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Nuova Venezia – Grandi opere e project: l’indagine veneta

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

26

giu

2013

 

Dopo lo scandalo Baita, insediata la commissione d’inchiesta.

Il presidente Fracasso: «Non guarderemo in faccia nessuno»

VENEZIA – Se il denaro non ha odore, ha certamente un destinatario e quando si tratta di quattrini pubblici, provenienti dalle tasche dei contribuenti, decenza vuole che i sospetti circa la loro destinazione (spontanei in un Paese devastato dall’illegalità) vengano fugati. Muove i primi passi la commissione d’inchiesta sui lavori pubblici in Veneto. La legge che l’ha istituita, approvata dall’assemblea di Palazzo Ferro-Fini sull’onda dello scandalo Baita-Mantovani, assegna ai commissari due obiettivi: verificare nel dettaglio l’aggiudicazione e la realizzazione delle opere di competenza regionale (procedure, costi, tempi di affidamento) con particolare riguardo a quelle eseguite attraverso il project financing; e rivisitare i rapporti intercorsi tra le società partecipate, gli enti e i soggetti che hanno domicilio fiscale all’estero e sono fornitrici di beni e servizi. Il tutto, in un arco temporale che va dal 2005 a oggi. La commissione, che si riunirà con cadenza settimanale, è composto da nove consiglieri: Giancarlo Conta, Giovanni Furlanetto, Cristiano Corazzari, Carlo Alberto Tesserin e Moreno Teso per la maggioranza; Gustavo Franchetto, Pierangelo Pettenò e Antonino Pipitone per l’opposizione; a presiederla è Stefano Fracasso del Pd. Avrà sei mesi di tempo (raddoppiabili) per fare chiarezza sulla fitta rete di business che ha scandito l’amministrazione del Veneto nell’età galaniana e in questo scorcio di presidenza Zaia. La seduta inaugurale, in mattinata, è stata dedicata alla definizione del cronoprogramma di lavoro: «Vogliamo stilare una mappa delle stazioni appaltanti, società e direzioni regionali, per poi costruire una geografia dei lavori pubblici e dei soggetti interessati», fa sapere Fracasso. Toni prudenti mentre trapela una prima ipotesi di lavoro. L’idea è di concentrare le energie su due fronti sensibili: gli appalti più ingenti (Passante di Mestre, Mose di Venezia, Pedemontana, nuovi ospedali) e quelli, di minore entità ma più numerosi, affidati in via diretta senza gara. In tal senso, sarà avviato uno scambio d’informazioni con il nucleo ispettivo interno di Palazzo Balbi, istituito a suo tempo dalla giunta per svolgere un controllo di legittimità sugli atti amministrativi e coordinato dal segretario generale alla programmazione, Tiziano Baggio. Ma non si tratterà soltanto di una revisione tecnico-contabile. I retroscena investono l’intreccio tra politica e affari in una lunga stagione dominata dalla figura di Giancarlo Galan. Claudia Minutillo, la sua ex segretaria, figura tra gli imputati nell’inchiesta condotta dalla Procura della Repubblica di Venezia e lo stesso Piergiorgio Baita – fortemente sospettato di aver dispensato tangenti al sistema dei partiti in cambio di appalti – ha mantenuto lunghi e intensi rapporti di collaborazione con l’ex ministro pidiellino. Non solo centrodestra: tra gli affaire dell’ultimo decennio spiccano i fondi neri della società Autostrada Venezia-Padova, ennesima vicenda di mazzette che ha travolto l’amministratore delegato Lino Brentan, esponente del Pd. «Abbiamo ben chiari i compiti e i limiti del nostro mandato», replica Stefano Fracasso «non intendiamo sovrapporci all’autorità giudiziaria né alla magistratura contabile, tuttavia rappresentiamo il Consiglio e vogliamo esercitarne fino in fondo il ruolo di controllo, senza guardare in faccia nessuno. Guardiamo a un precedente immediato e positivo, quello della commissione d’inchiesta sull’Arpav, che ha svolto correttamente il suo lavoro con esiti positivi per l’istituzione e per la comunità veneta».

Filippo Tosatto

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Orlando striglia Orsoni e Costa: «Non può essere Roma a decidere, trovate una proposta condivisa»

VENEZIA. Basta baruffe in “famiglia”, le navi da crociera debbono restare fuori dalla laguna, il sindaco Giorgio Orsoni e il presidente del Porto, Paolo Costa debbono trovare un accordo condiviso entro il 25 luglio prossimo. È questo, in sostanza, il monito lanciato ieri dal ministro dell’Ambiente Andrea Orlando, a Orsoni e Costa che continuano a fare a gara tra loro su chi la spara più grossa, proponendo continuamente nuove e contrapposte soluzioni per le Grandi navi. Da ultima quella di Costa – alternativa a quella da lui stesso proposta con lo scavo del nuovo canale Contorta per evitare il passaggio nel bacino di San Marco – di realizzare una nuova stazione Marittima a Santa Maria del Mare, dove adesso si costruiscono i cassoni del Mose, e poi portare con la Sublagunare turisti e merci da Tessera e Fusina all’isola di Pellestrina.

Il sindaco Orsoni non è stato da meno, ha rimesso nel cassetto la sua vecchia ipotesi (utilizzare il canale Vittorio Emanuele per far raggiungere via Canale dei Petroli l’attuale stazione marittima alle navi da crociere) e ha lanciato una nuova proposta, subito contestata dai sindacati dei lavoratori chimici, di utilizzare le aree e le banchine di Syndial (Eni) a Porto Marghera , cioè le stesse dove si continua a prospettare la realizzazione di due nuovi impianti di chimica verde, uno dell’Oleificio Medio Piave, l’altro del gruppo Mossi&Ghisolfi, in grado di creare nuovi posti di lavoro.

«La decisione già presa da tempo di togliere le Grandi navi da crociera dalla laguna va attuata al più presto con un accordo condiviso tra le istituzioni e gli enti locali competenti»,

ha detto ieri il ministro dell’Ambiente, dopo aver tirato le conclusioni del convegno su “Energia ed edilizia sostenibile”.

Ma che succederà se Costa e Orsoni continueranno a polemizzare tra loro, senza mettersi d’accordo prima del 25 luglio? Per quella data è convocato il tavolo al Ministero per decidere, una volta per tutte, un percorso delle Grandi navi che risparmi piazza San Marco e tutto il Bacino da improbabili, ma non impossibili incidenti, come insegnano il naufragio della Costa Concordia all’isola del Giglio e il recente e grave incidente nel porto di Genova.

«La soluzione va trovata nel territorio»,

ha ribadito il ministro Orlando,

«gli enti locali competenti non possono continuare a tergiversare, il decreto che estromette le Grandi Navi da Venezia va attuato. Comune e Autorità Portuale debbono pronunciarsi e se hanno proposte diverse tra loro debbono sceglierne una e condividerla per il bene del territorio, dei cittadini e delle imprese».

«Un accordo quadro condiviso è l’unica strada praticabile»,

ha ripetuto Orlando

«non si sono altre strade. Non può essere un ministero a stabilire da Roma quel che deve decidere il territorio interessato».

Gianni Favarato

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Nuova Venezia – Baita: rito immediato Processo il 7 ottobre

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

25

giu

2013

POLITICA E AFFARI

VENEZIA – L’appuntamento è per il 7 ottobre. È il giorno in cui Piergiorgio Baita, ex presidente della potente Mantovani Spa (e nel cda di altre 42 società) dovrà presentarsi davanti alla seconda sezione del Tribunale di Venezia per rispondere dell’accusa di aver controllato un’associazione finalizzata alla frode fiscale: un tesoretto da circa 8 milioni di euro di fondi neri che – secondo l’accusa mossagli dal pubblico ministero Stefano Ancillotto – Baita ha costruito grazie alle false fatturazioni che gli sono state garantite dal broker sanmarinese Walter Colombelli e da Claudia Minutillo, manager dell’Adria Infrastrutture (dopo una carriera da segretaria particolare dell’allora presidente della Regione Giancarlo Galan), con la complicità di Nicolò Buson, già direttore generale di Mantovani (tutti e tre hanno ammesso le proprie responsabilità e ottenuto dal pm il via libera al patteggiamento, di pene che si annunciano sotto i 2 anni di reclusione). Il giudice per le udienze preliminari Alberto Scaramuzza ha fissato la data del processo, riconoscendo il presupposto per la richiesta del rito immediato, che salta l’udienza-filtro preliminare: ovvero, che la Procura ha in mano elementi di prova sufficienti per andare direttamente a giudizio. Processo in aula che, però, probabilmente non si farà, perché da quando la Procura ha presentato domanda di rito immediato a quando è stata notificata alle difese la data del 7 ottobre, tutto è cambiato: dopo due mesi di carcere e di ostinato silenzio, Baita ha lasciato lo studio di Pietro Longo che aveva come legale e scelto l’avvocato Alessandro Rampinelli, cambiato strategia difensiva e in due lunghi interrogatori ha ammesso le proprie responsabilità, in merito al “tesoretto”, parlando del mondo degli appalti, delle relazioni con la politica, anche se non ha detto chi ha pagato con quei fondi neri. Ma ha ottenuto gli arresti domiciliari. La difesa ha ora tutte le intenzioni di ricorrere a un rito alternativo, che garantisca uno sostanzioso sconto di pena: il patteggiamento (se sarà raggiunta con la Procura un accordo sulla pena, giudicato congruo dal giudice), ma più probabilmente un rito abbreviato, che assicura uno sconto di un terzo della pena. L’avvocato Rampinelli ha 15 giorni di tempo per bloccare l’iter del processo immediato e procedere con il giudizio in camera di consiglio, più snello, senza ribalta ed più vantaggioso. In ogni caso, l’inchiesta va avanti: sulle altre cartiere di false fatturazioni in centro Italia scoperte successivamente, sui fondi pagati al giornale “Il Punto” e a persone legate ai servizi per avere notizie sui magistrati che stavano indagando e così cercare di arginare l’inchiesta, sulle fatturazioni via-Canada per le pietre acquistate in Croazia per realizzare il Mose e sulle modalità di aggiudicazione dei lavori come concessionario unico (filone seguito dal pm Stefano Buccini) e, naturalmente, alla ricerca dei beneficiari di quei fondi neri nei legami di sempre tra appalti miliardari di opere pubbliche e politica. Fondi che sin dal giorno degli arresti (il 28 febbraio) il Nucleo di Polizia tributaria, che ha fatto le indagini, ha detto essere (per esperienza) in odor di tangenti.

Roberta De Rossi

 

«Ci rivolgiamo all’Unesco e all’opinione pubblica internazionale per difendere la laguna»

VENEZIA – No alla cementificazione della laguna.

«Ci rivolgeremo all’Unesco e all’opinione pubblica internazionale per fermare chi vuole distruggere la laguna e trasformarla in Rotterdam».

Italia Nostra va all’attacco delle nuove proposte progettuali lanciate dal presidente dell’Autorità portuale Paolo Costa. E annuncia battaglia. Costa si è detto disposto a spostare la Marittima a Santa Maria del Mare – dove sono i cantieri del Consorzio Venezia Nuova per costruire i cassoni del Mose – ma

«a patto che si trasformi il sistema dei trasporti»,

costruendo due sublagunari da Tessera e da Fusina a Pellestrina.

«Così non si risolve il problema delle grandi navi ma si distrugge la laguna»,

dice Italia Nostra. E annuncia la presentazione di un nuovo richiamo all’Unesco, organismo mondiale per la protezione dei territori e delle opere d’arte. Se Venezia è patrimonio dell’Umanità, il mancato rispetto da parte delle istituzioni della sua delicatezza potrebbe portare anche a una clamorosa cancellazione, come già successo per Dresda. Polemica che si infiamma in vista dell’appuntamento di fine luglio, quando al governo dovranno essere presentati i progetti alternativi alle grandi navi davanti a San Marco. Le idee sono diverse, ma l’emergenza è ormai riconosciuta da tutti. Chi deciderà sulle soluzioni migliori per la città? «Stiamo mettendo a punto un gruppo di esperti per lavorare sui progetti e presentarli al governo», dice il sindaco Giorgio Orsoni. Che non intende rinunciare alla sovranità sul suo territorio in favore del «concessionario» Autorità portuale. Anzi. La richiesta già presentata al governo è quella di prendere in considerazione una modifica della legge per consentire al Comune un reale «governo delle sue acque». Uno dei primi punti del programma elettorale di Orsoni, che adesso torna di attualità. Sul tavolo ci sono allora le alternative del canale Contorta proposto dal Porto, la nuova Marittima a Punta Sabbioni (Cesare De Piccoli), terminal per grandi navi a Marghera (il sindaco Orsoni) e adesso la nuova boutade di Costa: Navi a Santa Maria del Mare, senza più smantellare i cantieri del Mose con due sublagunari. Costa spinge anche il progetto del nuovo off shore, la piattaforma in mare da 2 miliardi e mezzo di euro per le petroliere e le grandi navi portacontainer. Ma questo è un altro fronte aperto. Perché a preoccuparsi non sono soltanto gli ambientalisti, ma anche le cooperative della pesca. Grandi opere proprio nei tratti di mare e di laguna interessati dalla pesca potrebbero dare il colpo definitivo a un’attività già in crisi. E l’assessore veneto alla pesca Franco Manzato ammonisce:

«Aspettiamo risposte. Ma dovrà essere un progetto a impatto zero».

Alberto Vitucci

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Le reazioni alla proposta del presidente dell’Autorità portuale di realizzare la Marittima a Pellestrina: «Impossibile»

Il dibattito sulle grandi navi diventa incandescente. A mettere pepe nell’annosa questione che sta dividendo la città e l’opinione pubblica è a proposta lanciata dal presidente dell’Autorità portuale Paolo Costa il quale, dopo aver sostenuto la necessità dello scavo di un nuovo canale, il Contorta Sant’Angelo, per permettere l’accesso delle grandi navi passando da Malamocco, ieri ha cambiato idea rilanciando l’idea della Marittima a Santa Maria del Mare, dove adesso si costruiscono i cassoni del Mose. Una proposta che non ha mancato di suscitare reazioni, a incominciare da quelle del sindaco Giorgio Orsoni che si è sempre battuto per quella che definisce «l’unica alternativa realizzabile in tempi brevi» e cioè Marghera, dove la banchina dell’ex Syndial potrebbe essere attrezzata a ricevere le navi da crociera, scavando soltanto l’area di evoluzione e utilizzano il già profondo canale Malamocco-Marghera.

«La proposta della Marittima a Santa Maria del Mare fa parte della fantasia di Costa, fantasia che tutti gli riconosciamo. Del resto siamo in estate, periodo in cui la fantasia galoppa», commenta Orsoni. «Una proposta, oltre che fantasiosa, anche di ardua concretizzazione. Non si capisce, infatti, come si possa arrivare a Santa Maria del Mare». «Lo stesso Costa sostiene che per collegare l’isola al resto della città c’è bisogno di fare la sublagunare», continua il sindaco. «Ma se non siamo riusciti a fare una piccola sublagunare fino alle Fondamente Nuove figuriamoci se riusciamo a fare un sublagunare fino a Pellestrina. Un’opera del genere significa lanciare una palla in avanti in 20 anni. Questo, infatti, sarebbe il tempo necessario per la sua realizzazione. E nel frattempo? Inoltre, una volta che si costruisce un porto di quelle dimensioni si devasta un luogo piccolo, delicato, che ha anche un notevole pregio ambientale. Già ci sono state proteste per la darsena ipotizzata a a San Nicolò. Figuriamoci per una struttura che sarebbe molto, ma molto più grande».

Reazioni immediate anche da parte del Comitato No Grandi Navi che arrivano a pochi giorni dalla clamorosa protesta contro i “mostri” del mare.

«Anche Costa comincia a capire che le navi vanno estromesse dalla laguna. E questo è già un primo passo. La soluzione che prospetta, cioè quella di realizzare la Marittima a Santa Maria del Mare, è però poco praticabile perché Pellestrina è un’isola e dunque si pone il problema di come portare le merci e i turisti da lì a Venezia. Costa rilancia l’ipotesi della sublagunare? L’ipotesi è inaccettabile»,

commenta il portavoce del comitato, Silvio Testa.

«È evidente, comunque, che qualsiasi porto dentro la laguna ha gli anni contati a causa dell’innalzamento del mare, del crescente gigantismo delle navi, non solo quelle da crociera ma anche delle petroliere e delle navi container, e del Mose. Se si vuole salvare il porto e con il porto il lavoro che ci gira intorno, è indispensabile portare le navi fuori dalla laguna».

Ma ci sono anche altre ipotesi alternative, come quella lanciata da Cesare De Piccoli (il terminal a Punta Sabbioni, davanti al Mose), o l’ipotesi di tenere le navi fuori della laguna, in mare aperto. O, ancora, chi propone il terminal a Sant’Erasmo, come l’ex capo dei piloti Ferruccio Falconi. (m.pi.)

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Costa, nel braccio di ferro con Orsoni, rilancia la proposta che comprende anche la realizzazione della sublagunare

Grandi navi fuori dalla laguna. Ma a patto di allestire una nuova Marittima a Santa Maria del Mare, dove adesso si costruiscono i cassoni del Mose, e di realizzare la sublagunare per portare turisti e merci da Tessera e Fusina all’isola di Pellestrina. Paolo Costa rilancia, com’è suo stile. E per rispondere alla polemica con il sindaco Orsoni punta in alto. Punzecchia il sindaco avvocato («Gli avvocati e i Tar potranno discutere a lungo ma questo non ci aiuta»). Ricorda che per lui il Porto ha piena sovranità nei suoi territori, e che il Pat in fondo ancora non è stato approvato. E lancia la provocazione. In realtà la sublagunare è il suo vecchio pallino, lanciata quando era sindaco nel 2000 e poi accantonata. Anche la Marittima a Santa Maria del Mare è una proposta lanciata un anno e mezzo fa. Come fare per togliere le navi da San Marco? Subito un grande canale in mezzo alla laguna (il Contorta Sant’Angelo, progetto già inviato al ministero). E il progetto a lungo termine: utilizzando gli ettari di spiaggia cementificati dal Consorzio Venezia Nuova per costruirci i grandi cassoni del Mose. Nel 2016, a lavori conclusi, la spiaggia dovrebbe essere ripristinata a spese del Consorzio. Invece, dice Costa, si si potrebbe pensare alla nuova Marittima. Ma «a patto che si ripensi l’intero sistema dei trasporti». La proposta è destinata a far scoppiare nuove polemiche. Uno scenario che potrebbe trasformare in pochi anni la laguna in una “nuova Rotterdam”, banchine portuali al posto delle barene, canali profondi al posto di ghebbi e velme. Il disegno delle grandi opere non è una novità nelle proposte di Costa. Proponente del Mose, quand’era ministro dei Lavori pubblici e prima ancora tra i cinque esperti nominati dal ministro Baratta per dare un parere sull’opera, aveva approvato da sindaco i famosi dieci punti da realizzare insieme alle dighe. Tra cui la conca di navigazione a Malamocco. Per far entrare le grandi navi e «separare la salvaguardia dalla portualità». Proposta degli ambientalisti che era presto diventata un nuovo progetto da centinaia di milioni di euro. Ma ci si è presto accorti che la conca non basta più. Capace di contenere navi fino a 250 metri (le nuove navi passeggeri sono oltre 330, le portacontainer ancora più grandi). Ecco allora il porto off shore, progetto preliminare già depositato e firmato da Mantovani e Tethis, finanziato in parte dal Magistrato alle Acque con i soldi della Legge Speciale. (a.v.)

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PORTO MARGHERA   «Troppe mire sulle aree dell’Eni»

Don (Uil) chiede chiarezza al sindaco Orsoni e all’Autorità portuale

«Certo, il caso della Vinyls è drammaticamente emblematico del tempo che passa e dell’incapacità delle istituzioni locali e del Governo nazionale di trovare un imprenditore con idee chiare che voglia realizzare un piano di riconversione industriale che rioccupi i lavoratori» ha commentato Maurizio Don, segretario dei chimici della Uil veneziana, anche lui a Roma ieri per la manifestazione unitaria. «Il futuro dei lavoratori della Vinyls, è appeso ad un accordo che preveda l’uso dei primi 40 ettari messi in vendita da Syndial del gruppo Eni a Porto Marghera», ha aggiunto Don, «ma da quel che si vede non si riesce ad avviare un processo di riutilizzo dei terreni dismessi da attività industriale, previa bonifica o messa in sicurezza». «Le aree di Syndial», continua, «fanno gola all’Oleificio Medio Piave, che starebbe per rogitarle da Eni dopo mesi di tira e molla, e contemporaneamente interessano anche al gruppo Mossi & Ghisolfi che vorrebbe venire ad investire a Porto Marghera. Ma il sindaco Giorgio Orsoni, che dovrebbe essere impegnato a sostenere gli ordine del giorno votati dal consiglio comunale, propone ora di realizzare proprio in queste aree industriali di Porto Marghera un nuovo terminal per le Grandi Navi da crociera e la Regione sta a guardare. D’altra parte il presidente dell’Autorità Portuale, Paolo Costa, continua a indicare queste stesse aree per il terminale a terra del porto Offshore che dovrebbe, chissà quando, costruire. Ma come si fa ad ipotizzare contemporaneamente, a tiro di gomito, impianti di produzione industriale e marina turistica? Se si continua così non si arriverà mai a nulla di positivo».

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LA LAGUNA – L’ECONOMIA

LA PROPOSTA – Cesare De Piccoli in commissione

L’ex sottosegretario ai Trasporti: «Ecco il progetto per il terminal in mare che “salverebbe” San Marco»

La questione la risolve alla “radice”. Niente navi crociera in transito in Bacino di San Marco. Detto e fatto. Cesare De Piccoli, già sottosegretario ai Trasporti e al Commercio nei governi Prodi e Amato, ha la grinta di chi ha vissuto a “pane e politica”. E si capisce dalla tenacia con la quale presenta il proprio piano che, però, fino a questo momento è il “suo piano” fino a quando un ente o più enti istituzionali non intendano farlo proprio e permettergli di approdare come “piano proposta” nella riunione del 25 luglio a Roma con i ministri Lupi e Orlando, prima del sospirato Comitatone.
Già. Il progetto De Piccoli almeno sulla carta taglia la testa alle polemiche e prevede, senza tanti giri di parole, l’estromissione delle grandi navi dalla laguna di Venezia. Come? Sistemando una nuova Marittima alla bocca di porto del Lido, davanti alle opere del Mose, sul lato mare, ad una distanza che possa permettere il funzionamento delle barriere mobili, e a 100 metri dal molo foraneo.
Una soluzione che punta a trasferire i “condomini del mare” all’ingresso della laguna di Venezia, ipotizzando un’operazione realizzabile in 24/36 mesi, dove i finanziamenti sarebbero a carico dello Stato almeno per una quota identica a quella prevista per l’altro progetto, quello Sant’Angelo Contorta, e comunque valutabili in circa 220-250 milioni di euro. E qui, all’imbocco del Lido, ci starebbe proprio tutto: un terminal passeggeri protetto dalle “dighe di dissipazione” realizzate per il Mose, compresa la lunata del Lido; lo spazio per otto navi crociera e l’attracco di altrettante motonavi; una struttura di terminal removibile e in prefabbricato d’acciaio; un’attenzione all’impatto ambientale e pannelli fotovoltaici per l’alimentazione energetica, e infine un ponte di collegamento con il litorale di Cavallino-Treporti.
Insomma, una “soluzione” impattante, ma di diverso spessore rispetto allo scavo del Sant’Angelo-Contorta. Ma non saranno “rose e fiori”: il punto più delicato, e forse controverso, sta nei collegamenti. De Piccoli, come ha spiegato ieri nella riunione delle commissioni consiliari sulla portualità, ha ipotizzato tre “percorsi”: il primo dall’aeroporto di Tessera via motonave lungo la laguna nord costeggiando Torcello, Burano e poi giungendo al Lido lungo un tratto di laguna profondo tre metri e impiegando al massimo mezz’ora; un secondo itinerario da Riva degli Schiavoni; il terzo – quello più accidentato – proveniente via terra da Cavallino-Treporti (viste le condizioni da terzo mondo di via Fausta…).

«Abbiamo verificato – ha spiegato ieri De Piccoli a Ca’ Farsetti – come la maggioranza dei crocieristi sia straniero (76 per cento contro il 25 per cento di italiani ndr) e che essa giunga perlopiù in aereo a Tessera. Puntando ad un collegamento via laguna tra “Marco Polo” e terminal alla bocca di porto del Lido, si ridurrebbe il flusso turistico, di solo transito, sulla città storica. Alla Marittima, a San Basilio potranno andare la crocieristica minore, la nautica da diporto, nuova residenza e sedi direzionali».

E mentre alcuni consiglieri comunali (Caccia, Lastrucci, Fortuna), in qualche modo colgono il “dato nuovo” della proposta, De Piccoli rilancia:

«Chiedo formalmente ai consiglieri che questo progetto possa arrivare sul tavolo del ministro Lupi. Questa è una vera alternativa per far continuare a vivere il porto di Venezia».

Paolo Navarro Dina

 

IL DIBATTITO A CA’ FARSETTI

VENEZIA – In attesa del progetto del Comune per le Grandi navi a Marghera, ecco quello di Cesare De Piccoli – già vicesindaco di Venezia e viceministro oltre che parlamentare – che prevede di portarle invece sul mare, in un nuovo terminal di fronte alla laguna, tra la bocca di porta del Lido e Punta Sabbioni, sfruttando, in parte, anche le strutture previste per il Mose. Lo ha presentato ieri a Ca’ Farsetti, di fronte alla Commissioni consiliari riuniti nella seconda puntata della presentazione dei progetti di estromissione della navi da crociera dal Bacino di San Marco, dopo l’audizione del giorno prima del presidente dell’Autorità Portuale Paolo Costa, che propone lo scavo del canale Contorta-Sant’Angelo per il loro passaggio. Costo ridotto, nel progetto di De Piccoli, rispetto ad altre ipotesi, navi raggiungibili con pullman e battelli dall’aeroporto di Tessera, catamarani per portare i turisti a Venezia. Impatti da calcolare, ma il Porto su questa ipotesi non ci sente. Le navi – fino a un massimo di otto – potrebbero ormeggiare in senso longitudinale alla corrente, con la prua verso il mare. Le altre navi, fino a un massimo di 40 mila tonnellate, potrebbero invece restare in Marittima. Per perfezionare il progetto, De Piccoli si è affidato a un gruppo di consulenti, ingegneri marittimi e idraulici. Previste banchine galleggianti in acciaio – e rimovibili – posizionate davanti al Mose, in bocca di porto di Lido, dalla parte di Punta Sabbioni. Il vantaggio, secondo De Piccoli sarebbe quello di avere finalmente le grandi navi fuori della laguna, collegate però alla rete viaria di terraferma e a Venezia tramite barche. Secondo lui, invece il Mose creerà più di un problema all’attività del porto di Venezia e dello stesso traffico crocieristico – che vuole difendere – perché nella conca di navigazione prevista nei periodi di chiusura delle dighe mobili non potranno entrare navi più lunghe di 250 metri. Ma i “giganti” crocieristici del mare hanno dimensioni ben maggiore e rischiano perciò di aspettare per ore con i passeggeri a bordo – in caso di alta marea – il momento per sbarcare a Venezia.(e.t.)

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Il manager ha ottenuto i domiciliari per motivi di salute ma secondo i pm non ha ancora rivelato tutto quello che sa

VENEZIA – Forse, senza l’«aiutino» medico Piergiorgio Baita sarebbe ancora nel carcere di Belluno, ma la consulenza dei due medici, che lo hanno visitato e che parla di gravi problemi di salute non avrebbe lasciato dubbi al giudice e al pubblico ministero Stefano Ancilotto, che ha dato velocemente il suo parere favorevole in modo, così che il primo ha firmato la scarcerazione. Ma se il timore che l’ingegnere inquini le prove (principale motivo per il quale è finito in una cella rimanendovi per 106 giorni), fosse definitivamente caduto, ora lui non si troverebbe agli arresti domiciliari nella sua villa di Mogliano con l’assoluto divieto di comunicare all’esterno. Per il pm e il giudice, evidentemente, non ha totalmente tagliato i ponti con tutti coloro con cui aveva rapporti quando era a capo della Mantovani spa: politici, imprenditori e tanti altri. Prova evidente che con il primo interrogatorio non ha davvero vuotato tutto il sacco, a fronte della principale domanda rivolta dai pubblici ministeri Ancillotto e Stefano Buccini: «Chi ha pagato con i numerosi milioni di fondi neri creati grazie alla fatture false di San Marino?». Ripercorrendo la fulgida carriera di Baita e soprattutto scorrendo gli appalti e i lavori che la Mantovani ha ottenuto non è difficile tracciare la mappa di chi potrebbe aver raccolto e ricevuto le mazzette. Ma i giudici e la Guardia di finanza, che conduce gli accertamenti, ha la necessità di trovare le prove. E, quindi, prima, l’intero racconto da parte di Baita, che evidentemente ancora non ha completato il racconto, anche se lo ha iniziato. In secondo luogo, i riscontri: il lavoro più difficile, visto che si tratta di fatti presumibilmente anche di alcuni anni fa. L’ex presidente della Mantovani avrebbe innanzitutto confermato circostanze e nomi già riferiti ai pm da Claudia Minutillo, Nicolò Buson e Walter Colombelli, i tre finiti in carcere con Baita che hanno però deciso prima di lui di collaborare con gli inquirenti e che sono già liberi grazie a questo. Regione Veneto, ministero delle Infrastrutture e altre istituzioni, i nomi dei personaggi politici che lo avrebbero spinto e favorito, ma anche quelli di alti dirigenti dello Stato e degli Enti locali situati nei ruoli chiave per le concessioni dei lavori che la Mantovani lungo gli anni si è assicurata nel Veneto e non soltanto. Baita, come ha già fatto dopo il primo arresto avvenuto anni fa, avrebbe dipinto uno generale di «dazione ambientale» e spiegato che tutti gli imprenditori pagano e avrebbe offerto il quadro politico di chi percepisce. Ma presumibilmente continuerà ad essere sentito dal due rappresentanti della Procura lagunare nei prossimi giorni. (g.c.)

 

«Lavori pubblici? Dettano legge le imprese»

L’avvocato veneziano Seno, veterano dei cda aziendali: «La politica ormai ha abdicato al suo ruolo»

VENEZIA «Da tempo ormai la politica ha abdicato al suo ruolo e le scelte, in particolare per i lavori pubblici, le fanno gli imprenditori». E’ lapidario Paolo Seno, avvocato con una lunga esperienza a Venezia nei consigli d’amministrazione di quelle che un tempo si chiamavano aziende pubbliche, il Casinò, quella dei trasporti Actv e Veritas. E per spiegare quell’affermazione parte da lontano, dal 2004: «Allora ero segretario della sezione Ds del Lido di Venezia», racconta, «e al congresso provinciale feci un intervento evidentemente poco ortodosso, che rimase inascoltato». Allora aveva cercato di spiegare che ormai esisteva un’anomalia nel mercato dei lavori pubblici, un’anomalia nata un ventennio prima con la concessione unica per i lavori del Mose, concessione che negli anni aveva regalato una posizione di vantaggio alle imprese del Consorzio, distruggendo le regole del libero mercato. «Mi spiego», aggiunge adesso, «il vantaggio è dato dal fiume di denaro (allora si parlava di 360 miliardi di vecchie lire, ma sono diventati più di diecimila miliardi) di finanziamenti per i lavori alle bocche di porto, che sono andati ad alcune aziende, che inoltre hanno instaurato grazie a questo un rapporto privilegiato con il potere politico. Da sottolineare, infine, che inizialmente il Consorzio Venezia Nuova era formato da varie grandi aziende e quindi il vantaggio era distribuito tra molti, mentre di fatto ora è stato fagocitato dalla Mantovani». Per l’avvocato Seno negli anni il sistema è peggiorato: «Sì, perché con la finanza di progetto (il project financing) adesso a proporre lavori e interventi non è più l’ente pubblico bensì l’impresa e nel caso specifico, il Veneto, è soltanto la Mantovani. In questo modo si bypassano le gare pubbliche, salta il controllo del libero mercato e solo da poco, tra gli esponenti della politica, qualcuno lo ha capito. Allora, nel 2004, però, davvero pochi avevano recepito il pericolo». L’avvocato veneziano, che segue attentamente le vicende dell’indagine che ha portato Piergiorgio Baita in carcere, non vuole entrare nel merito dell’inchiesta. «Io non parlo di una questione penale», prosegue, «e anche quando nel 2004 ho fatto quel discorso sottolineavo che si trattava di una questione morale, che viene prima dell’intervento della magistratura». E’ certo però, che quando la politica non compie delle scelte e lo spazio del confronto è spazzato via perché c’è ormai solo un’azienda che lavora anche i comportamenti illeciti, lui li chiama «grigi», non vengono più recepiti come tali. Scatta un’assuefazione, un’abitudine e questi comportamenti vengono fatti rientrare nella normalità. Paolo Seno non si è iscritto al Pd, sta a guardare che cosa sta succedendo e «mi pare che neppure loro lo stiano capendo» aggiunge con un sorriso. E’ comunque convinto che le imprese si sono prese lo spazio che la politica ha lasciato loro, sono gli imprenditori ora che decidono quali siano i progetti da mandare avanti. Segnala anche che la politica ha lasciato quegli spazi anche perché la qualità del personale politico è diminuita. «Mi sembra che un tempo ci fosse più di qualcuno che aveva una capacità di visione, adesso sono davvero pochissimi coloro che capiscono dove andare e come agire sulla base di questa visione» conclude.

Giorgio Cecchetti

 

 

Grandi Navi, Palais Lumierè, acqua alta e turismo di massa

Il New York Review of Books: «Troppi poteri in città»

VENEZIA – Dal Palais Lumiere alle grandi navi, passando per il turismo di massa e il pericolo dell’acqua alta. A Venezia non basta essere nella lista dei gioielli dell’Unesco per salvarsi. Perché è una città che non sa o forse non vuole guardare in faccia alla realtà, piegata ai gruppi di potere, e soprattutto governata da troppe istituzioni – locali o nazionali, di destra o di sinistra – con interessi in conflitto tra loro, che non governano il cambiamento, quando invece ci sarebbe bisogno di un reale potere per intervenire: un ruolo che il sindaco Giorgio Orsoni e Ca’ Farsetti non riusciranno mai ad avere. È impietoso il ritratto della città che si può leggere nell’ultimo numero del New York Review of Books. La rivista americana di letteratura e reportage ha dedicato a Venezia e ai suoi problemi un lungo articolo a firma di Anna Somers Cocks, fondatrice di The Art Newspaper edizione anglosassone del “Il Giornale dell’Arte” e presidente dell’associazione Venice in Peril fino al 2012. Nel suo lungo racconto descrive una Venezia che, dopo essere stata dichiarata patrimonio dell’Unesco, nel novembre scorso si è dotata di un Piano di gestione – come richieste dall’organo dell’Onu – incapace di dare risposte ai gravi problemi della città. Tralasciando il grattacielo di 250 metri proposto da Pierre Cardin, per il quale, secondo il New York Review, non si troveranno mai i soldi necessari alla sua realizzazione, i veri problemi restano due: quello delle grandi navi, appena accennato, accusa la rivista, nel Piano di gestione, che vede in ballo gli interessi del Porto e del suo presidente, Paolo Costa, descritto, al contrario del sindaco Orsoni, come un politico di potere. E quello del turismo di massa, per il quale bisognerebbe trovare il coraggio di arrivare a soluzioni drastiche (prenotazioni obbligatorie e numero chiuso) e riflettere su come i soldi che i turisti lasciano in città non stanno contribuendo abbastanza a interventi per la salvaguardia del centro storico. E tutto questo mentre il livello del mare sta crescendo, mettendo in pericolo una città che si è affidata solamente al Mose. La domanda su chi salverà Venezia resta aperta – si chiude il reportage – mentre il tempo sta per scadere. (f.fur.)

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