europea decide sui progetti di sviluppo di un’area centrale come quella del Triveneto. E si tratterà di una nuova sfida per il Nordest per un territorio che punta sulle infrastrutture per uscire dalla crisi e trovare nuove strategie di sviluppo. Oggi, nella capitale belga sui tavolo dei ministri finanziari (Ecofin) dei ventotto Stati membri, si prenderà atto dell’elenco dei progetti presentati dal Governo italiano per la messa a punto del piano Juncker che punta a sostenere il rilancio della crescita e dell’occupazione in Europa. Si tratta senz’altro di un “riconoscimento” importante per le istanze dell’area veneta.

E al centro dell’attenzione vi sarà come “asse centrale” della proposta italiana, la costruzione del porto offshore di Venezia e anche altri progetti fondamentali come il collegamento tramite vie navigabili interne dal porto di Venezia fino a Chioggia, Porto Levante e lo scalo interno di Mantova, ma anche i progetti di espansione dell’aeroporto “Marco Polo” di Tessera che parecchie polemiche avevano causato nel recente passato e il riassetto e ammondernamento dell’autostrada Venezia-Trieste con la realizzazione della terza corsia tra San Donà di Piave e Alvisopoli.

Così, all’indomani delle polemiche sul porto d’altura tra Trieste e Venezia, culminate anche con una “battaglia” in Parlamento, ora tocca all’Europa esprimere un proprio giudizio. Nelle scorse settimane lo “scontro” tra Venezia e Trieste si era misurato sull’offensiva del senatore giuliano del Pd, Francesco Russo che, insieme ad un collega toscano, Marco Filippi, aveva presentato un emendamento, sottoscritto da una cinquantina di parlamentari di maggioranza e di opposizione, per dire no al Porto offshore di Venezia e per riuso dei finanziamenti a favore dei porti di Venezia, Trieste e Ravenna.

Immediate erano divampate le polemiche con una durissima presa di posizione del presidente dell’Autorità portuale veneziana, l’ex ministro Paolo Costa. Un botta e risposta che, in passato, aveva coinvolto anche la presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani. Oltre alle questioni legate al porto d’altura, nella “tenzone” tra Venezia e Trieste, altre polemiche si erano scatenate sulla questione delle “grandi navi” con Trieste pronta a fare l’occhiolino ai grandi armatori a danno di Venezia.

Oggi, con ogni probabilità, l’Unione Europea dirà una parola decisiva sui progetti nell’area veneta. La bozza della Task Force Commission dei 28 Stati membri dell’Unione permetterà ai ministri finanziari di valutare attentamente i progetti caldeggiati da Palazzo Chigi a livello sovranazionale. Oltre a quello dell’Autorità portuale per lo scalo offshore (948 milioni), particolare importanza avrà la decisione sul progetto da un miliardo e mezzo che include il collegamento tramite le vie navigabili interne dal porto di Venezia (piattaforma offshore) fino a Chioggia, Porto Levante e il porto interno di Mantova.

Paolo Navarro Dina

 

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