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Nuova Venezia – Sequestro per le azioni Mantovani di Baita

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

9

mar

2013

Valevano venti milioni prima dell’inchiesta.

Zaia primo firmatario per l’istituzione della commissione d’inchiesta

PADOVA – La Guardia di finanza sta per sequestrare il 5% di azioni di proprietà di Piergiorgio Baita della Mantovani Costruzioni Spa. Dopo il sequestro dei conti correnti e degli appartamenti intestati all’ormai ex presidente del colosso delle costruzioni, i finanzieri hanno messo gli occhi sul patrimonio azionario dell’ingegnere sessantaquattrenne, in carcere da giovedì scorso a Belluno. Con lui, con l’accusa di frode fiscale, sono stati arrestati il responsabile amministrativo della Mantovani Nicolò Buson, la presidente di Adria Infrastrutture Claudia Minutillo e l’imprenditore di San Marino William Colombelli. Ieri, intanto, la Regione ha dato il via libera alla commissione di inchiesta che dovrà valutare le procedure seguite per i vari project financing. Baita, che ha rimesso nei giorni scorsi i suoi incarichi, detiene il 5% di quote della Mantovani, mentre il 95% è in capo a Serenissima Holding della famiglia Chiarotto. Il capitale sociale della società di costruzioni è di 50 milioni di euro, ma il volume di affari è di almeno 450 milioni. Le quote valgono nominalmente due milioni e mezzo, ma, almeno prima della bufera giudiziaria che si è scatenata, avevano nel mercato un valore dieci volte superiore, arrivando a venti milioni. I nuclei di polizia tributaria della guardia di finanza di Padova e Venezia hanno deciso di congelare questo “tesoretto” di Baita. Lo scopo è di garantire una fonte per l’eventuale risarcimento danni cui l’ingegnere potrebbe essere condannato qualora le accuse a suo carico venissero confermate in giudizio. La Finanza, come registrato nell’ordinanza di custodia in carcere del gip Alberto Scaramuzza, ha disposto nei confronti di Baita il sequestro preventivo di due conti correnti e cinque appartamenti (uno a Mogliano Veneto, uno a Treviso, due a Lignano Sabbiadoro e uno a Venezia). Evidentemente non bastano più. Le indagini sul giro di false fatture, infatti, stanno allargando il raggio di azione del sodalizio di Baita & soci e conseguentemente lievita anche l’entità delle somme illecitamente “distratte” dalle varie società tramite le false fatture. Nei giorni scorsi la stessa famiglia Chiarotto ha dichiarato di aver dato mandato ai propri legali di verificare se vi sono gli estremi per avviare un’azione di responsabilità, finalizzata al risarcimento dei danni. Ieri la Regione ha ufficializzato l’istituzione di una commissione speciale d’inchiesta: primo firmatario della proposta depositata in consiglio regionale dal Pd è il governatore Luca Zaia. Il documento è sottoscritto dai capigruppo Lucio Tiozzo del Pd, Stefano Valdegamberi dell’Udc, Antonino Pipitone dell’IdV, Diego Bottacin, del gruppo misto, Pietrangelo Pettenò di Sinistra veneta, Carlo Alberto Tesserin per il Pdl. La commissione avrà una durata di sei mesi (prorogabili a 12), sarà composta da nove consiglieri nominati dall’Ufficio di Presidenza (cinque di maggioranza e quattro di opposizione) e sarà presieduta da un esponente dell’opposizione. Lo scopo è di «verificare procedure, costi e tempi di affidamento, aggiudicazione e realizzazione dei lavori pubblici di competenza regionale, con particolare riguardo a quelli eseguiti con il project financing».

Elena Livieri

 

La ragnatela, settanta le società sospette  

La Guardia di Finanza ha sequestrato migliaia di faldoni con accessi fiscali senza bisogno di mandato

MESTRE – Oltre all’elenco di tredici aziende già reso pubblico la scorsa settimana, ce ne sono altre otto che sono state perquisite e che sono emerse durante l’analisi dei conti correnti trovati a San Marino e riconducibili alla “BMC Broker” di William Colombelli. Società che hanno versato denaro per delle fatture false, ma anche loro stesse hanno prodotto documenti falsi diventando, a loro volta, delle “società cartiera”. Le altre aziende perquisite sono: “Egg Srl”, di Roma; “Linktobe” di Sestola (Modena); “Italia Service”, di Mestre; “Italia Service” di Rovigo; “Centro Elaborazione Dati di Zuffi”, di Bologna; “Linea 5 Srl”, di Casalecchio sul Reno; “Eracle Scarl”, di Bologna; e “A4 Holding”, di Padova. Durante le perquisizioni sono stati sequestrati migliaia e migliaia di documenti relativi anche ad altre società, alcune decisamente delle “cartiere”. Individuate, fino a ora, una settantina di società sospette. Le perquisizioni hanno riguardato 23 siti. Diversi documenti sono stati trovati in luoghi diversi da quelli indicati nei mandati di perquisizione. A quel punto i finanzieri hanno compiuto degli “accessi fiscali”, che non hanno bisogno dell’autorizzazione del pm per essere svolti. I corridoi della caserma del Nucleo Provinciale di Polizia Tributaria di Venezia, a Mestre, sono pieni di scatoloni e di faldoni (diverse centinaia), pieni zeppi di documenti. Molti sono relativi a fatture false di operazioni pagate due volte. Sempre questi documenti portano ad altre società create ad arte da amici della “cricca”, capeggiata, secondo gli investigatori coordinati dal pm Stefano Ancillotto, da Piergiorgio Baita, con lo scopo di produrre fatture false. Per ora sono state analizzate le fatture relative ai lavori realizzati per le dighe mobili del Mose. In base ai documenti fin qui sequestrati, quelle riconducibili ad altri lavori, ammontano se non superano i 10 milioni di euro di “nero”, attribuiti alla “cricca” di Baita. Piergiorgio Baita è ancora nel carcere di Belluno e attende venerdì quando il Tribunale del Riesame, deciderà sulla richiesta, del suo difensore Paola Rubini, di portare il procedimento a Padova. Nel frattempo trascorre le giornate leggendo. Legge molti giornali e libri.

Carlo Mion

 

Scarcerata Minutillo, gip e pm: ok ai domiciliari  

Mirco Voltazza annuncia: «Qualcuno mi ha consigliato di espatriare, ma sono pronto a rientrare in Italia»  

VENEZIA – Claudia Minutillo, grazie alla sua collaborazione iniziata con il lungo interrogatorio di lunedì davanti al pubblico ministero di Venezia Stefano Anciotto, ha ottenuto gli arresti domiciliari. Nel primo pomeriggio di ieri è uscita dal carcere femminile della Giudecca ed è potuta rientrare nella sua casa di via Gatta a Mestre, dalla quale però non potrà uscire se non autorizzata, pena l’accusa di evasione. Lo stesso rappresentante dell’accusa ha dato parere favorevole al provvedimento firmato dal giudice Alberto Scaramuzza, lo stesso che ha firmato le ordinanze di custodia cautelare per lei, Piergiorgio Baita e gli altri due indagati. Evidentemente, nei suoi confronti, sono cadute le esigenze cautelari, visto che non solo avrebbe ammesso le sue responsabilità, ma avrebbe anche completato con alcune rivelazioni il quadro accusatorio in mano agli inquirenti. Esigenze cautelari che, invece, non sono scemate per gli altri, tanto che i difensori di Baita e William Colombelli hanno presentato ricorso al Tribunale del riesame, che ha fissato l’udienza per il 15 marzo. Intanto, dall’estero dove si trova, l’imprenditore padovano Mirco Voltazza, ricercato perché sul suo capo pende un ordine di carcerazione, ha inviato un comunicato dal titolo «Sono pronto a rientrare in Italia». Il geometra di Polverara deve scontare un anno e mezzo di reclusione dopo una condanna per peculato, ricettazione e calunnia. Non è indagato nell’inchiesta sulla Mantovani, così come non lo è il suo socio Luigi Dal Borgo, anche se quest’ultimo è stato un assiduo frequentatore di Baita. I due hanno una serie di società con sede in via Fratelli Bandiera, dove ha la sua società anche una vecchia conoscenza della cronaca giudiziaria, l’ex segretario dell’allora ministro Carlo Bernini, Franco Ferlin, arrestato e poi condannato per corruzione. Società sulle quali la Guardia di finanza sta compiendo controlli accurati per accertare se anche in questo caso siano state emessi fatture per operazioni inesistenti a favore della «Mantovani». Voltazza scrive ai giornali: «Dopo le falsità dichiarate sul mio conto con riferimento al caso Mantovani, una cosa è certa: ho una condanna da scontare passata in giudicato. Alla quale il sottoscritto non ha mai avuto nessuna intenzione di sottrarsi. Ma mi è stato consigliato vivamente di andare fuori, onde evitare altre problematiche». Naturalmente non dice chi gli avrebbe dato il consiglio. Dopo una serie di elucubrazioni sull’indagine e su «finti collaboratori o pentiti dell’ultimo momento, Voltazza conclude sostenendo che vuole rientrare in Italia: «Ho intenzione di disattendere quei consigli», scrive, «e questo anche a costo della mia personale incolumità per fare piena luce su questa vicenda».

Giorgio Cecchetti

 

Minutillo vuota il sacco il giudice le dà i domiciliari

Arresti domiciliari per Claudia Minutillo, coinvolta nell’inchiesta delle false fatturazioni del gruppo Mantovani. La presidente di Adria Infrastrutture avrebbe ricostruito il meccanismo di truffa. Si fa vivo il ragionier Voltazza “latitante” e si dice pronto a tornare e spiegare tutto.

Secretati i verbali e qualcuno adesso trema

Parere favorevole del pm Ancilotto e il gip ha firmato la scarcerazione

RICORSO AL RIESAME – Nuove deposizioni sono state allegate dai pubblici ministeri

L’ex segretaria di Galan ha ricostruito il sistema delle false fatturazioni della Mantovani e dato indicazioni sulla destinazione dei milioni di euro “in nero” rientrati da San Marino

Minutillo vuota il sacco e ottiene i “domiciliari”

ATTESI SVILUPPI – Dopo una settimana prime rilevanti crepenel muro di silenzio

Arresti domiciliari per Claudia Minutillo. La presidente di Adria Infrastrutture è uscita dal carcere femminile della Giudecca ieri pomeriggio, dopo che il Gip di Venezia, Alberto Scaramuzza, ha accolto l’istanza presentata dal suo difensore, l’avvocato Carlo Augenti. Il sostituto procuratore Stefano Ancilotto ha dato parere favorevole alla concessione della misura cautelare meno afflittiva spiegando che l’ex segretaria dell’allora presidente della Regione, Giancarlo Galan, ha chiarito la sua posizione. Ma, evidentemente, c’è molto di più: nel lungo interrogatorio di lunedì l’indagata deve aver davvero “vuotato il sacco”, come si usa dire, non limitandosi soltanto a fornire conferme in merito alle false fatturazioni emesse della Bmc Broker di San Marino a favore della sua società e della Mantovani spa di Piergiorgio Baita, per le quali gli inquirenti ritengono, peraltro, di avere già suffienti elementi di prova documentali. Il verbale con le sue dichiarazioni è stato secretato e, quindi, è immaginabile che contenga particolari nuovi e forieri di ulteriori sviluppi dell’inchiesta; forse proprio nella direzione auspicata dagli investigatori, che stanno cercando di scoprire a cosa siano servite e a chi siano finite le provviste in “nero” realizzate grazie alle numerose fatture emesse a fronte di operazioni inesistenti.
Le dichiarazioni della Minutillo sono state trasmesse al Tribunale del Riesame di Venezia che, venerdì prossimo, nell’udienza presieduta da Angelo Risi, dovrà effettuare un primo vaglio in merito alla fondatezza delle accusa formulate dal sostituto procuratore Stefano Ancilotto. I difensori di Baita, gli avvocati Piero Longo e Paola Rubini, hanno anche sollevato un’eccezione di incompetenza dei giudici veneziani, sostenendo che l’indagine spetta alla magistratura di Padova dove si trovano gli uffici amministrativi della Mantovani (che a Venezia ha invece la sede legale). Davanti al Riesame la Procura avrebbe depositato anche i verbali di un paio di altri testimoni che, secondo indiscrezioni, hanno rilasciato dichiarazioni ritenute importanti per riscontrare gli elementi probatori già contestati nell’ordinanza di custodia cautelare.
Altre novità nell’inchiesta potrebbero arrivare dalla copiosa documentazione sequestrata contestualmente ai quattro arresti della scorsa settimana. La Guardia di Finanza ha già messo mano su una serie di documenti, alcuni dei quali rinvenuti in abitazioni private, che proverebbero l’esistenza di altre “cartiere”, ovvero di altre società del tipo della Bmc Broker, il cui principale compito sarebbe stato quello di produrre fatture fittizie.
Il meccanismo contestato alla Bmc Broker di William Alfonso Colombelli è piuttosto semplice e ha funzionato a lungo, probabilmente perché tutti confidavano sul fatto che la Repubblica di San Marino è uno dei “paradisi fiscali” inespugnabili. Invece le rogatorie del pm Ancilotto hanno consentito alle Fiamme Gialle a ottenere le informazioni che cercavano e di scoprire che, sulla base di una serie di contratti per la realizzazione di studi e progetti (che in realtà non sarebbero mai stati prodotti), Mantovani e Adria Infrastrutture hanno versato nel corso degli anni svariati milioni di euro alla società sanmarinese. Colombelli avrebbe trattenuto una percentuale del 15-20 per cento, per poi prelevare il rimanente in contanti e restituirlo a Baita e Minutillo. Nel corso degli anni in questo modo sarebbero state create riserve in “nero” per somme consistenti che potrebbero essere state utilizzate in svariati modi.

Gianluca Amadori

 

IL RETROSCENA   «Mi fu consigliato di andarmene via»

Si cercano altre “cartiere” di documenti taroccati

VENEZIA – Arriva in redazione una mail con le generalità del ragioniere padovano “latitante”

Voltazza: «Pronto a rientrare»

«Sono pronto a rientrare in Italia». Con un messaggio spedito via e-mail ieri, attorno a mezzogiorno, firmato Mirco Voltazza, il ragioniere padovano consulente della mantovani per l’Expo 2015 avrebbe annunciato l’intenzione di tornare «per fare piena luce su questa vicenda». Il condizionale è d’obbligo in quando non è stato possibile contattare Voltazza per avere conferma dell’autenticità del messaggio, inviato da un indirizzo di posta elettronica nel quale figurano il suo nome e cognome.
In questa e-mail, inviata alle redazioni dei principali mezzi d’informazione, il ragioniere conferma di avere una condanna passata in giudicato da scontare e spiega che gli «è stato consigliato vivamente di andare fuori onde evitare altre problematiche». Nel messaggio a firma Voltazza non si precisa chi gli avrebbe consigliato di andarsene, né quali sarebbero le altre problematiche da evitare. In compenso il ragioniere aggiunge che ha deciso «di disattendere i “consigli” e questo anche a costo della mia personale incolumità (spero che non si arrabbieranno in molti) per fare luce su questa vicenda».
Nella mail si parla di «falsità» riferite sul suo conto in relazione al caso Mantovani: «Penso all’ing. Baita e al rag. Buson che sono in carcere e stanno pagando colpe che bisognerà dimostrare, e invece “finti collaboratori o pentiti” dell’ultimo momento che magari sono i reali artefici di certe operazioni poco chiare e poi per salvarsi incolpano gli altri? Non è che dietro ci possono essere altri interessi?» scrive il ragioniere chiedendosi quali saranno gli scenari futuri per la Mantovani e per i suoi concorrenti.

REGIONE VENETO – Luca Zaia il primo firmatario

Commissione d’inchiesta, depositata la proposta

VENEZIA – Il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, è il primo firmatario della proposta depositata ieri in Consiglio regionale dal Pd per istituire una commissione speciale d’inchiesta sulle vicende di presunta frode fiscale e fondi neri che sta coinvolgendo la maggiore impresa veneta di costruzioni e ha messo sotto la lente della magistratura la realizzazione delle più importanti opere pubbliche regionali. La proposta, avanzata dal Pd due giorni, è sottoscritta dai capigruppo Lucio Tiozzo (Pd), Stefano Valdegamberi (Udc), Antonino Pipitone (IdV), Diego Bottacin (gruppo misto) e Pietrangelo Pettenò (Sinistra veneta). Per il Pdl la proposta è firmata da Carlo Alberto Tesserin. La commissione avrà una durata di sei mesi (prorogabili a 12), sarà composta da 9 consiglieri nominati dall’Ufficio di Presidenza (5 di maggioranza e 4 di opposizione) e sarà presieduta da un esponente dell’opposizione. Il compito? «Verificare procedure, costi e tempi di affidamento, aggiudicazione e realizzazione dei lavori pubblici di competenza regionale, con particolare riguardo a quelli eseguiti con il project financing». E verificare, dal 2005, i rapporti «tra società partecipate dalla Regione e soggetti aventi sede all’estero».

 

VALDOBBIADENE – La trappola al ristorante Riva de Milan

Finanziere vestito da cameriere al pranzo “con le ossa del maiale”

L’invito dell’imprenditore Dal Borgo aveva indotto le Fiamme Gialle a piazzare telecamere e cimici per ascoltare i discorsi dei commensali

Hanno passato un intero pomeriggio a installare telecamere. A trasformare l’agriturismo ai piedi delle colline del Prosecco in una sorta di Grande Fratello. Un piano e un’organizzazione da far invidia a Csi, con tanto, parrebbe, di finanziere vestito da cameriere a servire ai tavoli. L’obiettivo delle Fiamme Gialle? Filmare il pranzo “attorno alle ossa del maiale”. L’appuntamento, su invito del bellunese Luigi Dal Borgo, coinvolto nell’inchiesta sul gruppo Mantovani, era nella vecchia casa colonica Riva de Milan, azienda vinicola, con ristorante e locanda, gestita dai fratelli Bernardi.
Tutta la struttura domina una collina alle porte di Valdobbiadene: due chilometri prima del centro, sulla sinistra, si imbocca un viale tra i filari di vite, annunciati d’estate dalla fioritura dei roseti. Si abbandona la strada principale e ci si ritrova in un’altra dimensione. Quella appunto della famiglia Bernardi. Da decenni, dopo aver riscattato l’azienda da un’antica mezzadria, sono un punto fisso attorno al quale ruotano le realtà più diverse. Tra le valli e i clinali del Prosecco di Valdobbiadene Riva de Milan è un’istituzione. Punto di ritrovo di politici, amministratori ma anche di cultori del buon bere. Ci arriva gente da ogni parte della regione. E di ogni livello. Loro, i fratelli Bernardi, conoscono tutti e tutto. Eppure del famoso convivio dicono di non saper nulla. «Quale pranzo? Io non so nulla». Così liquida la faccenda uno dei fratelli, intenzionato a non rispondere a qualsivoglia domanda. Ma qualcosa dovrebbe ricordare visto che quel giorno il ristorante e’ stato aperto solo per l’allegra compagnia di Dal Borgo, un habitue’ del luogo alla pari dei suoi soci e amici Franco Ferlin e Mirco Voltazza. L’agriturismo infatti fa servizio solo da marzo a settembre. Pure ieri era chiuso. Praticamente non c’era nessuno: piazzale vuoto, luci spente, nessuno intorno. Nei mesi invernali il ristorante apre le porte solo per occasioni speciali o iniziative particolari. Come quella dello scorso 2 febbraio: il famoso pranzo tutto dedicato al maiale. E alle Fiamme Gialle. «Finanza? Non so nulla», sorride Bernardi mentre torna a ribadire ciò che ripeterà per una decina di volte: «Non so nulla».
Sulla sfondo bucolico di Riva de Milan resta così il mistero di chi abbia informato quel giorno il ragioniere Mirco Voltazza degli “sgraditi”( per lui) ospiti. Arrivato nel piazzale dell’agriturismo, il consulente di Baita oggi rifugiatosi all’estero, ha fatto infatti retromarcia e se n’è andato. Sembra pero’ che a salvarlo non sia stato il suo intuito, quanto un provvidenziale messaggino che lo avvisava della trappola che era stata tesa dalla Gdf. Per lui niente prelibatezze suine e prosecchino, ma un bel viaggetto in Croazia. È qui che i finanzieri hanno perso le sue tracce. Di tutti gli altri commensali (amici di Dal Borgo ma anche amministratori pubblici) le tracce, invece, sono note e pure filmate. Che dire, è proprio vero che del maiale non si butta via niente.
La replica di Bond: «Io a quel pranzo non sono andato»

Dario Bond, capogruppo del Partito delle Libertà nel Consiglio regionale del Veneto ha diffuso ieri una nota in merito alla notizia (apparsa ieri su “Il Gazzettino”) del pranzo filmato dalla Finanza a Valdobbiadene, lo scorso 2 febbraio. Nelle perquisizioni la Finanza avrebbe acquisito documenti da cui risulta l’invio degli inviti al pranzo da parte dell’imprenditore Luigi Dal Borgo, i cui uffici a Marghera sono stati perquisiti.
«Non so quale sia la fonte e non so da dove provenga. Io non ho partecipato a nessun pranzo chiamato “Intorno alle ossa del maiale” all’agriturismo “Riva de Milan”. Il mio amico Michele Noal mi aveva accennato a questo appuntamento enogastronomico, ma non ero presente anche perchè solitamente al sabato faccio attività politica sul territorio». Dario Bond, poi, ricorda: «Quel giorno, per esempio, ero stato in ospedale a Feltre per la festa di San Biagio. Per questo non voglio che il mio nome venga utilizzato in maniera maldestra e strumentale».

LA PROCURA – Si vuole far luce su alcuni documenti

L’INDAGINE – Tra gli accertamenti spunta anche la “Pannorica srl”

GUARDIA DI FINANZA – Si cercano gli intrecci con Franco Ferlin

Mantovani, a S. Marco lo snodo dell’impero delle società “cartiera”

C’è anche una società del centro storico tra quelle finite, indirettamente, nel mirino dalla Guardia di Finanza nell’ambito dell’inchiesta sulle presunte false fatture della Mantovani spa e delle “cartiere” che sarebbero state utilizzate per realizzarle. Si tratta della società Pannorica srl con sede a San Marco 2065 a pochi passi da San Moisè.
L’indagine in questione è condotta dal pubblico ministero Stefano Ancilotto, titolare dell’inchiesta.
Da quanto è stato accertato dagli inquirenti questa società è spuntata fuori dopo gli accertamenti su Franco Ferlin, a suo tempo segretario dell’ex Ministero ed ex presidente del Veneto, Carlo Bernini. Secondo la Guardia di finanza Franco Ferlin risulta amministratore della Ipros-Agri Bio Energy con sede in via Einaudi 74 a Mestre e con sede operativa in via Fratelli Bandiera 45. Dalle verifiche delle Fiamme Gialle di Padova e Venezia emerge che la maggior parte delle quote di Ipros appartiene a Finard srl e l’oggetto di questa entità è l’attività amministrativa societaria logistica nei confronti delle società partecipate (i soci sono Franco Ferlin e Luigi Dal Borgo).
La maggior parte delle quote appartengono alla Pannorica srl specializzata in amministrazione di beni per conto terzi che ha sede, appunto, a San Moisè. Il presidente del consiglio di amministrazione risulta Renato Murer, commercialista molto conosciuto e stimato a San Donà di Piave sia per la sua attività professionale (ha realizzato diverse pubblicazioni in tema di diritto civile e collabora con Ca’ Foscari) sia per essere stato anche presidente di Atvo. E la Pannorica, tra le varie attività di consulenza, figurava anche nel pacchetto azionario del Vicenza calcio. Ora la Guardia di finanza sta cercando di fare piena luce su questi collegamenti per accertare se, nell’intreccio societario e soprattutto nell’attività di queste imprese, siano state commesse eventuali irregolarità.
Al momento, quindi, si tratta solo di accertamenti sulle documentazioni.

 

Armando Mannino, ingegnere ex consulente del Magistrato alle acque

Ha lanciato pesanti accuse sulla gestione dei lavori del Mose

Il Consorzio: «Mammino dimostri se e come le imprese gonfiavano i costi»

«La congerie di supposizioni, accuse e denunce emerse a ben più di tre anni dai fatti contestati, e forse strumentalmente uscite dal cappello solo in questi giorni, fa di tutt’erba un fascio».
È piccata la replica del Consorzio Venezia Nuova all’indomani delle dichiarazioni rilasciate dall’ingegner Armando Mammino, uno dei consulenti del Magistrato alle Acque che ha raccontato di aver ricevuto la lettera di revoca dell’incarico dopo aver sollevato critiche ad alcuni progetti del Consorzio Venezia Nuova in sede di approvazione, nonostante la disponibilità a trovare dei correttivi di cui il Consorzio non avrebbe approfittato.
«Si mette insieme – ribatte il Consorzio – il supposto rigonfiamento dei costi dell’opera da parte delle imprese, l’invio a Bologna dell’ingegner Piva da parte del Ministero delle Infrastrutture; il mancato reincarico dell’ingegner Armando Mammino da parte del Magistrato alle Acque di Venezia, interpretato come rappresaglia per aver espresso suggerimenti non accolti su progetti del Consorzio Venezia Nuova per altro poi approvati dall’intero Comitato tecnico di Magistratura e le dimissioni dallo stesso consesso del professor Fellin, che comunque afferma che la normativa dava ragione al Consorzio».
«A queste contestazioni di livello e contenuto diversi, risponderà l’Amministrazione nei luoghi deputati e con le modalità e i tempi che riterrà più opportuni – prosegue il Consorzio Venezia nuova – Quanto alla perentoria affermazione che “il Mose con gli Olandesi sarebbe costato un terzo” seguita dalla considerazione che “come in altre opere pubbliche, tutti calcavano la mano”, il Consorzio Venezia Nuova, che è sottoposto in quanto concessionario all’alta sorveglianza sia tecnica che amministrativa del Magistrato alle Acque di Venezia, si riserva autonomamente di difendersi, naturalmente quando il professor Mammino, oltre che contrapporre genericamente gli Olandesi agli Italiani per il costo delle opere, indicherà dove e quando e per che importo si sia verificato questo fenomeno in rapporto alla costruzione del Mose».

 

Gazzettino – Bufera sulla Mantovani

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8

mar

2013

Tante aziende ma un unico indirizzo: via Fratelli Bandiera

I “GESTORI” – L’imprenditore bellunese, il ragioniere padovano e l’ex esponente dc

Secondo gli inquirenti a Venezia c’era un polo per la produzione di fatture false legato alla Mantovani. A gestirlo un terzetto, in cui spicca l’ex segretario di Carlo Bernini

Dal Borgo e i legami con il consulente di Baita con manager e politici

IL PM – Stefano Ancilotto è titolare dell’inchiesta che sta facendo tremare il Nord Est degli appalti e degli affari

Le “cartiere” di Marghera e il ritorno di Franco Ferlin

L’INCHIESTA – Le società perquisite ufficialmente si occupano di consulenze ambientali

Marghera, via Fratelli Bandiera 45/a. Qui, secondo gli inquirenti, avrebbero sede alcune “cartiere” che opererebbero da tempo a stretto contatto con il Gruppo Mantovani. Sulla carta si tratterebbe di società di consulenze tecnico ambientali. In realtà la loro specializzazione sarebbe un’altra: la produzione di fatture false. A guidare questo presunto polo del “nero” su scala industriale sarebbero tre personaggi. Al primo posto, nella lista degli investigatori, c’è il ragioniere Mirco Voltazza, padovano, ex impiegato di banca e promotore finanziario, con precedenti per ricettazione, peculato e calunnia, fuggito all’estero da più di un mese. Voltazza che gli investigatori sospettano essere il coordinatore delle “cartiere”, ha un contratto con il Gruppo Mantovani per la costruzione e la successiva demolizione della piattaforma su cui sorgerà l’Expo 2015. Voltazza ha un ufficio in via Fratelli Bandiera 45/a. Accanto al suo c’è quello di un altro dei presunto protagonisti di questa vicenda: Luigi Dal Borgo, imprenditore bellunese e, secondo gli inquirenti, socio dello stesso Voltazza. Dal Borgo anzi è sospettato di “nascondere” il ragioniere padovano quando dall’estero rientra furtivamente nel Veneto. Ma a completare il terzetto c’è un personaggio il cui nome finora non era mai emerso. Ed è un nome noto, non solo agli inquirenti ma anche alle cronache politiche della Prima Repubblica: si tratta di Franco Ferlin, padovano, personaggio della Tangentopoli veneta 1992, all’epoca segretario del potente senatore democristiano e ministro dei Trasporti, Carlo Bernini. Anche Ferlin ha uffici in via Fratelli Bandiera 45/A a Marghera ed è socio di Dal Borgo.
I tre sarebbero a capo di una rete di società, tutte con sede nel Veneziano, sospettate appunto di fungere da “cartiere” di fatture false. Franco Ferlin è amministratore unico della Ipros – Agri Bio Energy srl, con sede legale in via Einaudi 74 a Mestre e sede operativa in via Fratelli Bandiera 45/a a Marghera. La società ha per oggetto l’esercizio in via diretta o attraverso società e enti di partecipazione di attività nel campo della ricerca.
La maggior parte delle quote della Ipros appartiene alla Finard srl, che ha pure sede in via Einaudi 74 a Mestre. L’oggetto di questa società è l’attività amministrativa, societaria, logistica, di consulenza e di direzione strategica e finanziaria nei confronti delle società partecipate. Soci della Finard srl sono Franco Ferlin e Luigi Dal Borgo. Ma la maggior parte delle quote appartengono alla Pannorica srl, che ha sede a Venezia, San Marco 2065. La Pannorica srl ha come oggetto l’amministrazione di beni per conto di terzi.
Tutte queste presunte “cartiere” veneziane sono state perquisite nei giorni scorsi dalla Guardia di Finanza che sta indagando sulle società che fanno capo al terzetto Dal Borgo-Ferlin-Voltazza e sui loro soci.

Lino Lava

 

L’INVITO – Manager pubblici «Intorno alle ossa del maiale»

IL CASO – IL 2 febbraio il ragioniere doveva essere al Riva de Milan a Valdobbiadene. Ma all’ultimo cambiò programma.

E Voltazza sfuggì alla Gdf che filmava il pranzo

A tavola anche Pieralessandro Mazzoni, Mariano Carraro e Bond

PADOVA – L’appuntamento era invitante: “Intorno alle ossa del maiale”. No, non si trattava di un convegno gastronomico. Ma di un pranzo tutto dedicato al suino: sabato 02 febbraio 2013, ore 13.00, all’agriturismo “Riva de Milan” di Valdobbiadene, provincia di Treviso. Presenti intorno al desco alcune decine di persone tra cui alcuni manager pubblici come Mariano Carraro, Fabrio Fior, Roberto Morandi o l’ammnistratore delegato di Veneto Acque Pieralessandro Mazzoni. Ma anche politici come il capogruppo Pdl in regione Veneto Dario Bond. Tutti invitati dal bellunese Luigi Dal Borgo, imprenditore ambientalista con attività a Marghera, coinvolto nell’inchiesta Mantovani e su cui si appuntano sospetti per la fabbricazione di fatture false. Con lui avrebbero dovuto esserci anche due altri personaggi noti alle cronache giudiziarie e molto legati a Dal Borgo: il suo socio ed ex segretario di Bernini, Franco Ferlin,(il recapito telefonico sull’invito per il pranzo era quello della sua società di Marghera, la Ipros-Agro Bio Energy, recentemente perquisita dalla Gdf) e l’amico Mirco Voltazza, il pluripregiudicato consulente di Baita, scomparso all’estero e anch’egli coinvolto nell’inchiesta sul gruppo Mantovani. Ma l’uno e l’altro quel 2 febbraio non si sono presentati ai tavoli del Riva de Milan a gustare prelibatezze suine. Entrambi hanno preferito girare alla larga. Voltazza in realtà all’agriturismo di Valdobbiadene ci sarebbe pure arrivato, ma poi all’ultimo momento avrebbe fatto retromarcia: sarebbe risalito rapidamente sul suo potente Suv e se ne sarebbe andato. Pare in direzione della Croazia, raggiunta dopo una sosta in provincia di Udine. Come si spiega questo improvviso cambio di programma del ragioniere padovano chiamato da Baita ad occuparsi dell’Expo 2015? Voltazza potrebbe essere stato avvertito o quantomeno sicuramente aver intuito che all’agriturismo quel giorno c’era qualcosa di anomalo. E in effetti c’era. Il pranzo prevedeva infatti una presenza, assai discreta e ovviamente ignota ai più, quantomeno inconsueta: quella delle telecamere degli uomini delle Fiamme Gialle che infatti hanno lungamente filmato quel pranzo invernale a base di maiale sui colli di Valdobbiadene. E gli uomini delle Fiamme Gialle erano lì anche in attesa del ragioniere Voltazza, il quale, secondo gli investigatori, avrebbe molto da raccontare sull’inchiesta che coinvolge il gruppo Mantovani.

L.L.

 

IL PERSONAGGIO – L’ “ombra” del senatore e i guai con Tangentopoli

Franco Ferlin era il segretario di Carlo Bernini, all’epoca ministro democristiano, poi precipitato nelle inchieste di Tangentopoli. Ferlin era l’ombra del potente doroteo trevigiano scomparso due anni fa. Il portaborse finì in carcere, fu condannato e la condanna alla pena detentiva finì in giudicato. Il 26 aprile 2000 si presentò al carcere Due Palazzi di Padova dicendo: «Mi chiamo Franco Ferlin. Devo scontare un residuo di pena. Ci deve essere un ordine di carcerazione a mio carico. Mi sto costituendo». E ha scontato fino in fondo il suo conto con la giustizia. Una volta uscito passò un periodo in affido ai servizi sociali.
I guai per lui erano venuti dall’inchiesta veneziana avviata dei pubblici ministeri Ivano Nelson Salvarani e Carlo Nordio (per corruzione, concussione e finanziamento illecito dei partiti) riguardanti la spartizione di appalti da parte delle aziende che pagavano la Dc di Carlo Bernini e il Psi di Gianni De Michelis. Ferlin venne condannato a quattro anni e mezzo dal Tribunale di Venezia, in appello aveva patteggiato una pena di un anno, quattro mesi e venti giorni di reclusione con la sospensione condizionale.

 

VENEZIA – La denuncia dell’ing. Mammino

«Il Mose? Con gli olandesi sarebbe costato un terzo»

Il consulente (poi rimosso) del Magistrato alle Acque: «Come in altre opere pubbliche, tutti calcavano la mano»

In tre se ne sono andati dal Comitato tecnico del Magistrato alle Acque di Venezia per colpa del Mose. O sono stati costretti a farlo. La prima a mettere frequentemente i bastoni tra le ruote in alcuni progetti era stato il Magistrato alle Acque di Venezia Maria Giovanna Piva, “rimossa” in anticipo rispetto alla scadenza del suo contratto. Aveva chiesto approfondimenti sulle cerniere delle paratoie mobili che dovevano essere montate: il progetto prevedeva fossero realizzate con la tecnica della fusione, mentre si optò per la tecnica della saldatura dei componenti, realizzata da Fip Mantovani, come più avanzata tecnologicamente, nonostante una perizia contraria. Piva fu trasferita a Bologna, facendole intendere che se non se ne fosse andata avrebbe rischiato una destinazione molto più lontana. «Se nella fusione il rapporto percentuale era 80 di costi e 20 di utili, la proporzione nel caso della saldatura era l’opposto, con 80 di utili a fronte di 20 di spesa». Parola dell’ingegner Armando Mammino, dal 2002 al 2009 consulente del Magistrato alle Acque incaricato di controllare e migliorare i progetti presentati al Comitato tecnico di Magistratura.
«Controllavo quelli della Mantovani con lo stesso zelo che impiegavo negli altri, ma mi consideravano un rompiscatole – prosegue Mammino – Anche perchè era prassi consolidata, nel Mose come nelle altre opere pubbliche, calcare la mano alla grande nelle fatture sui quantitativi dei materiali e sulle altre spese. Non ho scrupoli a dire che se il Mose fosse stato subappaltato agli olandesi si sarebbe concluso in un terzo del tempo e sarebbe costato un terzo dei soldi».
Mammino si mise di traverso ai progetti del Consorzio Venezia Nuova. In proposito, spiega ancora l’ex consulente: «Spesso capitava di chiedere dei correttivi. Nel 2009 c’erano in discussione alcuni progetti del Consorzio. Avevo chiesto di parlare con i tecnici per rivedere alcune cose, avevo dato ben quattro date per incontrarci senza risposta. Furono presentati per l’approvazione in Comitato tecnico di Magistratura quegli stessi progetti che avevo contestato senza alcuna modifica. Mi opposi, suscitando una pittoresca reazione dell’ingegner Patrizio Cuccioletta, il Magistrato alle Acque che aveva sostituito Piva. Mi fu comunicato per lettera che il mio ruolo di consulente era concluso».
Mammino, esperienza quarantennale nel campo delle costruzioni, fu sostituito con il prof. Renato Vitaliani dell’Università di Padova, che ha fornito la propria esperienza anche alla ditta Cignoni, incaricata della progettazione esecutiva del ponte di Calatrava a Venezia. Qualche mese più tardi un altro professore prese le distanze dal Comitato tecnico di Magistratura delle Acque: Lorenzo Fellin, già ordinario di sistemi elettrici e direttore del dipartimento di ingegneria elettrica dell’Università di Padova si dimise per non avvallare scelte che non condivideva: «Anche se la normativa dava ragione al Consorzio Venezia Nuova – dichiara – ragioni di opportunità suggerivano un bando di gara internazionale sulla tecnica da utilizzare per le cerniere del Mose».
Nel frattempo Mantovani afferma in un comunicato di essere “estranea agli illeciti contestati ai propri esponenti” e la propria intenzione a portare a termine regolarmente i lavori anche senza l’apporto delle persone indagate.

 

L’IMPRESA   «Siamo estranei ad ogni contestazione e porteremo a termine tutti i lavori»

L’impresa Mantovani proseguirà l’attività anche senza l’apporto delle persone attualmente indagate nell’indagine della Procura veneziana. Lo ribadisce la società, tranquillizzando i lavoratori diretti e dell’indotto che da giorni vivono in ambasce nel timore che si blocchino tutti i cantieri in cui la Mantovani è impegnata.
«La società – si legge in una nota aziendale – desidera assicurare che sono in corso di adozione i provvedimenti più opportuni per assicurare alla società una governance autorevole, estranea ai fatti sui quali la magistratura sta indagando, ma anche in grado di garantire continuità nell’operatività e negli indirizzi tecnici e gestionali».
Dopo aver ribadito che gli interessati dai provvedimenti cautelari hanno rassegnato le dimissioni dalle cariche ricoperte, la Mantovani Spa “desidera in ogni caso ribadire l’estraneità della società rispetto ad ogni illecito contestato a propri esponenti, riservandosi ogni valutazione a tutela degli interessi della società”.
Infine, un ringraziamento alle proprie maestranze, che mai come in questi giorni sono state preoccupate per il futuro.
«La società è fortemente impegnata, in ciò sostenuta dai propri azionisti – conclude il comunicato aziendale – a portare avanti gli importanti progetti e lavori ad essa affidati e desidera ringraziare le proprie maestranze per l’unitarietà e la dedizione dell’azienda in più occasioni manifestate in questi giorni».

 

BUFERA SULLA MANTOVANI

INCHIESTA MANTOVANI – L’ex consulente: «Mose, tutte le aziende gonfiavano le spese»

LA CONSULENZA  «Il Consorzio trascurò le mie osservazioni. E fui allontanato»

L’ATTO DI ACCUSA – Armando Mammino, ex tecnico del Magistrato alle acque  «Se l’avessero fatto in Olanda sarebbe costato un terzo»

«Mose, tutti gonfiavano le spese»

«In tutte le opere pubbliche le aziende fornitrici calcano la mano sui materiali e sulle fatture»

INGEGNERE – Armando Mammino, l’ingegnere che per sette anni fu consulente del Magistrato alle acque sui lavori per il Mose

«Se il Mose l’avessero fatto in Olanda ci avrebbero messo un terzo del tempo e sarebbe costato un terzo di quello che verrà a costare. Del resto quando si ha a che fare con le opere pubbliche tutti hanno il vizio di calcare la mano sulle fatture, come è avvenuto con il Mose, aumentando i volumi dei materiali impiegati e non solo quelli». Non ha peli sulla lingua Armando Mammino, l’ingegnere che dal 2002 al 2009 fu consulente del Magistrato alle Acque con l’incarico di controllare e proporre miglioramenti sulle componenti strutturali di tutti i progetti relativi alle opere interne ed esterne della laguna in costante connessione operativa con il concessionario per l’esecuzione “Consorzio Venezia Nuova”.
Un’attività di consulenza che riguardò notevoli e numerosi lavori di costruzioni marittime, che ha avuto il suo peso nella taratura della sicurezza, della qualità, dell’ottimizzazione di tutti i grandi manufatti ora in fase di ultimazione.
«La Mantovani aveva degli standard di progettazione non malvagi – racconta Mammino – e i rapporti erano apparentemente buoni. Sapevo però che alle spalle mi detestavano perchè nel Comitato tecnico di magistratura facevo la parte del rompiscatole, chiedevo spesso aggiustamenti sui loro progetti, come pure facevo con qualsiasi altra ditta, come mi suggerisce la mia esperienza quarantennale nel campo delle costruzioni».
Alla fine del 2009 arriva la lettera in cui il Magistrato alle Acque solleva Mammino dall’incarico, sostituendolo con un altro esperto, l’ing. Renato Vitaliani dell’Università di Padova, che ha messo le proprie conoscenze anche al servizio anche della ditta Cignoni, incaricata della progettazione esecutiva del ponte della Costituzione.
«Sapevo di essere diventato antipatico anche al Magistrato alle Acque, l’ing. Patrizio Cuccioletta, che aveva preso il posto di Maria Giovanna Piva. Con lei avevo lavorato con ottima sintonia professionale, ma era stata trasferita a Bologna per la vicenda delle cerniere delle paratoie, prodotte mediante saldatura e non per fusione come previsto dal progetto definitivo. Ma la goccia che fece traboccare il vaso fu la mia obiezione ad alcuni progetti del Consorzio Venezia Nuova sui quali avevo richiesto dei correttivi. Avevo dato quattro date disponibili per parlare con i progettisti ma non fui interpellato. Alla successiva riunione del Comitato tecnico di Magistratura i progetti furono presentati tali e quali, senza alcuna modifica e io mi opposi. Cuccioletta si arrabbiò molto in quella riunione e poco tempo dopo arrivò la lettera in cui mi si rimuoveva dall’incarico».
Dopo alcuni mesi anche Lorenzo Fellin, professore ordinario di Sistemi elettrici e direttore del direttore del Dipartimento di ingegneria elettrica dell’Università di Padova ed esperto del Comitato tecnico di Magistratura se ne andò sbattendo la porta perchè non se la sentiva di avvallare le scelte del Magistrato alle Acque, che “pretendeva l’unanimità”.

Raffaella Vittadello

 

LE REPLICHE – L’ex Magistrato e il Consorzio: «Noi non c’entriamo»

«Non voglio fare alcuno sgarbo istituzionale all’attuale Magistrato alle acque, io sono in pensione da un anno e mezzo ormai, non ho più alcun ruolo istituzionale. Non ho motivo di commentare l’arresto del presidente della Mantovani Piergiorgio Baita. Bisogna chiedere all’attuale Magistrato».
Così risponde Patrizio Cuccioletta, romano, Magistrato alle Acque di Venezia per alcuni anni in sostituzione di Maria Giovanna Piva, che aveva chiesto ulteriori approfondimenti sulle cerniere del Mose realizzate con la tecnica della saldatura anzichè della fusione dalla Fip Mantovani, contrariamente a quanto previsto dal progetto definitivo.
Ciriaco D’Alessio, magistrato alle acque attuale, ha detto nei giorni scorsi di non aver mai avuto rapporti diretti con la Mantovani, ma solo con il Consorzio Venezia Nuova di cui l’azienda di Baita fa parte. «Il Magistrato alle Acque – ha spiegato D’Alessio – paga le fatture al Consorzio, che a sua volta si avvale anche di ditte in subaffidamento».
E sulla vicenda dell’ing. Armando Mammino, il consulente del Comitato tecnico di Magistratura liquidato “per essersi messo di traverso ad alcuni progetti del Consorzio Venezia Nuova”, il Consorzio fa sapere di non essere l’interlocutore giusto. «Al di là del fatto che sono passati diversi anni e bisognerebbe essere più precisi sul tipo di progetti di cui stiamo parlando, il rapporto dell’ingegnere non era direttamente con noi ma con il Magistrato, dunque se c’erano delle contestazioni da fare era a Palazzo X Savi che andavano fatte».

R.V.

 

No Mose – Nuova memoria a Bruxelles

L’Assemblea permanente No Mose chiede alla Commissione per le petizioni del Parlamento europeo di non archiviare due denunce presentate tra il 2005 e il 2005 e corredate da oltre 12mila firme. I promotori, Luciano Mazzolin e Tiziana Turatello, lo scorso febbraio avevano presentato opposizione all’archiviazione e chiesto un termine di 30 giorni per la presentazione di ulteriori memorie.
«Riteniamo – si legge nel dossier inviato a Bruxelles – che non si siano esaminate in maniera approfondita le memorie supplementari presentate durante l’audizione del 2007. Nel documento sono citate pagine e pagine di atti pubblici tra i quali spiccano valutazioni della Corte dei conti e del Ministero dell’Ambiente. Del 2008 è una perizia di danni ambientali che la bocca di porto di Malamocco avrebbe patito e che il Comune avrebbe allora quantificato in circa 120 milioni.

 

MARGHERA – L’imprenditore perquisito opera tra via Fratelli Bandiera e Quarto d’Altino

Dal Borgo, il fedelissimo del presidente Baita

L’ingegner Luigi Dal Borgo è considerato un grande esperto di infrastrutture, persona seria e molto preparata. Ed è anche stato, almeno fino ad un paio di anni fa, amico e collaboratore di Piergiorgio Baita, il loro legame risale ai tempi dell’Università. Poi i rapporti professionali si sono un po’ raffreddati ma solo perché la Mantovani Costruzioni era diventata un’impresa troppo grossa e difficile da seguire per un singolo imprenditore.
Il suo nome è venuto alla ribalta dopo le perquisizioni che la Guardia di Finanza ha effettuate venerdì scorso a Quarto D’Altino dove c’è la Crea Technology srl, di cui l’ingegnere è presidente, e a Marghera nello stabile di via Fratelli Bandiera 45/A a poca distanza dal centro sociale Rivolta. È la palazzina dell’impero dei Furlanis e oggi, oltre alla sede della società francese Citelium che gestisce l’illuminazione pubblica del Comune, ospita varie ditte riconducibili a Dal Borgo, in primis la Nsa Srl, Non Solo Ambiente, nonché le attività di Mirco Voltazza, il consulente tecnico ambientale per l’Expo 2015 scomparso all’estero da più di un mese, pregiudicato per ricettazione, peculato e calunnia che, secondo gli inquirenti, sarebbe amico di Dal Borgo e anche socio.
Nella palazzina di Marghera Luigi Dal Borgo occupa tutto il terzo piano e la parte sinistra del piano terra con varie società dato che, operativamente, ogni volta che apre un settore di intervento, crea una ditta apposita.
Residente a Pieve d’Alpago, Dal Borgo dopo la laurea ha fatto la sua gavetta in grandi cantieri per dighe, autostrade e quant’altro, dopodiché si è messo in proprio.
I rapporti con Baita sono cominciati abbastanza presto ed evidentemente suscitava in lui grande fiducia visto che nei primi anni Novanta, quando Piergiorgio Baita finì inquisito e in carcere, e non poteva sedere nei vari consigli di amministrazione in cui era stato nominato, era proprio Luigi Dal Borgo che lo sostituiva. Fino a qualche anno fa appariva anche nel cda della stessa Mantovani.
Dal Borgo si recò pure in Russia per acquistare le navi utilizzate per portare in laguna i masegni utilizzati per costruire le dighe del Mose. E anche con il Consorzio Venezia Nuova ha rapporti di lavoro, essendo il fornitore dei geotessuti utilizzati per rifare le rive dei canali e consolidare le barene.
Tra le ultime intraprese di Dal Borgo, assieme a Baita, c’è l’”autostrada” che Veneto Acque sta realizzando tra l’alto Portogruarese e Rovigo: la società della Regione, cui partecipa anche Mantovani, sta costruendo un enorme collettore che raccoglie l’acqua alla base delle risorgive e la porta appunto fino nel Rodigino. Quando la grande opera sarà finita tutti gli acquedotti del nostro territorio saranno riforniti da questa conduttura. (e.t.)

 

L’INCHIESTA – Colombelli e le fatture false. Nel mirino da oltre 2 anni

La Procura seguiva da tempo l’attività del broker.

VENEZIA – Da due anni Procura e Finanza tenevano Colombelli sotto tiro

Da almeno due anni la Procura stava seguendo da molto vicino l’attività di William Colombelli (in particolare le fatture) ma la svolta dell’inchiesta è arrivata solo la settimana scorsa. Stesso discorso per quanto riguarda le intercettazioni telefoniche nei confronti degli altri arrestati. Contatti costanti, ma a quanto pare incentrati sempre sugli stessi argomenti, dove emerge un Piergiorgio Baita molto preparato sulle problematiche tecniche. E poi altri riscontri sui progetti.
Gli investigatori stanno analizzando la documentazione di circa ottanta faldoni, carte molto delicate che potrebbero dar vita a nuovi scenari per quando concerne la maxi inchiesta sulla società Mantovani. La mole di lavoro è così consistente che in queste ore sono diversi gli investigatori che stanno vagliando i documenti recentemente sequestrati, in particolare le false fatturazioni che sono la base portante del lavoro della Procura. Anche la verifica sulle nuove “cartiere” deve essere realizzata comparando il materiale di alcuni progetti con le documentazioni sequestrate. E spesso emergono singolari analogie.

 

L’avvocato Fogliata: «Non sapevo nulla dei filmini “a luci rosse” che gli hanno sequestrato»

Anche il pubblico ministero Stefano Ancilotto, titolare dell’inchiesta, sta valutando con il collega Stefano Buccini come proseguire la verifica incrociata dei progetti finiti nel mirino della Guardia di finanza. Al momento pare certo, salvo sorprese, che la svolta dovrebbe arrivare solamente nel corso dell’udienza del Tribunale del riesame fissata per il 15 marzo, ma il fatto che le difese abbiano già annunciato che punteranno parecchio sull’incompetenza territoriale fa ritenere alla Procura di Venezia che su alcuni aspetti dell’inchiesta non si voglia più di tanto entrare nel merito.
Tra i legali degli arrestati va segnalata la presa di posizione di Renzo Fogliata, difensore di William Colombelli, il presidente della Bmc Broker di San Marino al quale sono stati recentemente sequestrati diversi filmini “a luci rosse”. In alcuni di questi filmati Colombelli sarebbe anche il protagonista. «Ignoravo del tutto questo materiale e ho scoperto della sua esistenza solo leggendo il giornale – ha precisato ieri mattina l’avvocato Fogliata – in ogni caso penso che queste cose rappresentino vicende del tutto personali che non hanno nulla a che vedere con l’inchiesta. A tal proposito siamo invece in attesa della discussione davanti al Tribunale del riesame».

 

Nuova Venezia – Chiarotto scarica Baita

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8

mar

2013

Pronta la richiesta di risarcimento danni

Il manager della Mantovani dal carcere di Belluno annuncia le dimissioni da tutti gli incarichi: è nominato in 42 Cda

PADOVA – Un’azione di responsabilità. Tanto annuncia il patron della Mantovani Spa Romeo Chiarotto nei confronti dell’ingegnere Piergiorgio Baita. Il proprietario dell’asso “pigliatutto” degli appalti veneti, tramite la cassaforte di famiglia Serenissima Holding, darà mandato a un legale al fine di studiare il caso per vedere se si ravvisino gli estremi per avviare un’azione di responsabilità. E se così sarà, scatterà la richiesta di risarcimento danni. Romeo Chiarotto, del resto, lo ha ripetuto più volte davanti al sostituto procuratore di Venezia Stefano Ancilotto mercoledì mattina quando lo ha interrogato: la famiglia non ha nulla a che vedere con le fatture false, di cui era totalmente all’oscuro. L’inchiesta della guardia di finanza di Venezia e Padova che ha portato in carcere oltre a Baita anche il direttore amministrativo della Mantovani Nicolò Buson, l’imprenditore di San Marino William Colombelli e l’ex segretaria di Giancarlo Galan Claudia Minutillo, presidente di Adria Infrastrutture, ha squarciato come un fulmine il ciel sereno sotto cui era convinto di riparare i suoi affari l’ottantatreenne Chiarotto. Tanto più che era stato proprio lui, negli anni Novanta, a volere Baita alla guida della Mantovani, dopo che un’inchiesta nell’ambito di Tangentopoli che lo coinvolse, restituì l’ingegnere del tutto “pulito”. «Sono in corso di adozione i provvedimenti più opportuni per assicurare alla società una governance autorevole, estranea ai fatti sui quali la magistratura sta indagando» si legge nella nota diffusa ieri dalla società per azioni, «ma anche in grado di garantire continuità nell’operatività e negli indirizzi tecnici e gestionali». Ecco perché all’orizzonte si profila la causa per danni della famiglia Chiarotto contro Baita, perché il granitico colosso delle costruzioni rischia di crollare come un castello di sabbia investito dall’onda lunga della scandalo per frode fiscale. Finalizzata, secondo gli inquirenti, alla costituzione di fondi neri. Ma questo è il filone ancora aperto dell’inchiesta. Quello a cui potrebbe imprimere un’accelerata la decisione venerdì prossimo del tribunale del Riesame, che dovrà decidere sulla scarcerazione di Baita e Colombelli. Perché se dovranno rimanere in carcere, le probabilità che decidano di collaborare con gli investigatori si fanno più concrete. Intanto i legali dell’ingegnere sessantaquattrenne, gli avvocati Piero Longo e Paola Rubini, hanno annunciato che Baita, attualmente nel carcere di Belluno, ha firmato le dimissioni da tutti i suoi incarichi. Ben 42, secondo la Camera di commercio. Oltre che presidente del cda della Mantovani, Baita figura vice presidente di Adria Infrastrutture, presidente di Talea e Palomar (tutte e tre società finite nell’inchiesta per false fatture), Expo 2015 e Nogara Mare. Risulta anche vice presidente di Autostrada Serenissima, Gra di Padova e Veneta sanitaria finanza di progetto, consigliere di Veneto City, Consorzio Venezia Nuova e Thesis. Sullo sfondo restano i destini della Mantovani: «La società» conclude la nota di ieri, «è fortemente impegnata, sostenuta dai propri azionisti, a portare avanti gli importanti progetti e lavori a essa affidati e ringrazia le maestranze per l’unitarietà e la dedizione in più occasioni manifestate in questi giorni».

Elena Livieri

 

Zanoni: «Zaia deve mettere fine al cumulo di cariche di Vernizzi»

L’eurodeputato Andrea Zanoni invita il governatore del Veneto a porre fine al cumulo di incarichi di Silvano Vernizzi: «Inaccettabile che la stessa persona presenti progetti con la mano destra e li approvi con quella sinistra» dice Zanoni, «invito la magistratura ad andare fino in fondo nelle indagini sul terremoto che sta scuotendo il Veneto. Zaia risolva una volta per tutte la gravissima situazione di conflitto d’interessi rappresentata da Vernizzi, ad esempio al tempo stesso amministratore delegato di Veneto Strade e presidente della commissione regionale incaricata di concedere la Valutazione ambientale strategica (Vas), nonché collezionista di svariati altri incarichi». Tra le reazioni politiche anche quella di Barbara Degani, presidente della Provincia di Padova, dopo l’annuncio da parte del Pd di una interrogazione sulla vendita delle quote dell’Autostrada Padova Brescia: «Noi abbiamo adottato da subito procedure di evidenza pubblica anche per trattative private» ha detto Degani, «le illazioni sul prezzo delle quote sono dimostrazione di malafede. Il primo prezzo di 740 euro del 2009 era dipeso da trattative con altri enti, quello di 518 del 2011 dalla stessa società per la ricapitalizzazione. E il consiglio provinciale approvò all’unanimità la vendita». (e.l.)

 

I SINDACATI SI AFFIDANO ALLA PROPRIETA’

«Il colosso tiene si giri pagina»

PADOVA «Il nostro obiettivo è la salvaguardia dei livelli di occupazione, la Mantovani è un colosso internazionale che può superare questa bufera. Noi ci auguriamo che Piergiorgio Baita esca di scena e siamo convinti che la famiglia Chiarotto saprà trovare un nuovo manager cui affidare la gestione dell’azienda». Francesco Andrisani, della Fillea Cgil di Venezia, non ha dubbi: «I 900 dipendenti della Mantovani non hanno alcun motivo per temere contraccolpi all’occupazione dall’inchiesta avviata dalla procura di Venezia. Nutriamo la massima fiducia nei confronti della magistratura e siamo convinti che saprà far emergere le esatte responsabilità degli imputati coinvolti nell’inchiesta. Quando si parla di evasione fiscale c’è da sperare che si possa andare fino in fondo, ma il portafoglio ordini della Mantovani ci lascia tranquilli», spiega Andrisani. Il colosso delle costruzioni, asso pigliatutto con il project financing, ha due supercommesse che vale la pena citare: il Mose di Venezia (da consegnare al consorzio Venezia Nuova entro il 31 dicembre 2016) e la piastra dell’Expo 2015 di Milano: si tratta di un contratto da 165 milioni di euro, la cui importanza è stata sottolineata, mesi fa, dal premier Mario Monti: «Non c’è missione all’estero in cui non sottolineiamo l’importanza dell’adesione ad Expo 2015». Se questo è il quadro, quali ripercussioni ci possono essere per il futuro? «La Mantovani è controllata al 95% dalla famiglia Chiarotto e noi siamo convinti che l’amministratore delegato Baita dovrà rispondere delle sue azioni. Per quanto riguarda il Mose, il Consorzio Venezia Nuova si trasferirà da Campo Santo Stefano all’Arsenale e i 130 dipendenti verranno assegnati ai nuovi uffici», conclude Andrisani. Omero Cazzaro, della Uil padovana, aggiunge che i sindacati hanno chiesto un incontro con la Mantovani per fare il punto della situazione occupazionale: «Non ci sono segnali preoccupanti, vogliamo solo sapere quali provvedimenti verranno adottati nei confronti di Baita nel caso in cui le accuse venissero confermate». Assai diversa la riflessione di Andrea Castagna, segretario della Cgil di Padova, che esprime profonda preoccupazione per un’inchiesta che «dimostra quanto profondo sia il legame tra politica e appalti pubblici. Un paio di settimane fa è esplodo lo scandalo delle commesse degli elicotteri di Finmeccanica in India, e ora anche il Veneto si interroga su una colossale presunta evasione fiscale. Ho sempre espresso contrarietà al projet financing perché, come il nuovo ospedale di Mestre dimostra, si finisce per pagare due-tre volte il costo dell’opera e mi permetto di sollevare forti perplessità sul sottopasso delle Torricelle di Verona: si tratta di un traforo lungo 13 chilometri che verrà a costare 8-900 milioni di euro. Il sindaco di Verona Tosi è stato costretto a rinviare la firma della convenzione del projet con la Mantovani, ma io credo che quell’opera sia dannosa all’ambiente e troppo onerosa. Infine una battuta che gira a Padova: i più soddisfatti dell’inchiesta sono i costruttori edili dell’Ance, che vedono un barlume di speranza per la fine di un monopolio» conclude Castagna.

Albino Salmaso

 

La Minutillo chiede gli arresti domiciliari

L’ex segretaria di Galan ha ammesso che alcune fatture dalla Bmc di Colombelli erano false

VENEZIA – In attesa del riscontro alle dichiarazioni dell’ex segretaria di Giancarlo Galan divenuta manager – dichiarazioni secretate dopo 6 ore di interrogatorio, premessa per un prossimo ampliamento degli indagati – l’avvocato Augenti ha presentato ieri mattina istanza per trasformare la custodia cautelare in carcere in arresti domiciliari. Dei quattro arrestati, Claudia Minutillo è l’unica ad aver ammesso con il pm Stefano Ancillotto che – sì – si era accorta che alcune delle fatture emesse dalla società sanmarinese Bmc del compagno William Colombelli fossero false. «Si sta consumando, è molto depressa, non mangia da giorni, mai avrebbe sospettato di finire in questa situazione», spiega l’avvocato Augenti, «d’altra parte non ho mai visto nessuno finire in carcere per false fatturazioni, neppure con importi molto maggiori e null’altro le è stato contestato in quest’indagine». Con tutti gli appalti pubblici gestiti dalla Mantovani, c’è tensione nell’aria per possibili nuovi sviluppi investigativi, legati all’utilizzo dei fondi neri per milioni di euro (20 quelli contestati sinora, 10 però prescritti) creati con le false fatturazioni. Piergiorgio Baita – accusato di essere a capo dell’associazione per delinquere finalizzata alla fabbricazione di false fatture e che potrebbe dunque restare agli arresti cautelari per 6 mesi, contro i 3 dei compagni di carcere – punta a trasferire l’inchiesta a Padova e questo chiederanno gli avvocati Longo e Rubini al Riesame. Ma il manager potrebbe non contestare nel merito tutte le accuse. «Stiamo studiando la mole immensa degli incartamenti», spiega l’avvocata Paola Rubini, «certe intercettazioni sono suggestive: Baita è una persona intelligente e si rende conto che ci sono delle problematiche, ma finché non avremo contezza di tutti gli atti non avrebbe senso rispondere alle domande del pm». Suggestiva, ma fuori dalle indagini, la notizia dei video hard dei propri incontri trovati sul computer di Colombelli. «Sono molto stupito che elementi attinenti alla sfera personale più privata siano stati divulgati», commenta l’avvocato Fogliata, «dal momento che non hanno nulla che fare con le indagini». La Procura conferma: nessun legame tra i video e l’inchiesta. Intanto, il pm Stefano Buccini sta approfondendo i controlli sulle false fatturazioni intestate a consulenze e lavori relativi al Mose.

Roberta De Rossi

 

SALVAGUARDIA

A Bruxelles il dossier dei comitati sul Mose

Ci sono anche le registrazioni di Report (Rai3) e molti articoli della Nuova nel dossier inviato ieri alla Commissione petizioni del Parlamento europeo dall’associazione Ambiente Venezia. Luciano Mazzolin e Tiziana Turatello hanno raccolto un voluminoso dossier di documenti e studi. E hanno chiesto al Parlamento europeo di riaprire il dibattito sulla grande opera. Nel dicembre scorso la presidente Erminia Mazzoni aveva comunicato alle associazioni – che hanno raccolto 12.500 firme contro il Mose, depositando la petizione a Bruxelles – che la loro domanda non era stata archiviata. Pratica riaperta, dunque, anche se dall’esposto sono ormai passati più di sei anni. «Ma è l’occasione per valutare quello che è stato fatto», dice Mazzolin. Nel dossier inviato al Parlamento anche la relazione della Corte dei Conti, voluminoso rapporto firmato dal magistrato Mezzera che metteva in luce le anomalie della gestione della salvaguardia negli ultimi vent’anni. Concessione unica, prezzo lievitato (da 1 miliardo e mezzo a 5 miliardi e mezzo, escluse le opere di mitigazione, la gestione e la manutenzione dell’opera), controlli scarsi, conseguenze ambientali. A cominciare dai cantieri di Santa Maria del Mare, aperti in area tutelata e per questo sanzionati dall’Europa. E poi i progetti alternativi non esaminati, le previsioni del rialzo del livello dei mari firmate da Paolo Pirazzoli ignorate. Fino ai dubbi tecnici sul funzionamento delle paratoie in condizioni particolari, contenuti nel rapporto della società di ingegneria francese «Principia», commissionato dal Comune cinque anni fa. «Siamo pronti a rispondere alle domande», dice Mazzolin, «e abbiamo fiducia nell’Europa».(a.v.)

 

Ecco le prime foto delle paratie del Mose approdate via mare a Marghera: sono quelle della barriera di Lido Treporti

VENEZIA – Oggi alle ore 15.45 sono entrate in laguna le prime due paratoie del Mose. Partite poco dopo la mezzanotte da Monfalcone, dove sono state costruite, hanno attraversato la bocca di porto di Malamocco e sono approdate a Marghera.

Le paratoie, posizionate ciascuna sopra un carrellone, sono state trasportate via mare da un pontone che le ha scaricate all’area ex Pagnan (6 ettari), che era stata in precedenza bonificata e infrastrutturata per il loro stoccaggio, e dove alle paratoie verranno agganciati gli elementi maschi delle cerniere.

Si tratta delle paratoie per la barriera di Lido Treporti: 21 (più 2 di riserva) ciascuna pesa 170 tonnellate ed è larga 20 m, lunga 18.6 e spessa 3.6 m. I maschi pesano 13 tonnellate l’uno. Le femmine invece, in quanto solidali ai cassoni di alloggiamento delle paratoie, sono già state posizionate nel fondale della bocca di porto.

Tra la fine di aprile e l’inizio di maggio verranno installate 4 paratoie nella base già nel fondale dal settembre scorso. A maggio potranno essere messe in funzione per le “prove in bianco”, operazione fondamentale per ottimizzare e accelerare la conclusione delle barriere mobili del Mose.

Il Mose per la difesa di Venezia dalle acque alte è parte del vasto programma per la salvaguardia fisica e ambientale della laguna ed è stato attuato dallo Stato (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – Magistrato alle Acque di Venezia) attraverso il Consorzio Venezia Nuova. La sua conclusione è prevista per il 2016.

link articolo

 

Gazzettino – Venezia. Mose, arrivano le prime paratoie

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26

feb

2013

SALVAGUARDIA – I “colossi” in acciaio da 170 tonnellate vengono realizzati a Monfalcone

Il viaggio nella notte di domani fino a Marghera, dove ci saranno le ultime lavorazioni

I primi due “bestioni” arriveranno in laguna nella notte di domani, mare permettendo. Parallelepipedi d’acciaio da 170 tonnellate, 20 metri di larghezza per 18 e mezzo di altezza e 3 e mezzo di profondità, destinati ad essere calati nella bocca di porto di Lido Treporti. Il momento delle paratoie del Mose è così finalmente arrivato. La commessa delle prime 23 strutture, quelle destinate alla “trincea” di Treporti appunto, è stata vinta dalla Cimolai di Pordenone, che le sta realizzando nel suo stabilimento di Monfalcone. E da qui, domani, saranno imbarcate le prime due su un’enorme chiatta che, viaggiando di notte, raggiungerà la laguna dopo 12 ore di lenta navigazione. Un trasporto, a cura della Timet, casa di spedizioni veneziana specializzata in carichi straordinari, che da solo costerà quasi un milione di euro, per tutte e 23 le paratoie. Tra una decina di giorni sarà la volta della seconda coppia, con uno scaglionamento lungo l’intero 2013.
La prima tappa veneziana per le paratoie, poi, sarà l’ex area Pagnan di Marghera, dove il Consorzio Venezia nuova le prenderà in consegna per le ultime lavorazioni. Riverniciate di giallo e assemblate ai maschi, pure questi in arrivo in questi giorni dalla Fip di Selvazzano, partiranno finalmente verso la trincea di Treporti per la fase più delicata dell’installazione nei cassoni, dove sono già state montate le femmine. Un’operazione per cui bisognerà aspettare le finestre del “morto d’acqua”, previste tra il 15 e il 22 aprile e il 29 aprile e il 6 maggio. A giugno, quindi, le cosiddette “prove in bianco”, quando, una volta collegate, si proveranno a muovere le prime quattro paratoie.
Nei piani del Consorzio, a fine ottobre, saranno anche varati e calati nella trincea di San Nicoletto i cassoni di alloggiamento oggi in via di ultimazione a Malamocco. A seguire, toccherà a quelli destinati alla bocca di porto di Malamocco. Quella del Lido potrà essere definitivamente “armata” entro la fine del 2014 o l’inizio del 2015. Da valutare in base agli eventi di marea – precisano sempre al Consorzio – la possibilità di usarla già prima del completamento dell’intera opera, prevista entro il 2016.

 

Baita: «Il miliardo della Legge di Stabilità e i 250 milioni del Cipe coprono i lavori fino alla messa in funzione del sistema»

Mose ultimato nel 2016. Ne è sicuro Piergiorgio Baita, presidente della Mantovani e primo azionista del Consorzio Venezia Nuova.

«I 250 milioni di euro stanziati dal Cipe il 21 dicembre e l’articolo 2 della Legge di Stabilità che ci assicura un miliardo e 84 milioni di euro», spiega Baita, «coprono i lavori fino alla messa in funzione delle dighe mobili, nel 2016».

Restano escluse, dice l’ingegnere, le opere complementari e quelle di mitigazione, imposte dall’Unione europea e chieste dal Comune per riparare il danno dei cantieri. Ma nel 2016, assicura Baita, «Venezia non avrà più acque alte».

In ritardo di due anni rispetto al cronoprogramma originario (fine lavori prevista nel 2014), con il prezzo finale lievitato a 5 miliardi e mezzo (il progetto di massima parlava di 3200 miliardi di lire, un miliardo e mezzo di euro), le 79 paratoie del Mose dovrebbero essere messe in funzione fra tre anni.

Già alla fine del 2013 potrebbe funzionare il primo sbarramento, quello di Treporti con le sue 20 paratoie collegate tra loro. Sott’acqua, nel canale del Lido tra Punta Sabbioni e l’isola artificiale, sono già sistemati i cassoni in calcestruzzo. Subacquei al lavoro, per le ultime rifiniture. Intanto a Malamocco si stanno ultimando di grandi cassoni di spalla. Blocchi enormi di calcestruzzo alti come un palazzo di cinque piani, lunghi fino a cento metri, che dovranno essere calati sul fondo della bocca di poto di Malamocco e poi di Chioggia. Insomma, il Mose va avanti. E il Consorzio Venezia Nuova conta di far vedere le prime paratoie funzionanti a Treporti già alla fine del 2013.

«Mi pare che siamo usciti dal decennale dibattito se fare il Mose oppure no», dice Baita, «adesso il problema sarà come gestire l’opera».

Finiti i lavori, nel 2016, dovrà essere infatti messa a gara la gestione del sistema Mose, che avrà la sua regìa operativa in Arsenale.

Sempre in Arsenale ci sarà il centro della manutenzione del sistema, lo smontaggio e il montaggio delle paratoie. Andranno periodicamente sostituite, in media una ogni mese sarà prelevata dalle navi jack up (in costruzione all’Arsenale, del costo di 55 milioni di euro) e rimessa in funzione.

Un lavoro eterno, che potrà produrre occupazione per molti anni. C’è anche da affrontare il tema del «ripristino» ambientale. E delle opere di mitigazione nei luoghi dove i cantieri saranno dismessi. Qualche anno fa l’Ue aveva aperto un’inchiesta, su esposto degli ambientalisti, per la violazione delle Direttive europee «Habitat» e «Uccelli». Pratica ala fine archiviata con prescrizioni di interventi e monitoraggio a tutela dell’ambiente e delle specie faunistiche che ancora non sono state messe in atto.

Alberto Vitucci

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GRANDI OPERE – Il porto off shore preoccupa le marinerie venete

Il terminal offshore di Venezia rischia di cancellare definitivamente la pesca veneta: è questo il grido d’allarme lanciato dalle principali associazioni di categoria del settore che si sono riunite giovedì per discutere degli effetti devastanti che l’opera potrebbe provocare sulla risorsa ittica. Legapesca, Federcoopesca, Agci pesca, Coldiretti Impresa Pesca, i Cogevo di Venezia e Chioggia e diverse organizzazioni di produttori temono che la piattaforma d’altura, che sarà realizzata a circa 17 chilometri al largo del porto di Venezia, possa pregiudicare l’attività di tutte le marinerie venete. L’area dove dovrebbero sorgere il terminal per le petroliere, il terminal per le portacontainer e la piattaforma servizi, costituisce da sempre zona di raccolta su scala commerciale dei molluschi bivalvi (fasolari, vongole, cannolicchi), caratterizzata inoltre da un’intensa attività di pesca con attrezzi fissi e di pesca a strascico.
Oltre all’area occupata dal terminal, c’è poi tutto il fascio tubiero che collegherà il terminal d’altura con quello a terra di Porto Marghera e che finirà per interessare una vasta area della Laguna veneziana. Le proporzioni dell’opera, insomma, inevitabilmente determineranno un grande mutamento nelle condizioni del mare veneto: quali effetti potrebbe avere l’aumento del traffico marittimo in quelle aree? Quali danni potrebbe provocare alla risorsa ittica l’installazione del terminal? Sono questi i quesiti che le associazioni di categoria si stanno ponendo. «Millantato come panacea per tutti i mali economici e sociali – si legge in una nota congiunta delle associazioni di categoria – il terminal avrà un’unica conseguenza: eliminare un intero gruppo di lavoratori che finora hanno legato la propria sopravvivenza al mare e ai suoi frutti».
Non è la prima volta che i pescatori si lamentano per gli effetti negativi sulla pescosità del mare determinati dalle grandi opere che hanno interessato la fascia costiera veneta: il ripascimento delle spiagge, il Mose, il terminal Gasiero, il tubo del P.i.f..

Lunedì 28 gennaio, comunque, i rappresentanti delle associazioni parteciperanno alla presentazione ufficiale dell’opera, mentre già mercoledì 30 la questione sarà sottoposta alla Commissione per la valutazione di impatto ambientale. In queste ed in successive occasioni i pescatori chiederanno alle istituzioni di tenere in maggiore considerazione le esigenze delle imprese messe a rischio dall’opera.

 

Uno studio boccia il progetto del Mose. Ed innesca la polemica tra le parti.

Nel corso di un convegno che si è tenuto ad Atene, nell’ambito del centro integovernativo Smartest, una previsione dell’ingegner Paolo Pirazzoli fa luce sul progetto di difesa delle acque alte ed alla fine boccia il Mose. A renderlo noto è una lettera di Italia Nostra nella quale vengono presi in esame i vari punti contestati nella relazione. E la conclusione del professore, secondo gli ambientalisti, è netta.

«Nel caso di una ripetizione dell’evento del 1966 il Mose sarebbe incapace, anche oggi, di mantenere il livello della laguna sotto i 110 centimetri. In breve, il progetto Mose è inadeguato per la salvaguardia di Venezia e non è in grado di costituire una resistenza agli allagamenti. Se sarà completato, nella migliore delle ipotesi nel 2016, sarà necessario demolirlo poco dopo la sua costruzione».

Altro dato emerso nel convegno è quello relativo alle previsioni sull’innalzamento del mare. Secondo quanto emerso dallo studio negli ultimi anni le previsioni più affidabili, per il 2100, vanno da un minimo di 50 ad un massimo di 140 centimetri, con una stima media di 80 centimetri e comunque ben superiore rispetto al dato fino ad ora discusso che parlava di un innalzamento medio di 22 centimetri.
Ma il Consorzio Venezia Nuova ribatte punto su punto.

«Il Mose è stato dimensionato per resistere a una marea di 3 metri e ad un innalzamento del livello del mare di 60 centimetri. Questo è quanto la progettazione e la realizzazione perseguono e ottengono. Sono molti anni che l’ingegner Paolo Pirazzoli contesta il funzionamento del Mose. Ogni volta occorre confutare non la sua opinione, che è personale, ma i dati sui quali la fonda. Le previsioni del 1984, riportate da Pirazzoli sull’aumento di livello del mare – prosegue la nota del Consorzio – nulla hanno a che vedere con gli scenari su cui è stato dimensionato il Mose. Se le paratoie del Mose fossero già in opera, e potrebbero esserlo se i tempi non fossero stati rallentati da numerosissime richieste di verifica, Venezia sarebbe già da qualche anno all’asciutto, difesa sia dalle maree più alte, sia da quelle più frequenti».

Il Consorzio osserva così che dopo anni in cui gli oppositori all’opera hanno affermato che «il Mose non serviva», perché sovradimensionato, ora sempre gli stessi affermano che il Mose «non basterà» a fronte dell’innalzamento del livello del mare. «Al contrario, il Mose – conclude il Consorzio – funzionerà al meglio e prima sarà finito, prima i veneziani potranno passare giornate serene».

 

L’intervento del rappresentante del governo al convegno: «Dobbiamo perpararci al peggio per i mutamenti di clima»

«Bisogna prepararsi al peggio: Venezia e le coste del nostro Paese subiranno eventi climatici più severi di quelli che abbiamo già conosciuto». Il ministro dell’Ambiente Corrado Clini lo dice all’isola di San Servolo, intervenendo al convegno «Da Sandy a Doha, la sfida del cambiamento climatico». Il clima che cambia e il livello del mare che aumenta. Non è più una previsione di qualche scienziato, ma un’emergenza sempre più vicina. A cui non siamo preparati. «Bisogna finire il Mose e renderlo efficace», ha detto il ministro, «poi aggiornare le difese costiere delle aree del Nord Adriatico sotto il livello del mare, come Ravenna e Monfalcone ai nuovi scenari climatici. Ci vorranno 40 miliardi».

«Bene», commenta l’assessore all’Ambiente del Comune Gianfranco Bettin, «dopo che per vent’anni tutto l’establishment aveva negato l’esistenza dei cambiamenti climatici facendo finta di non vedere, adesso stanno prendendo paura. Se il mare aumenterà di livello bisognerà non soltanto completare il Mose, ma anche verificare che il Mose sia in grado di difendere lo stesso la città pur con le condizioni così radicalmente cambiate. Non basta che siano i progettisti ad assicurarlo». Il Consorzio Venezia Nuova infatti sostiene che le dighe mobili sono in grado di proteggere la città per maree superiori ai tre metri. Studi di scienziati indipendenti hanno dimostrato però che con lo scenario radicalmente modificato rispetto agli studi che avevano giustificato il Mose (60-80 centimetri di aumento del livello del mare a fine 2100, contro i 22 previsti all’inizio) le dighe dovrebbero essere chiuse 80-100 volte l’anno, in pratica una volta ogni tre giorni, molto di più nel periodo invernale. «A quel punto ci si dovrebbe porre il problema del ricambio e della tenuta di questo progetto nella laguna», dice Bettin. Ma i lavori del Mose vanno avanti. E anche il sindaco Giorgio Orsoni ha chiesto al governo di garantirne il completamento. Senza però dimenticare le tante emergenze della città, a cominciare dalla manutenzione, ormai ferma da anni per la mancanza di fondi. «Inutile difendere la città con le dighe se dietro le dighe non c’è più niente», dice Orsoni. Da domani il senato dovrebbe cominciare a discutere la nuova legge di Stabilità, che contiene un emendamento che dà 50 milioni destinati al Mose alla città per i restauri, 100 milioni al Porto. Dovrebbe essere la svolta che restituisce i finanziamenti di Legge Speciale destinati alla manutenzione della città storica, dopo il taglio deciso nel 2001, quando con la Legge Obiettivo di Lunardi-Berlusconi i fondi vennero dirottati esclusivamente al Mose tramite il Cipe.

Alberto Vitucci

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