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L’allarme lanciato da due ingegneri. Il deputato M5S: «Daremo battaglia in Parlamento»

«Di fronte ai cambiamenti climatici, a un innalzamento del mare stimato tra gli 80 cm e il metro in un secolo e problemi progettuali legati alla stabilità delle paratoie, il Mose sarà inutile».

Parola degli ingegneri Paolo Pirazzoli e Vincenzo Di Tella, relatori all’incontro pubblico “Il Mose incontra il Mare”, organizzato ieri a Ca’ Loredan da Ambiente Venezia, No grandi navi, associazioni ambientaliste del Lido e Consulta ambiente del Comune. Un approfondimento condiviso dai consiglieri dei gruppi FdS, Misto, In Comune e M5S. Alla conclusione del quale il deputato Marco Da Villa ha assicurato l’interessamento del Movimento 5 Stelle affinché i risultati della ricerca acquistino rilevanza nazionale. E Renzo Scarpa del gruppo Misto, ha annunciato che si farà promotore di una seduta ad hoc del Consiglio comunale.
Principale motivo di contestazione, il fatto che né il sindaco Giorgio Orsoni né il Magistrato alle acque si siano resi disponibili ad un confronto sull’innalzamento marino e l’oscillazione delle paratoie. Nel primo caso, ha precisato Pirazzoli, «il Mose nasce obsoleto, perché progettato fino a 22 cm». Nel secondo, ha aggiunto Di Tella,

«c’è un errore concettuale, per la differenza tra modello fisico e situazione reale. Le paratoie oscilleranno, annullando l’effetto diga».

Con simili premesse, hanno sottolineato i relatori,

«è essenziale un ampio confronto, per bloccare o modificare il progetto: sindaco e Magistrato alle acque non possono più affondare la testa nella sabbia».

Concordi i partecipanti al dibattito Andreina Zitelli, Stefano Boato, Beppe Caccia, Renzo Scarpa, Fabio Cavolo, Cristiano Gasparetto, Gian Luigi Placella e Luciano Claut. Durante il quale si è comunicata la riproposizione del tema il 23-24 maggio, nel convegno sui cambiamenti climatici di Legambiente e Iuav a Cà Badoer, e l’8-9 giugno, in occasione della mobilitazione internazionale a Venezia contro le grandi opere.

«Per il Movimento 5 Stelle, la contrarietà a questo progetto non è una novità – ha precisato poi Da Villa – Siamo sensibilissimi a temi del genere, e tra noi e le associazioni ambientaliste c’è un comune sentire, specie sul Mose e le grandi navi. In materia, M5S porterà il confronto in Parlamento».

 

«Modelli inattendibili», accusa l’ingegnere Vincenzo Di Tella

Un convegno in Comune rilancia dubbi e critiche alle dighe

«In caso di mare agitato la singola paratoia è dinamicamente instabile. I modelli matematici non sono in grado di analizzarne le cause, i calcoli fatti sui modelli fisici che ne garantiscono la tenuta sono inaffidabili».

Dunque il rischio Mose esiste: e in caso di eventi eccezionali in laguna potrebbe esserci un «effetto tsunami». Denuncia dura e circostanziata quella lanciata ieri a Ca’ Farsetti da Vincenzo Di Tella, ingegnere esperto di impianti marini, già progettista delle «paratoie a gravità».

«Ho studiato il progetto da cima a fondo»,

ha detto ieri in municipio, nel corso del convegno «Il Mose incontra il mare», organizzato dal comitato Ambiente Venezia,

«e ho scoperto che le conclusioni sul funzionamento del sistema hanno un presupposto errato».

Con l’opera ormai in stato avanzato di realizzazione, si riapre la battaglia sul Mose. Ieri in Comune esperti e scienziati hanno fatto il punto sui dubbi – ancora irrisolti – e le incertezze che circondano la grande opera. L’ingegnere Di Tella era stato querelato dal Consorzio Venezia Nuova proprio per avere espresso critiche di questo tipo. Ma era stato poi assolto dal giudice.

«Ho scritto una lunga lettera al Magistrato alle Acque, spiegando che ero disposto a titolo gratuito a discutere delle problematiche emerse», ricorda, «ma non mi hanno mai risposto».

Così, mentre da una parte il Consorzio celebra la conclusione dei lavori di posa dei cassoni, e attende per la metà di maggio l’arrivo delle paratoie alla bocca di porto di Lido, dall’altra la protesta riprende fiato. Ieri in municipio con Di Tella anche l’ingegnere e ricercatore del Cnr francese Paolo Pirazzoli.

«L’aumento del livello dei mari», ha spiegato, «si annuncia molto più consistente di quello previsto nello studio che ha dato il via libera al progetto Mose».

Nei prossimi cinquant’anni, insomma, il livello delle acque potrebbe aumentare fino a un metro, rendendo obsoleto il sistema di chiusure mobili che dovrebbe essere alzato e abbassato una volta ogni due giorni. Armando Danella, per vent’anni dirigente della Legge Speciale del Comune, ricorda i risultati dello studio affidato dalla giunta Cacciari alla società di ingegneria francese «Principia». Che è arrivata alla conclusione che in caso di mare agitato – con onde alte almeno due metri e mezzo – il sistema potrebbe non tenere. Si riaccende la polemica, dunque. La docente Iuav Andreina Zitelli ricorda che nel 1997 la commissione statale Via (Valutazione di Impatto ambientale) aveva bocciato il progetto dopo studi e verifiche durate anni.

«Ma la politica aveva già deciso di andare avanti comunque», ha detto tra gli applausi, «e i dubbi sono stati accantonati».

Interventi critici di Stefano Boato, Luciano Mazzolin ed esponenti dei comitati. E dei gruppi che hanno appoggiato l’iniziativa: Federazione della Sinistra, Movimento Cinquestelle, Gruppo Misto, Lista «In Comune».

«Dobbiamo mettere sul tavolo le alternative e correggere gli errori»,

dice Mazzolin. Renzo Scarpa (Misto) propone di aprire un confronto perché la città discuta degli scenari possibili. Se a Punta Sabbioni i cassoni sono posati e le paratoie sono in arrivo, prima di estendere il sistema alle altre bocche bisognerà verificare bene il funzionamento e la tenuta – oltre che i costi di manutenzione – di quelle già installate. 25 anni dopo l’inaugurazione del prototipo, la polemica sul Mose non è conclusa.

Alberto Vitucci

 

le dighe. Il cronoprogramma dei lavori

Prime paratoie montate a metà maggio. Il cronoprogramma del Mose va avanti. E dopo la posa dei cassoni a Punta Sabbioni arriveranno tra pochi giorni le paratoie costruite a Monfalcone e assemblate a Marghera. Saranno installate con le cerniere sui cassoni (nove metri sotto il livello dell’acqua) e da qual giorno cominceranno le «prove in bianco». Il primo varco della bocca di Lido (19 paratoie su 400 metri, da Punta Sabbioni all’isola artificiale del bacan) potrebbe essere funzionante tra un anno. Poi seguiranno i cassoni al varco di San Nicolò, quindi a Malamocco e a Chioggia. L’intero sistema delle dighe mobili (79) dovrebbe essere pronto dal 2016. Il progetto costerà 5 miliardi e mezzo di euro, manutenzione e gestione escluse.

(a.v.)

 

Domani convegno in municipio con Di Tella e Pirazzoli.

I comitati: «Far luce sulla grande opera» 

«Vi spieghiamo perché anche con il Mose Venezia sarà allagata».

Dopo un periodo di tregua, i comitati antidighe tornano all’attacco. E aprono l’offensiva sul funzionamento del sistema di paratoie che sta per essere installato alle bocche di porto. A Punta Sabbioni i cassoni sono già sul fondo – la Nuova ne ha documentato per la prima volta l’interno, qualche giorno fa – si può passare a piedi dall’isola artificiale del bacàn a Punta Sabbioni sotto il livello del mare nei cunicoli di servizio. Tra qualche giorno arriveranno da Marghera (area Pagnan) le prime paratoie, costruite a Monfalcone, con le cerniere assemblate.

«Ma il meccanismo non sarà sufficiente a salvare Venezia»,

dice Paolo Pirazzoli, ricercatore del Cnr francese e dell’Ipcc, l’istituto intergovernativo che studia l’aumento del livello dei mari.

«Il livello degli oceani crescerà molto, più del previsto, e le paratoie dovranno essere sempre chiuse».

Vincenzo Di Tella, ingegnere della Tecnomare autore di un progetto alternativo al Mose (le paratoie a gravità) insiste nel dire che il Mose è impattante, antieconomico. E in condizioni di mare agitato potrebbe avere qualche problema, come già scritto dai ricercatori franco-canadesi della società Principia, consultati dal Comune qualche anno fa. Critiche che erano state allora respinte dal Consorzio Venezia Nuova e dal presidente del Magistrato alle Acque Patrizio Cuccioletta. «Il Mose incontra il mare» è il titolo del convegno che si apre domattina a Ca’ Loredan, sede del municipio, a partire dalle 9.30. Partecipano le associazioni ambientaliste come Italia Nostra, Ambiente Venezia, Lipu, Wwf. E due parlamentari, Giulio Marcon di Sinistra e Libertà e Marco Da Villa di Cinquestelle. Hanno aderito anche i gruppi consiliari di Federazione della Sinistra, Movimento Cinquestelle, Lista In Comune, Gruppo Misto. Un dibattito pubblico sul Mose dopo mesi di silenzio. E proprio quando i lavori della grande opera sono giunti in fase cruciale. Conclusa la posa delle dighe foranee e dei cassoni al Lido, dell’isola artificiale che ospiterà gli edifici di controllo, della conca di navigazione a Malamocco e dei porti rifugio a Punta Sabbioni e a Ca’ Roman, a ridosso dell’oasi del Wwf.

«Sarà l’occasione per discutere della nostra petizione al Parlamento europeo sottoscritta da 12.500 veneziani»,

dice Luciano Mazzolin,

«e delle inchieste che hanno portato all’arresto dell’ex presidente della Mantovani Piergiorgio Baita».

(a.v.)

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CONSIGLIO COMUNALE

CASO MANTOVANI – Il Consiglio vota l’istituzione della commissione d’inchiesta

Alla fine la commissione straordinaria d’indagine sui rapporti fra la Mantovani e il Comune si farà. Dopo il «flop» della settimana scorsa, quando l’opposizione aveva fatto mancare il numero legale in aula, ieri la delibera elaborata dalla conferenza dei capigruppo è passata all’unanimità, con 34 voti e un solo consigliere – l’Udc Ennio Fortuna – che non ha preso parte al voto per i dubbi sulla legittimità dei poteri d’indagine che il Comune si è attribuito.
Ci sono però volute due ore di discussione – a tratti snervante per il pubblico in sala – per mettere d’accordo i consiglieri, riuniti al municipio di Mestre, su una decisione condivisa in linea teorica da tutti, seppur con molti distinguo. L’opposizione, per esempio, avrebbe voluto, come richiesto da Renato Boraso, che si indagasse anche sui rapporti del Comune con Lino Brentan e Statis Tsuroplis, al centro di due distinte vicende giudiziarie. In maggioranza invece Fortuna avrebbe voluto escludere il Consorzio Venezia Nuova dall’oggetto delle indagini della commissione, non avendo il Comune i poteri inquisitori che spettano alla Magistratura.
Ma l’indagine, ha ribattuto Beppe Caccia (lista In Comune) con Sebastiano Bonzio (Fds) potrà comunque valutare politicamente il ruolo di una società e di un concessionario che di fatto gestisce un’operazione colossale come la costruzione delle dighe mobili alle bocche di porto con il Mose. Un sistema che, come sottolineato dal rappresentante M5S Gianluigi Placella, impedisce lo sviluppo della libera concorrenza nel campo dei lavori pubblici. Al momento del voto l’opposizione, che una settimana fa era stata accusata di non volere la commissione, ha osservato con Saverio Centenario (Pdl) che «la maggioranza chiede chiarezza nella conduzione amministrativa di questo Comune in cui la stessa non dovrebbe avere nessun dubbio».

(a.fra.)

 

Nuova Venezia – Rivolta contro i project financing

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

12

apr

2013

 

Comitati a Palazzo Ferro Fini: «Una follia». E chiedono più partecipazione

«Chi semina strade, raccoglie traffico». È questa una delle tante scritte che ieri spiccavano sulle pareti del cortile di Palazzo Ferro Fini, sede del Consiglio regionale, affollato di gente che urlava «Vergogna». Una delegazione di decine di comitati per l’ambiente si è riunita per esprimere il proprio dissenso su alcune grandi opere in programma che verranno realizzate attraverso il «project financing».

«È la prima volta che un così nutrito numero di comitati si unisce e viene accolto in Regione: è un ottimo segnale»

ha affermato Michele Boato dell’Ecoistituto del Veneto che, insieme a don Albino Bizzotto di Radio Cooperativa e Carlo Costantino di Altro Veneto ha organizzato la manifestazione. Tra i molti gruppi sventolavano anche le bandiere di «Opzione Zero» (contro la Romea commerciale e Veneto City ) e «No Grandi Navi» e Luciano Mazzolin di Ambiente Venezia. Al centro del mirino l’uso del project financing, definito «una follia illegale». Si tratta di un metodo considerato a rischio zero per i privati che, per quanto riguarda per esempio la realizzazione delle autostrade, assicurano ai finanziatori mediante il pedaggio il rimborso del prestito, sulla base di calcoli sul flusso di traffico. Il punto è che, essendo opere commissionate dalla Regione, se il rimborso non viene raggiunto il buco si deve sanare con i soldi pubblici.

«Per l’ospedale dell’Angelo – prosegue Boato – paghiamo 399 milioni anziché 120 e dovrebbe servire da esempio per non ripetere l’errore».

In provincia i principali «progetti di finanza» previsti sono: il Centro Protonico di Mestre, la Meolo-Jesolo, la Sub-lagunare Venezia Tessera, il Sistema Integrato Fusina Ambiente, il Nuovo Porto Off-shore. I comitati chiedono di partecipare alla Commissione della Regione per fare luce sulla galassia Mantovani. Ci si aspetta inoltre dai consiglieri una mozione che tolga all’ingegner Silvano Vernizzi alcune cariche istituzionali che possono scatenare conflitti d’interesse. Infine, ci si attende una mossa di apertura dalla Regione che, nonostante si sia dimostrata aperta al dialogo, ha approvato nel pomeriggio la realizzazione delle grandi opere.

Vera Mantengoli

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IL PIANO TRIENNALE APPROVATO DAL CONSIGLIO REGIONALE

Grandi opere, avanti tutta. Il sit-in degli ambientalisti.

VENEZIA – Grandi opere pubbliche: avanti tutta, la Regione non si ferma anche se di soldi in cassa ce ne sono pochi e l’unico grande intervento che procede è il Mose, ma la cassa sta a Roma. E mentre i comitati ambientalisti «assediano pacificamente» palazzo Ferro Fini, verso le 18 arriva il via libera con 26 sì, 2 astenuti e 16 contrari. Poi tutti a casa. Il piano cave può attendere. In aula ha parlato a lungo l’assessore Renato Chisso che ha ribadito l’importanza di rimettere in moto l’economia del Veneto, un modello per tre grandi operazioni: il Passante di Mestre, l’ospedale all’Angelo e il rigassificatore. Netta l’opposizione del Pd che ha ribadito l’inutilità di un piano già esaurito per mancanza di risorse: nulla di quanto previsto è stato realizzato. Durissimo Pierangelo Pettenò (Prc) schierato in difesa degli ambientalisti, ricevuti dal presidente del consiglio regionale Clodovaldo Ruffato e dai rappresentanti di tutti i partiti tranne la Lega. L’elenco delle opere. Gli interventi finanziati con il project financing, contestati dai comitati e sui quali è stata creata una commissione speciale d’inchiesta, sono:

la «Via del Mare», cioè il collegamento A4 tra Autostrada Venezia Trieste e Jesolo e litorali; il nuovo sistema delle tangenziali lungo la A4 Verona, Vicenza e Padova; Grande Raccordo Anulare di Padova; Passante Alpe Adria e il prolungamento della A27 con il collegamento tra i caselli di Portogruaro e Latisana, Bibione e il Litorale). L’altro megaintervento è la nuova autostrada sul tracciato della Valsugana da Bassano a Trento e l’ammodernamento dell’area nord di Belluno.

In cima alle priorità e finanziati dalla Regione c’è la vera lista delle opere pubbliche: la strada regionale «Padana Inferiore» con 35,6 milioni e la superstrada Pedemontana Veneta con 173 milioni i cui lavori sono iniziati a Montecchio Precalcino: dopo lo scavo tutto si è fermato e l’autostrada è un’immensa piscina di fango.

«Ci sono i soldi per realizzare l’opera?» ha detto ieri Pettenò. «Facciamo una rapida verifica oppure si fermi tutto».

Completa l’elenco l’autostrada regionale a pedaggio «Nogara Mare» con 50 milioni, su cui pende un ricorso al Tar. Contro questi progetti, ieri si è schierato il Veneto ambientalista che non si arrende, che protesta contro le

«colate di cemento che rischiano di massacrare la campagna e le colline».

E’ il Veneto dei comitati ambientalisti guidato da don Albino Bizzotto, leader dei Beati costruttori di Pace e pacifista internazionale con marce in Bosnia e in Palestina, e da don Giuseppe Mazzocco, parroco di Adria che protesta contro la centrale a carbone nel Polesine. Al loro fianco, una galassia di associazioni ambientaliste, in sintonia con i No Tav della Val di Susa ma ancorate a una prassi democratica: la protesta deve portare a dei risultati concreti e vanno coinvolte le istituzioni. Ecco allora che ieri la galassia-ambientalista è stata ricevuta da Clodovaldo Ruffato, presidente del consiglio regionale (Pdl) e dai gruppi regionali: tutti attorno al tavolo, tranne la Lega, dilaniata dalle beghe interne tra proZaia e proTosi. (al.sal.)

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«Stop alla Mantovani»

Le associazioni ricevute da Ruffato, la Lega dà forfait

VENEZIA – Don Albino Bizzotto ha celebrato persino una messa a Thiene, su un terreno che sarà espropriato per far posto alla Pedemontana: ieri la protesta è tornata a farsi sentire quando Clodovaldo Ruffato, presidente del consiglio regionale, ha incontrato la Rete dei comitati per un Altro Veneto, la Rete polesana dei comitati per l’ambiente, il Cat della riviera del Brenta e del Miranese e la Covepa della Pedemontana. «La terra è un bene di tutti, bisogna difendere gli interessi dei disoccupati e non delle grandi aziende, Zaia ha detto no al cemento ma non si è fatto vedere», ha detto don Bizzotto. Poi l’architetto Costantini ha sottolineato come il Veneto realizzi opere al fuori del Ptrc in un regime di monopolio per la Mantovani:

«C’è l’occasione di fare chiarezza con la commissione speciale d’inchiesta, ma il sistema di fatture false portato a galla era già stato segnalato dalla Corte dei Conti».

Ruffato ha garantito massima trasparenza e l’impegno a non massacrare il territorio, mentre Fracasso (Pd)ha proposto di aprire una vertenza con la giunta perché l’elenco delle grandi opere è un fiasco completo: nulla è stato realizzato. Marotta (Idv) ha sottolineato lo scandalo dell’ospedale all’Angelo di Mestre, mentre Bottacin (Verso Nord) ha criticato Galan: il governatore più liberista d’Italia, ha regalato alla Mantovani il monopolio di tutte le opere. Durissimo Moreno Teso (Pdl: ho votato contro la commissione d’inchiesta, non serve a nulla. Il project demolisce la piccola e media impresa. Nessuno saprà mai cosa c’è dietro ai contratti.

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LA PROTESTA – I comitati e la finanza di progetto «Anche noi nelle commissioni»

VENEZIA – Le commissioni d’inchiesta sugli appalti della Regione Veneto devono consentire la partecipazione pubblica. È la richiesta dei circa 200 comitati che ieri, rappresentati dai propri portavoce, hanno effettuato un sit-in a Palazzo Ferro Fini. Una domanda di trasparenza rinnovata poi al presidente del consiglio regionale, Clodovaldo Ruffato in un incontro che ha visto la partecipazione di alcuni consiglieri. Sul piatto della discussione, il cosiddetto fallimento del sistema project financing («capace di creare apparati consociativi e ammazzare la piccola media impresa locale»). (t.c.)

 

APPALTI IN REGIONE. AMBIENTALISTI A PALAZZO FERRO FINI

«Le commissioni d’inchiesta devono essere pubbliche»

(t.c.) Partecipazione pubblica alle commissioni d’inchiesta sugli appalti della Regione. Questa la principale richiesta delle varie associazioni contro le grandi opere, espressa ieri al presidente del consiglio regionale, Clodovaldo Ruffato. Una pressante domanda di trasparenza che un centinaio di portavoce dei circa 200 comitati veneti ha trasferito a palazzo Ferro Fini, presenti alcuni capogruppo. Come si ricorderà, la Regione ha posto in essere due gruppi d’inchiesta dopo l’affaire Mantovani: una straordinaria, l’altra affidata alla prima commissione. Se Ruffato ha parlato genericamente di audizioni, la partecipazione diretta delle associazioni è stata caldeggiata da Gennaro Marotta (Idv), Pierangelo Pettenò (Rifondazione), mentre Moreno Teso (Pdl) si è detto estremamente scettico sull’esito delle verifiche, dal momento che le commissioni «avranno in mano solo documenti ufficiali e già certificati». Sul piatto della discussione, il cosiddetto fallimento del sistema project financing («capace di creare apparati consociativi e ammazzare la piccola media impresa locale») e l’opportunità, caldeggiata da Luciano Mazzolin, di metter mano ai primi finanziamenti pubblici devoluti alla Mantovani proprio con il Mose. «I comitati chiedono trasparenza – ha detto Michele Boato – questo è un primo passo; novità è la partecipazione anche di aggregazioni No grandi opere dell’area veronese».

«Invece che alle grandi opere pensiamo a curare il territorio e al trasporto davvero «pubblico» – ha invitato Carlo Costantini, per «Altro Veneto» – certi accordi con i privati in regime di monopolio portano ad operazioni a zero rischio da parte dei primi e pericolo totale per i soldi pubblici, perché poi la Regione si trova magari a ripianare pedaggi autostradali non sufficienti secondo le iniziali previsioni».

 

REGIONE Tiozzo (Pd): rivedere la strategia. L’assessore Chisso: serve lungimiranza, l’economia è in ripresa

Grandi opere, il Veneto sfida la crisi

Scontro in consiglio, la maggioranza vara il piano da 2,5 miliardi: dalla Pedemontana alla Nogara-Mare, dai treni alle tangenziali

Approvato il Programma triennale degli interventi nel settore dei lavori Pubblici per circa 2,5 miliardi.

Materiale per ironizzare ce n’era fin troppo, a partire dal titolo all’ordine del giorno del consiglio regionale del Veneto: “Programma triennale 2012-2014 ed elenco annuale dei lavori pubblici di competenza regionale da realizzarsi nel 2012″. Da realizzarsi un anno fa e se ne parla quasi a metà 2013? Tant’è, arrivato in aula decisamente in ritardo, l’argomento delle grandi opere da realizzare in Veneto ha monopolizzato buona parte dei lavori di ieri a Palazzo Ferro Fini. Intrecciandosi, peraltro, con i dati diffusi dalla giunta regionale sul drammatico aumento di case vuote come certificato dall’ultimo censimento: tra invendute e sfitte si sfiorano le 390mila abitazioni disabitate, con percentuali in crescita rispetto al 2001 (+21,7%), soprattutto nelle province di Treviso, Padova e Rovigo. E allora: se a causa della recessione non si vende e non si compra un mattone che sia uno, ha senso progettare nuove grandi opere? Soprattutto, se la gente in auto corre sempre di meno perché la benzina costa e l’auto sta diventando un lusso, ha senso progettare nuove strade, peraltro per la maggior parte con quel meccanismo del project financing su cui lo stesso consiglio regionale ha deciso di “indagare” dopo lo scandalo della Mantovani istituendo un’apposita commissione? La risposta di Renato Chisso è stata cristallina: sì, ha senso. Ha senso – ha detto – il proseguimento dei lavori per la metropolitana di superficie (Sfmr) con 165 milioni di euro. E hanno senso la Pedemontana Veneta, la Nuova strada regionale Padana Inferiore, la Nogara-Mare, il nuovo sistema delle tangenziali venete Verona-Vicenza-Padova, tanto per citare alcuni degli interventi programmati. Così come hanno una ragione gli interventi nel settore della difesa del suolo (476,3 milioni di cui 37,1 di capitale privato) e, appunto, quelli su strade, autostrade e concessioni (1.852,4 milioni di cui 1.627,5 di capitale privato). E le critiche?
L’assessore alla Mobilità e alle Infrastrutture è rimasto ad ascoltare il dibattito in consiglio regionale dall’inizio alla fine. Concludendo con un invito: «Bisogna avere lungimiranza». Certo, la crisi c’è ed è chiaro che deve esserci una risposta da parte della politica: «Possiamo ipotizzare che si continui a ragionare di crisi per i prossimi vent’anni, ma la verità – ha avvertito Renato Chisso – è che se non ci sarà un cambio di marcia a livello centrale nel giro di sei mesi saremo spazzati via come classe politica dai cittadini».
Chisso ha contestato le obiezioni dell’opposizione che gli ha ricordato il drastico calo di traffico automobilistico: «Non si può ragionare – ha detto l’assessore – dicendo che il dato contingente è il calo del traffico. Autovie Venete, tra l’altro, presenta un inversione di tendenza, è il segnale di rimessa in moto dell’economia. Mi chiedete di mettere la parola fine alla grandi opere e di rivederci tra dieci anni? No. Possiamo fare delle correzioni, riaggiornare il Piano regionale dei trasporti, ma allo stop non ci sto. Serve lungimiranza».
Le obiezioni dell’opposizione sono rimaste agli atti Giampiero Marchese, Pd, ha tirato le orecchie alla maggioranza: «Il piano è del 2012, diteci cosa è stato fatto». Lucio Tiozzo, capogruppo dei democratici, ha chiesto una pausa di riflessione: «È il momento di rivedere tutta la strategia sulle infrastrutture viarie in Veneto, tenendo conto delle esigenze di rilancio economico, ma anche di quelle legate alla compatibilità ambientale».
Al voto il Piano – che prevede un impegno complessivo di circa 2,5 miliardi di euro – è passato con 26 voti favorevoli, 16 contrari e due astenuti. «Lega e Pdl – ha commentato Pietrangelo Pettenò, Sinistra – in spregio agli appelli lanciati qualche ora prima dagli ambientalisti, hanno anche bocciato la richiesta di correggere il provvedimento introducendo il divieto di ricorrere alla pratica dei progetti di finanza, veri e propri buchi neri per le risorse pubbliche».

 

Nuova Venezia – Venezia, “Stop a speculazioni da squali”

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11

apr

2013

Protesta di Morion e Sale Docks al cantiere dell’hotel Des Bains, fermo da tempo

LIDO. Sono arrivati, hanno scavalcato il cancello e si sono diretti sulle scalinate dello storico Hotel Des Bains. Qui, in completa tranquillità, hanno srotolato un grande manifesto con una scritta chiara: «No grandi opere e speculazione. Sì democrazia e beni comuni». Ieri alle 14 una ventina di attivisti del «Laboratorio Occupato Morion» e di «S.a.L.E. Docks» sono sbarcati al Lido dirigendosi verso l’albergo descritto da Thomas Mann in «Morte a Venezia». Il titolo del celebre romanzo calzava perfettamente con lo scenario che i «dissidenti» si sono trovata dinanzi: il vuoto assoluto. Nessun cantiere aperto, cumuli di tubi di plastica accatastati e la solita impalcatura che si vede da anni con una scritta sul pannello che suonava sarcastica: «Grand Hotel Des Bains. Un futuro leggendario», e sotto «Est Capital – Fondo Real Venice 1». Il gruppo è così entrato senza trovare nessuna resistenza, se non le parole del custode che, dopo qualche minuto, è arrivato dal viale intimando arrabbiato gli attivisti ad andarsene. Non avendo ricevuto risposta, il custode ha chiamato il 112. Una volante dei carabinieri è arrivata dopo poco, ma i due carabinieri hanno potuto soltanto registrare l’episodio dato che si tratta di proprietà privata. L’azione aveva uno scopo preciso:

«Volevamo denunciare i responsabili diretti della minaccia speculativa al Lido », racconta il portavoce Marco Baravalle, «tutti ormai sanno che Est Capital è la società che non solo ha acquistato il Des Bains, ma anche quella che vorrebbe trasformare la zona dell’ex Ospedale al Mare. Bisogna sapere che il fondo Real Venice su cui si appoggia ha uno quota della Mantovani che equivale a Baita. Noi vogliamo che si sappia il nome degli squali che vogliono intraprendere le loro speculazioni. Parliamo di Baita, conosciuto bene da Galan e Zaia, ma anche del Consorzio Venezia Nuova che ha voluto il Mose dove, guarda caso, torna il nome della Mantovani. E anche di Paolo Costa che con le grandi navi compie la stessa speculazioni, ma sull’acqua».

Insomma, si è voluto ricordare che i cittadini pretendono che alcuni spazi pubblici rimangano a disposizione dei cittadini, come il Teatro Marinoni e che ci sia trasparenza nelle procedure. Il Des Bains è ora in attesa dell’arrivo della nuova impresa Eccis scc di Ravenna che dovrebbe subentrare per ultimare i lavori che si concluderanno in 22 mesi, sotto lo sguardo vigile dei cittadini.

Vera Mantengoli

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L’Espresso – Affari e grandi opere, la cricca veneta

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24

mar

2013

di Gianfrancesco Turano

L’uso dei fondi miliardari del Mose ma non solo. Dopo l’arresto eccellente di Piergiorgio Baita, i magistrati indagano sul sistema di affari e politica che ha gestito i grandi progetti della regione

Dighe e arresti sono arrivati insieme il 28 febbraio. Giustizia a orologeria? A Venezia avranno usato un cronometro da gara. Nello stesso giorno in cui sbarcavano a Porto Marghera le prime paratoie anti-inondazione del Mose, l’acqua alta giudiziaria ha messo in crisi l’ecosistema politico-affaristico che per venticinque anni ha governato la laguna e buona parte del Veneto grazie ai finanziamenti pubblici per il Mose (5,7 miliardi di euro), realizzato dal Consorzio Venezia Nuova (Cvn), e per altri grandi opere.

L’inchiesta per associazione a delinquere e frode fiscale è stata battezzata “Chalet”, traduzione beffarda del cognome dell’arrestato più in vista, Piergiorgio Baita, amministratore delegato della Mantovani, l’azionista di riferimento del Cvn, e uomo forte del consorzio presieduto da Giovanni Mazzacurati.

L’ingegner Chalet, 64 anni, è sopravvissuto alla prima Repubblica, alla Democrazia cristiana che lo ha lanciato, agli arresti e ai processi di Tangentopoli. Ha prosperato durante il lungo regno alla Regione di Giancarlo Galan (1995-2010). Ha brindato alle infinite inziative promozionali dell’opera insieme a Silvio Berlusconi, all’ex ministro Altero Matteoli, al veneziano Renato Brunetta, ai sindaci di centrosinistra che hanno amato il Mose, come Paolo Costa, o che ci si sono rassegnati, come Massimo Cacciari. Per rafforzare il consenso ha distribuito sponsorizzazioni e sostegni finanziari a pioggia tra il teatro della Fenice e la Reyer di basket, tra una tornata di Coppa America di vela (5 milioni di euro) e un milione versato al Marcianum, il centro studi della Curia voluto dall’ex patriarca di Venezia Angelo Scola.

Baita ha vissuto grandi stagioni sotto la protezione di Gianni Letta ma si è adattato molto bene al successore di Galan, il leghista Luca Zaia che, colmo di meraviglia per quanto accade sotto gli occhi di tutti da anni, adesso vuole allestire una commissione di inchiesta sui metodi della Mantovani e delle imprese sue alleate.Sulla metodologia di questo gruppo di potere che in poco tempo è diventato dominante sulle infrastrutture venete si è dilungata anche Claudia Minutillo, 48 anni, arrestata assieme a Baita e al faccendiere bergamasco William Ambrogio Colombelli, ex consigliere della Nuova Garelli di Paolo Berlusconi con villa a Santa Margherita Ligure, barca a Portofino e “cartiera” a San Marino, dove la sua Bmc consulting emetteva fatture false intestate al Consorzio Venezia Nuova in cambio di una provvigione ragionevole: su 10 milioni di euro, lui se ne teneva 2. Il resto veniva ritirato da Minutillo nelle sue frequenti visite al Titano e distribuito.

Distribuito a chi, hanno chiesto i giudici. A differenza del molto taciturno Baita, difeso dall’avvocato Piero Longo (lo stesso di Silvio Berlusconi ), Minutillo ha risposto nel corso di sei ore di interrogatorio secretato e – si presume – in modo convincente, visto che è tornata a casa agli arresti domiciliari.

Il carcere femminile della Giudecca, per quanto dotato di una sua aura romantica, non faceva per la manager abituata all’eleganza nel vestire e allo shopping di qualità nelle boutique di Venezia e Padova. Da quello che Minutillo ha dichiarato dipende il futuro dell’inchiesta. L’acqua alta ordinaria degli inverni in laguna potrebbe diventare uno tsunami considerato che Minutillo è stata segretaria di Galan per cinque anni dopo che nel 2001 la precedente factotum, Lorena Milanato, era stata spedita a Montecitorio dove tuttora si trova.

Nel 2005, su precisa richiesta della signora Galan, Minutillo è stata spostata al servizio di un altro potente locale, Renato Chisso. Ex socialista transitato nel Pdl, Chisso è stato assessore ai trasporti e alle infrastrutture sotto Galan e tale è rimasto sotto Zaia. Il suo potere, semmai, si è accresciuto e la continuità con il governo locale precedente è stata garantita.

Chiusa l’esperienza da Chisso, Minutillo è stata promossa amministratore delegato di Adria Infrastrutture, una società creata a sua misura grazie ai capitali della Mantovani nel 2006, lo stesso anno in cui la giunta regionale, il Consorzio e Mantovani incominciavano a foraggiare la Bmc di San Marino («Io creo carta straccia, capito?», urla al telefono Colombelli alla Minutillo, «in sei anni vi siete portati a casa otto milioni!»).

Adria va subito alla grande. Conquista gli appalti regionali per la superstrada Treviso-Mare e per il passante Alpe Adria. Ma anche prima di fare il salto di qualità il soprannome di “dogaressa” la diceva lunga sulla reale influenza di Minutillo nelle vicende politico-affaristiche del Veneto. Questo spiega perché il toto-nomi dell’interrogatorio alla Giudecca tiene sveglia parecchia gente. Nessuno, a cominciare dai magistrati, crede che la cresta complessiva sia stata di soli 10 milioni. E nessuno crede che l’unica cartiera per creare i fondi neri sia stata la Bmc consulting che Colombelli, prima dell’arresto, ha tentato invano di vendere a Baita per 3 milioni di euro (risposta eloquente di Baita a Colombelli: «Io non posso come gruppo prendere una società che produce carta, è pericoloso»).

A dirla tutta, nessuno crede alla tesi con cui gli enti locali, il Consorzio, le imprese e i sindacati tentano di arginare l’allagamento dell’operazione Chalet. Questa tesi collettiva è: se Baita ha sbagliato, ha sbagliato per suo conto. E soprattutto, non buttiamo via il bambino con l’acqua sporca, visto che si può sempre non sapere.

Così la famiglia padovana Chiarotto, che controlla la maggioranza della Mantovani attraverso Serenissima Holding e che è stata arricchita da Baita (100 milioni di euro di utili a riserva), ora minaccia azioni di responsabilità contro l’ingegnere che è anche azionista dell’impresa con il 5 per cento, anche se la Finanza ha proposto il sequestro della quota. Galan dice di averlo appena conosciuto e Chisso tace. Persino la Cgil locale ammonisce che i 900 posti della Mantovani vanno salvaguardati e che, arrestato il doge Baita, il Mose deve andare avanti. Tanto più che sono in arrivo altri 250 milioni di euro di finanziamenti tra il denaro dello Stato e il contributo anticipato dalla Banca europea degli investimenti (Bei).

Eppure l’intraprendenza dell’ingegnere Chalet ha lasciato tracce evidenti. Il “tavolino” degli appalti lagunari è una fetta consistente di prodotto interno lordo regionale e si può solo tentare di ipotizzare una stima. Il perno, si è detto, sono i lavori per il Mose gestiti dal Cvn. E’ un progetto varato un quarto di secolo fa con il sistema degli affidamenti interni. Significa che le imprese socie del Consorzio, cioè la Mantovani, la Condotte di Duccio Astaldi, la Fincosit […………………………….], la Ccc (Lega coop) e altre minori, ricevono dallo Stato il denaro per realizzare il Mose e appaltano i lavori a se stesse, con una quota di gare minima che l’Ue ha più volte e invano contestato.

Il Mose, e i suoi prezzi in continua espansione rispetto a preventivi e a prezzi fintamente bloccati, ha consentito ottimi margini di guadagno alle imprese soprattutto perché, a differenza di altri grandi opere sbandierate nel libro berlusconiano delle illusioni, le dighe mobili hanno ricevuto le rate di finanziamento dal Cipe con una puntualità senza uguali.

Il terzetto alla guida del Cvn, ossia Mantovani-Condotte-Fincosit sotto la guida di Baita, ha reinvestito gran parte dei suoi utili in iniziative infrastrutturali in Veneto e in qualche partecipazione monetizzata dagli enti locali in ristrettezze finanziarie, come la quota dell’autostrada della Venezia-Padova.

Il cerchio magico, di cui faceva parte anche Adria Infrastrutture guidata da Claudia Minutillo, si è aggiudicato commesse per centinaia di milioni di euro con il timbro altrettanto magico del project financing: i privati mettono i soldi al posto dello Stato al verde e, in cambio, incamerano affitti e pedaggi legati all’opera.
Sotto l’insegna del project financing Mantovani & friends si sono assicurati la realizzazione dell’ospedale e del passante stradale di Mestre, la sublagunare che dovrebbe collegare le isole veneziane con l’aeroporto di Tessera, gestito dagli amici della Save-Finint Enrico Marchi e Andrea De Vido. Il flusso di denaro consentito dalle delibere del Cipe ha permesso agli amici della Serenissima di guadare l’Adda e di inserirsi nell’appalto per la “piastra” di Milano Expo grazie alla continuità politico-territoriale con l’ex governatore Roberto Formigoni e all’assenso del sindaco di centrosinistra Giuliano Pisapia, che ha confermato la sua fiducia alla Mantovani anche dopo l’arresto di Baita.

Ma il territorio di riferimento resta a Nordest. L’ultima perla della collezione è un colosso da 2,5 miliardi di euro progettato nelle acque di fronte a Venezia. Insieme all’autorità portuale, presieduta dall’ex sindaco ed ex presidente della commissione Infrastrutture dell’Ue Costa, Mantovani è in prima fila per costruire il porto offshore otto miglia a largo di Chioggia. La nuova struttura è pensata per le navi portacontainer che adesso vanno a Marghera mettendo a rischio l’equilibrio della laguna, mentre le navi passeggeri che attraccano in piazza San Marco potranno continuare le loro crociere fino al centro storico. Il porto offshore prevede un meccanismo di finanziamento misto. Ci sono fondi della Mantovani, che si incarica dei lavori, e soldi in arrivo dal Cipe, cioè dalle casse dello Stato.

Con Baita fuori dai giochi, il progetto andrà avanti con un nuovo manager da designare nei prossimi giorni. Si parla di una successione in famiglia con il timone della Mantovani affidato a Giampaolo Chiarotto, 46 anni, figlio del patriarca Romeo, classe 1929.

Ma la caduta di Baita, l’uomo degli equilibri tra politica e impresa, ha già provocato il primo intoppo grave nel quieto vivere lagunare. Poche ore dopo gli arresti, la Mantovani e il sindaco Giorgio Orsoni sono entrati in guerra, con minacce di azioni di risarcimento incrociate, per l’operazione che avrebbe cambiato faccia al Lido di Venezia. In sostanza, il Comune aveva ceduto l’area dell’Ospedale al Mare al fondo Real Venice 2, gestito da Est Capital dell’ex assessore alla Cultura cacciariano Gianfranco Mossetto e partecipato dal trio Mantovani-Condotte-Fincosit. Al posto dell’ospedale doveva sorgere un quartiere residenziale con una megadarsena per diportisti da oltre 1500 posti e un investimento da 250 milioni di euro.

Il fondo ha versato una caparra di 32 milioni al Comune che, con questi soldi, avrebbe provveduto a costruire il nuovo palazzo del Cinema. Poi sono sorte discordie su chi doveva bonificare l’area dell’ospedale. La nuova darsena è saltata e il palacinema è stato sostituito dal progetto di un palazzo dei congressi che Est capital avrebbe realizzato con la caparra rispedita al mittente da Orsoni.

Ancora due giorni dopo l’arresto di Baita, l’accordo tra le parti era dato per fatto. Invece, niente. La parola torna al giudice civile che darà il suo verdetto sulla controversia entro dieci giorni.

Prima, però, verrà il turno del tribunale penale che, in sede di riesame, stabilirà se Baita può tornare libero o se l’inchiesta “Chalet” è appena incominciata. Di sicuro, non sarà un lavoro facile come dimostra la scelta di un nome in codice che, di solito, si riserva a operazioni contro il crimine organizzato. In questo caso è stato necessario perché gli inquisiti, dopo le prime perquisizioni della Guardia di finanza risalenti a due anni fa, avevano attivato una manovra di controspionaggio attraverso due ex agenti segreti per sapere a che punto erano le indagini.

Stavolta non è stato sufficiente ma basta a spiegare il livello delle protezioni di cui godeva e gode la cricca lagunare. Quella che per bocca di Baita si vantava: «Il bello del Mose è che i lavori si fanno sott’acqua».

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Gazzettino – Mose, e’ allarme per le risonanze

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15

mar

2013

Nuova istanza all’Unione europea – Il Comitato per il No e numerose associazioni ambientaliste si appellano a Bruxelles: Consorzio Venezia Nuova e Magistrato alle Acque spieghino

L’affondo è pesante. E va dritto dritto al cuore del Mose. Di mezzo c’è la “vexata quaestio” del fenomeno delle risonanze, ovvero il “pericolo” che le dighe mobili, in caso di maree eccezionali, al momento di entrare in azione, possano iniziare a oscillare permettendo, alla fin fine, alla marea di penetrare in laguna.

Una situazione più volte sottoposta all’attenzione dell’opinione pubblica e agli enti competenti (Consorzio Venezia Nuova, Magistrato alle Acque, Governo), ma che non è mai stata discussa chiaramente e che, soprattutto, ha creato un vespaio di polemiche nel corso degli anni. Ora, a far riesplodere il caso, arriva la denuncia presentata in questi giorni al Parlamento europeo, dal Comitato No Mose e da un gruppo di associazioni ambientaliste veneziane e che vede il sostegno del Gruppo Misto (Renzo Scarpa, Nicola Funari) in consiglio comunale, la lista “In Comune” (Beppe Caccia), il Movimento Cinque Stelle (Gianluigi Placella), e Prc-Fds (Sebastiano Bonzio).

Nella documentazione presentata all’Unione Europea si chiede di sospendere la procedura di archiviazione delle indagini sulle petizione inviate a Bruxelles ancora nel 2005 e nel 2006 sul Mose e inserite del dossier dell’Agenda 24 comunicata formalmente nel febbraio di quest’anno. In questa documentazione, il Comitato No Mose, con Luciano Mazzolin, accogliendo anche le motivazioni espresse da Armando Danella, uno dei massimi esperti impegnati nella salvaguardia lagunare, già dirigente comunale del settore Legge speciale del Comune, chiede che vengano ulteriormente tenute in considerazione le tesi dello studio Principia (una ricerca del 2009 sui progetti legati alle opere a mare) sulla tenuta delle paratoie.

«Niente e nessuno è in grado di assicurare che queste tengano – sottolinea Caccia in una nota – Se c’è il rischio di una “oscillazione”, potrebbe esserci anche un pericolo maggiore come il rovesciamento di una di esse. Così i contribuenti italiani potrebbero aver speso 5 miliardi e mezzo di euro per ottenere un risultato nullo, se non catastrofico. La denuncia dei Comitati dovrebbe essere presa in considerazione anche se, in tutti questi anni, va anche detto che non si è preso atto delle istanze del Comune di Venezia. Sarebbe importante, invece, che Ca’ Farsetti entrasse, e di diritto, nel Comitato tecnico di magistratura del Magistrato alle Acque».

Ribadisce il proprio impegno Renzo Scarpa (Misto):

«Questa iniziativa – conclude – deve tornare ad essere materia del consiglio comunale».

P.N.D.

 

La Commissione europea sospende l’archiviazione degli esposti dei comitati «Le critiche alle paratoie mai esaminate dal Magistrato». Interrogazioni in arrivo

«Il Mose potrebbe anche non funzionare. Ci sono rilievi tecnici avanzati da Studi di ingegneria che non sono stati mai presi in considerazione. Occorre fare chiarezza». I comitati tornano all’attacco. E in piena bufera giudiziaria che ha fatto finire in carcere Piergiorgio Baita, presidente dell’azienda che sta costruendo il Mose, riaprono il «dossier dighe». L’occasione viene dalla mancata archiviazione decisa dalla commissione Europea per le Petizioni. Solo un vizio di forma – la mancata comunicazione – ma è bastata per ottenere in base alle procedure europee la riapertura dei termini. Così ieri i comitati «Ambiente Venezia e Laguna bene comune», hanno inviato a Bruxelles un nutrito dossier contenente documenti e studi alternativi sulla grande opera, ormai in fase avanzata di realizzazione, insieme alle 12.500 firme raccolte nel 2008. «Per anni nessuno ci ha risposto», denuncia Luciano Mazzolin, «e ormai forse avevano deciso di archiviare senza aver discusso i nostri documenti. Adesso li abbiamo reinviati, insieme a nuovi studi». Il più importante, ha spiegato Armando Danella, per due decenni dirigente della Legge Speciale in Comune, «è quello della società Principia, che su richiesta del Comune a guida Cacciari, aveva fornito al Comune uno studio preoccupante sulla tenuta delle paratoie in caso di eventi marini eccezionali». Critiche che il Magistrato alle Acque non aveva mai nemmeno preso in considerazione», ha ricordato Danella, «mentre il Consorzio ha denunciato per danni gli ingegneri autori di progetti alternativi». Ma in questo caso il Tribunale ha dato torto al pool di imprese, e nella sentenza vi sono riportati i dubbi sulla «tenuta» del Mose. Dunque, istruttoria da riaprire. Anche perché molti sono i punti neri. Ad esempio, sostengono i comitati, sui costi dell’opera e sulle opere di mitigazione, mai realizzate. «Sul sito ci sono i controlli sulle opere ma non il piano delle opere», dice la docente Iuav Andreina Zitelli. Che ha ricordato come il Mose, sotto il governo di Romano Prodi, venne approvato con il parere favorevole dei cinque esperti, ma con una valutazione di Impatto ambientale negativa. Proprio tra gli studi degli esperti c’era il problema della risonanza. Cioè del movimento indipendente delle paratoie innescato dal mare mosso. «Non hanno mai risposto su questo», dice Mazzolin. Tra gli allegati inviati a Bruxelles anche l’ordinanza fornita dal magistrato della Corte dei Conti Antonio Mezzera. Nel febbraio 2008 aveva duramente criticato la gestione degli ultimi anni della salvaguardia, e la mancata presa in considerazione di progetti alternativi. Ieri in municipio numerosi i consiglieri comunali presenti. Renzo Scarpa e Nicola Funari (Gruppo Misto), Beppe Caccia (In Comune), Pierluigi Placella (Cinquestelle), sebastiano Bonzio (Rifondazione), Giacomo Guzzo (IdV). Presenteremo un’interrogazione», dice Caccia, «e chiederemo che il Comune sia coinvolto in fase di discussione dei progetti che lo riguardano».

Alberto Vitucci

 

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