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Dopo tre mesi e mezzo Baita torna a casa

CASO MANTOVANI Ha parlato di tangenti per molti lavori, in particolare per un’opera di interesse nazionale

Baita, trema la Venezia degli appalti

Prime ammissioni e condizioni di salute peggiorate: l’ex presidente da ieri nella sua casa di Mogliano

SCARCERATO – Da ieri pomeriggio l’ex presidente della Mantovani, Piergiorgio Baita, ha lasciato il carcere di Belluno per andare gli arresti domiciliari. E ora qualche politico e imprenditore veneto inizia davvero a tremare.

AMMISSIONI –  Tra i motivi della scarcerazione anche i problemi cardiaci del manager. Certo è che Baita, accusato di un giro milionario di false fatturazioni, è stato interrogato due volte. E avrebbe fatto nomi eccellenti.

L’INCHIESTA – La Procura cerca riscontri. Il manager libero anche per ragioni mediche: soffre di problemi cardiaci

L’ex capo di Mantovani ai domiciliari. Avrebbe fatto i nomi di alcuni politici e leader di aziende di primo piano

Gli avvocati: detenzione incompatibile con la sua salute

Tra gli inquirenti bocche cucite e “secretati” tutti i verbali

Avrebbe fatto alcuni nomi importanti. La Procura a caccia di riscontri. A breve nuovo interrogatorio

L’INCHIESTA False fatture milionarie, l’ex presidente di Mantovani dopo tre mesi e mezzo lascia il carcere

Baita parla e va ai domiciliari

E ora qualche politico e imprenditore veneto inizia davvero a tremare. Da ieri pomeriggio l’ex presidente della Mantovani spa, Piergiorgio Baita, ha lasciato il carcere di Belluno per gli arresti domiciliari nella sua abitazione di Mogliano Veneto. A concederglieli, dopo tre mesi e mezzo, è stato il giudice per le indagini preliminari di Venezia, Alberto Scaramuzza, con parere favorevole del sostituto procuratore Stefano Ancilotto, il magistrato che sta conducendo le delicate indagini sulle false fatture milionarie utilizzate dalla società di costruzioni padovana con l’obiettivo – ritengono gli investigatori – di creare consistenti fondi neri che potrebbero essere stati utilizzati anche per pagamenti illeciti. Ed è proprio questo il filone delle indagini che si preannuncia ricco di novità a breve: è difficile interpretare in altro modo, infatti, l’uscita dal carcere del manager accusato di aver ideato e gestito direttamente il vorticoso giro di false fatturazioni. Baita è già stato interrogato due volte dal pm Ancilotto e dal collega che lo affianca nell’inchiesta, Stefano Buccini, ed evidentemente il suo racconto è stato più ricco di particolari e nomi di quanto sia trapelato finora dai verbali secretati e dal riserbo degli inquirenti.
Per le pesanti accuse che gli vengono contestate – associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale – Baita rischiava di restare in carcere per altri dodici mesi (o almeno fino alla sentenza di primo grado) a seguito della richiesta di rito immediato che ha prorogato di un anno i termini di custodia cautelare. I domiciliari sono stati concessi in quanto si sono attenuate le esigenze cautelari, cosa che normalmente avviene quando non vi è più la possibilità di inquinare le prove, ovvero dopo aver confessato.
In Procura le bocche sono tutte cucite e si tende a minimizzare il significato della scarcerazione; mentre uno dei difensori di Baita, l’avvocato Alessandro Rampinelli, spiega che tra i motivi che hanno spinto il gip a concedere i domiciliari vi sono le condizioni di salute del manager: una consulenza medica commissionata dai legali, infatti, ha concluso per una sua incompatibilità con la permanenza in carcere a causa di problemi cardiaci.
Soltanto nell’ultimo interrogatorio Baita ha parlato con i pm per oltre tre ore e mezza, fornendo un quadro generale del funzionamento del mondo degli appalti, nel quale il pagamento di “mazzette” è sempre più diffuso. Rispondendo alle domande dei magistrati su circostanze specifiche il manager avrebbe anche confermato episodi e nomi già riferiti da altri. Con molte probabilità ulteriori interrogatori seguiranno a breve.
Anche senza le confessioni dell’ex presidente di Mantovani, la Procura sarebbe, comunque, già in possesso di una montagna di elementi d’accusa, raccontati in particolare dagli altri indagati, tutti già tornati in libertà: Claudia Minutillo, vicepresidente di Adria Infrastrutture ed ex segretaria dell’allora presidente della Regione, Giancarlo Galan; il padovano Nicola Buson, chiamato in causa in qualità di responsabile amministrativo della Mantovani e William Colombelli, presidente della sammarinese BMC Broker, società che ha prodotto una parte consistente delle false fatture utilizzate dalla Mantovani. L’estate si preannucia, dunque, particolarmente calda, e non soltanto sul fronte metereologico.

Gianluca Amadori

 

Tra ex ministri e vecchi portaborse

Il manager avrebbe “spiegato” alcuni appalti importanti, citando personaggi eccellenti di politica ed economia

I nomi ci sono, ma sono talmente “grossi” che, per ogni nome pronunciato da Baita, si stanno facendo tonnellate di riscontri. Il pm Stefano Ancilotto va con i piedi di piombo. Ma nonostante i verbali di Baita siano stati secretati, i nomi cominciano a filtrare e alcuni dei futuri indagati hanno già preso contatto con gli avvocati. Ma per uno che sa già di essere nel mirino, ce ne sono dieci che si aspettano il peggio e solo chi ha un seggio in Parlamento per ora è un po’ più tranquillo dal momento che la Procura deve mandare tutte le carte a Roma e serve l’autorizzazione a procedere. Tutti gli altri invece temono le manette. E dunque c’è grande movimento di avvocati più o meno illustri attorno alle aziende che hanno lavorato alle grandi opere del Veneto dell’era Baita. E se Baita ha deciso di parlare – e non ci sono dubbi – resta solo da vedere fino a che punto parlerà e chi coinvolgerà. Finora ha fatto interrogatori “selettivi”, chiarendo con meticolosa precisione il sistema degli appalti. Ha spiegato che per ottenere gli appalti pubblici non c’è altro sistema che pagare i partiti. Ha spiegato che pagano tutti. E per tutto. Ed ha acceso un riflettore su alcuni appalti importanti e su uno importantissimo. Per adesso la Procura si sta occupando di questo appalto “importantissimo”, che chiama in causa alcuni tra i nomi più importanti delle aziende e della politica nazionale. Si tratta di un’opera totalmente finanziata dallo Stato, la più grande – e la più discussa – che sia mai stata realizzata.
Nella “selezione” fatta da Baita sono già finiti i vertici delle imprese che lavorano a questa grande opera. A cominciare dall’uomo che da sempre guida la cordata che si è aggiudicata questo appalto miliardario. Ma poi c’è tutto il resto. E se è vero quel che sostiene Baita e cioè che tutti gli appalti pubblici sono “mazzettati”, allora la Procura di Venezia vorrà andare a vedere con Baita appalto per appalto, commessa per commessa. Il lavoro, dunque, è solo all’inizio dal momento che la Mantovani, di cui Baita era il supermanager, solo a Venezia ha partecipato alla costruzione di tutto e di più (Mose, nuovo ospedale di Mestre, parco di San Giuliano, tramvia, mega insediamento di via Torino). Ma in vent’anni la Mantovani ha vinto appalti dappertutto. Partecipa all’Expo di Milano 2015 per lavori pari a 165 milioni di euro.

Maurizio Dianese

 

IL BLITZ DEL 28 FEBBRAIO – Minutillo, la prima a rompere il muro del silenzio

L’operazione “Aria nuova” scatta all’alba dello scorso 28 febbraio con 4 arresti e decine di perquisizioni della Guardia di Finanza. All’inizio tutti scelgono la linea del silenzio: a rompere il fronte è Claudia Minutillo; poi scelgono di parlare Colombelli e Buson. Tutti stanno ora concordando il patteggiamento con il pm Ancilotto.
Baita ha cambiato linea verso la fine di maggio e i suoi iniziali difensori, Piero Longo e Paola Rubini, hanno rimesso il mandato, lasciando il posto ad Alessandro Rampinelli ed Enrico Ambrosetti.

 

Prime ammissioni sui beneficiari dei fondi neri.

I consulenti della difesa: condizioni di salute incompatibili con la detenzione

VENEZIA – Dopo 106 giorni di cella, Piergiorgio Baita, ieri pomeriggio, è uscito dal carcere di Belluno: l’ex presidente della “Mantovani spa” ha ottenuto gli arresti domiciliari dallo stesso giudice che aveva firmato l’ordinanza di custodia cautelare per associazione a delinquere e frode fiscale, Alberto Scaramuzza. A chiedere l’attenuazione della misura erano stati i suoi due nuovi difensori, gli avvocati Alessandro Rampinelli ed Enrico Ambrosetti dopo il primo ed unico interrogatorio sostenuto dal loro cliente. Il pubblico ministero di Venezia Stefano Ancilotto ha dato parere positivo, anche perché i due medici che lo avevano visitato avevano già firmato una consulenza nella quale si afferma che le sue condizioni di salute sono incompatibili con la detenzione in carcere. Da ieri Baita è tornato nella sua villa a Mogliano Veneto ed è sottoposto ad un regime che prevede che non possa uscire di casa e non possa comunicare con altre persone, se non i suoi parenti. Fino al 30 maggio, qualche giorno dopo aver cambiato i suoi difensori (prima erano gli avvocati padovani Pietro Longo e Paola Rubini), Baita non aveva voluto rispondere alle domande degli inquirenti, trincerandosi dietro il diritto che tutti gli indagati hanno, quello di tacere. Giovedì 30 maggio, difeso dagli attuali avvocati Ambrosetti e Rampinelli, ha cominciato a rispondere alle domande del pm Ancilotto e ad ammettere alcune delle contestazioni mossegli con l’ordinanza di custodia cautelare. Ma al quesito sull’utilizzo dei fondi neri l’ingegnere non avrebbe voluto rispondere. Si dovrebbe trattare di circa sei milioni e mezzo di euro, ma la cifra è stata ricostruita dagli investigatori della Guardia di finanza in modo ipotetico, visto che ancora non hanno potuto entrare in possesso della documentazione bancaria richiesta per rogatoria alle autorità svizzere nelle cui banche si trovano i soldi di Baita. Non è escluso che dopo la scarcerazione, siano gli stessi difensori di Baita, come è accaduto per il primo incontro, a chiedere un secondo interrogatorio, durante il quale è fuori di dubbio che la prima domanda del pubblico ministero sarà: «A chi sono finiti quei sei milioni e mezzo di fondi neri costituiti con le fatture fasulle? Che cosa ne ha fatto?». Alcune indicazioni devono aver già dato gli altri tre indagati: il contabile della Mantovani Nicolò Buson, ad esempio, più volte sarebbe andato a Roma con Baita per eseguire pagamenti, sicuramente quelli che riguardano il giornale on line “Il Punto”, che gli inquirenti sospettano essere legato ad alcuni esponenti dei servizi segreti. In secondo luogo l’ex segretaria in Regione di Giancarlo Galan, poi lanciata come manager, che molti politici ha frequentato sia nella vita precedente, quella trascorsa a Palazzo Balbi, sia quella successiva da amministratore delegato di «Adria Infrastrutture». Infine, William Colombelli, che andava personalmente a ritirare i soldi nella banca di San Marino per riportarli in Veneto assieme alla Minutillo. Valigette che lui stesso ha sostenuto di aver consegnato a Baita. È da quest’ultimo, però, che gli inquirenti si aspettano di avere indicazioni. Del resto, il suo difensore precedente, l’avvocato Longo, avrebbe abbandonato anche nel timore di una incompatibilità: nel caso l’ingegnere avesse deciso di parlare potrebbero infatti spuntare nomi di uomini del partito al quale appartiene e per il quale l’avvocato siede in Parlamento per la seconda legislatura.

Giorgio Cecchetti

 

Ha trascorso 106 giorni in carcere a Belluno

Ha fatto 106 giorni di carcere a Belluno. Piergiorgio Baita, presidente e amministratore delegato dell’impresa Mantovani, era stato arrestato all’alba del 28 febbraio scorso dal nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Venezia nell’ambito dell’inchiesta della magistratura che ha portato incarcere altre tre persone: Claudia Minutillo, amministratore Delegato di Adria Infrastrutture S.p.A.; Nicolò Buson responsabile amministrativo della Mantovani e William Colombelli, presidente della sammarinese BMC Broker S.r.l., ritenuto a capo di una società cartiera. Sono tutti accusati di associazione per delinquere finalizzata all’evasione delle imposte mediante emissione e utilizzo di fatture false per un importo complessivo di 10 milioni di euro anche nei lavori del Mose, il sistema di sicurezza contro l’alta marea gestito dal Consorzio Venezia Nuova. Sequestrati beni per quasi alcuni milioni di euro. Nella stessa giornata erano scattate 45 perquisizioni tra le province di Padova, Venezia, Bologna e Lecco.

 

Nuova Venezia – Venezia, Mose, fissata la prima paratoia

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15

giu

2013

 

Cinque ore di manovre per ancorarla al fondale. La settimana prossima arriva la seconda, poi le prove.

Prima paratoia agganciata. Un quarto di secolo dopo il Mose (Modello sperimentale elettromeccanico) il progetto di dighe mobili vede realizzare il primo modulo completo nella bocca di porto di Lido, lato Treporti. Ieri mattina intorno alle 11 la squadra di tecnici e operai del Consorzio Venezia Nuova (Mantovani, Condotte e Fincosit riunite nel gruppo Co.mar) hanno completato l’installazione della prima paratoia in acciaio sul fondo. Qualche ora per avviare l’operazione, e calare sott’acqua con il grande «mezzo di varo» della ditta Fagioli la paratoia. Raggiunto il fondale è stata «agganciata» ai cassoni in calcestruzzo dall’interno, collegando la cerniera maschio con la femmina attraverso il gruppo connettore. Operazione conclusa con successo, dicono entusiasti gli ingegneri del Consorzio. Tolleranza minima, di pochi millimetri, rispettata. Il grande scatolone giallo era arrivato a Treporti l’altro giorno, trainato da Marghera a bordo di una enorme zattera. La grande gru a parallelepipedo della ditta Fagioli ha iniziato le operazioni per l’affondamento alle 5 del mattino, concludendole quasi sei ore dopo. Adesso la settimana prossima toccherà alla seconda paratoia, che arriverà lunedì sempre dal cantiere nell’ex area Pagnan adibito a centro operativo. Alla fine di luglio saranno quattro le paratoie installate nel varco di Treporti, su cui cominceranno a breve le «prove in bianco». Dalla vicina isola artificiale del bacàn saranno azionati i meccanismi per il sollevamento delle parti metalliche. La paratoia sarà riempita d’aria compressa e svuotata dell’acqua che la mantiene in condizione di riposo. Per abbassarla si farà l’operazione contraria, allagandola all’interno. Il manufatto in acciaio è di quelli «più piccoli», vista la minore profondità della bocca di porto di Lido. Sono alte 20 metri e lunghe 18 e mezzo, spesse 3 metri e mezzo, le paratoia di Malamocco sono alte invece fino a 30 metri. Secondo il cronoprogramma il Mose dovrebbe essere completato entro il 2016. Le paratoie saranno in tutto 78, di cui 40 alla bocca di porto di Lido – la più ampia con i suoi 900 metri di larghezza – separate al centro dalla nuova isola artificiale. Milioni di metri cubi di materiale sono stati scavati e sostituiti con il calcestruzzo, per fare da base alle pesanti strutture. Il livello dei fondali è stato bloccato a 11 metri al Lido. Il costo dell’intera opera è arrivato a 5 miliardi e 600 milioni di euro. Quasi quattro volte quello preventivato nel progetto di massima del 1988. I finanziamenti sono per ora garantiti dal Cipe, ma restano esclusi i fondi per la gestione e la manutenzione. I lavori proseguono, e il Comitatone si occuperà adesso più di grandi navi e altre opere che del Mose. Anche se i comitati non demordono. E hanno chiesto al comitato interministeriale di discutere delle questioni della sicurezza della struttura, dopo i dubbi tecnici – e dalla tenuta del sistema in caso di mare agitato, emersi dallo studio della società francese Principia.

Alberto Vitucci

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PUNTA SABBIONI

Era stata posizionata nei giorni precedenti a cavallo del cassone di Lido-Treporti, ieri mattina sono sono iniziate le operazioni di varo della prima paratoia mobile del Mose a cura del Consorzio Venezia Nuova.
L’appuntamento doveva essere alle prime luci dell’alba, in realtà solo verso le 8 il gigantesco manufatto ha iniziato ad essere lentamente calato in acqua, grazie alla trave pescatrice all’interno del portale di varo.
Un’operazione particolarmente lenta per permettere alla paratoia di adeguarsi alla diversa temperatura dell’acqua, in modo da limitare l’impatto termico e controllata a distanza dalla sala operativa mentre si riempiva di acqua. Una volta arrivata al livello del fondale, dentro l’incavo del cassone, a una profondità di circa 6 metri la paratoia è stata collegata tramite i due maschi delle cerniere, che sono stati inseriti e agganciati alle femmine mediante il gruppo tensionatore.
Molte maestranze sono state coinvolte in questa delicata operazione, dagli operai sul mezzo di varo e sui pontoni per la movimentazione della paratoia, ai sommozzatori che hanno seguito tutte le fasi delle lavorazioni sommerse.

 

IL TERMINAL IN ALTO MARE – Dopo il siluro della presidente del Friuli i parlamentari veneziani dello stesso partito replicano: «E’ indispensabile»

L’affondo di Trieste con la “governatrice” Debora Serracchiani che ha bocciato il progetto di porto off shore targato Venezia in Alto Adriatico ha causato più di una reazione, ma soprattutto qualche imbarazzo di troppo. Ed è il caso del Partito Democratico. Ed è proprio dopo il “siluro” sull’off shore di un’autorevole esponente Pd come la Serracchiani, che la pattuglia di parlamentari Pd eletti in Veneto (Andrea Martella, Michele Mognato, Delia Murer, Davide Zoggia) ha cercato ieri di metterci una pezza. Certo, non proprio un compitino facile di fronte al “colpo basso” della presidente del Friuli Venezia Giulia.

«Il porto off shore – dicono i parlamentari pd – è un’opera in stato avanzato di progettazione, che ha già una sua prima copertura finanziaria e che è essenziale in vista dell’entrata in funzione del Mose. Senza questa piattaforma la portualità veneziana è destinata a chiudere, visto che la dimensione crescente delle navi non può essere rincorsa con continui ampliamenti della conca di navigazione alla bocca di Malamocco. In ogni caso l’intervento è necessario per rendere compatibile l’attività del porto con la salvaguardia della sua laguna. Siamo certi che la presidente Serracchiani non vorrà ignorare queste esigenze, che non sono un segnale di rottura in quel necessario lavoro di sinergia tra gli scali dell’alto Adriatico. Quindi nessun tentativo di fagocitare altri porti, anzi siamo di fronte ad un valore aggiunto».

E mentre il consigliere Pd, Lucio Tiozzo se la prende per l’assenza nel dibattito del governatore Zaia (“Almeno Serracchiani fa il suo lavoro” ha tagliato corto l’esponente Pd), lo stesso presidente del Veneto è sceso in campo: «Non vedo niente di positivo per nessuno in un insieme di porti adriatici dove ciascuno pensi di crescere mettendosi in concorrenza con gli altri. Faccio una proposta: mettiamo assieme ciascuno i nostri dossier e incontriamoci. Confrontiamoci, vediamo e verifichiamo le partite in gioco, quali cose possiamo fare assieme; quello che ci può unire e quello che magari (potrebbe anche essere) ci divide. Verifichiamo se e come le divisioni sono superabili». (p.n.d.)

 

bocca di porto lido- treporti

Si sono concluse le attività preparatorie per l’installazione della prima paratoia del Mose, arrivata la scorsa settimana insieme al “portale di varo” alla bocca di porto di Lido, lato Treporti. Nelle prossime ore si procederà alla posa della paratoia nel “cassone” già predisposto sott’acqua nel canale di bocca. Il mezzo di varo calerà la paratoia nella sua sede, in modo che i maschi solidali alla paratoia si aggancino alle femmine solidali al cassone. Gli operai, nelle sale operative interne al cassone, procederanno alla fase di aggancio mediante il gruppo tensionatore. Nelle immagini, il mezzo di varo (in rosso) e la paratoia (in giallo) in posizione per essere calata nel cassone già installato nel fondale del canale di bocca di Treporti. Lo scatolone di metallo, 30 metri per 20, spesso cinque metri, è arrivato ieri a Punta Sabbioni trainato da un rimorchiatore che l’aveva prelevato in area Pagnan, a Marghera. Qui le prime quattro paratoie costruite nei cantieri di Monfalcone sono state preparate per il varo con il montaggio della cerniera. La settimana prossima, dopo 30 anni di studi, a 25 anni dalla presentazione del progetto e a dieci dall’avvio dei lavori, il progetto Mose entrerà nella fase più delicata. La paratoia, una delle 79 che dovranno chiudere i tre varchi delle bocche di porto entro il 2016, sarà calata sul fondo e agganciata ai cassoni in calcestruzzo, già posizionati a una profondità di 13 metri. Poi cominceranno le «prove in bianco», come le chiamano gli ingegneri, per vedere in loco se il meccanismo sott’acqua funziona o ha bisogno di correttivi. Entro l’estate seguiranno le altre paratoie. Così per la primavera prossima il primo varco, quello da Punta Sabbioni all’isola artificiale del bacàn di Sant’Erasmo (21 paratoie) dovrebbe essere chiuso. Si lavora anche all’altro varco, lato San Nicolò, e a Malamocco, dove la conca di navigazione è quasi ultimata. Ma a meno di dieci anni dalla sua progettazione risulta già «vecchia», e inadatta a ricevere durante il maltempo e le fasi di chiusura del Mose, navi sopra un certo tonnellaggio. Per questo si pensa a un nuovo porto off shore (costo quasi tre miliardi di euro). Il Mose ha i soldi garantiti, perché il governo lo ha definito grande opera di priorità nazionale. Fino ad oggi sono stati stanziati circa 4 miliardi di euro dei 5 e mezzo necessari per la sua ultimazione. I lavori sono arrivati a oltre due terzi. Sono state realizzate le dighe foranee e la conca di navigazione a Malamocco, i porti rifugio a Treporti e Ca’ Roman, le dighe esterne a Malamocco, Chioggia e San Nicolò. Quest’ultima semidistrutta da una mareggiata nel novembre dell’anno scorso. Realizzati anche gli scavi dei canali e l’isola artificiale che ospiterà anche la centrale elettrica e gli edifici di controllo del Mose, che avrà il suo centro operativo in Arsenale. Qui saranno periodicamente trasportate le paratoie, al ritmo di una al mese, per essere ripulite, verniciate e poi rimesse nel sito.

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Gazzettino – Venezia. In acqua la prima paratoia del Mose

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14

giu

2013

AVANZAMENTO – Nelle prossime settimane ne saranno collocate altre tre con la stessa tecnica

Stamattina all’alba è stata calata a sei metri di profondità. In agosto la prima prova “in bianco”

Questa mattina verso le 5, approfittando della fase di morto d’acqua ovvero del periodo di minima escursione tra l’alta e la bassa marea, sarà posizionata la prima delle 21 paratie del Mose alla bocca di porto del Lido dal lato di Treporti da parte del Consorzio Venezia Nuova. Si sono infatti concluse in questi giorni le fasi preparatorie per l’avvenimento che segna una data storica nelle tappe di realizzazione del più imponente intervento di salvaguardia di Venezia, anche con la posa di adeguate corsie di segnalazione intorno al portale di varo. La settimana scorsa la sovrastruttura di metallo che serve da carro ponte è stata collocata a cavallo del cassone di Punta Sabbioni e fissata in modo da risultare stabile. Quando è stata assicurata la resistenza del portale di varo, la gigantesca paratoia gialla, appoggiata su un pontone, è stata condotta all’interno della struttura e agganciata grazie a una trave pescatrice a circa tre metri di altezza rispetto al pelo dell’acqua. Questa mattina la paratoia scenderà fino a quota meno sei con una procedura guidata da un software mentre si riempie d’acqua. Rimanendo parallela alla superficie del mare, infatti, al suo interno dalle aperture lato mare entrerà l’acqua che la zavorrerà. E sarà controllato e valutato questo processo rispetto ai tempi di discesa e di riempimento finora solo simulati. Il mezzo di varo calerà la paratoia nella sua sede in modo che i maschi solidali alla paratoia si aggancino alle femmine solidali al cassone. Gli operai nelle sale operative interne al cassone procederanno con la fase di aggancio con il gruppo tensionatore.
In pratica la paratoia verrà calata nella stessa posizione di quando sarà a riposo, per sollevarsi solo in caso di acqua alta insieme alle altre che formeranno una barriera per la marea. Nelle prossime settimane lo stesso procedimento sarà usato per altre tre paratoie, mentre per agosto sono previste le prime prove in bianco per verificare – pur in assenza di acqua alta – in quanto tempo effettivamente avverrà il sollevamento della paratoia, come questo procedimento si svolge. Per la fine di novembre dovrebbero arrivare a destinazione tutte e 23 le paratoie (21 più due di riserva) che man mano fanno la prima tappa a Marghera all’ex area Pagnan.

Raffaella Vittadello

 

Giovedì a Roma il vertice con il ministro. Trevisanato: «Ci dicano cosa dobbiamo fare». Denunce in arrivo per i manifestanti

Alternative sul tavolo. E poteri di decisione alla città. Il giorno dopo la grande manifestazione contro le grandi navi, il dibattito politico si infiamma, in vista della convocazione, fissata per giovedì a Roma, al ministero delle Infrastrutture.

«Bisogna mettere insieme la salvaguardia di Venezia e il turismo»,

ha detto ieri il ministro Lupi. Il sindaco Orsoni vuole una soluzione alternativa.

«Se non si fa niente si esasperano gli animi»,

dice. Ieri la questione è approdata in Consiglio comunale. Ordine del giorno trasversale – non firmato dal Pdl – che chiede una comparazione tra i vari progetti alternativi. «Ne dovranno parlare le commissioni consiliari, con un dibattito aperto alla città», dice Renzo Scarpa, consigliere del Gruppo Misto tra i promotori della raccolta firme per presentare la mozione. Intanto a chiusura della tre giorni di protesta «Par tera e par mar» il comitato No Grandi navi canta vittoria. Grande successo della manifestazione, che ha visto la partecipazione oltre ai comitati anche di molti cittadini comuni, nonostante il maltempo del pomeriggio. I manifestanti hanno anche «bucato» i media nazionali ed esteri, ottenendo servizi sulle tv e i quotidiani nazionali. In più la solidarietà di molti artisti e uomini di cultura, come il fotografo Gianni Berengo Gardin, che ha donato loro alcuni scatti d’autore sull’impatto delle grandi navi.

«Abbiamo scritto al sindaco Orsoni», dice il portavoce Silvio Testa, «invitandolo a non forzare la mano proponendo a Roma soluzioni non condivise dalla città». «Tutte le ipotesi alternative», continua il comitato, «prevedono di spostare la Marittima o di cambiare il percorso, addirittura in qualche caso raddoppiando le strutture con il senso unico a San Marco. Una follìa. Bisogna invece cambiare filiera, abbandonare un modello croceristico insostenibile, privilegiando invece il traffico degli yacht e delle piccole navi da crociera. Una soluzione a portata di mano, che porterebbe lavoro e ricchezza senza arrecare danni alla città e alla salute dei cittadini».

«La manifestazione ha dimostrato che quel modello di crociere non è sostenibile per la nostra città», scrivono i consiglieri Beppe Caccia e Camilla Seibezzi della lista In Comune, «la propaganda dei sostenitori e di chi difende, come il presidente di Vtp Trevisanato solo gli interessi di lobby estranee alla città, ha fatto davvero il suo tempo, Adesso bisogna perseguire alternative credibili, scientificamente valide, tenendo presente quello che prescrive il Pat e la richiesta che la città riprenda la sovranità sulle sue acque».

La votazione della mozione è stata alla fine rinviata, con qualche voto contrario nel Pd. Ma il suo significato politico resta. Intanto il presidente della Vtp Sandro Trevisanato parla di «comportamenti irrazionali». E insiste: «La navigazione in laguna è sicura, abbiamo la Marittima che è un gioiello che il mondo ci invidia: io dico fateci arrivare le navi. Poi non siamo noi i governanti, anche se ci accusano di tutto, siamo un concessionario. Non possiamo decidere di non far passare le navi. Ci dicano cosa fare». Denuncia in arrivo per i manifestanti e i blocchi, i ritardi delle partenze delle grandi navi? «Noi non ne faremo», dice il presidente, «c’erano le forze dell’ordine presenti, che hanno visto e hanno l’obbligo di denuncia». E qualche denuncia è in arrivo per il gruppo di manifestanti che ha tentato domenica mattina di forzare il blocco dei celerini e dei carabinieri davanti ai cancelli della Marittima. Per tutti l’accusa è di aver violato le prescrizioni dell’autorità. Poiché la Questura aveva chiesto ai manifestanti di arrivare al Mercato Ortofrutticolo del Tronchetto e non alla Marittima. «Ai venditori di frutta e verdura non avevamo niente da dire», hanno commentato i manifestanti. La Digos sta anche visionando i tanti filmati e le fotografie scattate durante il corteo. Per qualche ragazzo potrebbero scattare anche altre contestazioni, come quelle di resistenza. Ma si è trattato di piccoli episodi – come lo svuotamento di un estintore vicino ai carabinieri – e di qualche scaramuccia. Nulla in confronto agli scontri violenti del settembre scorso. In più, stavolta, la manifestazione ha ottenuto la platea internazionale. Adesso l’appuntamento è per giovedì.

Alberto Vitucci

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COSTA: «SCAVARE IL CANALE CONTORTA- SANT’ANGELO»

Un nuovo canale in mezzo alla laguna. Il progetto dell’Autorità portuale prevede di scavare una nuova via d’acqua in laguna centrale – il canale Contorta Sant’Angelo – per consentire l’accesso delle grandi navi alla Marittima dalla bocca di porto di Malamocco. Quaranta milioni di euro servirebbero per approfondire il canale e portarlo alla profondità di 10 metri, rispetto ai 2 attuali. Il canale sarebbe largo almeno cento metri, e dovrebbe consentire il passaggio di due navi nei due sensi contemporaneaemtne, con un nuovo bacino di evoluzione. Le navi entrerebbero da Malamocco, percorrendo la prima parte del canale dei Petroli, per poi imboccare il Contorta e arrivare in Marittima. In questo modo, sostiene il Porto, le navi resterebbero in Marittima dove sono state costruite infrastrutture da milioni di euro. L’obiezione principale, avanzata anche dall’ingegnere idraulico Luigi D’Alpaos, riguarda i danni che il passaggio delle navi provocherebbe alla laguna, con l’erosione dei fondali e la loro permanenza in città. (a.v.)

 

ORSONI: «LE BANCHINE A MARGERA IN AREA SYNDIAL»

«Le grandi navi a Marghera. Un progetto che si potrebbe realizzare in tempi brevissimi, con costi molto ridotti. Lo avevamo proposto un anno fa, a quest’ora sarebbe completato». È l’idea del sindaco Giorgio Orsoni, che insiste da tempo su questa ipotesi. Banchine per le meganavi di oltre 300 metri di lunghezza potrebbero essere facilmente attrezzate nell’area dell’ex Syndial. Il luogo consentirebbe anche collegamenti facili con la rete autostradale e l’aeroporto. In questo modo si potrebbe anche rivitalizzare a uso portuale un’area industriale dismessa. Qui le obiezioni sono del Porto. «Troppo traffico di mercantili in quell’area», dice il presidente Paolo Costa, «lì le grandi navi non ci stanno». Non c’è grande entusiasmo nemmeno da parte dei comitati. «Mettere le navi a Marghera significa tenerle dentro la laguna, dare per buono questo assurdo modello di sviluppo della croceristica». Sempre in area industriale, ma sulle barene lagunari di Mira (Dogaletto) la Vtp ha progettato una nuova Marittima per le navi superiori a un certo tonnellaggio.

 

DE PICCOLI: «NUOVA MARITTIMA A PUNTA SABBIONI»

Banchine per grandi navi a Punta Sabbioni, davanti alle dighe del Mose. In origine si chiamava progetto «Perla», era stato proposto al governo come alternativa alle dighe del Mose. Con le navi fuori dalla laguna si potevano rialzare i fondali e il Mose sarebbe stato inutile. Adesso Cesare De Piccoli, ex vicesindaco, parlamentare europeo e già viceministro, rilancia la sua idea: per spostare le navi il posto migliore è Punta Sabbioni. Costo ridotto rispetto ad altre ipotesi, navi raggiungibili con pullman e battelli dall’aeroporto, catamarani per portare i turisti a Venezia. Impatti da calcolare, ma il Porto su questa ipotesi non ci sente. La vedono con favore invece molti ambientalisti e comitati. Le navi – fino a un massimo di otto – potrebbero ormeggiare in senso longitudinale alla corrente, con la prua verso il mare. Le altre navi, fino a un massimo di 40 mila tonnellate, potrebbero invece restare in Marittima. Per perfezionare il progetto, De Piccoli si è affidato a un gruppo di consulenti, ingegneri marittimi e idraulici.

 

l’ex cantiere del mose a Santa Maria del Mare

Navi fuori della laguna. La parola d’ordine dei comitati non è una novità. Già negli anni Settanta l’architetto Pino Rosa Salva, presidente onorario di Italia Nostra scomparso qualche anno fa, aveva progettato l’avamporto. Struttura a V davanti a San Nicolò, navi al riparo dalle correnti ma fuori della laguna. Il progetto è stato poi realizzato a Montecarlo. Tra le ipotesi per estromettere dalla laguna i transatlantici quella – avanzata dall’Autorità portuale lo scorso anno – di pensare a un riutilizzo del cantiere del Mose a Santa Maria del Mare. Oppure quello di prevedere insieme ai petroli e ai container, anche una banchina per le grandi navi nel porto off shore progettato sempre dal Porto 8 miglia al largo di Malamocco. Tra i progetti depositati per le alternative alla Marittima anche l’idea di Ferruccio Falconi, ex capo dei piloti del porto, che prevede invece di realizzare nuove banchine davanti a Sant’Erasmo. «Protette dai venti e dalle correnti, vicine alla bocca di porto», dice.

 

NO GRANDI NAVI – In mattinata una manifestazione fino alla Marittima nonostante il no della Questura

Nel pomeriggio sfilata di barche di ogni tipo in canale della Giudecca contro le navi crociera

Doppia mobilitazione di protesta, oggi, per il terzo e ultimo giorno del summit internazionale contro le grandi navi e le grandi opere. La prima alle 10, con un corteo che partirà da piazzale Roma per raggiungere il mercato ortofrutticolo, come richiesto dalla Questura. E la seconda alle 16, con presidi a San Basilio e a Sacca Fisola e barche lungo il canale della Giudecca (con un vaporetto affittato dagli organizzatori per trasportare i manifestanti da una riva all’altra).
Principale incognita, il corteo della mattina, dal momento che l’imposizione di non sconfinare nella Stazione passeggeri per un sit-in non è piaciuta. Ieri, nel quartier generale di «Par Tera & par Mar» nei campi sportivi di Sacca Fisola, bocche cucite sul da farsi. Salvo per Tommaso Cacciari di Global Project, che con la frase «Il porto lo vorremmo raggiungere», eventuali sorprese non le ha confermate né smentite. Manifestando invece una più chiara volontà di «bloccare la partenza delle grandi navi» nel pomeriggio, e compatibilmente con il numero ancora imprecisato d’imbarcazioni che aderiranno alla protesta.
Sempre ieri, a Sacca Fisola, l’assemblea in streaming dei comitati e delle associazioni del Veneto e del Nordest e quella dei comitati internazionali, per discutere e confrontarsi «sul sistema politico-affaristico all’origine di grandi opere il più delle volte inutili». Per Piero del Comitato No Tav, «un modello di sviluppo distruttivo, da criticare radicalmente in Italia e in Europa». E dove, per il Nordest, oggetto di contestazione sono state soprattutto le giunte regionali Galan e Zaia, «per il sostegno a una politica che ha prodotto solo danni, debito pubblico e corruzione. Dal Mose fino alle grandi navi, ultima espressione di un futuro smisurato».
Univoca, nei relatori, la richiesta di collaborare «in difesa dei beni comuni». Attraverso la creazione «di un laboratorio per lavorare tutti insieme a modelli di sviluppo alternativi, e per una solidarietà più ampia in una battaglia per il cambiamento».
Prossimi appuntamenti, lo Sherwood Festival, in programma a Padova il primo luglio. E il terzo «Forum internazionale contro le grandi opere inutili e imposte», organizzato a Stoccarda tra il 25 e il 29 dello stesso mese.

 

Un gigante di acciaio di 30 per metri per 20. Alla fine saranno 79 distribuite nelle tre bocche di porto Dopo trent’anni di studi e polemiche la prossima settimana cominciano le “prove in bianco”

Ecco la prima paratoia del Mose. Con le cerniere montate, pronta ad essere installata sul fondale della bocca di porto di Lido, lato Treporti. Lo scatolone di metallo, 30 metri per 20, spesso cinque metri, è arrivato ieri a Punta Sabbioni trainato da un rimorchiatore che l’aveva prelevato in area Pagnan, a Marghera. Qui le prime quattro paratoie costruite nei cantieri di Monfalcone sono state preparate per il varo con il montaggio della cerniera. La settimana prossima, dopo 30 anni di studi, a 25 anni dalla presentazione del progetto e a dieci dall’avvio dei lavori, il progetto Mose entrerà nella fase più delicata. La paratoia, una delle 79 che dovranno chiudere i tre varchi delle bocche di porto entro il 2016, sarà calata sul fondo e agganciata ai cassoni in calcestruzzo, già posizionati a una profondità di 13 metri. Poi cominceranno le «prove in bianco», come le chiamano gli ingegneri, per vedere in loco se il meccanismo sott’acqua funziona o ha bisogno di correttivi. Entro l’estate seguiranno le altre paratoie. Così per la primavera prossima il primo varco, quello da Punta Sabbioni all’isola artificiale del bacàn di Sant’Erasmo (21 paratoie) dovrebbe essere chiuso. Si lavora anche all’altro varco, lato San Nicolò, e a Malamocco, dove la conca di navigazione è quasi ultimata. Ma a meno di dieci anni dalla sua progettazione risulta già «vecchia», e inadatta a ricevere durante il maltempo e le fasi di chiusura del Mose, navi sopra un certo tonnellaggio. Per questo si pensa a un nuovo porto off shore (costo quasi tre miliardi di euro).

Il Mose ha i soldi garantiti, perché il governo lo ha definito grande opera di priorità nazionale. Fino ad oggi sono stati stanziati circa 4 miliardi di euro dei 5 e mezzo necessari per la sua ultimazione. I lavori sono arrivati a oltre due terzi. Sono state realizzate le dighe foranee e la conca di navigazione a Malamocco, i porti rifugio a Treporti e Ca’ Roman, le dighe esterne a Malamocco, Chioggia e San Nicolò. Quest’ultima semidistrutta da una mareggiata nel novembre dell’anno scorso. Realizzati anche gli scavi dei canali e l’isola artificiale che ospiterà anche la centrale elettrica e gli edifici di controllo del Mose, che avrà il suo centro operativo in Arsenale. Qui saranno periodicamente trasportate le paratoie, al ritmo di una al mese, per essere ripulite, verniciate e poi rimesse nel sito. Un’opera infinita, che avrà costi molto elevati. Intanto non si placano le polemiche e le obiezioni alle dighe. Il Comitato «No Mose» ha chiesto garanzie sul proseguimento dei lavori, soprattutto in base al rapporto della società francese Principia, commissionato quattro anni fa dalla giunta Cacciari, che ha evidenziato rischi di tenuta del sistema in caso di mare molto mosso. A questo si aggiungono le obiezioni sulla «risonanza» della schiera di barriere avanzate da Chiang Mei, l’esperto consulente del Consorzio. L’altra sera nella sede del Cnr all’Arsenale convegno sulle maree con l’Istituto del Comune e l’Istituto Grandi masse del Cnr. Preoccupazione dei ricercatori sui modelli di previsione, in particolare per gli ultimi casi di marea eccezionale e la loro consistenza anomala, come strano è risultato il divario dei massimi tra Venezia e Chioggia. Occorre perfezionare i modelli e dare personale e risorse alle Previsioni, per evitare di dover in futuro utilizzare il sistema con falsi allarmi e penalizzare la portualità. Il professo Bernardo De Bernardinis, presidente di Ispra e già presidente della commissione Via, che diede parere negativo al progetto nel 1998, ha ricordato che il Mose era stato pensato solo per le maree eccezionali: «In caso di chiusure più frequenti è necessario studiare bene la variazione dei parametri fisici e biologici della laguna». Altro problema sarà quello del traffico navale, e in particolare croceristico. Le attuali navi non potranno passare per la conca in caso di chiusura. «E con il Mose in funzione», dice Sergio Vazzoler, storico esponente dei socialisti veneziani, «San Marco avrà l’acqua alta lo stesso».

Alberto Vitucci

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