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Nuovo interrogatorio, è indicato come la «longa manus» del Consorzio nella raccolta di fondi neri

VENEZIA – È la settimana di Pio Savioli. L’uomo del Consorzio veneto cooperativo nel consiglio del Consorzio Venezia Nuova sarà interrogato dal pubblico ministero Paola Tonini che cercherà di mettere ulteriormente a fuoco i meccanismi, non solo dell’appalto pilotato per i lavori al Porto, ma soprattutto dei fondi neri utilizzati, secondo l’accusa, per oliare il sistema. Savioli infatti è considerato dai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Venezia la longa manus dell’ex presidente del Consorzio Giovanni Mazzacurati. Colui che raccoglieva i soldi tra le imprese disposte a pagare per poter avere una fetta della torta degli appalti cucinata dal Consorzio. Passaggi di denari documentati con foto e video a corredo della lunga relazione redatta dalla Finanza e in gran parte ancora coperta da omissis dietro i quali potrebbero nascondersi i nomi che i finanzieri sospettano essere i destinatari ultimi dei finanziamenti. In particolare ci sono delle immagini che testimoniano, nella primavera del 2011, il passaggio di denaro in buste, in auto, all’uscita di un casello autostradale, tra lo stesso Savioli e un imprenditore che voleva la sua fetta di appalti. Imprenditori che sarebbero pronti a raccontare quel che sanno pur di stare a margine dell’inchiesta che sta facendo tremare il Veneto e che sta sempre più disegnando i contorni di un sistema consociativo di gestione degli appalti, per accontentare destra e sinistra. Se le cose stanno davvero così, come sospettano i finanzieri, lo potrà spiegare proprio Savioli. Sempre questa settimana, tra giovedì e venerdì, l’inchiesta sul presunto appalto pilotato passerà al vaglio del Tribunale del riesame dove saranno valutate le posizioni dei principali indagati: Giovanni Mazzacurati e Pio Savioli. Ma anche quelle di Mario e Stefano Boscolo Bacheto della cooperativa San Martino di Chioggia, la società dalla quale, dopo una semplice verifica fiscale che ha portato alla scoperta di una contabilità parallela rispetto a quella ufficiale, è partita l’inchiesta. In calendario anche i ricorsi presentati da un gruppo di imprenditori delle società di Chioggia coinvolte nell’inchiesta. (f.fur.)

 

Dossier di Zaia al pm «La verità sul nuovo ospedale di Padova»

L’iniziativa del governatore dopo le indiscrezioni sulla cena che riunì Mazzacurati, Savioli, Zanonato, Zaccaria e Ruscitti

VENEZIA – Procura della Repubblica di Venezia. Una decisione suggerita dalle notizie filtrate nell’ambito dell’inchiesta sul Consorzio Venezia Nuova che sta evidenziando un ventaglio di illegalità decennali, con abusi e distorsioni nelle dinamiche di mercato legate alla costruzione del Mose (il sistema di dighe mobili in laguna il cui costo finale è stimato in 6 miliardi di euro) nonché intrecci tra affari e politica culminati in fondi neri e finanziamenti illeciti. Ma che c’entra in tutto questo il nuovo polo ospedaliero in programma a Padova? Il riferimento, contenuto nelle carte all’esame degli investigatori, corre a una cena alle Calandre, rinomato ristorante di Sarmeola, che l’8 giugno 2011 raccolse intorno a un tavolo l’anfitrione Giovanni Mazzacurati e Pio Savioli – all’epoca presidente e consigliere di Venezia Nuova, ora detenuti con accuse pesanti – e in qualità di ospiti il sindaco di Padova Flavio Zanonato, il rettore del Bo Giuseppe Zaccaria e l’allora segretario generale della sanità veneta Giancarlo Ruscitti. Una riunione, spiegano i commensali, dedicata a discutere il futuro del progetto ospedaliero. «Avendo ricevuto un preciso mandato dal Senato Accademico e dalla Facoltà di Medicina di portare avanti la linea dell’imprescindibile necessità di dare a Padova una nuova struttura ospedaliera degna delle tradizioni della Scuola Medica e funzionale alle esigenze della città e della Regione, non mi sono sottratto in alcuna occasione ad incontri con chiunque si mostrasse favorevole alla costruzione di un nuovo Policlinico», la motivazione addotta in una nota da Zaccaria, lesto a precisare che «Né l’Ateneo né il Rettore hanno mai preso posizione sulle modalità tecniche e finanziarie di un’eventuale appalto, tutte queste ultime di competenza esclusiva della Regione». Più irritata la reazione di Zanonato. Il ministro dello Sviluppo economico, che aveva commentato la pubblicazione della notizia annunciando una querela via Twitter («L’informazione non è diffamazione, sono stato inserito in un contesto estraneo»), ieri ha motivato sul piano istituzionale la sua partecipazione alla cena, ribadendo la polemica verso i media: «Mi sono battuto da anni per il nuovo ospedale di Padova e ho cercato di capire se realisticamente si poteva fare accompagnandomi ad un altro grande soggetto che è l’Università. Perciò mi ha dato molto fastidio essere inserito in un ambiente indicato come torbido in cui solo l’accostamento a certe persone crea un problema. Si tratta di comportamenti scorretti, non legali fino in fondo, di certi giornali che ho smesso di leggere». Ma perché l’ingegnere Mazzacurati, a capo del pool concessionario unico della faraonica opera idraulica a Venezia, avvertì il bisogno di affrontare il tema ospedale? Da quale interesse muoveva la sua iniziativa? Il sospetto di finalità trasversali è forte, acuito dalla presenza di Savioli, definito dalla Procura un collettore di fondi neri. E ancora, i dubbi circa pressioni sulla Regione per accelerare o condizionare il progetto che nella versione iniziale, sottoscritta anche dal rettore Zaccaria, prevedeva mille posti letto “estendibili” e un campus universitario sull’area dall’attuale complesso Giustiniani con costi intorno a 1,2 miliardi. Tant’è. Un mese e mezzo dopo la fatidica cena, Luca Zaia comunicò la decisione di Palazzo Balbi: via libera a un nuovo «ospedale europeo», snellito a mille posti “fissi” e senza più campus per 650 milioni di spesa, da realizzarsi entro il 2016 a Padova Ovest, anziché in centro, con l’Azienda ospedaliera stazione appaltante dell’accordo di programma. Ora il governatore, che della trasparenza fa il suo biglietto da visita («Io di appalti non mi occupo né mi occuperò») ricostruisce nel dettaglio il processo decisionale che culminò nell’approvazione del progetto. L’obiettivo del dossier trasmesso ai magistrati è rimarcare l’autonomia e la correttezza che ispirarono la scelta, affidata a un pool di tecnici coordinati dal top manager Domenico Mantoan. Carta canta etc etc, il teorema di partenza.

Filippo Tosatto

 

inchiesta MOSE – Le dimissioni del sindaco chieste dal Gruppo misto 

Il Gruppo Misto del consiglio comunale prende posizione in merito all’inchiesta sul Consorzio Venezia Nuova per i lavori del Mose, chiedendo, tra le righe, le dimissioni di Orsoni, Marchese e Falconi. «Le indagini», si legge in una nota, «avrebbero riscontrato anche il finanziamento alla campagna elettorale del sindaco Giorgio Orsoni, il finanziamento al Pd attraverso una “dazione” al presidente di Ames Giampietro Marchese, i rapporti professionali dell’impresa dell’attuale presidente dell’istituzione Gondola Nicola Falconi. Pur nella convinzione che le persone coinvolte abbiano diritto alla presunzione di innocenza e auspicando che quanto evidenziatosi in questi giorni non abbia a tradursi in comportamenti illegittimi, si evidenzia la necessità che i ruoli istituzionali e gli incarichi debbano essere tenuti al riparo da ogni coinvolgimento attraverso la immediata separazione delle responsabilità personali dagli incarichi e dalla rappresentanza istituzionale attualmente ricoperti. Ciò consentirà agli stessi di tutelarsi con migliore efficacia in ogni sede. A rendere oltremodo grave quanto ipotizzato dalle notizie di stampa relative alle indagini della Guardia di Finanza sta la consapevolezza che quanto emerso si sarebbe svolto ai danni della città di Venezia attraverso un uso distorto delle risorse destinate alla sua salvezza e salvaguardia».

 

INCHIESTA MOSE – Numerosi imprenditori hanno chiesto alla Finanza e alla Procura di essere ascoltati

«Se mi beccano buttano la chiave»

Savioli e Morbiolo intercettati al telefono: «Scrivilo su carta che si possa inghiottire, non scherzo»

I TIMORI – Alcuni indagati sospettavano di essere indagati e intercettati. Tra questi Pio Savioli che al telefono dice al suo interlocutore: «Se mi beccano buttano la chiave». E Morbiolo a un suo collaboratore: «Scrivi su carta che si possa mangiare».

IN CODA – Sul fronte delle indagini, ora molti imprenditori hanno chiesto alla Finanza e alla Procura di essere sentiti. La prossima settimana l’inchiesta passerà al vaglio del tribunale del riesame.

EX LEADER – Piergiorgio Baita, ex “capo” della Mantovani, avrebbe fornito molte informazioni agli inquirenti

Indagini sull’appalto “pilotato”. Anche se non indagati, molti chiedono alla Procura di incontrare i pm per allontanare il rischio del carcere

VERSIONI DA VERIFICARE  A ogni deposizione seguono molti controlli e riscontri

INIZIATIVE AUTONOME – Anche chi non è nel mirino vorrebbe “vuotare il sacco”

CANTIERI – Per anni la laguna è stata interessata da decine di cantieri. Molte anche le proteste di ambientalisti e residenti perché le opere avrebbero modificato di molto l’ambiente.

Imprenditori in “coda” per parlare con la Guardia di Finanza e con i magistrati della procura che coordinano le indagini. A poco più di due settimane dall’esecuzione delle misure cautelari relative al presunto appalto “pilotato” per lavori commissionati dal Porto di Venezia, sono numerose le persone che hanno chiesto di essere ascoltate. Tra loro vi sarebbero anche imprenditori che per ora non risultano indagati (o comunque non sono oggetto delle misure restrittive) e che potrebbero aver deciso di “vuotare il sacco” per evitare il rischio di finire in carcere. Dalla prossima settimana, insomma, la Guardia di Finanza avrà parecchio da lavorare, anche perché dopo ogni interrogatorio e deposizione è necessaria un’articolata attività di riscontro e di verifica delle versioni fornite.
Gli elementi che stanno emergendo nel filone relativo all’appalto “pilotato” e alle false fatture della cooperativa San Martino, su cui indaga la pm Paola Tonini, si intrecciano con quelli già agli atti nelle indagini sulle false fatture della società Mantovani spa, nel quale finì in carcere lo scorso inverno Piergiorgio Baita, il quale ha iniziato dalla primavera a collaborare con il pm Stefano Ancilotto. L’esito delle due indagini si preannuncia “esplosivo” per gli equilibri economico-finanziari della regione, ma anche per quelli politici, considerato che sono molte le ombre di tangenti e di finanziamenti illeciti ai partiti che spuntano dalle carte acquisite dalle Fiamme Gialle. Un elemento accomuna le due inchieste: entrambe sono iniziate da un accertamento fiscale che ha portato alla scoperta di false fatture, grazie alle quali le società realizzavano “provviste” in nero, parti delle quali sarebbero poi finite per finanziare esponenti politici.
Finora sono comparsi davanti agli investigatori il presidente del consorzio Coveco, Franco Morbiolo (indagato a piede libero), il quale è parlato per circa sei ore con il pm Paola Tonini. Morbiolo è l’imprenditore che decise di sfidare il presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, rifiutando di sottostare all’accordo per far vincere l’appalto alle piccole imprese: il Coveco presentò domanda ugualmente e si aggiudicò uno stralcio dei lavori, per poi fare un passo indietro in cambio di un’adeguata contropartita. Anche il segretario di Mazzacurati, Federico Sutto (ai domiciliari), ha confessato, spiegando di aver eseguito gli ordini del “capo”. E lo stesso presidente del Consorzio Venezia Nuova (anche lui ai domiciliari) ha ammesso di aver pilotato l’appalto, seppure assicurando di averlo fatto a fin di bene, per riequilibrare le assegnazioni di lavori a favore delle piccole imprese, troppo spesso escluse.
Nei primi giorni della prossima settimana sarà la volta di Pio Savioli, il consigliere del Consorzio Venezia Nuova definito «il grande protagonista dell’attività investigativa» e non è escluso che il trevigiano possa decidere di collaborare con gli inquirenti nel tentativo di uscire da una posizione che appare fortemente compromessa.

Gianluca Amadori

INTERCETTAZIONI – Alcuni indagati sospettavano di essere intercettati. Morbiolo: «Scrivilo su carta che si possa mangiare»

Savioli: «Se mi beccano buttano via la chiave»

VENEZIA – (gla) Alcuni degli indagati sospettavano di essere sotto inchiesta e temevano di poter essere intercettati. È quanto emerge dagli atti della Guardia di Finanza.
Franco Morbiolo, responsabile del consorzio Coveco di Marghera, è molto cauto e nel 2011 suggerisce ad un collaboratore di prendere tutte le precauzioni necessarie per non essere trovato il possesso di documenti scomodi: «Scrivilo su una carta diversa… su carta mangiabile… se arriva qualcuno un giorno è deglutibile… non sto scherzando…», gli dice in un colloquio registrato dalle Fiamme Gialle.
Anche Pio Savioli, il consigliere del Consorzio Venezia Nuova, secondo i finanzieri era a conoscenza delle indagini in corso. Al telefono spiega al suo interlocutore di essere stato più volte avvisato che potrebbero scattare perquisizioni e arresti, ma ostenta sicurezza: «Sono venuti anche a casa mia alla sera dicendo … domani… arrestano tutti… come vedi non è successo nulla… c’è qualche mallevolenza, un po’ di lettere anonime – dichiara, per poi aggiungere – Se mi beccano buttan via la chiave…»
Stefano Tomarelli, altro amministratore del Consorzio Venezia Nuova (nonché della cooperativa Clodia e della società romana Condotte spa) viene descritto come «particolarmente diffidente e guardingo», tanto da spegnere spesso il telefonino e da pagare l’autostrada soltanto in contanti per non lasciare tracce. «Unitamente al Savioli, entrambi consapevoli dell’attività di polizia giudiziaria in corso e ipotizzando di essere intercettati, durante le conversazioni telefoniche hanno tentato in tutti i modi di celare le date, i luoghi e i motivi degli incontri», nel corso dei quali si sarebbero verificati i pagamenti illeciti di tangenti, scrivono i finanzieri.

 

L’INCHIESTA – Sarà la settimana dedicata al riesame

Tra giovedì e venerdì prossimi l’inchiesta sul presunto appalto “pilotato” passerà al vaglio del Tribunale del riesame. Davanti al collegio presieduto da Angelo Risi saranno discusse le posizioni dei principali indagati: quelle di Giovanni Mazzacurati e Pio Savioli, innanzitutto. Poi quelle di Mario e Stefano Boscolo Bacheto, della cooperativa San Martino e di Gianfranco Boscolo Contadin della Nuova Coedmar (tutti algi arresti domiciliari). Sono in calendario, infine, i ricorsi presentati da Ermimio Boscolo Menela dell’omonima impresa, Dimitri Tiozzo della “Tiozzo Gianfranco”, Antonio Scuttari della Clodiense opere marittime e Valentina Boscolo Zemello della società Zeta, tutte di Chioggia.

 

L’inchiesta del pm Tonini al cuore del sistema-Venezia: fondi neri creati dalle aziende per pagare l’affidamento di nuovi appalti

VENEZIA – Mantenere la pax tra le aziende e sostenere i politici chiamati a ricoprire posti chiave per assicurare i lavori: i fondi neri, per milioni di euro, potrebbero essere serviti a questo secondo l’ipotesi investigativa della Guardia di finanza di Venezia. Se accontenti tutti, nessuno si lamenterà, almeno che non arrivi una semplice verifica fiscale della Finanza, come è accaduto alla cooperativa San Martino di Chioggia, a scoprire false fatturazioni e fondi neri. Gli uomini del Nucleo di polizia tributaria stanno cercando di mettere uno vicino all’altro i tasselli dell’inchiesta sul Consorzio Venezia Nuova, che due settimane fa ha visto finire agli arresti domiciliari sette persone, tra le quali il presidente del Consorzio, Giovanni Mazzacurati per un appalto pilotato al porto, con accuse di turbativa d’asta e fatture false. Ma nelle oltre 700 pagine dell’informativa dei finanzieri – in gran parte coperte da omissis – ci sono già riferimenti ai presunti finanziamenti illeciti per le campagne politiche del sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, che ha già respinto al mittente tutte le accuse, al consigliere regionale del Pd, Giampietro Marchese, di cui venerdì sera è stata annunciata l’auto-sospensione dal partito, e di Renato Brunetta – anch’egli ha ribadito che tutti i finanziamenti sono regolari – quando tre anni fa si candidò per guidare Ca’ Farsetti. Il filone dei presunti finanziamenti illeciti alla politica è quello più delicato dell’inchiesta coordinata dal pubblico ministero Paola Tonini, che a partire da questa settimana sentirà prima Pio Savioli, una delle figure chiave dell’indagine, e poi di nuovo Giovanni Mazzacurati, già interrogato giovedì, negli uffici della Finanza di Mestre, alla presenza anche del pubblico ministero Stefano Ancilotto, che sta indagando invece sui fondi neri della Mantovani a trazione Piergiorgio Baita. L’ex ad dell’azienda pigliatutto in Veneto per ciò che riguarda le grandi opere ha già raccontato la sua versione dei fatti – i verbali sono secretati – e ottenuto così il via libera per il patteggiamento a 22 mesi. Pio Savioli, se veramente vuoterà il sacco, potrebbe fornire spunti tra i più preziosi per l’indagine. L’uomo del Consorzio Veneto cooperativo nel Consiglio direttivo del Consorzio è ritenuto dai finanzieri la longa manus di Mazzacurati, il collettore del denaro pagato dalle aziende, nella misura dello 0,5% del valore dell’appalto, per avere la garanzie di poter lavorare. Soldi che, secondo i finanzieri, in parte restano nella tasche di Pio Savioli (tra il 5% e l’8%) e in parte andavano ad alimentare quei fondi nero i cui ultimi destinatari sono con buona probabilità indicati negli omissis posti dal pubblico ministero sulla relazione della finanza che, in laguna, fa tremare destra e sinistra.

Francesco Furlan

 

INTERROGATORIO – Savioli, doppio round davanti ai magistrati

Un’altra settimana importante per l’inchiesta: l’interrogatorio del consigliere Pio Savioli è previsto tra lunedì e martedì mentre giovedì primo agosto ci sarà il Riesame. Attualmente Savioli infatti si trova agli arresti domiciliari. Se decidesse di parlare forse gli potrebbero essere revocati. Venerdì 2 agosto invece dovrebbe esserci il Riesame per presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, e di altre persone coinvolte nell’inchiesta. Ulteriori sviluppi dell’indagine sono previsti dalla fine di agosto.

 

Da Morbioli (Coveco) e Sutto conferme sulla gara truccata.

Tribunale del riesame: Boscolo Anzoletti resta ai domiciliari

VENEZIA – Il Tribunale del riesame di Venezia (relatrice Daniela Defazio) ha confermato gli arresti domiciliari per Roberto Boscolo Anzoletti, il titolare della «Lavori Marittimi e Dragaggi» di Chioggia, respingendo il ricorso presentato dai difensori, ha invece revocato la misura dell’obbligo di dimora nei confronti di Juri Barbujgian della «Nautilus srl» di Venezia e di Carlo Tiozzo Brasiola della «Somit» di Chioggia, così come avevano chiesto gli avvocati Marco Vassallo, Renzo Fogliata e Stefano Rizzardi. Infine, hanno modificato la misura per Luciano Boscolo Cucco de «La Dragaggi», difeso dall’avvocato Daniele Grasso: hanno confermato l’obbligo di dimora nel territorio del Comune di Chioggia, ma hanno revocato l’altro obbligo, quello di rimanere in casa dalle 8 alle 17. Ieri mattina, l’udienza a porte chiuse ha visto anche la partecipazione del pubblico ministero Paola Tonini, che a conferma delle sue accuse ha depositato i verbali d’interrogatorio di due indagati, quello del braccio destro di Giovanni Mazzacurati, Federico Sutto, e quello di Franco Morbioli, presidente del «Coveco«, il capo di Pio Savioli, colui che era incaricato di ritirare i soldi presso le imprese del Consorzio Venezia Nuova per poi consegnarle a politici e pubblici funzionari, oltre che a trattenerne un a parte. Sutto è agli arresti domiciliari, mentre Morbioli è semplicemente indagato. Nel verbale d’interrogatorio di quest’ultimo l’imprenditore racconta come era andata la vicenda della gara d’appalto per lo scavo dei canali navigabili dell’Autorità portuale che è costata l’arresto a Mazzacurati e agli altri per turbativa d’asta. «Pio Savioli», si legge, «mi disse che la Cooperativa San Martino non avrebbe partecipato alla gara e che era stato l’ingegner Mazzacurati a fornire questa indicazione. Mi disse ancora che a quella gara avrebbero partecipato le piccole imprese e che si sarebbero astenute anche la Mantovani e la Codemar». Morbioli, però, non si astiene e presenta all’ultimo momento un’offerta e allora «Giorgio Mainoldi (del Consorzio) è venuto a chiedermi di ritirarla, dicendomi “Tu sai già come dovrebbero andare le cose rispetto alle gare dell’Autorità portuale, è bene quindi che il Coveco ritiri l’offerta perché poi potrebbero essersi problemi con il Consorzio”». E ancora: «Savioli mi disse che Mazzacurati era andato su tutte le furie a causa delle nostra offerta, poi mi disse che il Consorzio poteva prospettare una somma oscillante tra i 100 e i 200 mila euro, in cambio il Coveco doveva trovare il modo per non farsi aggiudicare la gara». Anche Sutto ha confermato di aver agito in questa direzione, aggiungendo di averlo fatto su precise disposizioni di Mazzacurati.

Giorgio Cecchetti

 

CACCIARI  «L’origine dei mali nella concessione»

«L’origine di tutti i mali è il concessionario unico». Lo dice Massimo Cacciari, ex sindaco di Venezia. «Il grave errore che si è fatto è stato quello di affidare la salvaguardia a un’unica opera di profilo altissimo», continua Cacciari, «creando l’humus ideale per ogni pratica monopolistica come quella che per anni ha visto unico attore il Consorzio, con il beneplacito di tutti i governi dal 1984 ad oggi. Berlusconi come Prodi. È davvero inquietante». Così Cacciari in un intervista proiettata giovedì sera dagli schermi dello Sherwood Festival al parco San Giuliano di Mestre.

 

IL CASO –  Anche il pm Ancilotto all’interrogatorio di Mazzacurati

Il magistrato che indaga sul caso Baita-Mantovani insieme alla collega Tonini: inchieste sempre più intrecciate

VENEZIA – Nuovo appuntamento con il pubblico ministero Paola Tonini per Giovanni Mazzacurati la prossima settimana, ma prima il magistrato interrogherà un altro degli arrestati che ha chiesto di essere sentito e che ha l’intenzione di vuotare il sacco, è Pio Savioli, il rappresentante del Consorzio Veneto Cooperativo nel Consiglio direttivo del Consorzio Venezia Nuova. E’ quello che gli investigatori della Guardia di finanza hanno intercettato e filmato mentre ritirava i soldi in nero dagli imprenditori titolari delle ditte del Consorzio, la Cooperativa San Martino di Mario e Stefano Boscolo Bacheto, la Te.Ma di Gianfranco Castelli, la Geosigma di Diego Tramontin. Ma tutte le imprese avevano l’obbligo di contribuire al «fondo nero» consegnando lo 0,5 per cento dell’importo dei lavori ottenuti per il Mose. «Molte imprese avevano ingenti avanzi di gestione che abbattevano con il sistema della falsa fatturazione» si legge nell’informativa delle «fiamme gialle». E sia il pubblico ministero Stefano Ancilotto sia la collega Tonini hanno scoperto come gli imprenditori legati a Mazzacurati costituivano i fondi neri (sette milioni e mezzo Piergiorgio Baita della Mantovani grazie ad una società di San Marcino e la Coop San Martino cinque milioni e 800 mila grazie ad una società con sede a Villach in Austria). Adesso vogliono scoprire a chi finivano quei soldi: Claudia Minutillo, l’ex segretaria di Giancarlo Galan poi diventata manager, e Baita hanno già parlato, hanno fatto i nomi.

Adesso tocca a Giovanni Mazzacurati ed è proprio per questo che il pubblico ministero Ancilotto, giovedì pomeriggio, ha assistito all’interrogatorio dell’anziano ingegnere negli uffici della Guardia di finanza di Mestre e presumibilmente assisterà anche ai prossimi colloqui con il pm Tonini. Non è escluso che Baita, i cui verbali d’interrogatorio sono secretati, abbia sostenuto che era proprio Mazzacurati a consegnare le mazzette a Roma e a Venezia per quanto riguarda i lavori del Mose e che sarebbe stato necessario chiedere a lui i nomi di coloro che percepivano le tangenti. Dunque, l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova sarebbe stato uno dei prossimi obiettivi dell’inchiesta partita dalla frode fiscale della Mantovani e per questo motivo anche il pm Ancilotto è interessato a ciò che ha da dire, dopo che è finito agli arresti domiciliari per turbativa d’asta. Un’accusa lieve, visto che con un patteggiamento o con il rito abbreviato potrebbe cavarsela con una condanna di poco superiore ai 12 mesi di reclusione, rispetto ai reati che potrebbero piovergli tra capo e collo se le ipotesi avanzate dagli investigatori della Finanza, quelle di associazione a delinquere, corruzione e altro, fossero provate. Intanto il pm Tonini e i finanzieri stanno monitorando tutti gli appalti per lo scavo dei canali navigabili dell’Autorità portuale, che sono diciannove. Per la maggior parte gare vinte dalle imprese maggiori, costrette però poi a subappaltare alle piccole che sono le uniche ad avere i mezzi necessari.(g.c.)

 

Pd: il consigliere Marchese si autosospende

Passo indietro dopo le accuse di finanziamenti illeciti. La parlamentare Rubinato: «Ora chi sa parli»

IL SEGRETARIO FILIPPIN – Non è mai stato il nostro tesoriere, spero che le indagini siano rapide e sono certa che Piero potrà dimostrare la sua totale estraneità

VENEZIA – Il consigliere regionale Giampietro Marchese si è autosospeso dal Pd. L’ha reso noto in serata il segretario della federazione veneziana, Michele Mognato, che ha definito il passo indietro «Un atto opportuno perché volto ad evitare strumentalizzazioni politiche anche se non previsto dallo statuto del Partito»; «Il Pd è estraneo ai fatti oggetto d’indagine», ha concluso il dirigente democratico «ed è evidente che auspichiamo la massima chiarezza, ribadendo la nostra fiducia nel lavoro della magistratura». Marchese, il cui nome compare nelle indagini della Guardia di Finanza come presunto destinatario di contributi elettorali illeciti dal Consorzio Venezia Nuova, ha 55 anni, vive a Jesolo ed è al terzo mandato nell’assemblea di Palazzo Ferro-Fini dove in passato ha ricoperto la carica di vicepresidente e di capogruppo. Veterano del Pci-Pds-Ds-Pd, è stato responsabile organizzativo e si è occupato delle primarie. Ha presieduto, fino a tre mesi fa, la Fondazione Rinascita che gestisce il patrimonio dei disciolti Ds ma non era il “cassiere rosso”: «Piero Marchese non ha mai ricoperto il ruolo di tesoriere del Pd veneto né di quello veneziano», ha precisato il segretario regionale Rosanna Filippin, lesta a smentire indiscrezioni trapelate a distinguere le eventuali responsabilità personali da quelle del partito democratico «attendiamo che le indagini facciano il loro corso in totale autonomia e mi auguro che si giunga presto all’accertamento dei fatti, sono sicura che Piero Marchese potrà dimostrare la sua totale estraneità a quanto riportato dalla stampa». Quanto ai finanziamenti privati, Filippin conclude ricordando che «Il bilancio del Pd, a livello nazionale ma anche regionale, è pubblico e certificato da una società di consulenza esterna, la Price Water House. Chiunque voglia può liberamente visionarlo sul nostro del Pd». La vicenda, comunque, suscita tensioni e disagio nel partito. In mattinata, ben prima dell’annuncio di Marchese, era stata la deputata trevigiana Simonetta Rubinato a rompere il silenzio, auspicando un segnale di discontinuità: «L’inchiesta sui presunti finanziamenti illeciti versati ad esponenti politici regionali, sta allargando ancor di più il solco tra i cittadini, politica e partiti, è bene che quanto prima sia fatta luce sull’intera vicenda da parte della magistratura», la premessa della parlamentare «per questo la stessa dirigenza del Pd deve collaborare con le autorità inquirenti e chi ritiene di poter essere coinvolto si autosospenda per non travolgere l’intero partito compromettendo l’impegno di molti militanti, dirigenti ed eletti che continuano a fare politica in modo corretto». «Già il tema del finanziamento lecito ai partiti è controverso», ha concluso Rubinato «figuriamoci poi se dovesse essere confermato che accanto ai contributi pubblici c’era anche il canale del finanziamento illegale. Perciò è doveroso che dirigenti, eletti e candidati democratici facciano piena chiarezza sui contributi ricevuti e sulle spese sostenute. In questo momento è necessaria la massima trasparenza e sobrietà».

Filippo Tosatto

 

GLI APPALTI a Venezia

Il Pm ha chiesto la conferma delle misure

Il gip indica sette pentiti che dovranno essere sentiti

VENEZIA – Il Riesame lascia ai domiciliari Boscolo Anzoletti. Niente obblighi di dimora invece per due indagati chioggiotti

IL GOVERNATORE Zaia:«Massima trasparenza Se certe cose fossero vere, sarebbe molto imbarazzante»

IL SEGRETARIO – Il capo dei democratici veneziani Mognato: «È stata una sua iniziativa»  «Noi siamo estranei, auspichiamo la massima chiarezza su questa vicenda»

SOTTO TIRO – Giampiero Marchese, consigliere regionale del Pd che ieri si è autosospeso.

VENEZIA – Primi verdetti del Tribunale del riesame sull’inchiesta sul Consorzio Venezia Nuova. Ieri i giudici hanno valutato la posizione di tre indagati che avevano l’obbligo di dimora e uno che è agli arresti domiciliari.
I giudici hanno confermato la detenzione a casa per Roberto Boscolo Anzoletti, 55 anni titolare della “Lavori marittimi e dragaggi” difeso dagli avvocati Bertocco e Rossato. Confermato l’obbligo di dimora per Luciano Boscolo Cucco, 52 anni titolare della ditta “Dragaggi srl” e difeso dall’avvocato Daniele Grasso. Il legale, però, è riuscito a farsi cancellare il divieto di uscire di casa dalle 8 alle 17 che aveva fortemente penalizzato l’attività del suo assistito. «Ora – ha spiegato l’avvocato Grasso – potrà tornare a lavorare». Revocati, inoltre, i due obblighi di dimora che erano stati inflitti a Juri Barbugian, 39 anni titolare della “Nautilus” difeso dall’avvocato Marco Vassallo e a Carlo Tiozzo Brasiola, 38 anni titolare della “Somit” che era difeso dall’avvocato Fogliata. In mattinata sia i difensori che la Procura avevano sostanzialmente ribadito ai giudici le rispettive posizioni. Gli avvocati, in pratica, hanno sostenuto che i loro assistiti, con le rispettive società, avevano piccolissime partecipazioni nell’associazione temporanea di impresa e che quindi non erano al corrente dell’eventuale turbativa d’asta ipotizzata dalla Guardia di finanza. «Un ottimo risultato – ha spiegato in serata l’avvocato Vassallo – il mio assistito ha avuto una quota molto piccola in quel raggruppamento e della turbativa d’asta davvero non sapeva nulla».
Di diverso parere il pubblico ministero Paola Tonini secondo la quale, invece, tutti i soggetti erano a conoscenza del sistema e per questo l’accusa aveva anche chiesto la conferma delle varie misure. La prossima settimana il Tribunale del riesame dovrebbe valutare i ricorsi formulati dagli indagati principali dell’inchiesta come l’ex presidente del Consorzio, Giovanni Mazzacurati, e il consigliere Pio Savioli.

Giampaolo Bonzio
Stop al Consorzio padrone. Venezia, azione in Parlamento

INCHIESTA CVN  «In Parlamento per dire basta al Consorzio»

Stop al Consorzio padrone Venezia, azione in Parlamento

Marcon (Sel): «Grandi opere? Consultazione obbligatoria»

Restituire alla città la “sovranità” rispetto ai grandi temi. La legge speciale per Venezia deve essere modificata garantendo che la comunità locale possa decidere quali progetti devono mettere in sicurezza un territorio tanto delicato come quello lagunare. E impedendo che si ripeta quanto accaduto con la “concessione unica” al Consorzio Venezia Nuova per il Mose che ha, di fatto, esautorato sindaco e consiglio comunale da scelte strategiche e spianato la strada alle dighe mobili malgrado i dubbi fin da allora sulla loro efficacia.
Verso questa direzione, con proposte di disegni di legge in Parlamento, si muoveranno sia il senatore Felice Casson (Partito Democratico) che il deputato Giulio Marcon (Sel). Che fa un passo ulteriore: «Va creato un meccanismo – afferma Marcon – per cui, ogni volta che un territorio deve essere interessato da grandi opere, debba essere obbligatoria una consultazione popolare».
L’impegno dai parlamentari è stato assunto giovedì sera durante il dibattito sul come “Liberare la laguna di Venezia dalla palude degli affari”, promosso al Parco S. Giuliano durante il Venice Sherwood Festival. Dibattito moderato da Beppe Caccia (In Comune) e cominciato con una video intervista a Massimo Cacciari, per 12 anni sindaco di Venezia. È stato lui a stilare una cronistoria della vicenda finita, in queste settimane, tra le indagini della Magistratura, a partire dal 1988 e delle responsabilità sia del Governo Berlusconi che di quello di Prodi. «Passò l’idea che – afferma l’ex-Sindaco – la salvaguardia si giocava su un’opera di grandissimo contenuto tecnologico che avrebbe convogliato tutte le risorse. Ho contestato per anni, mai contraddetto, le criticità tecniche e l’illogicità del progetto».
La “madre” di tutte le responsabilità, in primis, politiche e trasversali è stata quella di prevedere, appunto, un “concessionario unico” per la realizzazione dell’opera: «È un sistema – afferma Casson – che l’Europa ha condannato perché favorisce l’illegalità. Su questo territorio comanda il privato e questo è inaccettabile. Il sindaco deve riaffermare il diritto-dovere di governare perché lo chiamiamo a rispondere di ciò che fa».
Cosa che non è avvenuta con le dighe mobili che rischiano di portare con sè un danno ulteriore. «A Venezia il cambiamento climatico e le sue conseguenze – afferma l’assessore all’Ecologia Gianfranco Bettin – non si contrastano con piccole opere. La legge speciale deve garantire risorse e non possono dirci che il Mose ha mangiato i soldi. Dopo il danno giungerebbe la beffa». Tommaso Cacciari chiede che si studi una moratoria per quei processi a carico dei cittadini che hanno lottato contro il Consorzio Venezia Nuova, mentre Armando Danella (No Mose) punta al «sequestro preventivo cautelativo di politici e tecnici che hanno approvato l’opera». Lui si domanda che senso abbia mettere in opera le paratoie «quando si sa che non funzionano».
Di diverso avviso, l’ex sindaco Cacciari: «Mi auguro che il Mose si concluda nei modi e nei tempi previsti. Se qualcuno ha mandato a remengo 6 miliardi di euro, beh, – afferma – 6mila scudisciate se le merita eccome».

Giacinta Gimma

 

LA LETTERA «Nessuna richiesta indebita da Thetis Spa»

Dalla società Thetis, tirata in ballo nell’inchiesta sugli appalti da intercettazioni della guardia di finanza, riceviamo e pubblichiamo. «Con riferimento alle notizie riportate dal Gazzettino del 26 luglio 2013 sotto il titolo “Nuove ombre su Thetis”, si rappresenta che la Societa TE.Ma. del sig. Castelli ha lavorato per Thetis con incarichi assegnati limitatamente al periodo 2002- 2010, prima dunque dell’attuale gestione. Per quanto di competenza si precisa che nessuna richiesta indebita è stata mai avanzata da Thetis e che la Società si riserva di tutelare in ogni forma e nelle sedi opportune la propria immagine. L’attuale gestione di Thetis ha adottato un’attenta politica di promozione e gestione delle professionalità presenti in azienda, contestualmente a una necessaria attivita di controllo e riduzione dei costi, anche a fronte del quadro generale di crisi del Paese e di un mercato sempre piu competitivo e ad alto contenuto tecnologico. La politica adottata ha permesso di mantenere, all’interno di un contesto difficile, una azienda solida e vitale con una struttura economicofinanziaria che la pone oggi tra le prime societa di ingegneria in Italia».

Thetis S.p.A

 

L’INCHIESTA – Dopo la notizia della mazzetta da 50mila euro che avrebbe ricevuto da Savioli, consigliere di Cvn

Mose, Marchese si sospende dal Pd

Il consigliere regionale veneto: ho agito nel rispetto delle leggi. Il partito: «Noi estranei alle indagini»

Giampiero Marchese, personaggio di spicco del Pd veneziano e veneto, consigliere regionale, ad di Ames, la municipalizzata delle mense e delle farmacie comunali di Venezia ed ex presidente della Fondazione che controlla il “tesoro” immobiliare ex Ds, ha preso due iniziative ufficiali ieri: dopo la notizia che Pio Savioli, uomo chiave del Consorzio Venezia Nuova, gli avrebbe consegnato una mazzetta di 50mila euro, Marchese ha scritto ai giornali per dire che ogni suo atto è trasparente e poi al vertice del Pd per annunciare la sua auto sospensione. E il segretario provinciale del Pd veneziano Mognato lo ha definito «un atto opportuno perché volto ad evitare strumentalizzazioni politiche, anche se non previsto dallo statuto del Partito». Mognato ha aggiunto: «Il Pd è estraneo ai fatti oggetto d’indagine ed è evidente che auspichiamo la massima chiarezza, ribadendo la nostra fiducia nel lavoro della magistratura».
Fiducia e rispetto che lo stesso governatore del Veneto Luca Zaia ieri mattina ha ribadito nei confronti degli investigatori: «Ho l’impressione che sull’inchiesta relativa al Consorzio Venezia Nuova si stia scrivendo una Treccani. L’unica cosa che chiedo è di avere trasparenza massima. È fondamentale, perché alcune cose che si leggono, se fossero vere, sarebbero assolutamente imbarazzanti».
Giampiero Marchese, nelle sue poche righe ai giornali, non sembrava per niente imbarazzato anche se poi non ha più risposto al telefono. Il Partito non gli ha chiesto di fare un passo indietro?
«No, è stata una iniziativa sua», risponde Mognato.« Lo ha fatto per evitare che la vicenda si trasformi in non so che. E devo dire che mi sembra la scelta di una persona che sa cosa vuol dire quando si è avuto un ruolo di dirigente del partito. Ad ogni modo mi auguro che, se ci sarà seguito, dimostri tutta la sua estraneità».
Vi siete sentiti o visti da quando sono uscite le prime notizie sull’inchiesta relativa al Consorzio Venezia Nuova, a Baita e via di seguito?
«Sì e mi sembrava assolutamente tranquillo e sereno».
La Guardia di Finanza sostiene che ha incassato una “mazzetta” da 50 mila euro.
«Ripeto, sono questioni sempre delicate e non sono in grado di giudicare dalla semplice lettura dei giornali. Spero si chiarisca tutto al più presto».
Anche Michele Zuin, consigliere comunale del Pdl veneziano, auspica un chiarimento rapido: «Io sono sempre garantista al massimo, e finché sono cose così e non c’è nulla di ufficialmente provato noi non ci esprimiamo». Renato Boraso ieri sera in consiglio comunale ha chiesto le dimissioni di Marchese da Ames. Tutti, indistintamente, sperano che l’inchiesta finisca presto: «Ci auguriamo che si faccia chiarezza velocemente e che ogni omissis venga scoperto, per il bene di tutti» dice Pietrangelo Pettenò di Rifondazione comunista Fds che siede sui banchi del Consiglio regionale come Marchese per il Pd.
Anche il capogruppo del Pd nel Consiglio comunale veneziano ritiene che la scelta di Marchese di autosospendersi sia stata opportuna, «anche se non mi risulta che in questo momento sia indagato, ma non so niente di più di ciò che leggo sui giornali», commenta Claudio Borghello. «Speriamo che tutto venga chiarito al più presto e perciò è opportuno che si concentri su questa storia. Lui sa più di altri che occorre che la sua vicenda non sia di intralcio alle funzioni del partito e alle altre responsabilità che assolve».

 

LA LETTERA  «Tutti finanziamenti dichiarati»

VENEZIA – Prima dell’autosospensione una breve lettera inviata ai giornali. Giampietro Marchese del Pd ha preso carta e penna per formulare tre precisazioni.
Prima. «I finanziamenti da me ricevuti nella campagna elettorale 2010 sono stati tutti da me dichiarati nel pieno rispetto di quanto previsto dalla vigente normativa».
Seconda. «Quanto alle contestazioni che ho letto sui giornali, mi attenderei che gli organi di stampa riportassero riscontri ufficiali e non ipotesi contro le quali è difficile anche replicare».
Terza puntualizzazione. «Non sono mai stato responsanbile organizzativo provinciale del Pd di Venezia, nè tesoriere».
Dopo aver firmato, chiedendo la pubblicazione, ha maturato la decisione di autospendersi. E il partito democratico sembra aver gradito.

 

L’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova per tre ore davanti al pm «Non pensavo fosse illegale, lo feci per accontentare tutte le imprese»

VENEZIA – Giovanni Mazzacurati, l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, ha parlato per quasi tre ore. Ammettendo, davanti al pm Paola Tonini, le proprie responsabilità relative alla turbativa d’asta nella gara d’appalto indetta dall’Autorità portuale di Venezia per la quale l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova è agli arresti domiciliari. I legali di Mazzacurati, Giovanni Battista Muscari Tomaioli e Alfredo Biagini, al termine dell’interrogatorio, hanno riferito che l’ingegnere al pm ha confermato quanto ascrittogli nell’ordinanza del gip Alberto Scaramuzza secondo la quale l’ex presidente del Consorzio si sarebbe attivato per far vincere una gara d’appalto esterna a delle imprese che si erano lamentate di lavorare troppo poco per il Consorzio e quindi di essere penalizzate in termini di ricavi. Mazzacurati ha spiegato di non essersi reso conto dell’eventualità di un illecito facendo partecipare delle imprese del Consorzio a una gara d’appalto dell’Autorità portuale di Venezia per delle opere a mare, in quanto preoccupato di far in modo che nell’ambito delle attività costruttive in laguna potessero essere soddisfatte tutte le imprese del settore. Mazzacurati ha anche assicurato che si è trattato dell’unica sua ingerenza in vicende del genere. Dopo quasi tre ore, l’ingegnere, agli arresti domiciliari, ha dovuto smettere. Le sue condizioni di salute, infatti, non gli permetterebbero lunghi sforzi. Probabilmente è stato fissato un nuovo appuntamento. Gli inquirenti, che hanno interrogato l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova negli uffici della Guardia di finanza di Mestre, hanno fatto in modo di depistare tv e giornalisti. Proprio questo bisogno di tranquillità, di tenere lontana l’attenzione dei media da un lato e le dichiarazioni dei difensori prima del colloquio dall’altro, fanno ritenere che l’anziano ingegnere abbia deciso di collaborare. La Guardia di finanza fino ad ora ha soprattutto ricostruito in quale modo i vertici del Consorzio e le imprese più importanti costituivano i fondi neri e lo hanno fatto sia con l’indagine coordinata dal pubblico ministero Stefano Ancilotto su Piergiorgio Baita e la Mantovani, sia con quella del pm Tonini che ha riguarda Mazzacurati e il Consorzio.

Adesso si è aperta la seconda fase delle indagini, quelle che devono chiarire a chi venivano pagate le tangenti prelevate dai conti all’estero, in Svizzera per la Mantovani, in Austria per la Cooperativa San Martino. Oggi, intanto, primo vaglio del Tribunale del riesame per quanto riguarda le posizione di alcuni degli indagati. Mentre solo l’1 agosto il Tribunale discuterà le posizioni di Mazzacurati e di altri. (g.c)

 

Savioli, mister 8 per cento e la “cresta” alle mazzette

Gli investigatori: era il collettore dei soldi che alimentavano il “fondo tangenti” ma incassava la sua quota. Fotografato con una borsa: «Dentro 100 mila euro»

VENEZIA – I finanzieri lo considerano la longa manus del presidente del Consorzio Venezia Nuova e l’uomo che faceva da collettore dei soldi destinati ad alimentare quel fondo nero di cui l’indagine coordinata dal pm Paola Tonini dovrà accertare i destinatari. Ma Pio Savioli, secondo le indagini del nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Mestre, aveva anche l’abitudine di tenere per sé una parte di quei soldi, per una percentuale stimata tra il 5% e l’8% di quello 0,5% del valore dell’appalto che le aziende mediamente versavano per avere la sicurezza di lavorare nei cantieri su cui vigilavano il Consorzio e il suo presidente, Mazzacurati. I finanzieri sono in possesso di filmati e foto che testimoniano una ventina di presunti scambi di denaro che vedono come protagonisti Savioli, Stefano Tomarelli, pure lui consigliere del Consorzio dal 2002, che però non è stato raggiunto da alcun provvedimento, e alcuni imprenditori disposti a pagare per garantirsi le quote degli appalti per i lavori in laguna. In particolare c’è un incontro, che risale al 2011, in cui Savioli accompagnato da un’altra persona – che i finanzieri sospettano essere proprio Tomarelli, episodio sul quale sono in corso ulteriori verifiche – incontra un imprenditore, in un luogo appartato all’uscita di un casello della Bologna-Firenze, dal quale si fa consegnare una busta con 100 mila euro in contanti, passaggio di denaro documentato dai finanzieri, che ritengono questa una prova fondamentale. Che Pio Savioli fosse il referente delle aziende e il primo destinatario dei soldi “fuori busta” era ben spiegato già nell’ordinanza di custodia cautelare con la quale il consigliere del Consorzio Venezia Nuova è finito agli arresti domiciliari. Secondo l’indagine dei finanzieri, nel solo biennio 2005 e 2006, sarebbe stato destinatario di 600 mila euro da parte della società cooperativa San Martino di Chioggia che, proprio per evitare controlli, utilizzava una contabilità parallela, di cui è stata trovata traccia solo in una memoria Usb nella disponibilità di una dipendente, Nicla Boscolo “Bacheto” dopo che, preoccupati dalla visita dei finanzieri per una normale verifica fiscale, i titolari della San Martino avevano deciso di eliminare tutta la documentazione cartacea relativa alle elargizioni a Savioli e a Tomarelli. Quest’ultimo, sempre secondo i riscontri della Finanza sulla contabilità ritenuta parallela, avrebbe ricevuto dalla San Martino almeno la somma di “20.000 + 20.000”.

Francesco Furlan

 

finanziamenti ai politici: IL CONSORZIO SI SCUSA

L’ex ministro Matteoli: «Ho restituito quei 20 mila euro»

VENEZIA «Il contributo regolarmente elargito nel 2006 dal Consorzio a sostegno della mia campagna elettorale, quale candidato alle elezioni per il Senato della Repubblica è stato interamente restituito non appena ricevuto a cura del mio mandatario». Lo precisa il senatore del Pdl Altero Matteoli in relazione all’inchiesta della Guardia di finanza sul Consorzio. «Quanto affermo è facilmente verificabile» sottolinea l’ex ministro «ed è stato riportato nelle dichiarazioni che i candidati devono depositare, a norma di legge, presso le Corti di Appello competenti (nella fattispecie quella di Firenze) e il Parlamento». L’intervento di Matteoli arriva dopo che nei giorni scorsi il Consorzio aveva reso pubblici i contributi versati a sostegno di campagne elettorali locali o nazionali. Tra i beneficiari risultava esserci anche Matteoli, per una somma pari a 20 mila euro. Matteoli nel 2006 era esponente di Alleanza nazionale, e sarebbe poi diventato ministro dei Lavori pubblici. Ieri sera il Consorzio dopo aver verificato che i soldi sono stati effettivamente restituiti, si è ufficialmente scusato con Matteoli. Sul tema dei finanziamenti ai politici interviene anche il Movimento 5 Stelle: «Pur non essendo prevista da alcuna disposizione legislativa si chiede al sindaco e alla maggioranza di pubblicare l’elenco di tutti i finanziatori privati della campagna elettorale». (f.fur.)

 

FINANZIATO DAL CVN

Bettin: «Bellissimo il film su Venezia»

«Non so come siano avvenute e avvengano le scelte a sostegno di opere letterarie o artistiche nell’ambito del Consorzio Venezia Nuova, non l’ho mai frequentato limitandomi a contrastarne spesso, in modo radicale, i progetti e il ruolo in città e in laguna. Forse le importantissime e benvenute indagini in corso da parte della magistratura potranno chiarire anche tali aspetti, ma bisogna dire che certe polemiche sul film di Carlo Mazzacurati sostenuto dal Consorzio, tendono a offuscare il valore dell’opera e del suo autore». È l’assessore comunale Gianfranco Bettin, che certo non può essere sospettato di contiguità con il Consorzio a intervenire. «“Sei Venezia” di Mazzacurati è uno dei film documentari più belli, originali e interessanti sulla Venezia contemporanea. L’autore, uno dei principali registi italiani, ha lavorato a lungo, in profondità e con sincerità sulla città e sulla sua laguna, dimostrando di avere tutte le carte professionali e artistiche per affrontare al meglio questo progetto. Del resto, il Consorzio ha sostenuto, da molti anni, altre importanti opere, soprattutto letterarie, come i libri di Iosif Brodskij, di Andrè Chastel, di Acheng, Predrag Matvejevic, Harold Brodkey, Derek Walcott e altri nomi di straordinaria caratura, veri e propri classici, ma anche autori più legati al nostro tempo. È auspicabile che il Consorzio, o quello che ne sarà dopo queste indagini, in modo trasparente e lungimirante, prosegua nel sostegno di questi e altri autori invitandoli a studiare e a raccontare Venezia».

 

Perquisita la fondazione degli ex ds

Mestre, per la Finanza l’ex presidente Marchese avrebbe incassato contributi illeciti

VENEZIA – La Guardia di finanza è entrata anche nella sede del Partito Democratico, in via Cecchini 5 a Mestre: ha compiuto una perquisizione negli uffici della Fondazione «Rinascita 2007», la società che gestisce il patrimonio immobiliare dei Ds veneziani, il partito che si è sciolto nel Pd assieme alla Margherita. Presidente della Fondazione, che ha la sede allo stesso indirizzo del Pd, fino a tre mesi fa è stato il consigliere regionale Giampietro Marchese, l’esponente politico che, stando al rapporto delle «fiamme gialle», avrebbe incassato «finanziamenti illeciti» da parte del Consorzio Venezia Nuova o comunque di società che ne fanno parte. A differenza del sindaco di Venezia, per ora, Marchese non ha smentito la notizia e, più volte cercato al telefono, non ha mai risposto. A differenza dei sindaci, che stando alla legge non avevano l’obbligo di rendicontare contributi e spese elettorali ma Giorgio Orsoni lo ha fatto comunque, tutti i consiglieri regionali sono tenuti a denunciare quanto hanno speso e da chi hanno ricevuto finanziamenti, visto che la norma impone anche un tetto massimo per le spese elettorali. Nella lunga informativa della Guardia di finanza il nome di Marchese ricorre in più occasioni, anche quando i militari si ritrovano a trascrivere le intercettazioni ambientali colte grazie ad una microspia posta negli uffici della Coveco di Marghera, la società per cui lavorava uno degli arrestati, Pio Savioli. A parlare, l’8 giugno 2011, è il presidente Coveco Franco Morbioli, di fronte c’è Marchese, ex segretario organizzativo del Pd veneziano. È il giorno dell’apertura delle buste della gara d’appalto per lo scavo dei canali navigabili dell’Autorità portuale: Morbioli spiega a Marchese che per quel bando «Mazzacurati ha fatto fare un’unica cordata formata da tutti i piccoli imprenditori per accontentarli e non rompersi i coglioni e ha tenuto fuori gli altri, compreso Baita». Insomma gli racconta tutto del trucco ideato dall’ex presidente del Consorzio, trucco che è costato a lui e agli alti l’arresto per turbativa d’asta. Il senatore Felice Casson, intanto, durante un dibattito ieri sera, ha chiesto a tutti i candidati del suo partito, il Pd, di rendere pubblici i contributi elettorali, a livello comunale, provinciale e regionale, ricevuti. «Occorre trasparenza», ha ribadito il senatore, «e dunque devono essere resi pubblici, se ci sono stati, gli importi e da chi sono stati ricevuti».

Giorgio Cecchetti

 

Gazzettino – Inchiesta Mose. Gli appalti a Venezia.

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26

lug

2013

L’ex presidente del Consorzio ha minimizzato le responsabilità

NUOVE IPOTESI – Nessuna contestazione su finanziamenti elettorali o tangenti

L’ACCUSA – Intendeva tacitare malumori per il monopolio sul Mose dei grandi costruttori veneti

Ci sono le prove, documenti e intercettazioni: Pio Savioli, consigliere del Consorzio Venezia Nuova, stando alle prove raccolte dalla Finanza, avrebbe consegnato una mazzetta da 50mila euro al consigliere del Pd veneto Marchese. Intanto, ieri pomeriggio Giovanni Mazzacurati ha risposto due ore alle domande del pm Paola Tonini. Sull’appalto finito sotto inchiesta, l’ex presidente di Cvn ha detto di essere intervenuto per ragioni di riequilibrio, «volevo soccorrere le imprese minori». E ha ammesso, «procedura poco ortodossa».

L’INTERROGATORIO – Mazzacurati risponde per due ore al Pm sulle irregolarità nell’appalto per il Porto

«Volevo soccorrere le imprese minori»

«Lo ammetto, una procedura poco ortodossa. Ma è l’unico episodio e non me n’è venuto in tasca nulla»

Ha risposto per due ore alle domande del pm Paola Tonini, precisando di essere intervenuto, nell’appalto finito sotto accusa, solo per ragioni di riequilibrio, di “soccorso” alle società minori che si erano lamentate per essere state escluse dalle opere di Salvaguardia in laguna. «È stato l’unico episodio e non me n’è venuto nulla in tasca», ha dichiarato l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, pur ammettendo di essersi reso conto che non è stata una procedura “ortodossa”.
Giovanni Mazzacurati, 81 anni, agli arresti domiciliari dallo scorso 12 luglio con l’accusa di turbativa d’asta in relazione ad un presunto appalto “pilotato” del 2011 per lavori portuali a Venezia, è stato ascoltato ieri pomeriggio nella sede della Polizia Tributaria di Corso del Popolo, a Mestre (dopo aver depistato la stampa, tutta in attesa all’esterno della Procura, a Venezia), da dove è uscito attorno alle 19, accompagnato dai suoi legali, gli avvocati Alfredo Biagini e Giovanni Battista Muscari Tomaioli.
Mazzacurati, definito dal pm Paola Tonini il “Grande Burattinaio”, è accusato di aver avuto un ruolo di primo piano «nell’attività collusiva che porterà al turbamento delle gare… – scrive il magistrato nella richiesta di misura cautelare – Per tacitare pericolosi malumori da parte dell’imprenditoria veneta “minore” in ordine al “monopolio” delle cosiddette Grandi Imprese nell’esecuzione dell’Opera Mose, interviene direttamente, con disposizioni d’imperio, per creare un accordo spartitorio».
I tre stralci dei lavori furono aggiudicati con un ribasso di circa l’11 per cento e, secondo la Procura, in questo modo per la pubblica amministrazione vi sarebbe stato un grave danno economico: se il ribasso fosse stato del 17 per cento l’Autorità Portuale avrebbe risparmiato quasi 800mila euro, scrive il magistrato; risparmio lievitato a quasi 5 milioni se il ribasso fosse stato del 46 per cento, come in molte altre gare simili.
Nell’informativa conclusiva dell’inchiesta la Guardia di Finanza traccia un profilo dell’ex presidente del Consorzio ben più pesante rispetto al solo episodio del presunto appalto “pilotato”. Le Fiamme Gialle contestano «una gestione quasi “familiare” dell’impresa ad opera dei Mazzacurati» e scrivono che in laguna era attiva una vera e propria associazione per delinquere, di cui avrebbero fatto parte Mazzacurati (che i suoi collaboratori definivano “Re”, “Monarca Assoluto”, “Imperatore”, “Doge”), numerosi membri del Consiglio direttivo e dirigenti apicali del Consorzio, nonché amministratori di società consorziate e altri soggetti collegati: un’organizzazione che sarebbe stata dedita all’emissione e all’utilizzo di false fatture attraverso le quali realizzare “provviste” da utilizzare per «corrispondere tangenti ai pubblici ufficiali referenti del Consorzio Venezia Nuova, nonché per elargire finanziamenti illeciti ad esponenti politici locali». Su questo filone sono ancora in corso accertamenti e non è stata ancora formalizzata alcuna contestazione. E, nel corso dell’interrogatorio, di queste circostanze non si è parlato, hanno precisato i legali di Mazzacurati.
Da registrare la precisazione resa ieri dal senatore del PdL, l’ex ministro Altero Matteoli, che il Consorzio Venezia Nuova aveva indicato in un comunicato come destinatario di un contributo elettorale di 20mila euro: «Il contributo regolarmente elargito nel 2006 dal Consorzio Venezia Nuova a sostegno della mia campagna elettorale, quale candidato alle elezioni per il Senato della Repubblica, è stato interamente restituito non appena ricevuto a cura del mio mandatario – dichiara Matteoli – Quanto affermo è facilmente verificabile ed è stato riportato nelle dichiarazioni che i candidati devono depositare, a norma di legge, presso le Corti di Appello competenti (nella fattispecie quella di Firenze) e il Parlamento». Il Consorzio Venezia Nuova si è rammaricato dell’accaduto «e se ne scusa vivamente con il senatore Matteoli».

 

Per un errore nell’edizione del 25 luglio, a proposito dell’indagine della Guardia di Finanza sui lavori del Consorzio Venezia Nuova, è stato pubblicato tra gli indagati in un richiamo il nome di Ferruccio Falconi, noto esponente culturale dell’isola, che non c’entra nulla con la vicenda, anzichè Nicola Falconi, presidente dell’Ente gondola.
Ce ne scusiamo con gli interessati.

CORRUZIONE – Indagato Falconi (Ente gondola)

Il presidente dell’Ente gondola, Nicola Falconi, risulta indagato per corruzione in relazione a un episodio legato alla sua attività imprenditoriale nel campo dei lavori subaquei. Il nome di Falconi (che con l’appalto “pilotato” del Porto non c’entra) è emerso nel corso di alcune intercettazioni telefoniche effettuate tra il 2010 e il 2011 dalla Guardia di Finanza che, in quel periodo, stava ascoltando i colloqui del consigliere del Consorzio Pio Savioli. Gran parte del capitolo in cui si parla di Falconi è coperto da omissis, segno che gli inquirenti stanno ancora lavorando: di conseguenza non è possibile sapere in relazione a quale appalto Falconi sia finito sotto inchiesta. La sua iscrizione sul registro degli indagati risale a più di due anni fa e da allora non ha avuto alcuna notizia sullo stato delle indagini.
Falconi ha dichiarato di avere rispetto per il lavoro della Finanza e ha spiegato di non ricordare il colloquio intercettato, ipotizzando che si trattasse di una generica lamentela.

 

VENEZIA – Aperti due fascicoli per verificare eventuali sprechi nella realizzazione del Mose e di altre opere

Scende in campo la Corte dei conti

VENEZIA – (gla) Anche la Procura regionale della Corte dei conti sta indagando sui lavori della Salvaguardia della laguna di Venezia.
I fascicoli aperti attualmente sono due: il procuratore Carmine Scarano li ha assegnati ai viceprocuratori Giancarlo Di Maio e Alberto Mingarelli i quali stanno raccogliendo materiale per verificare la sussistenza di un eventuale danno erariale e, in caso affermativo, per individuare i responsabili a cui chiedere di risarcire lo Stato di tasca propria.
Le due inchieste sono nelle fasi preliminari e, con molte probabilità, sono destinate a procedere di pari passo con le indagini penali in quanto in quella sede la magistratura ha maggiori strumenti a disposizione, in particolare per quanto riguarda la raccolta di testimonianze o deposizioni.
Uno dei due fascicoli riguarda alcuni interventi del Mose, il secondo specifici appalti per opere alla bocca di porto di Chioggia. Dalla Procura della Corte dei conti nessun commento o dichiarazione in relazione ai due delicati fascicoli.
Nei procedimenti per responsabilità erariale, la Corte dei conti prende in esame i comportamenti di pubblici dipendenti o di privati che utilizzano fondi pubblici. Sono perseguibili, ad esempio, comportamenti penalmente rilevanti come appropriazioni indebite, truffe o atti di corruzione: i pubblici ufficiali possono essere chiamati a restituire le somme distratte, ma anche a risarcire il danno provocato all’immagine della pubblica amministrazione. E possono essere contestati anche comportamenti dovuti a colpa grave, ovvero danni erariali provocati da mancati controlli o errori macroscopici commessi da pubblici dipendenti.
Preliminarmente la Procura ha il compito di accertare la sussistenza di un danno erariale: spese eccessive rispetto ai prezzi di mercato o costi supplementari sopportati dall’ente pubblico a causa di lavori mal fatti, ad esempio. Oppure “tangenti” che possono aver fatto lievitare i costi di un’opera.

 

Mose, mazzetta da 50mila euro al tesoriere del Pd

Il consigliere Savioli intercettato e fotografato dalla Finanza mentre consegna il denaro a Marchese, esponente dei democratici. Mazzacurati ammette: pratiche poco ortodosse per aiutare piccole imprese

L’EPISODIO – Pagamento in occasione della campagna elettorale del 2012

«Savioli ha dato 50 mila euro al “tesoriere” del Pd»

I RISCONTRI – Foto, intercettazioni e documenti contro il membro del Consorzio

Una “mazzetta” da 50mila euro. A consegnarla in contanti in occasione della campagna elettorale del 2010, il “solito” Pio Savioli, sorta di uomo-bancomat dei fondi neri. Ci sono le prove: documenti e intercettazioni. Tutto nel maxi-fascicolo, disseminato da parecchi omissis, dell’inchiesta lagunare, che ha travolto il Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico per la realizzazione del Mose. È uno degli episodi che chiamano in causa Giampietro Marchese, esponente di spicco del Pd veneto, consigliere regionale ripescato di recente a Palazzo Ferro Fini primo fra i non eletti, presidente di Ames, la società che raggruppa le farmacie comunali di Venezia, ed ex segretario organizzativo del partito, nonché responsabile della Fondazione Rinascita, proprietaria di tutte le sedi del vecchio Pci-Pds-Ds-Pd per un patrimonio calcolato in quasi tre milioni di euro.
E non sarebbero gli unici soldi che Marchese avrebbe incassato nell’ambito dei finanziamenti illeciti di cui è costellata la dettagliata informativa firmata dal colonnello Renzo Nisi, comandante del Nucleo di Polizia tributaria delle Fiamme gialle di Venezia.
I quattrini da dispensare, a destra e a manca, arrivano dalle consorziate del Cvn, anche quelli per Marchese. E una delle più attive sul fronte risulta essere la Cooperativa San Martino di Chioggia, vera e propria banca parallela per Savioli e compagni al quale vengono consegnati almeno 600mila euro nel solo biennio 2005-2006: e guarda caso è dalla verifica fiscale alla San Martino che scoppia lo scandalo Cvn. Il nome di Marchese spunta anche nella trascrizione di quanto registrato dalla microspia installata dai finanzieri nell’ufficio di presidenza del Coveco uno dei soci pesanti di Cvn. È l’8 giugno del 2011 e il dialogo riportato è fra Franco Morbiolo, capo del Coveco, e Marchese. Il tema affrontato è l’appalto “pilotato”, quello che di fatto ha portato all’arresto con l’accusa di turbativa d’asta, fra gli altri del “monarca assoluto” del Cvn, Giovanni Mazzacurati, e anche di Savioli, componente del cda di Cvn e collaboratore di Coveco. Una gara indetta in tre stralci dall’Autorità portuale di Venezia per lo scavo di canali di navigazione con importo totale 12 milioni e mezzo di euro. Una gara che, su disposizione di Mazzacurati, deve essere vinta dalle piccole imprese con un ribasso molto al di sotto del 50-54% mediamente applicato, e da cui le grandi imprese impegnate nel Mose devono astenersi, compresa la Mantovani di Piergiorgio Baita, finito in carcere lo scorso 28 febbraio per associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale.
Ma Morbiolo ha disubbidito agli ordini, partecipando al secondo stralcio e scatenando le ire di Mazzacurati che è “arrabbiatissimo” e minaccia ritorsioni. Di questo parlano i due, l’imprenditore e e il politico. Con Marchese, quindi a conoscenza della combine, che concorda sul fatto che “Mazzacurati pensa di essere onnipotente e pensa di fare tutto”. Mazzacurati che ieri per due ore è stato a colloquio con il sostituto procuratore Paola Tonini, titolare dell’inchiesta, e che a quanto pare avrebbe deciso di collaborare, lui che viene definito dalla stessa pm “il grande burattinaio”. E non solo del Cvn che gestisce un’opera faraonica dal costo finale stimato in sei miliardi e mezzo di euro, bensì dello scenario politico ed economico della regione.
Fra i suoi fedelissimi Savioli, impegnato a ritirare e recapitare i soldi per creare il consenso generalizzato necessario a non disturbare il manovratore: nella foto della Finanza del maggio 2011 che pubblichiamo in prima pagina, sta scendendo dall’Audi A5 di Stefano Tomarelli (altro consigliere Cvn) e tiene stretta la borsa nera da cui non si separa mai.

Monica Andolfatto

 

INCHIESTA CVN . GLI SVILUPPI

Tra gli indagati spunta il nome di Ferruccio Falconi, imprenditore lidense e presidente dell’Ente gondola. L’accusa è di corruzione: molti gli omissis nelle intercettazioni con Savioli, in attesa di approfondimenti. Ombre su Thetis che avrebbe trattenuto il 5 %.

Inchiesta Cvn, indagato Falconi

L’imprenditore è anche presidente dell’Ente gondola. Nuove ombre su Thetis

Il presidente dell’Ente gondola accusato di corruzione nell’ambito della sua attività di imprenditore «Il colloquio con Savioli? Forse una lamentela, per le piccole aziende è difficile sbarcare il lunario»

Quelle strane telefonate . Indagato anche Falconi

Il presidente dell’Ente gondola, Nicola Falconi, risulta indagato per corruzione in relazione ad un episodio legato alla sua attività imprenditoriale nel campo dei lavori subaquei. La notizia emerge dagli atti dell’inchiesta sul presunto appalto pilotato per lavori al Porto di Venezia che, un paio di settimane fa, hanno portato all’emissione di 14 misure cautelari, di cui 7 agli arresti domiciliari per turbativa d’asta, tra cui spicca quella emessa a carico dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova.
Il nome di Falconi (che con l’appalto “pilotato” del Porto non c’entra) è emerso nel corso di alcune intercettazioni telefoniche effettuate tra il 2010 e il 2011 dalla Guardia di Finanza che, in quel periodo, stava ascoltando i colloqui del consigliere del Consorzio Pio Savioli. Nell’informativa conclusiva, gran parte del capitolo in cui si parla di Falconi è coperto da omissis, segno che le Fiamme Gialle stanno ancora lavorando su questo filone. Di conseguenza non è possibile sapere in relazione a quale appalto Falconi sia finito sotto inchiesta per corruzione, né a quali somme di denaro illecite si riferiscano le ipotesi della Finanza. La sua iscrizione sul registro degli indagati risale a più di due anni fa e da allora non ha avuto alcuna notizia sullo stato dell’inchiesta.
Di sicuro le Fiamme gialle si sono insospettite di fronte ad alcuni passaggi dei colloqui telefonici nei quali Falconi «evidenzia come i lavori effettuati da alcune consorziate al Consorzio Venezia Nuova, siano risultati notevolmente superiori agli importi di riferimento in possesso al Magistrato alle acque».
Falconi, dirigente della Sitmar Sub, discute a lungo con Savioli nel dicembre del 2010, prima dell’apertura delle buste per una gara che sarebbe stata poi vinta dalla sua società. «Ci siamo.. giustamente fatto volentieri umiliati come se fossimo una ditta calabrese che veniva a cercare lavoro… – spiega Falconi – Sono dovuto andare lì me li sono dovuti subire e chiedere e questo.. voglio questo… voglio quell’altro cioè nel senso sono uscito pulito come sai un pollo spennato…»
A cosa fa riferimento l’imprenditore? Più chiaro l’accenno ai prezzi: «Io lavoro a 0,31… sai a quanto lavorano loro?… le imprese extra Consorzio eh? A un euro e cinquanta il metro quadro!»
Savioli non pare sorpreso: «Capito, ma che novità. Lo so io… sennò non sarebbero scheletri, Nicola… Nelle pieghe del Consorzio si imparano sempre cose nuove… Tu hai fatto il liceo classico o sbaglio? ecco allora dovresti ricordarti la fine dell’impero Romano… le solite robe tutte le pieghe la gente di infila…»
La Guardia di Finanza conclude: «qualora i fatti fossero effettivamente accertati ne conseguirebbero responsabilità penalmente rilevanti attesa la natura “pubblica” dei fondi utilizzati per effettuare tali lavori».
«Quello che so, l’ho letto sui giornali – risponde Falconi, dichiarando di voler leggere direttamente il fascicolo che lo riguarda prima di commentare – Ho il massimo rispetto per l’inchiesta della Finanza, che tra questa miriade di persone dovrà ricostruire il peso e le responsabilità di ciascuno. Ma faccio fatica a ricostruire quel colloquio, a distanza di tre anni. Di telefonate se ne fanno tante per ottenere un lavoro, tanti sono gli incontri, le cene, soprattutto per le aziende piccole che devono sbarcare il lunario ogni giorno».
Secondo Falconi quella conversazione con Savioli si potrebbe inquadrare in una generica lamentela. «Del resto noi con il Consorzio avevamo dei rapporti abbastanza limitati, trasmettevamo via fax le nostre richieste. Ovvio che in un sistema di intercettazioni a così ampio raggio oltre alle conversazioni private sono state registrate tutte quelle telefonate che facevano “rizzare le antenne” per l’argomento di cui si trattava. Ma va tutto contestualizzato».

 

«Tutto regolare finché ci sono stato io»

Antonio Paruzzolo difende gli anni della sua gestione in Thetis: «Assunzioni solo in base alle competenze»

«Sono indignato e incazzato come una bestia per come si stia buttando al macero una storia di successi lunga 20 anni».
L’ex assessore alle Attività produttive del Comune, Antonio Paruzzolo, è un fiume in piena. Non sopporta il fatto che la Thetis che lui ha gestito da amministratore delegato fino al marzo 2010 possa essere stata considerata un “baraccone” o un luogo dove assumere amici e parenti degli amici. O, peggio, come si legge nella pagina accanto, un luogo dove venivano chieste “percentuali” per poter lavorare.
«Lo ripeterò all’infinito – spiega – fino a quando ci sono stato io neanche una lira è stata chiesta a chicchessia. Anzi, al solo pensiero che qualche personaggio avesse potuto usare il nome di Thetis per chiedere qualcosa avrei fatto la rivoluzione. Io sono fatto così, in azienda controllavo perfino la qualità del caffè che veniva servito nelle riunioni. Perciò posso dire che per tutto il periodo in cui ci sono stato io non è mai successo nulla di ciò che si legge. Se solo mi fosse stata presentata lontanamente un’idea del genere, mi sarei dimesso nel giro di due minuti. Sul dopo, non sono in grado di dire nulla».
Ciò che è stato pubblicato su Thetis deriva dalle intercettazioni, in particolare quelle di Pio Savioli.
«Io mi ricordo un Savioli prodigo di complimenti per l’azienda e per il sottoscritto. Era in cda ma non ho mai capito cosa ci stesse a fare. In 13 anni non ha avuto mai nulla da ridire».
Fino a quando è rimasto a Thetis?
«Nominato assessore nel marzo 2010 smisi di occuparmi di tutti i progetti relativi alla salvaguardia, tenendomi solo quelli extra consorzio e comunque lontani da Venezia. Poi, ho preso atto che le cose erano cambiate in maniera molto rapida nella società e ho mollato tutto nel gennaio 2011».
Thetis è “accusata” di essere stata il collocamento per molti “amici”.
«Le assunzioni, fino a quando ci sono stato io, sono state fatte solo dopo sulla base dei curricula e delle competenze e dopo un rigoroso colloquio che mostrasse come quella persona fosse la più adatta a ricoprire quel posto. E basta».
Intanto, in relazione all’articolo apparso ieri sul Gazzettino contenente la frase attribuita a Pio Savioli «Thetis è un baraccone spaventoso», le Segreterie Territoriali Filctem e Femca e le Rsu di Thetis, hanno emesso una nota nella quale «pur non entrando nel merito delle indagini in corso, ritengono inaccettabile e offensiva tale affermazione nei riguardi di tutti i dipendenti che ogni giorno si dedicano con professionalità al proprio lavoro. Auspichiamo che al più presto la magistratura faccia chiarezza, considerando la già pesante situazione di crisi economica del territorio e più in generale del Paese».

 

LA RELAZIONE GDF- Il suo nome è emerso da alcune intercettazioni svolte tra 2010 e 2011

SOSPETTI – Alcuni lavori effettuati da ditte del Cvn sono molto superiori agli importi di riferimento

Tra i concussi anche il veneziano Tramontin, titolare della Geosigma

A Savioli una busta con una tangente consegnata da Castelli di Te.ma

LA FRASE  «Io lavoro a 0,31 euro al mq, loro a 1,5 euro!». Ma gran parte dei colloqui sono coperti da omissis

LE INTERCETTAZIONI – Nuove ombre su Thetis

«Mi chiedevano il 5%»

Seguendo le mosse di Pio Savioli, immortalato in almeno tre occasioni mentre incassa mazzette, la Gdf “ascolta” le proteste di un imprenditore

(gla) «È il grande protagonista dell’attività investigativa». Così i finanzieri del Nucleo di polizia Tributaria di Venezia descrivono Pio Savioli, il 69enne di Villorba, in provincia di Treviso, consigliere del Consorzio Venezia Nuova (nonché amministratore di Clodia e consulente del consorzio Coveco), finito agli arresti domiciliari in relazione ad un presunto appalto “pilotato” per lavori portuali a Venezia. La turbativa d’asta che gli viene contestata dal gip Alberto Scaramuzza appare ben poca cosa rispetto alle pesanti accuse che vengono formulate nei suoi confronti dai finanzieri, secondo i quali Savioli «risulta beneficiario di ingenti somme corrisposte a titolo di “tangenti” a partire dall’anno del 2005».
Il nome di Savioli è emerso per la prima volta nel corso di una verifica fiscale che portò alla scoperta della contabilità in “nero” della cooperativa San Martino di Chioggia, impegnata in alcune opere di salvaguardia della laguna. Dalla documentazione acquisita dalle Fiamme gialle risultò che Savioli avrebbe ricevuto ingenti somme di denaro, quantificate in 600mila euro tra il 2005 e il 2006. Ma non solo: tra il 2010 e il 2011 le Fiamme Gialle hanno documentato con appostamenti, fotografie e video «alcuni incontri finalizzati allo scambio di denaro (rappresentante il “compenso”) tra le imprese esecutrici di alcuni lavori, San Martino sc e Clea Sc e gli amministratori del Consorzio Venezia Nuova».
Savioli, infine, viene indicato come il «promotore ed esecutore dell’illecito finanziamento ad esponenti politici effettuati dal CVN mediante un “giro” di fatture per operazioni inesistenti».
Al nome del manager trevigiano Savioli viene affiancato quello di Stefano Tomarelli, amministratore del CVN, della società romana Condotte e del consorzio Clodia: anche quest’ultimo, secondo la Finanza, sarebbe stato beneficiario di somme di denaro contante di provenienza illecita.
COOP SAN MARTINO – I 600mila euro incassati da Savioli sarebbero delle vere e proprie “tangenti” finalizzate ad agevolare la cooperativa di Chioggia nelle assegnazioni dei lavori di Salvaguardia della laguna. In particolare i lavori da effettuarsi alla bocca di porto di Chioggia, assegnati dal CVN alla società consortile Clodia, (composta da Condotte spa, San Martino e Coveco). Concussi sarebbero Mario e Stefano Boscolo Bacheto e Antonio Boscolo Cucco. La Finanza scrive che non è certo se Savioli sia l’effettivo beneficiario delle somme o se le abbia poi consegnate ad altri.
SOCIETÀ TE.MA – Vittima della seconda presunta concussione è Gian Franco Castelli della Te.ma snc. Fotografie scattate dai finanzieri documentano, nel dicembre del 2010, la consegna a Savioli di una busta, avvenuta all’interno di un’auto, nel piazzale del motel che si trova alla rotatoria di Marghera.
Dalle intercettazioni emerge che, in precedenza, a Castelli sarebbero state chieste somme indebite anche da Thetis: una percentuale in relazione ai lavori svolti. «Ce ne sono 140 che ci han trattenuto… rispetto a quello che prendevamo prima, il 5 per cento la Thetis», spiega Castelli al telefono. E sempre riferendosi alla Thetis: «ci hanno massacrato ultimamente…». Savioli conferma: «Lo so, massacra tutti Thetis, non è una novità…» Per la Finanza è la conferma che Thetis, sui lavori assegnati dal CVN alle imprese, trattiene una percentuale del 5 per cento».
GEOSIGMA – Vittima della terza presunta concussione è Diego Tramontin, veneziano, titolare della Geosigma di Pordenone, il quale sarebbe stato costretto a versare 1500 euro giustificati da una fattura emessa dal Coveco per operazioni che la Finanza definisce inesistenti. Il versamento sarebbe avvenuto sempre nel dicembre del 2010, vicino al casello autostradale di Conegliano. I due si incontrarono in un bar di San Vendemiano, come documentano intercettazioni e fotografie. All’uscita, a fianco della vettura di savioli, Tramontin «ha aperto la borsa che aveva con sè, si è accostato in maniera circospetta al Savioli e facendo scudo con il corpo ha prelevato qualcosa all’interno della borsa e lo ha consegnato rapidamente al Savioli». Su questi episodi non è stata disposta alcuna misura cautelare: le indagini sono ancora in corso e potrebbero condurre a breve a ulteriori novità.

Gianluca Amadori e Raffaella Vittadello

 

Corrotti e corruttori nascosti fra gli omissis

Oggi Mazzacurati, ascoltato dal pm Tonini, sulle parti secretate delle indagini

Intanto ieri sentito il trevigiano Sutto: due ore di interrogatorio senza ammissioni

«VENEZIA – Esegue incondizionatamente gli ordini di Mazzacurati senza discuterli» scrive il pubblico ministero Paola Tonini nella sua richiesta di cattura di Federico Sutto, un tempo segretario di Gianni De Michelis ed ex sindaco di Zero Branco poi in prestito al Consorzio come addetto ai rapporti di rappresentanza del presidente. E ieri, la rappresentante della Procura lo ha interrogato per poco meno di due ore alla presenza del suo difensore, l’avvocato padovano Gianni Morrone. Nessuno ha voluto rilasciare dichiarazioni alla fine del colloquio, ma sembra che Sutto non si sia sbottonato. Insomma, ha cercato di spiegare quelle due o tre telefonate intercettate, ha spiegato che lui eseguiva le direttive del capo. Un atteggiamento che si potrebbe definire di attesa, attesa di quello che accadrà oggi: il pm Tonini, infatti, sentirà proprio Giovanni Mazzacurati su sua specifica richiesta. Difeso dagli avvocati veneziani Giovanni Battista Muscari Tomaioli e Alfredo Biagini, l’anziano ingegnere sembra orientato a raccontare quello che sa, insomma a vuotare il sacco. Probabile che il magistrato non si accontenti delle sue ammissioni sull’accordo tra le imprese per truccare la gara d’appalto dell’Autorità portuale per lo scavo dei canali navigabili. Gli chiederà delle 400 pagine del lungo rapporto della Guardia di finanza che nessuno ancora ha letto perché coperto dagli omissis. Presumibilmente in quelle pagine ci sono i nomi di coloro che Mazzacurati ha incontrato e pagato, le identità dei politici nazionali e locali che potrebbe aver corrotto in modo da ottenere i finanziamenti statali per procedere con i lavori di salvaguardia della laguna, in particolare il Mose. È evidente che se Mazzacurati imbocca questa strada, gli altri indagati non hanno speranza di cavarsela se non facendo la stessa scelta. E anche Pio Savioli, difeso dall’avvocato trevigiano Paolo De Girolami sembra deciso a seguire le orme dell’ex presidente: il suo legale ha già chiesto l’interrogatorio che è stato fissato per la prossima settimana. Nel frattempo gli investigatori della Guardia di finanza, proseguono indagini e accertamenti in particolar modo per quanto riguarda gli organi di controllo, coloro cioè che avevano il compito e il dovere di seguire passo a passo i lavori alle bocche di porto, per appurare che i lavori venissero compiuti a regola d’arte, e per controllare costi e spese. Innanzitutto il Magistrato alle acque, che nel rapporto viene definito «succube» del Consorzio, quindi i collaudatori, per la maggior parte grand comis dello Stato scelti dal Magistrato alle acque. Nel rapporto si fanno i nomi di Amedeo Liverani, dirigente del ministero dei Trasporti, di Lorenzo Quinzi e Vincenzo Fortunato, capo ed ex capo di gabinetto del ministro dell’Economia e delle Finanze, e Angelo Balducci, ex presidente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici finito in galera perché considerato uno dei capi della cricca.(g.c.)

 

Mazzette “in proprio” ai capi del Consorzio

Alcuni dirigenti tenevano per sé le tangenti, che venivano estorte alle imprese associate

Quando l’ex presidente “condannò” il leghista Malaspina: «Ai suoi amici nessun lavoro»

VENEZIA – C’è una telefonata intercettata dai finanzieri tra Giovanni Mazzacurati e la responsabile relazioni esterne del Consorzio Venezia Nuova Flavia Faccioli in cui l’allora presidente le dice: «Bisogna fare in modo che quelli che sono associati con lui non piglino neanche un lavoro, neanche morti». Il lui in questione è l’allora assessore provinciale leghista Massimiliano Malaspina, chioggiotto, che aveva duramente attaccato il Consorzio: «Da anni», aveva sostenuto l’ex esponente del Carroccio « il Consorzio sta facendo in città il bello e cattivo tempo, con buona pace degli amministratori. Un esempio su tutti è il cantiere per il Baby Mose a Chioggia, voluto dalla giunta Guarnieri, ma per nulla osteggiato dal sindaco Romano Tiozzo. Vedere come procedono i lavori è a dir poco avvilente: due sole persone nel cantiere che operano con lentezza danneggiando l’economia di una parte importante della città». Ma c’è un retroscena che le 750 pagine del rapporto della Guardia di finanza svelano grazie alle numerose intercettazioni. La raccomandazione. Malaspina, stando alla ricostruzione delle Fiamme gialle, attraverso una terza persona aveva cercato di «spingere» una ditta di Chioggia, quella di Salvatore Tiozzo Basiola, avrebbe interceduto per fargli ottenere più lavori, quelli del Mose, presso Mazzacurati, che evidentemente non aveva prestato attenzione a questa richiesta. Poi erano arrivate le critiche di Malaspina e Mazzacurati aveva chiesto alla Faccioli di sentire Giampiero Beltotto, il portavoce del presidente della giunta regionale Luca Zaia. Il giornalista, ex caporedattore della Rai, probabilmente dopo aver sentito Zaia aveva consigliato di lasciar perdere, aveva sostenuto che non valeva la pena di rispondere a Malaspina. Mazzacurati, però, la vendetta contro chi aveva osato criticarlo e i suoi protetti l’aveva messa in cantiere.

Vita e morte. Del resto, Mazzacurati faceva e disfaceva, era lui a comandare e gli altri dovevano obbedire. «Distribuiva i lavori, decideva la vita e la morte delle imprese, interveniva sugli appalti anche al di fuori degli interventi per il Mose» scrivono i finanzieri. «Grazie agli ingenti fondi elargiti dallo Stato per la salvaguardia della laguna», prosegue il rapporto, «ha una disponibilità finanziaria che gli permette di erogare compensi a parenti e conoscenti». Il pubblico ministero Paola Tonini lo definisce «il grande burattinaio», abituato a «gestire un potere universale all’interno del Consorzio organizzato in gruppi clientelari secondo la norma del profitto personale e della sopraffazione dei gruppi economici minori». Ha evitato il carcere soltanto per la sua età avanzata, ha 81 anni, e per le sue condizioni di salute precarie. «Mediante la “Ing. Mazzacurati Giovanni sas” il presidente riesce a convogliare i benefici economici ottenuti direttamente o indirettamente dal Consorzio anche alle figlie Cristina, Elena e Giovannella» si legge in un’altra pagina del lungo rapporto.

Tangenti. Il sospetto è che «dirigenti apicali del Consorzio, abusando della propria posizione, abbiano costretto o indotto diversi responsabili di società consorziate a corrispondere indebitamente denaro o altre utilità» scrivono i finanzieri, secondo i quali chi lavora al Consorsio è pubblico ufficiale perchè la legge del 1984 lo ha reso concessionario unico. E così quei 600 mila euro che un altro degli arrestati, Pio Savioli, ha intascato da parte dei titolari della Cooperativa San Martino per favorirla nei lavori del Mose devono essere considerati una tangente. Ma, stando ai controlli dei finanzieri che hanno anche scattato le foto della consegna delle buste, Savioli ha chiesto e ottenuto soldi anche da Gianfranco Castelli della «Te.Ma.» e Diego Tramontin della «Geosigma», piccole imprese che hanno lavorato per il Consorzio. Per questo gli investigatori ipotizzano per numerosi indagati anche il reato di associazione a delinquere. E nell’elenco la Guardia di finanza ci infila pure il commercialista padovano Francesco Giordano, «consulente fiscale del Consorzio», si legge, «circa gli aspetti giuridico fiscali penalmente rilevanti».

Incontri celati. Un altro dirigente del Consorzio che, stando alle intercettazioni, è sospettato di aver intascato tangenti, ma non è stato raggiunto da alcun provvedimento, è Stefano Tomarelli legato all’impresa Condotte. Sempre i titolari della Cooperativa San Martino gli avrebbero consegnato almeno 40 mila euro. Le Fiamme gialle scrivono che Savioli e Tomarelli erano venuti a conoscenza dell’inchiesta: quest’ultimo, «consapevole dell’indagine, ha tentato di celare gli incontri con gli imprenditori, spegne il telefonino, quando entra in autostrada paga in contanti il pedaggio e non usa il telepass che pure possiede e non usa la carta di credito» si legge. Tutto questo per non far rintracciare i suoi movimenti, per non indicare con chi si incontrava e nel timore di essere intercettato, per non far ascoltare i suoi discorsi.

Giorgio Cecchetti

 

L’inchiesta si allarga a tutte le grandi opere

La commissione del Comune sulla Mantovani indagherà anche sul Consorzio

Occhi puntati su Mose, ospedale dell’Angelo, tram e Coppa America

Si partirà ascoltando il sindaco Giorgio Orsoni. Poi si proseguirà con i dirigenti e i tecnici comunali che hanno avuto nel tempo per conto del Comune rapporti professionali con la Mantovani e con le altre imprese del Consorzio Venezia Nuova. E quindi si continuerà con una lunga sequenza di audizioni, che andranno dal nuovo presidente del Consorzio Mauro Fabris – che ha da poco preso il posto dell’indagato Giovanni Mazzacurati – al direttore Ermes Redi, ai sindaci uscenti Massimo Cacciari e Paolo Costa, agli ultimi tre presidenti del Magistrato alle Acque (Maria Giovanna Piva, Patrizio Cuccioletta e Ciriaco D’Alessio) senza trascurare, tecnici, ingegneri, e appunto dirigenti comunali di oggi e di ieri come Maurizio Calligaro, Armando Danella, Leopoldo Pietragnoli, secondo un programma di audizioni proposto dal consigliere della lista In Comune Beppe Caccia. È il denso programma di lavoro che si è dato la commissione comunale d’indagine sui rapporti tra il Comune e la Mantovani – presieduta da Luca Rizzi (Pdl) – che ieri si è riunita per la prima volta a Ca’ Farsetti e che allargherà la sua sfera di interesse non solo ai rapporto tra il Comune e l’impresa guidata da Pier Giorgio Baita, ma anche, appunto, a tutta l’attività del Consorzio Venezia Nuova in rapporto all’Amministrazione. Ampia anche la sfera di dossier che verranno esaminati, che non riguarderanno solo il Mose, ma anche l’Ospedale alMare, i lavori del Tram, quelli del mercato ortofrutticolo di Mestre, l’organizzazione della Coppa America – tra gli altri – che hanno sempre visto Mantovani e Consorzio in preimo piano nei rapporti con il Comune. Il primo obiettivo – come hanno sottolineato diversi consiglieri, da Placella (Cinque Stelle) a Funari (Gruppo Misto), a Borghello( Pd) – è proprio chiarire la liceità e la correttezza dei rapporti delle imprese con il Comune, che la stessa delibera istitutiva della Commissione mette in dubbio. Il fatto che si parta con l’ascolto di Orsoni non è casuale, perché a diversi consiglieri, a cominciare da Jacopo Molina del Pd, non ha fatto piacere scoprire che il sindaco aveva ricevuto contributi per la campagna elettorale da alcune imprese del Consorzio. «Anche se quei contributi erano leciti e dichiarati – ha sottolineato Molina – il sindaco avrebbe potuto trovare la forza per ringraziare e rifiutarli per opportunità e a chi si candiderà per il 2015 chiederemo in via prioritaria di rifiutare contributi di questo tipo». Ma ci sono anche consiglieri a cui la commissione d’indagine su Mantovani e Consorzio non piace affatto, come l’ex magistrato Ennio Fortuna (Udc), che ha ribadito ieri la sua inutilità, sottolineando la liceità della comncessione unica al Consorzio e il rispetto delle leggi e prenendosi per questo dallo stesso Caccia – al termine di un duro alterco – l’accusa di voler fare solo ostruzionismo. Ma l’obiettivo della Commissione – ha sottolineato sempre Molina – è anche rimpere per il futuro «l’approccio consociativo» tra Comune e sistema delle imprese legate al Mose.

Enrico Tantucci

 

«Ci sono i prodromi di una tangentopoli del Veneto»

Anche il capogruppo di Italia dei Valori in Consiglio regionale veneto, Antonino Pipitone, interviene sugli sviluppi dell’inchiesta. «Si scorgono all’orizzonte i prodromi di una tangentopoli veneta» dichiara Pipitone . «Prima i soldi finiti a VeDrò, il “pensatoio” legato al presidente del Consiglio Enrico Letta, poi i contributi elettorali e le voci che tirano in ballo altri esponenti politici. giunto il momento di tracciare una linea. Basta. Chi ha avuto contributi dal concessionario unico o dalle aziende che sono state implicate nell’inchiesta lo dica».

 

IL CONSIGLIERE REGIONALE DI VERSO NORD ACCUSA

Bottacin: c’era un patto consociativo scellerato sui grandi appalti

Il consigliere regionale di Verso Nord Diego Bottacin chiede che la commissione di inchiesta sui lavori pubblici, istituita a marzo dal Consiglio regionale a seguito dello scandalo Mantovanì, indaghi su quello che definisce «il patto consociativo che sta alla base del sistema veneto degli appalti». La richiesta di Bottacin prende spunto dalle notizie trapelate nel corso dell’inchiesta sul Consorzio Venezia Nuova. «Quanto emerge in questi giorni», dichiara Bottacin «conferma l’esistenza di un patto consociativo tra diverse forze politiche e l’asservimento di buona parte del sistema di potere (non solo politico) veneto alla pratica della spartizione senza gara delle grandi commesse pubbliche nella nostra regione». Bottacin invita la magistratura «ad accertare ogni illecito e ogni responsabilità», ma fa appello anche alla politica perché «estirpi subito questa pratica distorta che indebolisce e soffoca l’economia veneta». «Dai documenti e dalle intercettazioni pubblicate», prosegue l’esponente di Vero Nord «emerge l’imbarazzante spregiudicatezza e spudoratezza dei vertici del Consorzio Venezia Nuova nel dispensare regalie in modo scientificamente uniforme. Ma oltre al danno, assai rilevante, costituito delle risorse tolte alla costruzione delle opere per finire a partiti, candidati, fondazioni, riviste, convegni, strenne, associazioni e via elencando, c’è un danno forse più profondo e strutturale inferto al nostro sistema economico costituito da anni di “selezione” delle imprese più fedeli a scapito di quelle più capaci». «Se, come sembra, i principali partiti politici assecondavano ogni decisione sulle grandi commesse pubbliche della regione cercando di evitare in ogni modo il ricorso alla concorrenza e al confronto di mercato, non ci possiamo sorprendere dei blandi controlli attuati dalle istituzioni pubbliche. Prima e più ancora del profilo penale, questa è una pesantissima responsabilità politica a cui i maggiori partiti veneti non si possono più sottrarre e a cui va posta con urgenza una soluzione definitiva e radicale».

 

INCHIESTA MOSE. LA NUOVA BUFERA

INCHIESTA MOSE – Assunti a Thetis anche le figlie di ex dirigenti di punta del Magistrato alle acque

Nelle società collegate al Cvn molti congiunti di Mazzacurati, ma anche parenti di manager e di chi doveva controllare

Emergono nuovi intrecci tra gli ex vertici del Magistrato alle Acque e il Consorzio Venezia Nuova, passando attraverso Thetis, partecipata del Consorzio, definita in un’intercettazione “un baraccone spaventoso”. E dal rapporto della Gdf spunta un elenco di persone beneficiate dal Consorzio o assunte in aziende legate al Cvn e legate da vincoli di parentela all’ex presidente Mazzacurati, a manager e professionisti del Consorzio stesso. Del resto la Gdf parla, a proposito del Cvn, “di gestione quasi di famiglia dell’impresa da parte di Mazzacurati”

 

IL COMUNE   «Reverenti? Noi ci siamo sempre opposti»

Ieri prima riunione della Commissione comunale d’indagine su Mantovani e del Consorzio Venezia Nuova. Le reazioni all’accusa di reverenza

Le rivelazioni della segretaria della S.Martino

Da una normale verifica fiscale alla Cooperativa San Martino di Chioggia nel 2010 la chiave di volta dell’inchiesta della Finanza

LA FRASE – E Savioli disse: «Thetis è un baraccone spaventoso»

A LIBRO PAGA – Anche la figlia dell’ex capo dell’ufficio tecnico del Magistrato

 

Una parentopoli targata Consorzio Venezia Nuova

La relazione della Guardia di Finanza evidenzia una incredibile rete di legami familiari

La figlia dell’allora Magistrato alle acque assunta a Thetis, società controllata da Cvn

 

L’ANOMALIA – Chi doveva controllare il Mose finiva per essere debitore di molti favori a Mazzacurati

La Guardia di Finanza ha rilevato un’opacità di rapporti tra Magistrato alle Acque – che aveva una funzione di controllo – e il Consorzio Venezia Nuova concessionario unico per la realizzazione del Mose. Con un atteggiamento di sottomissione da parte dell’organo decentrato del Ministero dei Lavori pubblici rispetto alla cordata di imprenditori privati. Nel rapporto delle Fiamme Gialle si dice che «grazie alle ingenti somme a disposizione riconosciute dallo Stato a titolo di “oneri accessori” il Consorzio Venezia Nuova elargiva ingenti compensi in denaro o in altra natura a propri dirigenti e collaboratori nonchè a parenti e affini di questi ultimi, secondo una gestione quasi “familiare” dell’impresa ad opera di Mazzacurati». Dubbi anche sull’utilità di alcune consulenze. E qui viene citata la frase proferita da Pio Savioli in una conversazione con l’allora amministratore delegato di Thetis Antonio Paruzzolo: «una consulenza non si nega a nessuno». In effetti per il 2008 si evidenziano i saldi delle “consulenze tecniche” per circa un milione e mezzo di euro, oltre ad “altre consulenze e prestazioni professionali” che superano i 6 milioni e 600 mila euro.
L’attenzione delle Fiamme Gialle si accentra anche su Thetis, definita da Savioli in un’intercettazione “un baraccone spaventoso”. Thetis è società di ingegneria con oltre un centinaio di dipendenti presieduta da Giovanni Mazzacurati fino al 28 giugno scorso, sviluppatrice di progetti e applicazioni tecnologiche per l’ambiente e il territorio, nata a capitale pubblico come partecipata del Comune e della Regione. Nel tempo è diventata per la maggioranza delle azioni controllata dal Consorzio Venezia Nuova.
«Senza entrare nel merito delle attività eseguite – scrive la GdF – suscitano non poche perplessità i vincoli familiari che legano soggetti tutti collegati direttamente o indirettamente al Consorzio Venezia Nuova». E segue un elenco di persone, tra cui Daniele Rinaldo, marito dell’attuale amministratore delegato di Thetis Maria Teresa Brotto, ingegnere idraulico al cui studio si appoggia il Consorzio Venezia Nuova.
Viene citata anche Flavia Cuccioletta, laureata in ingegneria e assunta prima al Consorzio Venezia Nuova e poi a Thetis, dove è assistente alla direzione. È la figlia di Patrizio Cuccioletta, presidente del Magistrato alle Acque nel 2011, data a cui si riferisce l’informativa della Finanza.
Ci sono poi altri nomi che figurano nella lista, tutti legati da parentele più o meno strette tra dipendenti a diversi livelli all’interno del Consorzio Venezia Nuova e alle ditte collegate. E altri che non compaiono. Ma la trasmissione Report “I mercanti di Venezia” aveva fatto l’esempio di Eleonora Mayerle, figlia dell’ex capo dell’Ufficio tecnico del Magistrato alle Acque, assunta a Spazio Thetis dove fa l’assistente per la realizzazione di eventi culturali e mostre legate all’arte contemporanea.

Raffaella Vittadello
L’INTERROGATORIO DELLA DONNA CHIAVE

Da Chioggia all’Austria gli “ordini” sulle false fatture

Nicla Boscolo Bacheto: «Più volte feci presente le mie perplessità, mi fu detto di non impicciarmi». Un “buco” di 750mila euro interrompe il rapporto

«Le mie perplessità sono state più volte esposte ai responsabili Mario e Stefano Boscolo, i quali mi intimavano di procedere in quanto, a loro dire, era tutto regolare. Anzi in diverse occasioni mi hanno intimato di non impicciarmi in loro affari».
Dalle 14.30 alle 20.45 del 20 maggio del 2010. Tanto è durato l’interrogatorio di Nicla Boscolo “Bacheto”, segretaria della cooperativa amministrata da Mario e Stefano Boscolo “Bacheto”, consorziata Cvn, e finiti entrambi ai domiciliari Con lei nella caserma delle Fiamme Gialle in Corso del Popolo a Mestre c’è l’avvocato di fiducia, Giorgio Zecchin del foro di Padova. Suo malgrado è la chiave di volta dell’inchiesta con cui la Procura lagunare ha “affondato” Cvn e Mose nata da una normale verifica fiscale alla Cooperativa San Martino di Chioggia. E proprio la “chiavetta usb” che le hanno affidato i suoi datori di lavoro a mettere i finanzieri sulla strada dei fondi neri targati Cvn e creati nell’azienda clodiense attraverso due società cartiera, la Istra Impex di Villach e la Corina di Mestre: un giro vorticoso di fatture false con cui si è fatto lievitare anche del 200% il prezzo dei “sassi” per la realizzazione della bocca di porto di Chioggia, costata alla collettività qualcosa come 104 milioni di euro. Domande precise e circostanziate quelle a cui Nicla risponde, scritte in undici pagine di verbale. Sotto la lente di ingrandimento 22 milioni di euro, ovvero l’ammontare dei costi relativi ai rapporti intercorsi fra Istra e San Martino per la forniture di palancole, sassi da annegamento e noleggio della motonave battente bandiera del Belize Sunrise III. Forniture che prima erano in carico alla società croata Kamen Pazin e che dal 2004, anno della sua costituzione, passano alle ditta austriaca.
L’ipotesi di reato formulata nei suoi confronti dell’impiegata in qualità di amministratrice di fatto della Istra è di aver emesso dal 2004 al 2006 fatture relative ad operazioni inesistenti nei confronti della San Martino e di non aver presentato la dichiarazione dei redditi rispetto allo stesso periodo. Il “denaro fantasma” calcolato dalla Finanza toccherebbe gli oltre sei milioni: fra i destinatari finali Pio Savioli e Stefano Tomarelli, entrambi consiglieri di Cvn.
A insospettire gli investigatori il ritrovamento negli uffici della San Martino di moduli in bianco di fatture intestate alla Istra: e Nicla ammette che era lei a redigere le fatture della Istra su precise direttive dei due Boscolo, che fissavano anche il totale da riportare. E conferma che erano sempre loro ad aver fondato la Istra supportati da un altro dipendente della San Martino, Giancarlo Cadamuro. Il che significa che Istra nella realtà delle cose era gestita a Chioggia e la sua figura era di mero «passacarte»: erano i due Boscolo a fare da registi arrivando persino a stipulare un contratto di intermediazione (con Istra) otto mesi dopo la redazione del contratto di fornitura (con Kamen). Ma è solo una delle tante anomalie riscontrate. Come i conti esteri e la strana contabilità della Istra con bonifici San Martino-Istra con l’annotazione “per noi”: 150mila euro il 4/8/2004 e 200mila euro il 16/9/2004. «Le annotazioni ritengo si riferiscano a disponibilità finanziarie che i Boscolo portavano in Italia dall’Austria. Presumo che fossero contanti. I contanti venivano portati a casa di Mario e di Stefano, che avevano idonee cassaforti». È un “buco” di 750mila euro, a quanto si evince, a interrompere la collaborazione fra San Martino e Istra. Ammanco che viene imputato da un tale Massimiliano Mompiani, referente di Istra a Villach, a una impiegata della ditta austriaca. Versione che forse non convince i Boscolo.

 

GIRO VORTICOSO – Così il prezzo dei “sassi” veniva fatto lievitare anche del 200%

CONSIGLIO COMUNALE – Boraso (lista Impegno): «Il sindaco spieghi tutto oppure si dimetta»

«Riverenza? No, siamo l’unico oppositore»

Respinte le accuse di sudditanza del Comune al Cvn: «Da noi schiena dritta e scontri durissimi»

«Ma quale riverenza! Se c’è un ente che a livello istituzionale ha contrastato lo strapotere del Consorzio Venezia Nuova e il meccanismo della concessione unica, quello è stato il Comune di Venezia, nel silenzio assordante degli altri enti».
Beppe Caccia, consigliere comunale di “In Comune” e rappresentante storico degli oppositori del Consorzio, non ci sta a vedere Ca’ Farsetti passata come “riverente”, sia pure in un’informativa della Guardia di Finanza. Proprio ieri, intanto, si è svolta la prima riunione della Commissione consiliare d’indagine per far luce sul ruolo della Mantovani e del Consorzio Venezia Nuova sulla vita sociale ed economica della città. La prima audizione, da programmare entro l’inizio della pausa estiva dei lavori, vedrà ovviamente il sindaco come primo ospite. «La storia del Comune di Venezia – aggiunge Caccia – è la storia dell’unico livello istituzionale che non solo ha contrastato il progetto del Mose ma anche l’idea di esso come unica idea di salvaguardia di Venezia e della sua laguna. Due episodi su tutti: nel 2006 la decisione di andare avanti come se niente fosse fu presa dal Comitatone con l’unico voto contrario dell’allora sindaco Cacciari – puntualizza -. Il sindaco Orsoni, archiviata la vicenda Mose, è quello che negli ultimi anni ha prodotto il più duro scontro con il Consorzio e il Magistrato alle acque mai fatto in città legato alla proprietà dell’arsenale».
Proprio Cacciari ieri ha ricordato: «La concessione unica è l’humus da cui può nascere qualsiasi comportamento non corretto e la responsabilità è tutta politica. Io lo denuncio dal 1990».
Lo stesso sostiene il capogruppo del Pd, Claudio Borghello: «Che il Consorzio fosse un interlocutore obbligato in città è assodato, ma il Comune ha sempre avuto la schiena dritta e la vicenda Arsenale la dice lunga. È vero invece che abbiamo intrattenuto dei rapporti, tanto che c’è una commissione d’inchiesta, che dubito porterà alla scoperta di qualcosa di illecito».
In Consiglio Comunale, sulla scorta delle affermazioni della Finanza su presunti contributi elettorali al sindaco Orsoni, il consigliere Renato Boraso (lista Impegno) ha chiesto spiegazioni al più presto oppure dimissioni: «Poche righe di comunicato non ci bastano».

Michele Fullin

 

I FONDI AGLI ENTI RELIGIOSI – Il giallo di 300mila euro alle Clarisse «Non abbiamo mai visto quei soldi»

L’informativa delle Fiamme Gialle parla anche di contributi ad enti e opere religiose “pur nella consapevolezza – annotano gli stessi finanzieri della polizia giudiziaria – del fine benefico delle elargizioni”. In particolare spiccano tra queste elargizioni gli 850mila euro erogati alla Fondazione Marcianum – soprattutto in riferimento agli anni in cui è stato Patriarca Angelo Scola – e i 300mila euro al convento delle Clarisse.
Queste ultime, però, appresa questa notizia dai giornali, hanno puntualizzato di non aver mai visto direttamente quei soldi. Cosa peraltro possibile, dal momento che nell’informativa delle Fiamme Gialle l’informazione è molto stringata e potrebbe essere stata riportata da qualche taccuino o registro senza che questi indicassero tutti i passaggi necessari. Appare improbabile, infatti, che un contributo così importante potesse essere elargito materialmente e direttamente ad un convento dedito esclusivamente alla preghiera e senza strutture amministrative.

LAGUNA E AFFARI – Dibattito al parco San Giuliano con Casson, Bettin e Cacciari

Gli intrighi giudiziari del Consorzio Venezia Nuova finiscono anche al Venice Sherwood Festival. Questa sera alle 20.30 in uno degli spazi occupati dalla kermesse di musica e spettacolo in corso al parco San Giuliano verrà ospitato un dibattito con ospiti illustri e il tema di discussione sarà proprio quello legato a tutto ciò che sta accadendo al concessionario unico per la realizzazione dei lavori del Mose.
«Liberare la laguna di Venezia dalla palude degli affari», questo il titolo scelto per il dibattito che avrà come ospiti illustri l’ex sindaco Massimo Cacciari che non sarà presente fisicamente ma del quale verrà trasmessa una video intervista esclusiva. Poi l’assessore all’ambiente Gianfranco Bettin, il senatore del Pd Felice Casson e il deputato di Sel Giulio Marcon. A moderare il dibattito il consigliere comunale di «In Comune» Beppe Caccia. Attesa la partecipazione di molti esponenti dei vari comitati ambientalisti veneziani. «Come riformare la Legislazione speciale per Venezia con l’obbiettivo di superare il regime delle «concessioni uniche» e restituire dignità e democrazia, sovranità e risorse alla comunità locale?» Questa una delle domande a cui cercheranno di dare risposta gli ospiti del dibattito. (r.ros.)

 

Consorzio Venezia Nuova: stanziati 58 mila euro di contributi elettorali in 13 anni

Destinatari dei fondi Ds, Forza Italia, comitati di Matteoli e Minnici (An), radicali

VENEZIA – Domani, giovedì 25 luglio, il pubblico ministero Paola Tonini interrogherà Giovanni Mazzacurati. È stato l’anziano ingegnere ex presidente del Consorzio Venezia Nuova a chiedere di essere sentito e sembra evidente che i suoi difensori, gli esperti avvocati Giovanni Battista Muscari Tomaioli e Alfredo Biagini, non lo vogliano far presentare perché si limiti a dire che è innocente. Dunque, Mazzacurati ammetterà e, forse, aggiungerà particolari inediti, soltanto così potrà contare sul fatto che la rappresentante dell’accusa non si opponga alla sua liberazione. La prossima settimana toccherà, invece, al trevigiano Pio Savioli (difeso dall’avvocato Paolo De Girolami), un’altra pedina importante non solo per l’appalto «truccato» dell’Autorità portuale di Venezia a causa del quale sono scattate le manette, ma anche perché sarebbe proprio lui uno di quelli incaricati di raccogliere presso le varie imprese quello 0,5 per cento dei lavori da distribuire poi a politici e pubblici funzionari (almeno stando al maxi rapporto della Guardia di finanza che ipotizza anche i reati di associazione a delinquere e corruzione). Anche Savioli vuole parlare con il pm, come del resto i titolari della Cooperativa San Martino di Chioggia, Mario e Stefano Boscolo Bacheto (difesi dagli avvocati Antonio Franchini e Loris Tosi). Mazzacurati, Savioli e i Bacheto hanno presentato ricorso al Tribunale del riesame e, a differenza dei primi per i quali è stata fissata l’udienza per venerdì 26 luglio, dovranno comparire davanti ai giudici giovedì 1 agosto. Saranno sentiti prima dell’udienza davanti al Tribunale e questo permetterà ai loro difensori di sostenere davanti ai giudici del riesame che la loro collaborazione rende inutile la misura degli arresti domiciliari. I vertici del Consorzio, presieduto ora da Mauro Fabris, intanto hanno accolto l’invito del presidente della Regione Luca Zaia, il quale aveva chiesto loro di rendere pubblici i nomi dei politici che hanno ricevuto contributi economici per le loro campagne elettorali. Stando al comunicato, prima del 2000, non avrebbero sborsato una lira e così dal 2008 in poi. La cifra totale sarebbe di 58 mila e 98 euro così suddivisa: tremila 98 euro il 14 novembre 2000 al Comitato elettorale Democratici di sinistra; 10 mila il 10 dicembre 2004 al Comitato elettorale Forza Italia; il 16 marzo 2006 20 mila euro al Comitato elettorale Altero Matteoli, allora esponente di Alleanza nazionale e poi diventato un ministro importante per il Mose, quello dei Lavori pubblici; altri 20 mila euro tredici giorni dopo per un altro esponente toscano di An, Vincenzo Minici; infine cinquemila euro l’8 febbraio 2008 al Comitato elettorale Radicali Italiani. I soldi per il sindaco di Venezia e per il consigliere regionale del Pd Giampietro Marchese non sono citati, ma una spiegazione può esserci: quel denaro proveniva dalle casse delle imprese del Consorzio e non direttamente da quest’ultimo. Intanto il sindaco Giorgio Orsoni ha voluto precisare ulteriormente la sua posizione per quanto riguarda i fondi: «Si parla di “illeciti finanziamenti”. E’ evidente che io non posso essere ritenuto responsabile della eventuale illecita provenienza delle somme a sostegno della campagna elettorale. La campagna è costata 287 mila euro, come è stato reso pubblico e già ho avuto modo di dichiarare. Tale somma è stata regolarmente contabilizzata dal mio mandatario. Egli ha rendicontato quanto donato attraverso un conto corrente appositamente acceso sul quale sono transitate tutte le donazioni ed i pagamenti fatti a sostegno della campagna elettorale per dar prova della trasparenza delle operazioni. Non ho ricevuto altre somme diverse da quelle transitate in conto». Dalle imprese legate al Consorzio avrebbe ricevuto poco meno di 30 mila euro. Il lavoro degli inquirenti prosegue, anche per stabilire il ruolo e le responsabilità di chi doveva controllare lavori e costi del Mose, i funzionari del Magistrato alle acque, «succube» del Consorzio secondo le fiamme gialle.

Giorgio Cecchetti

 

Orsoni: «Campagna denigratoria contro di me»

VENEZIA. «Se c’è qualcuno che si deve preoccupare dell’inchiesta sono gli altri e quelli che vogliono montare delle cose che non esistono». Ha risposto con queste parole il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, sul caso Consorzio Venezia Nuova. «Evidentemente c’è qualcuno che vuole fare un po’ di fumo tirando in ballo cose che non c’entrano con il Consorzio». Il sindaco ha inoltre dichiarato che non crede di aver ricevuto direttamente finanziamenti dal Consorzio «anche se di queste cose si è occupato il mio mandatario elettorale». Nel pomeriggio è giunto un comunicato dove Orsoni ribadisce che le notizie diffuse dalla stampa sono «prive di qualunque supporto» aggiungendo che «esiste una campagna denigratoria casualmente concomitante con la mia esposizione su questioni di rilievo per la città». (v.m.)

 

Zaia: chiedo trasparenza sui soldi versati ai politici

«Per la mia campagna elettorale non ho ricevuto neppure un euro dalle imprese

Ora non lancio accuse né sospetti ma i veneti hanno diritto di conoscere la verità»

VENEZIA – A mezzogiorno, parlando in piazza San Marco, Luca Zaia ha sollecitato un gesto di trasparenza al neo presidente di Venezia Nuova, Mauro Fabris: «Credo che i cittadini veneti abbiano il diritto di sapere se i loro amministratori sono puliti oppure no, io voglio continuare a camminare a testa alta, perciò chiedo al Consorzio una lista completa degli esponenti politici ai quali è stato versato denaro per le campagne elettorali e anche di quelli che non hanno ricevuto nulla, a cominciare da me». Poche ore dopo, nel tardo pomeriggio, è stato accontentato (almeno formalmente) attraverso la divulgazione dei beneficiari “trasversali” di complessivi 58 mila euro nell’arco di tredici anni: «Prendo atto della comunicazione del dottor Fabris, non ho motivo di dubitare della sua attendibilità né intendo lanciare accuse a vanvera», dichiara il governatore del Veneto «presumo che, trattandosi di stanziamenti decisi dal consiglio d’amministrazione, tutti coloro che hanno avuto soldi da Venezia Nuova lo abbiano fatto legalmente. Ho reagito allo stillicidio di indiscrezioni e verità parziali perché non accetto di amministrare la Regione in un clima generalizzato di sospetto. Io non ho mai percepito un euro dalle imprese, la mia campagna elettorale alle regionali è stato pagata per metà dalla Lega e per il resto autofinanziata dal sottoscritto». Oltre ai comitati elettorali delle forze politiche, hanno ammesso di aver ricevuto contributi dalle imprese, peraltro regolarmente dichiarati, il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, il capogruppo del Pdl alla Camera Renato Brunetta, il consigliere regionale del Pd Giampietro Marchese. Ma perché un cartello di costruttori ha avvertito l’opportunità di finanziare politici e amministratori? «Non conosco a fondo la questione e quindi non posso commentarla, sui fatti di rilevanza penale è in corso l’indagine della magistratura, per il resto anch’io leggo i giornali e ho pensato che piuttosto di far filtrare un nome al giorno sia meglio garantire la chiarezza completa su quanto è accaduto, soprattutto per rispetto ai cittadini che pagano le tasse». Resta il nodo irrisolto dei costi della politica e dei quattrini necessari a finanziarla. Dopo decenni di sprechi, ruberie e privilegi, l’ulteriore stanziamento di risorse pubbliche è considerato inaccettabile dall’opinione pubblica. Tuttavia, il ricorso al sostegno dei privati espone i partiti al rischio di pressioni e ricatti: «I fondi pubblici vanno tagliati, punto e basta, il finanziamento statale deve sparire, non deve più esistere», taglia corto Luca Zaia, «i partiti devono contare esclusivamente sul contributo di iscritti e simpatizzanti, però serve una nuova legge sui finanziamenti privati, chiara e trasparente, che entri in vigore il più presto possibile».

Filippo Tosatto

 

IL CASO – Così l’ingegnere finanziò il film diretto dal figlio Carlo

Presentato nel 2010 alla Mostra del cinema di Venezia e poi regalato dal Consorzio come strenna natalizia

VENEZIA – Tra i centomila conflitti d’interesse del Belpaese quello dell’ingegner Giovanni Mazzacurati che con i soldi del Consorzio Venezia Nuova (denaro pubblico) sponsorizza un documentario del figlio Carlo, peraltro affermato regista, è una goccia nel mare. Non si può neanche dire che urti troppo la sensibilità dei contribuenti, anche perché non se ne conosce l’entità, persa com’è nella mole delle pubblicazioni finanziate dal Consorzio in questi anni. Di sicuro sarà un’inezia se confrontata con i miliardi versati finora dai contribuenti per la grande opera. Forse è per questo che l’ufficio stampa, benché richiesto, non riesce a rintracciare la documentazione. Eppure era solo il 2010 quando il documentario di Carlo Mazzacurati veniva presentato fuori concorso alla 67° mostra del cinema, in attesa di essere regalato dal Consorzio come strenna di Natale. La ventiduesima della serie, per la precisione. L’unica in dvd, tutti gli altri sono libri. Il regista raccontava sei storie di ordinaria quotidianità – la cameriera di un albergo di lusso, un archeologo, un pensionato, un pittore dilettante, un ladro d’appartamenti e un ragazzino che vuol diventare gondoliere – rese particolari dall’atmosfera di Venezia. Magari l’insistenza sui turisti che da un episodio all’altro continuano a camminare per Venezia con i piedi in ammollo poteva sembrare un po’ sospetta: in tutto il 2010 l’acqua alta a Venezia si è vista 21 volte su 365 giorni. Ma un po’ di pubblicità subliminale per il Mose non guastava. Chi invece si è infastidito e non poco è un altro regista padovano, Michele Francesco Schiavon, il quale chiede pubblicamente «se sia lecito produrre un film con i soldi di un consorzio pubblico e distribuirlo attraverso una società che ha lo stesso numero civico dello studio del presidente del consorzio, finanziatore del progetto con denari pubblici». In effetti gli indirizzi coincidono, anche se i due Mazzacurati fanno mestieri diversi. La storia di Schiavon dimostra che a muoverlo non è la gelosia professionale ma l’esasperazione. Il suo è un caso uguale e contrario a quello di Mazzacurati junior. Da regista Schiavon ha prodotto nel 1995 un documentario sull’Orto Botanico di Padova, nel 450° anniversario della fondazione. Alla co-produzione si era detta interessata la Regione Veneto, salvo poi smentire per bocca del dirigente il funzionario che s’era sbilanciato. Niente paura, Schiavon porta a termine da solo l’operazione: ci lavora un anno, il documentario riceve apprezzamenti lusinghieri, segnalazioni, premi. Per la cronaca si intitola Hortus Botanicus Patavinus. I tentativi successivi per rientrare nell’accordo con la Regione non hanno esito. Ognuno va per la sua strada. Nel 2003 Schiavon si riaffaccia in Regione con un’altra proposta. Mentre tratta con i funzionari del dipartimento scopre che il suo Hortus Botanicus è inserito nel catalogo della mediateca regionale. Pretende i diritti, quelli non vogliono saperne. Propone alla Regione l’acquisto di un sub-master da diffondere nelle biblioteche e scuole, per 30.000 euro. Il dipartimento cultura dice 15.000, poi 10.000, poi non sa quando pagherà.La lite va a finire in tribunale, il contenzioso tra sentenze e ricorsi non è ancora finito. Ma non è finito nemmeno l’interesse del pubblico verso l’Hortus Botanicus, a dispetto di quello che pensava Angelo Tabaro, il dirigente regionale che ne ha decretato l’ostracismo. Qualche settimana fa dall’Australia hanno scritto a Schiavon chiedendogli l’invio di una copia del documentario. È l’ennesima richiesta che gli arriva, per un prodotto che ha sicuramente valore scientifico e pubblico. Morale: il regista padovano si trova a svolgere un lavoro di supplenza dell’assessorato regionale alla cultura. Gratis. Facciamo una proposta: perché quest’anno il Consorzio Venezia Nuova non regala a Natale l’Hortus Botanicus Patavinus, visto che sarà un’annata di vacche magre?

Renzo Mazzaro

 

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