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Gazzettino – Mose, per Casarin scatta la sospensione

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14

feb

2015

VENETO – Dopo il patteggiamento la Regione avvia la procedura per l’ex braccio destro di Chisso

VENEZIA – Ora che la sentenza di patteggiamento di Enzo Casarin – ex braccio destro di Renato Chisso e suo segretario quand’era assessore alle Infrastrutture – è stata notificata alla Regione, per il funzionario convolto nell’inchiesta del Mose è scattata la procedura che porterà alla sospensione dal lavoro.

La giunta regionale del Veneto ieri ha comunicato che, a seguito della documentazione arrivata presso l’Avvocatura regionale lo scorso 11 febbraio relativa alla “sentenza di applicazione della pena su richiesta” – Casarin ha patteggiato un anno e 8 mesi – e trasmessa all’ufficio del personale, «si è dato corso alla procedura per la sospensione dal servizio del signor Enzo Casarin». Si darà quindi corso – recita la nota diffusa da Palazzo Balbi – anche alle conseguenti valutazioni di natura disciplinare che potranno portare all’applicazione di tutte le sanzioni previste dalla normativa vigente, dopo valutazione dell’Ufficio per i procedimenti disciplinari presso il direttore delle Risorse umane.

Casarin era stato sospeso obbligatoriamente dal servizio a decorrere dal 4 giugno 2014, data di esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare adottata dal gip del tribunale di Venezia. Successivamente la misura restrittiva della libertà personale aveva cessato i propri effetti per decorrenza dei termini dal 3 ottobre 2014. Il 28 novembre era stata convocata l’udienza per la convalida dell’applicazione della pena su richiesta. La Regione ha specificato che Casarin non ha più ripreso servizio, in quanto si era messo in ferie. Adesso, con le carte arrivate dal tribunale, scatta la procedura per la sospensione obbligatoria e il procedimento disciplinare che può arrivare sino alla sanzione del licenziamento.

 

Nuova Venezia – Mose, Orsoni e Sartori verso il processo

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13

feb

2015

Finanziamento illecito dei partiti, pronta la richiesta di giudizio. Deposito atti anche per Piva, Artico, Brentan e altri cinque

VENEZIA – Mose, l’indagine principale, quella per corruzione, è chiusa. Dopo gli oltre venti patteggiamenti, tra i quali quelli di Giancarlo Galan, Renato Chisso, nei giorni scorsi i pubblici ministeri veneziani hanno depositato gli atti per dieci imputati e si avviano a chiederne il rinvio a giudizio. Si tratta dell’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, dell’ex parlamentare europea di Forza Italia Amalia «Lia» Sartori, dell’ex presidente del Magistrato alle acque Maria Giovanna Piva, dell’ex amministratore delegato dell’autostrada Venezia-Padova Lino Brentan, del dirigente regionale Giovanni Artico, dell’avvocato romano Corrado Crialese, del giudice presso la Corte dei Conti Vittorio Giuseppone, dell’imprenditore veneziano Nicola Falconi, dell’ex dirigente regionale Giancarlo Ruscitti e dell’architetto padovano Danilo Turato.

Ieri, lo stesso procuratore aggiunto Carlo Nordio ha incontrato i difensori di Orsoni, confermando che nei prossimi giorni riceveranno l’avviso del deposito degli atti. Dopo la richiesta del rinvio a giudizio che, oltre a Nordio, firmeranno anche i pubblici ministeri che hanno condotto le indagini, Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini, la parola passerà al giudice – presumibilmente toccherà ad Andrea Comez – che dovrà fissare l’udienza preliminare.

Le accuse di cui devono rispondere i dieci sono quelle già contenute nell’ordinanza di custodia cautelare che il 4 giugno ha fatto scattare le manette per molti di loro.

Orsoni e Sartori devono rispondere di un reato meno grave degli altri, finanziamento illecito dei rispettivi partiti per le campagna elettorale delle amministrative del 2010 per il primo (110 mila euro in bianco, 450 mila in nero), 225 mila euro per la seconda tra il 2006 e il 2012.

Ad eccezione di Crialese, indagato per millantato credito, e di Ruscitti, concorso in fatturazione per operazioni inesistenti, tutto gli altri devono rispondere di corruzione per numerosi episodi.

Piva avrebbe ricevuto addirittura uno stipendio annuale di 400 mila euro per omettere di compiere la dovuta vigilanza sulle opere del Mose; Giuseppone non meno di 600 mila euro per accelerare la registrazione delle convenzioni presso la Corte dei Conti da cui dipendeva l’erogazione dei fondi del governo al Consorzio Venezia Nuova; Artico faceva ottenere all’amico avvocato (tra l’altro suo difensore in questo stesso processo) incarichi di consulenza dalla «Mantovani» e a sua figlia l’assunzione in cambio della sua collaborazione nelle opere di salvaguardia previste dal programma «Moranzani»; Falconi avrebbe partecipato assieme agli altri imprenditori del Consorzio al pagamento delle tangenti a Patrizio Cuccioletta; Brentan 65 mila euro per un appalto della terza corsia della Tangenziale di Mestre.

Alcuni degli indagati non sono tra coloro che hanno patteggiato e neppure tra i dieci che dovrebbero finire a giudizio, ad esempio il dirigente regionale Giuseppe Fasiol o l’architetto veneziano Dario Lugato o quelli iscritti nel registro degli indagati per ultimi, come i parlamentari del Pd Davide Zoggia e Michele Mognato.

Posizioni per le quali i pubblici ministeri dovranno approfondire le indagini e che potrebbero anche finire con un’archiviazione delle accuse. Infine, all’appello mancano i corruttori che hanno collaborato, Giuseppe Mazzacurati, Piergiorgio Baita, Claudia Minutillo e Nicolò Buson.

Giorgio Cecchetti

 

Nuova Venezia – E’ caccia aperta ai soldi di Galan

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11

feb

2015

Sotto la lente le società della famiglia Persegato, in attesa della lista Falciani

E’ caccia aperta ai soldi di Galan

L’INTRECCIO – Il sospetto è che la Quarry Trade abbia fatturato a prezzi maggiorati le pietre. Ma si cerca di far luce anche su Frasseneto, Edil Pan e Co. se.co

PADOVA – Follow the money, segui il denaro. Questo il mantra degli investigatori che stanno ancora dipanando la matassa del Mose. Guardia di Finanza e Procura veneziana sono convinti che ci sia ancora molto da scoperchiare, soprattutto per quanto riguarda i soldi che hanno rimpinguato conti bancari di imprenditori, faccendieri e politici nostrani.

L’accordo tra Italia e Svizzera, che tra un mese toglierà definitivamente il segreto sui nomi degli intestatari dei conti correnti delle banche elvetiche e la pubblicazione a giorni dell’elenco della cosiddetta “lista Falciani” (una sfilza di 7 mila nomi – tutti italiani – di titolari di un conti correnti alla Hsbc Private Bank), potrebbe facilitare gli inquirenti a percorrere all’incontrario i rivoli (o fiumi) di denaro che hanno impoverito le aziende e arricchito il malaffare.

Una partita ancora tutta da giocare. Soprattutto sul fronte del presunto tesoretto di Giancarlo Galan (per gli investigatori manca all’appello qualche milione di euro), che, o non si trova, oppure veramente non esiste. Sotto la lente, oltre alle aziende riconducibili all’ex Governatore del Veneto, sarebbero finite anche quelle attribuibili alla moglie Sandra Persegato, che, oltre a Margherita srl e alla Società agricola Frasseneto (entrambe con sede legale in passaggio Corner Piscopia 10, nello studio del commercialista Paolo Venuti arrestato nel giugno dello scorso anno insieme a Galan), è socia anche di Edil Pan srl, impresa edile con sede a Lozzo Atestino in via Segrede 12 (capitale sociale 75 mila euro). Che può essere considerata a buon diritto l’azienda della famiglia Persegato (il papà di Sandra, Ugo, detiene l’1%, mentre i quattro figli il 17,5 per cento ciascuno).

Amministratore unico di Edil Pan è proprio Ugo Persegato, mentre nel collegio dei sindaci ci sono i padovani Luciano Cioetto, 51 anni di Montagnana e Francesco Marchesini, 72 anni di Este ( presidente della Bcc di Sant’Elena dal 2006) e il vicentino Antonio Giacomuzzi, tre professionisti finiti nei guai nel 2013 (Giacomuzzi come amministratore unico di Italfiduciaria srl, gli altri due come membri del collegio sindacale) nell’inchiesta portata avanti dal pm vicentino Alessandro Severi per presunti «mancati controlli su operazioni finanziarie per 180 milioni di euro, registrate in maniera irregolare, venendo meno alla normativa antiricigliaggio», come scriveva il Giornale di Vicenza nel febbraio di due anni fa.

Antonio Giacomuzzi, 70 anni, vicentino di Villaga, è anche socio dal 1994 della Delta Erre Spa – società fiduciaria, di organizzazione aziendale e di servizi di trust con sede a Padova in via Trieste 49/53 (detiene l’1,4% delle quote), nonché sindaco di alcuni prestigiosi alberghi di Abano Terme e sindaco della Cofima srl di Padova, società che detiene il 100% di Ceam Cavi, società di Monselice in cui il trevigiano residente in Svizzera Domenico Piovesana, il quinto indagato per i sassi di annegamento del Mose, ricopre il ruolo di consigliere nel consiglio di amministrazione. Piovesana, domiciliato a Padova, è considerato dalla procura veneziana, il co-amministratore della Quarry Trade Limited canadese che ha acquistato i sassi da affondamento in Croazia per rivenderli a prezzo maggiorato alla Mantovani.

Chi siano le persone che hanno messo in contatto Piovesana con Baita (amministratore della Mantovani) è tutt’ora oggetto di indagine.

Tornando alla Edil Pan, uno dei soci Luigi, 46 anni, fratello di Sandra è il titolare della Co.se.co. srl , società per il riutilizzo di materiali derivati da scarti di estrazioni, bonifiche e demolizioni e recuperi ambientali (materiali inerti) con sede a Lozzo Atestino in via Segrede 14, finita nel mirino della procura nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta presenza di materiali inquinanti nel sottofondo dell’A31 Valdastico Sud. Luigi Persegato, in quanto amministratore unico della Co.se.co., nel luglio del 2013 è stato raggiunto da uno dei 27 avvisi di garanzia, insieme a Attilio Schneck, ex presidente della Brescia-Padova e all’epoca commissario straordinario della Provincia di Vicenza. Co.se.co. srl, è di proprietà di Milus Trust, il cui rappresentante legale è Maurizio Cecchinato, un commercialista. Trust che nel 2013 ha incamerato redditi per 15 mila euro dalla Co.se.co. Tuttavia, il 19 gennaio scorso, Ugo Persegato ha stipulato un contratto di comodato (delle azioni) con la Milus Trust di cui sia Ugo che Luigi figurano come amministratori non soci. Un’operazione inconsueta per uno strumento che ha lo scopo di garanzia nei confronti delle aziende che detiene.

(p.bar.)

 

Evasione fiscale sui sassi croati, pronto il conto per la Mantovani

Mose, multa di dieci milioni

Chiusa con cinque indagati per emissione di fatture false l’indagine sui sassi arrivati dalla Croazia a Venezia per il Mose, l’Agenzia delle entrate ha pronto il conto da presentare alla Mantovani: dieci milioni.

Dieci milioni di multa per i sassi del Mose

PADOVA – Dieci milioni di euro di multa, cinque indagati e una storia ancora tutta da scrivere. Nuovi guai in arrivo per Piergiorgio Baita e la Mantovani. La Guardia di Finanza, a fine dicembre scorso, ha chiuso anche l’indagine sui “sassi di affondamento”, troncone dell’inchiesta sul Mose, che ha portato a cinque nuove denunce, di cui quattro a carico di persone già note.

Oltre a Piergiorgio Baita, amministratore delegato dell’azienda padovana, dovranno rispondere del reato di concorso in emissione di fatture false per operazioni inesistenti Nicolò Buson, ex direttore amministrativo di Mantovani, […] e i professionisti svizzeri ……………. e Domenico Piovesana. Il nome di quest’ultimo, un trevigiano residente a Breganzona in Svizzera dal 1990, non era mai stato accostato alla vicenda dei sassi, pur essendo stato indagato a giugno quando scoppiò lo scandalo.

Piovesana, 56 anni, domiciliato a Padova in piazzetta Bussolin, è considerato dagli inquirenti il co-amministratore (insieme a ………..) della Quarry Trade Limited di New Brunswick, la società canadese che ha acquistato i sassi di affondamento dalla Croazia, rivendendoli successivamente alla Mantovani e facendoseli pagare su un conto della Phoenix Fiduciaria con sede in Svizzera.

«Baita e Buson avevano creato una serie di società estere su consiglio e indicazione […] di ……………, professionista svizzero e co-amministratore di fatto e fiduciario della canadese Quarry Trade Limited» scriveva Cristina Genesin su questo giornale il 31 luglio scorso.

«Quest’ultima, che non ha nessun dipendente, ha emesso a favore di Mantovani ben 1.253 fatture per un totale di 7 milioni e 990 mila euro. Acquistando sassi da annegamento dalla società Kamen con sede a Pazin in Croazia (a un prezzo maggiorato del 10 – 17% rispetto a quello che sarebbe stato pagato da Mantovani nella forma dell’acquisto diretto dallo stesso fornitore), l’impresa di Baita “produceva” il contante invisibile al fisco e ad altri controlli».

Gli investigatori delle fiamme gialle, tuttavia, hanno accertato che il rincaro è stato anche del 20% e che solo nel biennio 2006-2007 Mantovani ha nascosto al fisco 15 milioni di euro di imponibile. Da qui il conto – salato – che l’Agenzia delle entrate chiederà (la notifica è pronta) alla Mantovani: 5 milioni di euro (di mancate entrate da parte dell’Erario) più altri 5 milioni di euro di multa. Soldi che probabilmente Mantovani pagherà nell’immediato anche perché le posizioni degli indagati (alcuni di loro hanno già chiesto di patteggiare) sono subordinate all’estinzione del debito nei confronti dell’Agenzia delle Entrate.

L’inchiesta continua _ nonostante il filone dei sassi abbia già contorni ben definiti _. Gli inquirenti stanno, infatti valutando il peso della figura di Domenico Piovesana. L’uomo, iscritto all’Aire da 24 anni (è l’anagrafe degli italiani residenti all’estero) ha ancora interessi economici in Italia e anche in Veneto. Per esempio, risulta essere, o essere stato, in questi anni, socio del Setificio Piovesana & C snc di Gaiarine, presidente del consiglio di amministrazione del Calzaturificio Skandia spa a San Biagio di Callalta, socio della Eredi Arturo Piovesana, società semplice agricola di Gaiarine, consigliere delegato della Te.Pa. Spa di Treviso, consigliere della Fil Man Made Group srl di Signoressa di Trevignano e consigliere della Ceam Cavi Speciali spa di Monselice in provincia di Padova. Attività che poco o nulla hanno a che fare con i sassi d’annegamento, la Croazia o il Canada. Per gli inquirenti il nodo da sciogliere di questa vicenda è principalmente uno: chi ha messo in contatto Piovesana e ………… con i manager della Mantovani? […] E quale quello di Galan?

Paolo Baron

 

MEOLO «Il Pd di Meolo ritiene che la magistratura debba sì fare luce sul rispetto delle procedure, ma deve soprattutto chiarire le motivazioni di alcune decisioni politico-amministrative a livello regionale e nazionale e individuare chi e perché le ha determinate».

Il circolo democratico meolese rivolge una sorta di appello alla magistratura e ribadisce la richiesta di annullamento del bando per la via del Mare e l’avvio di una «pianificazione concertata della mobilità verso i litorali».

Già nell’assemblea di novembre il Pd meolese aveva auspicato l’intervento della magistratura e dell’Autorità anticorruzione. La richiesta è di verificare, tra gli altri punti, con quali motivazioni la Regione abbia potuto nel 2009 dichiarare di pubblico interesse l’opera, se sia «costituzionalmente corretto l’esproprio di fatto di un’infrastruttura pubblica esistente per affidarla a privati», chi e con quali motivazioni abbia chiesto l’inserimento del project-financing della via del Mare nelle opere da realizzare con le procedure della Legge Obbiettivo, destinata alle opere d’importanza nazionale.

«Il Pd di Meolo si è sempre battuto contro un progetto inutile e dannoso, ma mai contro la necessità di realizzare un moderno sistema della mobilità verso i litorali», commenta Gianfranco Gobbo, «per questo cogliamo con favore le proposte che arrivano da più parti sulla necessità di trovare forme diverse di finanziamento e di revisione del progetto. Zaia non solo deve sospendere il bando in attesa dei risultati delle indagini, ma lo deve annullare. Bisogna chiudere con le decisioni calate dall’alto: si deve avviare una nuova fase di pianificazione concertata sulla mobilità verso i litorali che riguardi l’intero Veneto Orientale, coinvolgendo tutti i portatori d’interesse».

Giovanni Monforte

 

«Ora serve il 37% di opere in più. La situazione peggiora»

VENEZIA – Il Veneto è la regione a più alto rischio idraulico. Emerge dal dossier «Italia sicura », presentato dai Consorzi di bonifica giovedì alla Presidenza del Consiglio, nell’ambito dell’incontro organizzato dall’Associazione bonifiche e irrigazioni per presentare il Piano nazionale sulla riduzione del rischio idrogeologico.

Secondo i dati presentati dall’Unione veneta bonifiche (Uvb), negli ultimi cinque anni è aumentata del 37,5% la necessità di investimenti per rendere sicura la nostra regione.

I motivi sono tre: «una pervicace scelleratezza urbanistica che ha consentito di costruire ovunque, perfino nell’alveo dei fiumi, con cementificazioni irresponsabili e causa certa di inondazioni, frane, smottamenti ed erosioni», ma anche di aver reso il suolo ormai impermeabile, cioè non più in grado di assorbire acqua; lo spopolamento della montagna, l’eccessivo consumo del suolo e l’invasiva presenza dell’uomo sulle coste; la variabilità climatica, con piogge intense e concentrate nello spazio e nel tempo.

Ovvero: oggi in 24/48 ore cade lo stesso quantitativo d’acqua un tempo dilazionato in una settimana. Ecco perché ora per evitare nuove alluvioni e frane c’è bisogno di un 37% di interventi in più.

«Nel 2015 i progetti proposti per un Veneto idraulicamente sicuro sono 685, traducibili in un investimento di 1,7 miliardi di euro — spiega Giuseppe Romano, presidente di Uvb — . Parliamo in prevalenza di misure che non rientrano nelle azioni ordinarie sostenute dai privati: si tratta di manutenzioni straordinarie delle opere di bonifica, di sistemazione e regolazione idrauliche, di ripristino di fenomeni di dissesto idrogeologico. In una situazione complicata, che ci mette di fronte ad alluvioni e allagamenti sempre più frequenti, i Consorzi di bonifica hanno già inserito nel programma di #italiasicura una lista di 105 progetti direttamente cantierabili, per un importo di 217 milioni di euro. Progetti che riguardano la laminazione delle piene dei vari corsi d’acqua, il potenziamento degli impianti idrovori e delle opere idrauliche ».

Tra le 105 opere cantierabili emerge lo scolmatore di piena Limenella Fossetta, che garantirà entro il 2017 la difesa idraulica di Padova Nord, essendo in grado di sottrarre, in piena, una portata di circa 10 metri cubi al secondo d’acqua.

Comporta un investimento di 18,5 milioni, suddiviso tra Regione, Comune di Padova, Consorzio di bonifica Bacchiglione e Stato e «salverà» in particolare i quartieri Arcella e Montà. Poi ci sono le opere di laminazione delle piene del fiume Agno- Guà, attraverso l’adeguamento dei bacini demaniali di Trissino e Tezze di Arzignano. Parliamo di un’opera con una capacità di invaso pari a 3,5 milioni di metri cubi, che sorgerà nell’area demaniale di 80 ettari delle rotte del Guà a fine 2016 e prevede 15 milioni di euro di costo, sostenuto da Regione e Consorzio Alta Pianura Veneta.

Per Castelfranco invece il Consorzio di bonifica Piave sarà gestore della cassa di espansione sul torrente Muson, nei Comuni di Riese Pio X e Fonte, che sarà completata entro due anni e avrà una capacità di invaso di un milione di metri cubi d’acqua. Spesa: 8,6 milioni a carico della Regione. Il Consorzio sta inoltre realizzando due casse di espansione da 50 mila metri cubi di capacità ciascuna sul Rio Dosson, per salvaguardare l’area a sud di Treviso (Preganziol, Quinto di Treviso). Il preventivo è di 2,2 milioni di euro. Sono infine in corso i lavori di costruzione della cassa d’espansione di Sernaglia della Battaglia (60 mila metri cubi d’acqua) lungo il torrente Patean, con una spesa di un milione di euro.

«Gli altri interventi sono il potenziamento di impianti idrovori e degli argini, la risagomatura e la ricalibratura di canali e corsi d’acqua principali, per aumentarne la capacità di invaso — aggiunge Andrea Crestani, direttore della Uvb —. Noi abbiamo chiesto al governo i 217 milioni per le 105 opere cantierabili, speriamo di avere il piano finanziario per quest’anno, in modo da poter iniziare la progettazione nel 2016».

 

Che fine ha fatto e che progetti ha l’ex presidente di Mantovani travolto dalla Retata Storica?

Il Gazzettino ha cercato di scoprirlo

Che fine ha fatto Piergiorgio Baita, il genio del male, deus ex machina del Sistema Mose? È vero che è tornato in campo con una sua società? E cosa pensa della conclusione dell’inchiesta sulle dighe mobili veneziane? Il Gazzettino ha cercato di scoprirlo. Non è stato facile: benché la vicenda giudiziaria sia in larga parte conclusa e la gran parte dei protagonisti abbia patteggiato una pena con la Procura, Baita non rilascia interviste e non ama parlare con i giornalisti. La vicenda Mose occupa però ancora molte delle sue riflessioni. E da esse scaturiscono opinioni, domande e persino l’idea di scrivere un libro. Come raccontiamo in queste pagine.

 

LAVORO – Richieste di consulenza ma nega di aver creato nuove società

IL POTERE – In laguna pochi non hanno ricevuto soldi dal Consorzio Venezia Nuova

PERSONAGGIO – Non rilascia interviste ma il regista del Sistema Mose non è in pensione

AUTORE – Ha un’ambizione: scrivere un manuale anti-corruzione

TEMPO LIBERO – Coltiva pomodori e riflette sugli esiti dell’inchiesta veneziana

IL PRECEDENTE – Piergiorgio Baita in aula nel 1994 per il processo della prima Tangentopoli veneta

Il “diavolo” coltiva pomodori. E pensa. E si arrabbia perché quel che è stato raccontato è, a suo dire, solo una parte del sistema Mose. I giornali si sono fatti fuorviare dallo specchietto per le allodole della politica, dice. Certo che il nome di Galan “tira”, ovvio che quando si parla di ministri e sottosegretari, la gente legge con voracità, ma è sfuggita all’attenzione dell’opinione pubblica una parte importante. Anzi, la parte più importante, che è quella che riguarda i grand commis di Stato. E cioè i funzionari, i grandi burocrati, quelli che erano parte integrante e indispensabile, loro sì, del sistema corruttivo del Mose.

Altro che i politici. I politici sono una variabile ininfluente e avranno incassato sì e no un quarto delle mazzette che sono state pagate, il resto è finito nella tasche di chi decide sul serio. E cioè di chi è a capo di un ministero o di un assessorato regionale e resta sempre lì, fisso, mentre i ministri e gli assessori cambiano.

Piergiorgio Baita, il “diavolo” dello scandalo Mose, non smette di pensare al fatto che lo hanno dipinto come il genio del male, il corruttore dei corruttori, mentre tira un filo a piombo tra una “gombina” e l’altra, toglie le erbacce e guarda crescere i cavoli e i carciofi, mentre consulta il calendario di Frate Indovino per vedere quando seminare i pomodori. Cirio e ciliegino, piccadilly e cuore di bue. Li pianta ad una settimana di distanza uno dall’altro, così l’orto non viene invaso dalla “buttata” improvvisa di pomodori che maturano tutti nello stesso periodo. Centellina i suoi interventi, scruta il tempo, parla con le piante. E ragiona. Solo i suoi amici più cari sanno che Baita è uno che ha le mani d’oro – ironie a parte – e che ha passato i domiciliari a pitturare casa e a rifare l’orto, che è la sua grande passione. Gli piace lavorare in casa e ancor di più nell’orto, si rilassa e pensa.

Non parla con i giornali, rifiuta tutte le interviste, ma risponde volentieri a chi lo ferma al bar o davanti all’edicola. E poi si confessa con quella ristretta cerchia di amici che gli sono rimasti amici, si confida su quel che vorrebbe fare e siccome un suo amico, senza tradire il mandato, pensa che sia utile far uscire allo scoperto il Baita-pensiero, utile a chiarire quel che resta da chiarire, ecco un riassunto di quel che ha pensato e detto Baita in questi mesi passati in silenzio dopo il patteggiamento per reati fiscali.

Intanto Baita dice a tutti di essere in pensione, racconta l’amico, ma non credo che abbia intenzione di starsene con le mani in mano per molto tempo ancora. Non è vero che ha messo in piedi una società con moglie e figlio, la Studio Impresa srl, che si occupa di pannelli fonoassorbenti. Le voci nascono da una banale visura camerale. La società esiste, è intestata a moglie e figlio, ma non opera e comunque lui non c’entra niente. Quel che nessuno sa, invece, è che qualcuno ancora lo cerca per consulenze sul project financing.

E dunque, consulenze a parte, che cosa sta facendo esattamente in questo momento Piergiorgio Baita?

 

IL MANUALE ANTI-CORRUZIONE

Sta scrivendo il manuale dell’appalto perfetto, cioè dell’appalto anti-corruzione. Sul serio?
Certo, se non sa lui come fare… Fossimo in America, uno così, che è stato il più abile di tutti – nel male – lo assumerebbero al ministero della lotta alla corruzione, gli darebbero una cattedra all’università o gli farebbero fare corsi per finanzieri e funzionari pubblici. Perché lui i trucchi li conosce tutti. Alcuni li ha imparati, molti li ha inventati. E dunque Baita sa perfettamente come si pilota un appalto e come un appaltino diventa un appaltone. Il punto nodale – secondo Baita – è che la repressione non serve a niente, inasprire le pene non porta ad alcun risultato, bisogna cambiare il meccanismo degli appalti. L’ha spiegata così ad una cena tra amici. Ha detto che l’errore sta nel focalizzare l’attenzione sulla questione del controllo pubblico dell’opera. Invece il metodo giusto è il controllo pubblico sul servizio che viene offerto grazie a quell’opera.

Allo Stato non deve interessare che siringa utilizzo per fare l’iniezione – ha sintetizzato Baita – Deve interessargli quante persone vaccino contro l’influenza e mi deve pagare per quante ne vaccino. Nel caso del Mose, per capirci, secondo Baita lo Stato non doveva mettersi nell’ordine di idee di andare a vedere come veniva costruita l’opera. Una volta scelto il progetto, doveva dire: ti pago solo se l’opera funziona. Baita ha raccontato ai magistrati di essersi scontrato con Mazzacurati sulla questione della gestione, infatti. Secondo lui bisognava fare, contemporaneamente all’appalto per i cantieri, anche quello per la gestione del Mose. Il gestore dell’opera deve poter discutere con il costruttore, altrimenti poi succede – succederà, secondo Baita – che il gestore arriva e inizia a dire che le lampadine che sono state messe non sono quelle giuste, che il cavo da 3 pollici doveva essere da 5 pollici. E siccome il gestore si trova l’opera già pronta, dirà che è in grado di gestire lo stesso l’impianto, ma che, certo, costa di più.

 

IL MOSE? ALTRI DUE ANNI

E a chi gli chiede quanto manchi alla fine del Mose, Baita conteggia che ci vogliono altri due anni, due anni e mezzo perché è stata completata solamente la bocca di porto del Lido, ma solo nella parte strutturale, mentre mancano ancora le infrastrutture vere e proprie e cioè tutti i comandi e gli apparati che servono a far funzionare le paratoie. Vuol dire che del Mose è stato montato l’hardware e neanche tutto, mentre manca ancora il software. Da qui in poi par di capire che ci dovrebbe essere un controllo serrato sul software proprio per non trovarsi nelle condizioni di avere in mano un’opera che funziona perfettamente, su questo Baita non ha alcun dubbio, ma che è costosissima.

Piergiorgio Baita la spiega così: io posso costruire una macchina che oggi costa tanto e domani consuma poco, oppure posso costruire un’opera che costa tanto oggi e che consuma tanto domani, chiaro? L’interesse pubblico dovrebbe essere quello di avere in mano una macchina che magari costa di più oggi, ma è risparmiosa domani, sull’utilizzo e la manutenzione. Mazzacurati aveva tutto l’interesse, proprio perché contava di tenersi la gestione del Mose, a costruire invece un’opera che costasse tanto anche nella fase dell’esercizio e della manutenzione. Ecco perché ha bloccato Baita quando il presidente di Mantovani ha proposto di fare la gara di gestione subito, mentre si costruiva. Qui doveva intervenire la politica, a chiarire i ruoli e le competenze. E invece il caso Mose dimostra – secondo Baita – come siano le imprese a comandare. Anche sulla politica. Le imprese che possono comandare a bacchetta l’assessore o il ministro perché lo tengono per la borsa, ma che devono fare i conti con i funzionari pubblici. Che sono i “casellanti” degli appalti, quelli che alzano o abbassano la sbarra mentre stai lavorando e che ti bloccano i finanziamenti, intervengono in corso d’opera. Ai funzionari non interessa chi vince l’appalto, interessa il “mentre” si realizza l’opera. Son lì che iniziano a mettere i bastoni fra le ruote. Ed è a quel punto che ti tocca dargli consulenze e che ti tocca nominarli collaudatori.

Tanto per dirne una, che c’entra un Magistrato alle acque come Maria Giovanna Piva con il collaudo dell’ospedale nuovo di Mestre? E un altro Magistrato alle acque, quel Patrizio Cuccioletta che era sul libro paga del Consorzio Venezia Nuova, che ci faceva nel Comitato tecnico scientifico che ha approvato la Pedemontana?

 

IL RUOLO DELLA MINUTILLO

Grand commis a parte, Baita ha spiegato più volte agli amici che, secondo lui, la Procura ha creduto troppo a Claudia Minutillo, l’ex segretaria di Galan. La Minutillo, spiega, non era stata scelta per la sua genialità. Era stata assunta al Consorzio su richiesta di Lia Sartori, l’europarlamentare oggi in attesa di processo per finanziamento illecito ai partiti. Mazzacurati aveva piazzato la Minutillo alla Thetis solo per fare un piacere alla Sartori, e cioè a Galan il quale temeva che l’ex segretaria, licenziata in tronco, rivelasse cose inopportune. Ma siccome a Thetis guadagnava troppo poco e voleva 250 mila euro netti all’anno, Chisso aveva chiesto a Baita di assumerla come amministratore delegato di Adria Infrastrutture. Ma non era operativa, non faceva niente e non capiva molto bene quel che succedeva. Ad esempio sui project avrebbe detto una cosa che non aveva senso e cioè che Baita aveva messo a disposizione 600 mila euro per “incoraggiare” i project. Stando alle spiegazioni fornite anche ai magistrati da Baita, la Minutillo non ha capito che quei 600mila euro erano l’equity e cioè una specie di caparra che bisogna versare se si vuole concorrere al project. Ma, argomenta Baita, siccome Claudia Minutillo ha il merito di aver aiutato la Procura ad arrivare ai politici, viene premiata con una credibilità su tutto il fronte.

E non c’è solo questo. Baita continua a stupirsi che la società veneziana abbia fatto finta di niente di fronte al fiume di denaro pubblico che Mazzacurati ha convogliato verso tanti privati che nulla c’entravano con il Mose. Secondo Baita quel che non è stato ancora capito fino in fondo è che il sistema Mose era una macchina del consenso, prima di tutto, non un sistema corruttivo sic et simpliciter. Mazzacurati pagava tutti: pochi soldi ai politici, tanti ai funzionari “controllori”, tantissimi alla città. E le anime belle che fanno finta di niente, secondo Baita dovrebbero spiegare prima di tutto a se stesse che cosa centri il Mose con il restauro di un convento o di un seminario o con una squadra di calcio. Quel che Baita si lascia sfuggire negli sfoghi che ha con gli amici è che a Venezia sono ben pochi quelli che possono dire di non aver avuto a che fare con i soldi del Consorzio. Mazzacurati era considerato alla stregua di una istituzione pubblica e c’era la processione alla sua porta. E se si chiede a Baita come sia stato messo in piedi un meccanismo così sofisticato, Baita risponde che il meccanismo è stato messo in piedi un po’ alla volta, anno dopo anno e che non era possibile rompere questo meccanismo perchè voleva dire tagliarsi fuori e non lavorare più. E lui aveva la responsabilità di 700 famiglie che lavoravano per Mantovani. Perché era chiaro che il sistema Mose andava bene a tutti e tutti facevano finta di nulla. Nessuno si è mai preoccupato che lo stipendio medio al Consorzio fosse di gran lunga superiore ai 100mila euro l’anno, nessuno ha mai avuto da ridire su studi e consulenze, su libri e partecipazioni al Festival del cinema del Lido. Come è possibile? A tutti è parso normale che il Consorzio, che pure viveva esclusivamente di soldi pubblici, facesse l’editore e il produttore cinematografico, si occupasse di convegni e di far fare giri in elicottero sui cantieri. E a tutti andava bene che di tutto questo si occupasse solo Mazzacurati. Il quale non ha mai voluto cedere un grammo del suo potere.

 

QUELLE COOP ROSSE

Baita racconta anche che la Mantovani era entrata nel Consorzio Venezia Nuova staccando un assegno da 72 milioni di euro, mentre il Consorzio Cooperative Costruttori di Bologna – 240 imprese associate e 20 mila dipendenti – invece era entrato a far parte del Consorzio senza versare un centesimo. Ma bisogna rileggere i suoi verbali di interrogatorio per capirne di più. In uno racconta, con un tocco di ironia, di non aver capito bene che cosa fosse successo dal momento che le coop rosse c’erano già dentro il Consorzio, con la Coveco. “Il Coveco è storicamente un associato del Consorzio Venezia Nuova, mentre il Ccc è entrato più recentemente e cioè quando Antonio Bargone era sottosegretario ai Lavori pubblici”, mette a verbale Baita. Bargone è stato al Governo dal 1996 al 2001 con Prodi, D’Alema e Amato, poi è diventato presidente della Società Austrada Tirrenica. Secondo Baita “dopo il suo intervento all’interno del Consorzio non si capiva chi dovesse rappresentare le cooperative, se il Ccc e cioè Omer Degli Esposti o il Coveco di Savioli. La mediazione fu favorita da Mazzacurati il quale decise di lasciare un veneto e cioè Pio Savioli a rappresentare le coop rosse nel Consorzio perché in grado di fare da equilibrio tra i due consorzi e le varie parti politiche che rappresentano, perché il Coveco fa riferimento ad una certa sfera della sinistra e il Ccc ad un’altra”. Ma il Coveco di Pio Savioli è finito dritto nell’inchiesta veneziana sul Mose mentre il Ccc di Esposti no. Ma chi è Degli Esposti? Il suo nome salta fuori nell’inchiesta sul cosiddetto sistema Sesto di Filippo Penati, ex braccio destro di Pierluigi Bersani, nonché ex sindaco di Sesto San Giovanni ed ex presidente della Provincia di Milano. Penati è l’uomo che giura di non voler approfittare della prescrizione che gli porterà in dote la legge anticorruzione del ministro Severino. Salvo ripensarci un attimo dopo. Ebbene, con lui nell’inchiesta sulla Falck era finito anche il vicepresidente del Consorzio Cooperative Costruttori. E, con degli Esposti l’inchiesta aveva toccato pure Roberto De Santis, primo socio di D’Alema nell’acquisto della barca a vela Ikarus. Baita era convinto che la Ccc di Bologna avrebbe portato gli investigatori a Roma, invece non è andata così. Almeno per ora.

 

Rubinato (PD) 

JESOLO «Le indagini sulla Via del Mare non sono una perdita di tempo». Simonetta Rubinato, deputata del Pd, firmataria di un’interrogazione parlamentare inviata anche a Cantone, presidente dell’autorità anti corruzione, risponde ai rilievi mossi dal sindaco Valerio Zoggia e dagli albergatori del litorale, che con il presidente Massimiliano Schiavon, difendono l’opera ritenuta essenziale.

«Vogliamo vederci chiaro», dice la Rubinato, «perché si stanno spendendo soldi dei cittadini ed è giusto chiederci se le soluzioni progettuali individuate sono le più sostenibili in termini economici e per il territorio. Nel caso specifico del progetto di finanza adottato sulla Via del Mare avevamo i nostri dubbi. E forse non sbagliavamo. Chi da tempo chiede di cambiare il modo con cui vengono progettate e realizzate le infrastrutture pubbliche non appartiene per forza al partito del no, ma a quello del buon senso. In tempi di risorse limitate non va sprecato neanche un euro, tanto meno in quei progetti di finanza che hanno favorito solo imprenditori sleali e politici collusi».

«Le infrastrutture», conclude la deputata del Pd, «vanno fatte perché risultano necessarie per i bisogni di cittadini e imprese, sulla base di una più ampia visione di sistema, di analisi trasparenti sui costi e benefici delle stesse, secondo progettazioni che tengano conto degli interessi in gioco, non certo per soddisfare gli interessi di qualche consorteria d’affari».

(g.ca.)

 

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Comunicato stampa Opzione Zero – 30 gennaio 2015

Silvano Vernizzi per anni a capo del settore infrastrutture e  della valutazione ambientale in Regione. Insieme a lui anche l’altra indagata Paola Noemi Furlanis, attuale responsabile della struttura VAS-VINCA. Tutti project financing della cricca hanno sempre ottenuto via libera dalle commissioni per la valutazione di impatto ambientale, alcune non sono nemmeno state sottoposte a verifica, come Veneto City. Zaia deve sospendere tutte le “grandi opere sospette”, non solo la “Jesolo mare”. A rischio sono l’ambiente e l’incolumità dei cittadini.

Finalmente, dopo il MOSE, cuore e fondamento delle cricche malavitose nostrane, i riflettori iniziano ad illuminare le autostrade, altro settore nel quale continuano a sguazzare le cricche malavitose del cemento e dell’asfalto.

E subito salta fuori un nome che ancora mancava all’appello, quello di Silvano Vernizzi.

Indagato non significa colpevole, ma come più volte denunciato dai comitati veneti, Vernizzi è stato, ed è tutt’ora uno degli uomini chiave del “sistema Veneto”: per anni a capo del settore infrastrutture della Regione, il “feudo” dell’ex-assessore Renato Chisso, Vernizzi ha avuto pieni poteri sul Passante di Mestre e sulla Pedemontana come Commissario governativo, e ora è amministratore delegato di Veneto Strade.

Ma non è tutto, perché la vera anomalia che getta un’ombra sospetta su tutti i grandi progetti in Veneto, è che Silvano Vernizzi, negli stessi anni, era a capo di un altro settore strategico della Regione: quello per le valutazioni ambientali (VIA, VAS e VINCA). Insieme a lui, un ruolo importante lo aveva pure un’altra indagata, Paola Noemi Furlanis, a lungo segretaria generale della struttura di coordinamento VAS e VINCA, e ora a capo della struttura medesima.

Sarà dunque un caso che nessuno dei project financing ideati dagli “assi pigliatutto” degli appalti come Mantovani o Adria Infrastrutture, non abbia mai ricevuto un parere negativo dalle commissioni per la valutazione ambientale. Alcuni di questi sono addirittura stati esclusi dalle verifiche che per legge sarebbero obbligatorie. Un esempio su tutti quello di Veneto City: nel 2011 fu proprio Paola Nomei Furlanis con il benestare di Vernizzi, a firmare il parere di “non assoggettabilità a VAS” del mastodontico progetto presentato dalla Veneto City spa, di cui amministratore delegato era il solito Piergiorgio Baita.

A questa decisione i comitati rivieraschi, tra cui anche Opzione Zero, si opposero in tutti i modi: presentando migliaia di osservazioni, raccogliendo ben 11.000 firme, dando vita a vivaci proteste, fino a presentare ricorsi al TAR. Ciò nonostante, i Sindaci di Dolo e Pianiga (Maddalena Gottardo e Massimo Calzavara), e Luca Zaia firmarono l’accordo di programma per una operazione immobiliare chiaramente speculativa di proporzioni inaudite.

Il marciume che sta affiorando dalle inchieste sulla Regione Veneto è ancora la punta dell’iceberg.

Per Opzione Zero la sospensione delle procedure di gara della “Jesolo mare” non basta: il Presidente Zaia ha il dovere morale e politico di approvare una moratoria su le altre “grandi opere”, a cominciare da quelle che non sono nemmeno state sottoposte  a valutazione ambientale come Veneto City. In ballo non c’è solo la corruzione, ma anche la sicurezza dei territori e l’incolumità dei cittadini.

Nel frattempo Opzione Zero chiederà nuovamente audizione ai magistrati di Venezia e al capo dell’anticorruzione Cantone per fornire tutte le informazioni utili a far luce su questa vicenda, sul Passante di Mestre e su tutte le altre opere che insistono sulla Riviera del Brenta.

 

Nuova Venezia – Inchiesta autostrada del mare

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29

gen

2015

La Procura riprende fedelmente un ricorso amministrativo di Net Engineering

Zaia sospende la gara dell’Autostrada del mare: per rispetto delle indagini

Gli indagati sereni «Procedure corrette»

VENEZIA – Cinque punti ripresi fedelmente dal ricorso amministrativo di un concorrente escluso dalla gara – la Net Engineering di Monselice, in contenzioso con la Regione per il metro di superficie – e riportati nell’avviso a comparire inviato ai membri della commissione di gara e del Nucleo di valutazione investimenti della Regione del Veneto. L’ipotesi è turbativa d’asta, le violazioni sono di carattere amministrativo. Gli indagati diserteranno l’appuntamento con i magistrati e mandano i legali: risponderanno con una memoria scritta. Ma fanno sapere di essere assolutamente tranquilli e sereni: mai ricevuto pressioni dai politici, mai fatto pasticci, abbiamo seguito le procedure standard. La Procura dimostri il contrario, ma le carte che ha in mano sono carta straccia, smontabile facilmente sul piano amministrativo.

Il segnale tuttavia è chiarissimo: la Procura di Venezia dopo la grande retata che ha decapitato il sistema Galan ha aperto il fascicolo dei progetti di finanza in campo stradale. Dopo toccherà a quelli sanitari. Dunque, chi sa parli prima di sentire nuovamente il titillar di manette.

Il governatore Luca Zaia coglie la palla al balzo e chiude la pratica Autostrada del mare (200 milioni di euro per 19 chilometri di strada per 40 anni di gestione a pedaggio) da Meolo a Jesolo Lido. La delibera regionale con cui l’altra sera la giunta ha sospeso la procedura fa esplicito riferimento all’inchiesta: «essendo pervenute notizie di un’indagine in corso della Procura della Repubblica in merito all’intervento si ritiene opportuno sospendere tale procedura di gara in attesa di approfondire tali notizie per il tramite dell’Avvocatura regionale». Addio all’Autostrada del mare e siamo solo all’inizio.

L’accusa – tutta amministrativa – riguarda sei funzionari accusati ora di turbativa d’asta per l’eccessiva indulgenza nei confronti del promotore del progetto di finanza dell’Autostrada del mare: quella Adria Infrastrutture che faceva riferimento a Claudia Minutillo, l’ex segretaria di Giancarlo Galan. Ma che in realtà era una società controllata da Piergiorgio Baita, l’ingegnere delle tangenti del sistemi Galan e che aveva regalato piccole quote di minoranza all’ex ministro e a Chisso. Sono stati chiamati a comparire i membri della commissione di gara (costituita dai funzionari regionali Paola Noemi Furlanis, Stefano Angelini e Antonio Strusi) e dai membri dell’epoca del Nucleo di valutazione investimenti Silvano Vernizzi (ex segretario regionale alle infrastrutture), Adriano Rasi Caldogno (ex segretario regionale della programmazione Adriano Rasi Caldogno) e Mauro Trapani (all’epoca e tuttora capo del servizio finanziario della Regione).

Ecco le contestazioni cui fanno riferimento i magistrati. I commissari non hanno preventivamente individuato i criteri matematici per la valutazione dell’offerta; non hanno inserito il costo degli espropri; non hanno adottato un coefficiente di attualizzazione nel piano economico finanziario dell’opera; non hanno escluso l’offerta di Adria Infrastrutture in quanto avrebbe violato l’articolo 46 della legge regionale 27/2003; hanno consentito alla società di apportare sostanziali modifiche alla proposta post gara, alterando la par condicio nei confronti dei concorrenti.

Secondo gli indagati la Procura non avrebbe altro che il ricorso amministrativo di Net Engineering in mano: dunque, perché presentarsi? Nessuno di loro vuole sentirsi chiedere direttamente se Galan o Chisso abbiano esercitato pressioni per affidare il progetto di finanza alla società di Claudia Minutillo. Dunque, meglio scrivere. Per questa ragione i legali (l’avvocato Marco Vassallo per Vernizzi, Rasi Caldogno, Furlanis e Angelini; l’avvocato Paolo Rizzo per Antonio Strusi; l’avvocato Fernando Cogolato per Mauro Trapani) hanno suggerito di non presentarsi. Ma la partita a scacchi tra accusa e difesa sembra solo all’inizio.

Daniele Ferrazza

 

IL CAPITOLO DEI PROGETTI DI FINANZA DELL’ERA CHISSO

È stato aperto un fascicolo anche sulla Nogara mare

VENEZIA – Oltre alla «Via del mare» che doveva unire l’A4 a Jesolo e a tutto il litorale adriatico, c’è un’indagine sulla «Nogara – mare», la strada, anch’essa molti discussa, che doveva raggiungere la Romea in terroriorio polesano, partendo da Verona. Intanto, cinque dei sei finiti sotto inchiesta per la «Via del mare» hanno già deciso: avvalendosi della facoltà che il codice penale concede a tutti gli indagati di tacere, si avvalgono della facoltà di non rispondere e neppure si presenteranno, oggi, nell’ufficio del pubblico ministero lagunare Stefano Ancilotto, alla cittadella della Giustizia di Piazzale Roma, a Venezia.

Si tratta dei componenti della Commissione istruttoria regionale incaricata di valutare le varie proposte di project financing dell’opera in questione, il rodigino Silvano Vernizzi, ora amministratore delegato di Veneto Strade, il veneziano Adriano Rasi Candogno, ex segretario regionale alla Programmazione e attuale direttore generale dell’Asl di Feltre, il trevigiano Stefano Angelini, dirigente regionale delle Infrastrutture, la veneziana Paola Noemi Furlanis, responsabile del coordinamento delle Commissioni di valutazione di impatto ambientali, tutti difesi dall’avvocato veneziano Marco Vassallo, il sandonatese Antonio Strusi, dirigente del settore Risorse finanziarie, difeso dall’avvocato lagunare Paolo Rizzo, e il vicentino Mauro Trapani, dirigente regionale del settore Bilancio, difeso dall’avvocato di Vicenza Fernando Cogolato. I due difensori dei primi 5 hanno già comunicato al rappresentante della Procura che oggi non si presenteranno, mentre Trapani, anche se sembra intenzionato anche lui a tacere, potrebbe decidere di presentarsi per dirlo personalmente al pubblico ministero, comunque lo deciderà oggi.

Il reato contestato ai sei è quello di turbativa d’asta, per aver sostanzialmente favorito la proposta di project financing avanzata da «Adria Infrastrutture» e alle ditte ad essere associate, nonostante prevedesse un contributo pubblico «sensibilmente superiore all’imposto massimo previsto», consentendo inoltre «di apportare in corso di gara sostanziali modifiche alla proposta inizialmente presentata in violazione dei principi del par condicio e di imparzialità». Al vertice di Adria Infrastrutture nel 2009 c’era Claudia Minutillo e la società era emanazione della «Mantovani» di Piergiorgio Baita. Dopo essere stati arrestati i due avevano raccontato, tra l’altro, che soci occulti di «Adria» erano l’allora presidente della Giunta regionale Giancarlo Galan, ora deputato agli arresti domiciliari dopo la condanna a due anni e mezzo per corruzione, e l’allora assessore alle Infrastrutture Renato Chisso, pure lui condannato nell’inchiesta sul Mose ed entrambi esponenti di Forza Italia. Allora Galan e Chisso in Regione facevano il bello e il cattivo tempo, facile dunque capire perché i componenti della Commissione potrebbero aver favorito la proposta di Adria Infrastrutture. Intanto, la difesa sembra voler puntare sulla prescrizione, che scatterà nel luglio 2016, a sette anni e mezzo dai fatti.

Giorgio Cecchetti

 

Lettera ai sindaci e agli operatori turistici: non è etico sostenere un progetto di chi è finito in carcere

Legambiente: «Meglio il tram del mare»

JESOLO «Ritenete sia etico sostenere un progetto proposto da soggetti, e da un sistema, finiti in carcere per corruzione? Si rivendica l’utilizzo della “finanza di progetto”, ma dire che il Veneto ha bisogno di una rinascita, utilizzando gli strumenti che ci stanno avvicinando alle Regioni controllate dalle varie mafie, ci sembra quanto meno inopportuno». Legambiente Veneto Orientale ha scritto al presidente dell’Aja, Massimiliano Schiavon, e ai sindaci del territorio, proponendo di aprire un confronto su mobilità e turismo. «Quando si parla di Jesolo, si dimentica che, alle sue spalle, vi è un territorio che non deve essere sacrificato sull’altare dei milioni di turisti diretti al mare», scrivono gli ambientalisti, «vi sono bellezze che, se valorizzate, possono ridistribuire sul territorio benefici e occupazione. Integrare treno e aereo con i bus toglierebbe migliaia di auto dalle strade. Come mostrano i dati statistici, i turisti del Nord Europa privilegiano il treno o altro all’auto. Lo stesso vale per il traffico pendolare: non basta una strada a risolverlo, servono scelte di trasporto per gli anni a venire. Perché non riconsiderare il sistema del “Tram del Mare”? Un trasporto collettivo leggero e diffuso che porta i turisti su tutto il litorale con impatti molto più bassi».

L’inchiesta della Procura sulla via del Mare infiamma anche la politica. «Solo ora Zaia decide di sospendere il progetto. Ma cosa ha fatto in tutti questi anni da presidente per impedire che scoppiasse questa vicenda?», attacca Bruno Pigozzo, consigliere regionale del Pd, «quali controlli ha svolto sull’operato dei dirigenti regionali? Perché non ha voluto imporre molto prima uno stop a quest’opera sulla quale erano già palesi le ombre e che da un anno e mezzo il Pd chiedeva di fermare? A questo punto è doveroso che Zaia venga in Consiglio regionale per riferire sulla situazione». «La notizia della sospensione di tutti i procedimenti inerenti la gara per la via del Mare rappresenta un’importante vittoria per il territorio, i comitati e le comunità locali che da tempo protestano contro un’opera inutile», aggiunge la deputata Arianna Spessotto (M5S), che ricorda di aver più volte chiesto a Vernizzi – inutilmente – di accedere al Piano economico del progetto.

Giovanni Monforte

 

Un progetto contestato: protestò anche don Bizzotto

MEOLO – La via del Mare come la Tav litoranea. Negli ultimi anni sono state queste le due grandi opere che hanno infiammato il dibattito nel Veneto orientale, mettendo in contrapposizione gli interessi del mondo turistico, jesolano in particolare, con quelli di salvaguardia del territorio dei Comuni dell’entroterra. Ma con una differenza: quella contro la Tav è stata una battaglia quasi unitaria, mentre la via del Mare è stata terreno di scontri aspri tra le forze politiche, con i circoli del Pd e il Movimento 5 Stelle sulle barricate a fianco di comitati e ambientalisti. Fu proprio il Pd, nel 2010, a organizzare la prima manifestazione di protesta: un corteo di auto che partì dalla zona industriale di Meolo giungendo fino a Jesolo, per dire no alla trasformazione della Treviso Mare in strada a pedaggio. L’altra manifestazione contro l’opera fu realizzata da Legambiente, che organizzò un presidio a Meolo. Negli anni sono state moltissime le assemblee pubbliche che si sono tenute a San Donà, Musile e + Meolo, dove lo scorso anno arrivò anche don Albino Bizzotto, il sacerdote padovano che da anni si batte contro i project-financing. A Meolo nacque pure il comitato “Sì Treviso Mare”, per chiedere una strada più sicura ma senza pedaggi. Della via del Mare si è occupato più volte il Parlamento, con una serie di interrogazioni presentate negli anni, in particolare da Simonetta Rubinato (Pd) e da Arianna Spessotto (M5S). È delle scorse settimane, invece, la notizia che sul progetto ha messo la lente d’ingrandimento anche l’Autorità nazionale anticorruzione, guidata dal magistrato Raffaele Cantone, a cui si sono rivolte proprio Spessotto e Rubinato. Nel frattempo, il sindaco di Meolo, Loretta Aliprandi, si è fatta carico di promuovere un fronte dei sindaci che ha già incontrato l’assessore regionale Coppola per ribadire il no all’opera.

(g.mon.)

 

Il sindaco di Jesolo e gli albergatori ritengono fondamentale l’infrastruttura

Contrario da San Donà Cereser: servono idee alternative per la viabilità

JESOLO – Indagini sull’Autostrada del Mare, preoccupazione sul litorale, ma l’opera deve andare avanti. A San Donà, invece, il sindaco Andrea Cereser esce dal coro e spinge a pensare a opere alternative. Il sindaco di Jesolo, Valerio Zoggia, non entra nel merito delle inchieste. Sulla stessa linea gli albergatori jesolani che invitano a pensare ai lavori e non agli indagati.  «Le verifiche ancora in corso da parte della Procura di Venezia devono togliere ogni dubbio sulle procedure finora adottate dai tecnici della Regione», dice Zoggia, «però si faccia in fretta e, una volta sgombrato ogni dubbio, non si rinunci a realizzare questa opera che resta fondamentale per l’economia di tutta la costa. Io come sindaco di una città che vive di mare e di turismo ho l’obbligo di pensare al futuro. L’importante è che ora non si faccia confusione sulla necessità di questa nuova strada». «Non commento l’operato della magistratura», precisa, «spero anzi che venga fatta chiarezza fino in fondo, ma l’ inchiesta non determini una rinuncia al progetto. Jesolo, come tutti i Comuni del litorale, non può fare a meno di quest’opera per l’economia del turismo, per risolvere il problema legato alle code e le lunghe attese estive per raggiungere le nostre località, per crescere nell’offerta. Senza infrastrutture adeguate il turismo non può essere competitivo. Jesolo ha bisogno di infrastrutture come la Via del Mare. Quando la magistratura avrà fatto tutte le verifiche necessarie mi auguro che si possa procedere con il progetto, nella massima trasparenza e regolarità, come ho sempre auspicato in questi ultimi giorni».

Cereser non è dello stesso avviso e si apre ancora la spaccatura tra i due sindaci sull’infrastruttura. «Dobbiamo risolvere il problema dei flussi verso le spiagge ma con progetti alternativi all’Autostrada del Mare», ribatte il sindaco di San Donà Cereser con l’assessore alla Viabilità Francesca Zottis, «finalmente è giunto lo stop al progetto e si possono valutare alternative che rendano scorrevoli i flussi verso il mare». Nel settembre 2013, prossimi al bando per la realizzazione dell’autostrada, il Comune di San Donà, insieme a quelli di Noventa, Monastier, Roncade, Silea e Treviso, aveva richiesto la sospensione della procedura di gara alla luce della scarsa trasparenza dell’operazione all’indomani dell’inchiesta Mose. E invocava la sospensione delle procedure di gara.  «Nel programma con il quale questa amministrazione si è presentata agli elettori, quasi due anni fa», ricordano, «esprimevamo contrarietà a un’operazione di “esproprio al contrario” quale è il progetto di Autostrada del Mare, con cui si intendeva sottrare alla proprietà dei cittadini un’opera pubblica come il tratto di Treviso-Mare da Meolo e il sedime della variante alla Statale 14, per affidarla a privati che inseriranno un pedaggio. Riteniamo inutile un’autostrada verso il mare se poi il problema è l’imbottigliamento alle porte delle spiagge. Attendiamo i risultati dell’inchiesta della magistratura, ma auspichiamo che lo stop sia occasione per ripensare un progetto ambiguo e valutare alternative migliori e più trasparenti».

Giovanni Cagnassi

 

VENETO – Oggi previsti gli interrogatori degli indagati ma presenteranno solo memorie difensive

Moretti attacca Zaia: in Regione uno scandalo al giorno. La Lega: guardi a quelli in cui è coinvolto il Pd

I CONSIGLIERI DEM – Il governatore riferisca su appalti e indagini

La prima a puntare il dito é Alessandra Moretti: «Ormai in Regione Veneto c’è un caso giudiziario al giorno» accusa la candidata del centrosinistra alle prossime regionali. «Ma dov’è Luca Zaia? É sempre più ridicolo che il Presidente della Regione, che era vice di Galan nel 2007, anno in cui si svolse la gara per il project financing della Treviso-mare sui cui oggi indaga la Procura, si tiri sempre fuori da ogni scandalo». Si alzano i toni dello scontro politico attorno a questa inchiesta, costola di quella sul sistema Mose, per cui il pubblico ministero, Stefano Ancilotto, ha indagato sei funzionari regionali per turbativa d’asta. Notizia dell’altro ieri, a cui il governatore ha risposto bloccando, in via cautelativa, la gara per la cosiddetta autostrada del Mare, opera da 200 milioni di euro per collegare Meolo a Jesolo. Una scelta che ora potrebbe aprire un ulteriore contenzioso, a fronte di una procedura ormai avanzata con le offerte già in campo. Si vedrà…

Intanto a scatenarsi ieri sono stati i politici. Contro la Moretti si è scagliato il capogruppo leghista Federico Caner: «Bisogna essere davvero senza pudore per sostituirsi, a differenza nostra, alla magistratura ed emettere sentenze prima ancora che la giustizia abbia fatto il suo corso. Accusare Zaia dicendo che non poteva non sapere cosa accadeva negli uffici tecnici, è come dire che la Moretti non poteva non conoscere quanto stava succedendo nel suo partito relativamente ai recentissimi scandali che hanno coinvolto un consigliere regionale, il Comune di Venezia e autorevoli esponenti democratici, tra cui due parlamentari suoi colleghi».

Ma il Pd non ha mollato la presa. Ieri pomeriggio, in commissione consiliare lavori pubblici, i consiglieri Stefano Fracasso e Piero Ruzzante hanno formalmente chiesto che Zaia vada «urgentemente» a riferire in merito ad appalto e inchiesta su un progetto su cui gravano «ombre» di cui il Pd aveva già chiesto conto un anno e mezzo fa.

Bruno Pigozzo, vicepresidente della commissione, ha ricostruito: «Ancora nell’agosto 2013 ho presentato assieme al mio gruppo un’interrogazione nella quale sottolineavamo la necessità di rinviare il bando di gara ed attendere l’esito dell’inchiesta giudiziaria in corso sul Mose. Il progetto preliminare della via del mare infatti è stato presentato dalla società Adria Infrastrutture di Claudia Minutillo e dal Consorzio Vie del Mare di Piergiorgio Baita, proprio i due imprenditori finiti in carcere per presunta fronte fiscale e costituzione di fondi neri. A fronte delle nostre reiterate richieste di maggiore vigilanza e cautela, Zaia ha fatto spallucce e non si è degnato di dare risposte, trincerandosi nel silenzio. Questo è continuato fino ad oggi, a scandalo esploso». E contro il governatore si è lanciata anche la senatrice Pd, Laura Puppato: «È ora che in Regione Veneto si facciano le pulizie di primavera. Gli intrecci di potere, interessi e mancati controlli sono troppo evidenti». Quanto al governatore, «non sa, non conosce, non risulta in grado di controllare i suoi sottoposti a partire dai suoi assessori – ha accusato -. I soggetti coinvolti sono sempre gli stessi: vanno messi in condizione di non fare altri danni».

Fin qui la politica. Sul fronte giudiziario oggi è il giorno fissato per gli interrogatori degli indagati – Silvano Vernizzi, Adriano Rasi Caldogno, Mauro Trapani, Antonio Strusi, Stefano Angelini e Paola Noemi Furlanis: tutti componenti della commissione regionale incaricata di valutare il project – che rischiano, però, di andare deserti. In questa fase i difensori, gli avvocati Marco Vassallo, Paolo Rizzo e Fernando Cogolato, sembrano orientati a presentare delle memorie difensive, in attesa di studiare meglio le carte. Va detto che su tutta l’indagine pende la prescrizione che scatterebbe a fine mese, ma che proprio in virtù della convocazione di oggi slitterà di un anno e mezzo.

Roberta Brunetti

 

LA NUOVA INCHIESTA -Via del Mare, Jesolo difende l’opera «Serve a tutto il litorale»

VIA DEL MARE Con l’apertura dell’inchiesta si chiede di fermare tutto. Cereser: «È un esproprio al contrario»

Jesolo sotto choc, gli altri esultano

Zoggia l’unica voce a favore: «La magistratura proceda, ma l’opera serve»

«Le verifiche ancora in corso da parte della Procura di Venezia devono togliere ogni dubbio sulle procedure finora adottate dai tecnici della Regione. Però si faccia in fretta e, una volta sgombrato ogni dubbio, non si rinunci a realizzare questa opera che resta fondamentale per l’economia di tutta la costa».

Il sindaco Valerio Zoggia non entra nel merito dell’inchiesta in corso sulla Via del Mare, però difende il progetto auspicando la sua realizzazione. «Come sindaco di una città che vive di mare e di turismo ho l’obbligo di pensare al futuro della città che amministro – aggiunge il primo cittadino di Jesolo -. L’importante è che ora non si faccia confusione sulla necessità di questa nuova strada». «Il turismo è importante per l’economia della nostra Regione, ma Jesolo si dimentica che, alle sue spalle, vi è un territorio che non deve essere sacrificato – replica invece Maurizio Billotto, presidente di Legambiente -. Le scelte sulla mobilità non devono essere viste solo in funzione del litorale, puntando sull’auto come negli anni ’60.

«Lo stop è un’importante vittoria per il territorio, i comitati e per le comunità locali, che da tempo protestano contro un’opera inutile, profondamente legata al sistema corruttivo che ha caratterizzato l’aggiudicazione degli appalti per le grandi opere in Veneto in questi anni», sostiene Arianna Spessotto, deputata del M5S, che esulta per la decisione del governatore Zaia di sospendere l’iter della gara d’appalto per la realizzazione della Via del Mare.

«Finalmente è giunto lo stop al progetto e si possono valutare alternative che rendano scorrevoli i flussi verso il mare -«Da un anno e mezzo chiedevamo la sospensione della gara. Solo ora, di fronte all’indagine che coinvolge sei dirigenti regionali, Zaia decide di bloccare il progetto – interviene Bruno Pigozzo, consigliere regionale del Pd -. Ma perché non ha voluto imporre molto prima uno stop a quest’opera sulla quale erano già palesi le ombre? Non ha ascoltato i ripetuti richiami, non ha dato risposte e si è trincerato nel silenzio. Fino ad oggi, a scandalo esploso. Sono evidenti le sue gravi responsabilità».

(ha collaborato Fabrizio Cibin)

 

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