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Le Fiamme Gialle nell’abitazione di un collega ufficiale: sotto la lente il suo rapporto con gli imprenditori indagati

VENEZIA – Inchiesta grandi opere e fondi neri in Veneto, perquisito un ufficiale della Guardia di Finanza legato al Reparto Aeronavale. Il pm Paola Tonini, che ha arrestato Giovanni Mazzacurati, ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, sta dando la caccia alle “talpe” che passavano informazioni, agli indagati, sugli sviluppi delle indagini. Un aspetto già emerso dall’inchiesta del pm Stefano Ancilotto che aveva portato in carcere Piergiorgio Baita, un altro “pezzo da novanta” del mondo dell’impreditoria veneta legata alle grandi opere. C’è il sospetto che questo ufficiale abbia passato qualche informazione agli indagati poi finiti agli arresti domiciliari. L’ufficiale, comunque, non è indagato. Lunedì alcuni finanzieri si sono presentati a casa dell’ufficiale e poi sono andati anche nel suo ufficio. Cercavano le prove che fosse lui una delle “talpe” e se magari avesse pure degli atti del procedimento. Magari documenti ricevuti da altri considerato che non appartiene al reparto che si sta occupando delle indagini. Lo stesso ufficiale ha consegnato spontaneamente ai colleghi, materiale informatico: pc, chiavette usb ed elenchi di numeri telefonici. Materiale su cui ora saranno svolti degli accertamenti. Non è stata una cosa semplice per i finanzieri perquisire il loro collega che ha sempre goduto della stima di superiori e sottoposti. Ma del resto quanto emerso dalle indagini non lasciavano alternative al sostituto Tonini. Infatti intercettando i telefoni di alcuni imprenditori chioggiotti, poi finiti agli arresti domiciliari, gli investigatori sentono il loro collega parlare con gli indagati. Pronuncia frasi che lasciano a dir poco perplessi i colleghi. Da quanto si è appreso avrebbe messo in guardia gli imprenditori: «Attenti a cosa dite, l’indagine sul Mose si sta allargando». È la sintesi delle frasi pronunciate dall’ufficiale. Gli investigatori vogliono capire quanto l’ufficiale conosce delle indagini, quanto realmente ha passato agli imprenditori chioggiotti e perché lo ha fatto. Sempre che la frase non sia stata detta in tono provocatorio a delle persone conosciute. Comunque il tono confidenziale mostrato tra il finanziere e gli imprenditori, non mette certo allegria agli investigatori. Il momento, per le inchieste che stanno smantellando un sistema politico-economico basato sul malaffare e durato in Veneto oltre vent’anni, è delicato. Fin dall’inizio sia il pm Ancilotto che la collega Tonini, hanno capito che la rete di copertura creata dal sistema «Mazzacurati-Baita», poteva contare su diverse “talpe” nel mondo delle forze dell’ordine e in quello giudiziario. Agli indagati sono arrivate, puntuali, parecchie informazioni su come si stavano muovendo o cosa avevano scoperto i finanzieri del Nucleo Provinciale di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Venezia. Sono stati indagati poliziotti, ex funzionari dei servizi segreti e direttori di siti giornalistici web legati ai servizi: la rete di protezione messa in piedi dal sistema era capillare e agiva sia localmente che a Roma. Per il momento ha funzionato ben poco. Ma certo non tutte le talpe sono state scoperte.

Carlo Mion

 

treviso, SI SONO AVVALSI DELLA FACOLTÀ DI NON RISPONDERE

Sutto e Pio Savioli in silenzio davanti al gip

TREVISO – Previsioni rispettate: l’ex socialista Federico Sutto ed il rappresentante delle Coop nel consiglio d’amministrazione del Consorzio Venezia Nuova Pio Savioli non hanno parlato. I due indagati eccellenti nell’inchiesta della procura di Venezia sul presunto giro di fatture false e appalti distorti nei lavori per il Mose si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, all’interrogatorio di garanzia, ieri, in tribunale a Treviso. Non perché non avessero argomenti da sostenere a proprio favore, come precisano i loro legali, ma per pura strategia difensiva. Gli avvocati Paolo De Girolami, che difende Savioli, e Gianni Morrone, legale dell’ex segretario di Gianni De Michelis, vogliono prima leggere le carte contenute nei tre faldoni a carico dei loro assistiti e poi li sottoporranno agli interrogatori della procura. Sebbene Savioli non abbia parlato, il suo legale ha comunque chiesto al gip di Treviso Cristian Vettoruzzo, che per rogatoria ha presieduto gli interrogatori di garanzia, di revocare la misura cautelare dei domiciliari. Nessuna richiesta, invece, da parte della difesa di Sutto. Starà ora al giudice di Venezia Alberto Scaramuzza a decidere sulle istanze difensive. Ma è difficile ipotizzare, per il momento, un allentamento della misura dei domiciliari. «Il mio cliente – spiega l’avvocato De Girolami – non ha parlato ma ha anche negato ogni addebito contestato. Ho chiesto al gip di rimettere Savioli in libertà, anche perché l’indagine si può ritenere conclusa rispetto ai fatti contestati. Ci riserviamo di rispondere alle accuse dopo aver letto compiutamente le carte in mano alla procura». L’avvocato Morrone ribadisce: «Abbiamo rapidamente precisato il ruolo rivestito da Sutto all’interno del Consorzio Venezia Nuova. Per il momento non abbiamo chiesto modifiche particolari alla misura cautelare».

 

IL DIRETTORE di venezia nuova HERMES REDI

«Il Consorzio è parte lesa noi rispettiamo le leggi»

VENEZIA «È vero che ci sono persone del Consorzio coinvolte in questa inchiesta. Ma hanno agito personalmente, non per il Consorzio. Mi auguro che si possa dimostrare la loro estraneità, ma in caso contrario noi ci costituiremo come parte lesa». Hermes Redi, ingegnere padovano di lungo corso, è arrivato al vertice tecnico del Consorzio Venezia Nuova nel bel mezzo della bufera. A dire il vero qualche ora prima della bufera e degli arresti che hanno decapitato il vertice del concessionario unico. Oggi nella nuova sede dell’Arsenale, a Venezia, è convocato il primo Consiglio di amministrazione della nuova era. «Dovevamo farlo la settimana scorsa, ma poi sono arrivati gli arresti..» confessa Redi. Sarà il Consiglio della svolta. Perché in pochi mesi al Consorzio è cambiato tutto. Non c’è più Piergiorgio Baita, ex presidente della Mantovani, l’azienda padovana che ha il 40 per cento delle quote del Cvn e quasi il monopolio dei lavori nel Veneto. Ma non c’è più nemmeno Giovanni Mazzacurati, inventore del Mose, direttore dal 1984, presidente dal 2005. Al suo posto il vicentino Mauro Fabris, e direttore è arrivato Redi. «Al Consiglio dirò alcune cose molto chiare», anticipa l’ingegnere, «la prima è che noi siamo qui per collaborare con la magistratura. Non è solo un dovere, ma anche nostro interesse. Poi che queste vicende non riguardano l’attività del Consorzio». Turbativa d’asta il reato contestato all’ormai ex presidente Mazzacurati. Di gare nell’attività del concessionario unico, il cui monopolio è garantito per legge, ce ne sono ben poche. Quella era una licitazione bandita dall’Autorità portuale per uno scavo di canali del 2011. Secondo l’accusa il presidente sarebbe intervenuto «consigliando» alcune imprese a non partecipare. Al Consorzio molti sono ancora increduli, conoscendo il carattere mite dell’ingegnere. «Forse», sussurrano, «voleva tutelare le imprese minori, per troppi anni schiacciare dalle grandi. E poi, che vantaggio ne avrebbe ricavato il Consorzio? «Eventuali fondi neri», scandisce Redi, «certo non sono transitati qui. Noi i soldi li giriamo alle imprese, tratteniamo solo il 12 per cento previsto dalla legge come oneri. Quello che fanno le imprese con i loro soldi non lo possiamo sapere». Poi c’è la questione dei sassi. Fatturazioni false, prezzi gonfiati, si sospetta anche quantitativi diversi da quelli dichiarati. «Ci auguriamo che la magistratura accerti al più presto», dice Redi, «certo se il direttore dei lavori fa il suo dovere mi pare difficile imbrogliare sulle quantità». Infine il futuro. «Il Consorzio Venezia Nuova ha quasi esaurito il suo compito», dice Redi, «finiremo il Mose nel 2016, per due anni controlleremo che funzioni. Poi la sua gestione sarà affidata a un soggetto terzo con gara pubblica. Ma fino ad allora continueremo ad operare. Ci teniamo alla nostra faccia. Se ci sono state storture ed errori, è giusto rimediare. Ma senza gettare via un lavoro di anni».

Alberto Vitucci

 

INTERROGAZIONE PD ai ministri delle infrastrutture e dell’ambiente

Casson al Senato: «Mai più un concessionario unico»

VENEZIA «Ristabilire la legalità e superare il sistema del concessionario unico, che produce zone grigie e come dimostrato dalle ultime inchieste un alto indice di criminalità nei soggetti interessati». Felice Casson, ex pm a Venezia e oggi senatore del Pd, va all’attacco. E chiede l’abolizione del monopolio e delle concessioni a soggetti – come il Consorzio Venezia Nuova, la società aeroportuale Save e l’Autorità portuale – che in mancanza di effettivi controlli tendono a prevaricare e a sovrapporsi all’Autorità pubblica». Un’accusa inviata sotto forma di interrogazione ai ministri delle Infrastrutture e dell’Ambiente. Casson ricorda come nel suo testo di nuova Legge Speciale, già in discussione al Senato nella passata legislazione, fossero presenti importanti modifiche dei poteri nella direzione del federalismo e della trasparenza. Poteri sulle acque e su Marghera al sindaco, abolizione dei concessionari, poteri effettivi al Magistrato alle Acque, l’ufficio lagunare del ministero. «Più che un controllore istituzionale, efficace ed efficiente», scrive Casson, «ha dimostrato di essere quasi l’ancella del Consorzio Venezia Nuova, succube nei suoi confronti». Prima di darsi alla politica, Casson aveva da pm aperto numerose inchieste ambientali, tra cui una a carico dell’ex presidente del Magistrato alle Acque Patrizio Cuccioletta e sul rapporto controllori-controllati. Nel 2009 era stato anche grazie a una sua interrogazione che la delibera firmata dal magistrato della Corte dei Conti Antonio Mezzera – insabbiata per mesi – molto critica sulla gestione dell’attività di salvaguardia era stata alla fine pubblicata, pur con pesanti interventi sul testo originario. Sulla concessione unica, Casson ricorda che si tratta di «norma antiquata», formalmente abrogata dall’articolo 6 bis della legge 206 del 1995. «Ma di fatto sopravvissuta», annota il senatore, «grazie a escamotage giuridici del governo Berlusconi, che si era inventato un compromesso pateracchio». Facendo risalire tutti i successivi atti relativi al Mose come una prosecuzione della convenzione originaria. Così l’11 maggio del 2005 un atto aggiuntivo della stessa convenzione fissava per il Mose un prezzo chiuso (3710 milioni di euro più iva), fissando il termine dei lavori per il 31 dicembre 2012. Nessuno dei due è stato poi rispettato. Il Mose costerà 5600 milioni e sarà finito, pare, nel 2016.(a.v.)

 

TERREMOTO SUL MOSE

L’EMENDAMENTO – La limitazione alla Mantovani votata da Udc, Pdl e Lega

LA COMMISSIONE SPECIALE – Veleni in Consiglio sull’inerzia dei lavori di indagine

SCARPA (MISTO)    «Il Comune ci spieghi il salvataggio del bilancio 2012»

LA PROPOSTA   «Nuovi finanziamenti alla città per la sua salvaguardia»

Beppe Caccia: «Atteggiamento dilatorio che non sorprende». Zuin (Pdl): «Atto di cortesia»

Commissione d’indagine o commissione dei veleni? Che il suo avvio rapido (nonostante i 9 mesi che i consiglieri si sono dati per arrivare alle conclusioni) non sia stato considerato una priorità è un dato di fatto, ma anche ora che si discute sul come mai essa non sia stata ancora convocata si assiste a un florilegio di dichiarazioni che mostrano quanto diviso possa essere il Consiglio comunale sull’argomento “rapporti tra Comune di Venezia, gruppo Mantovani e Consorzio Venezia Nuova”.
Beppe Caccia (In Comune) ricorda perfettamente l’emendamento proposto da Fortuna (Udc) in cui si chiedeva di togliere il riferimento al Consorzio dall’oggetto della commissione. Emendamento respinto – per la cronaca – nonostante i voti a favore di Pdl, Lega e Udc.
«Nessuna sorpresa da parte mia – osserva Caccia – per l’atteggiamento dilatorio che ha congelato l’attività della commissione anche perché avevo assistito in Consiglio a un tentativo di sorvolare sul Consorzio in quanto oggetto di approfondimenti. Risibile la giustificazione di Rizzi: anziché sollecitare letterine di suggerimenti, spetta al presidente convocare la commissione e vedrà che di idee pratiche su come procedere ce ne saranno. Da parte mia di sicuro».
Il capogruppo del Pdl, Michele Zuin, frena su questa spiegazione: «Ho visto le mail di Rizzi e gli ho chiesto di rivolgersi soprattutto agli altri gruppi. Non volevo che si pensasse che il Pdl “dettasse” l’agenda alla commissione. Vedo però che un atto di cortesia è stato interpretato come colpevole inerzia. Tra l’altro, in questo periodo consiglio e commissioni hanno un calendario fittissimo».
Renzo Scarpa (Gruppo misto) non ha voluto in Consiglio sentir parlare di questa commissione.
«Abbiamo preso le distanze – racconta – perché non credevamo alla costituzione di una commissione che per oggetto doveva servire anche per “predisporre misure per ripristinare trasparenza e legalità delle opere pubbliche”. Chi ha votato la delibera si è assunto la responsabilità di dire che tutto era illegittimo. Quanto alla mancanza di dibattito, ritengo che il Comune dovrebbe spiegare come nel 2012 il bilancio sia stato salvato da Baita e dalla Mantovani, che avevano dato anche i 5 milioni per la Coppa America».
Infine, Claudio Borghello, capogruppo del Pd è più drastico: «Non gli ho risposto perché trovo ridicolo che il presidente di una commissione venga a chiedere a me che cosa debba fare. Ha una delibera che è chiarissima: cominci a convocare le riunioni».

 

Casson e Puppato, richiesta al Governo: «Basta con le concessioni uniche»

(m.f.) La vicenda giudiziaria che ha portato nei giorni scorsi all’arresto di molte persone, tra cui l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, approda in aula a palazzo Madama. Il senatore del Pd, Felice Casson, ha infatti presentato assieme alla collega Laura Puppato un’interrogazione ai ministri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente nella quale si chiede se il Governo sia al corrente della situazione e quali iniziative intenda adottare.
Nel mirino del documento c’è infatti l’istituto della concessione unica, da sempre criticato ma mai disatteso attraverso il quale il Consorzio Venezia Nuova è stato incaricato di eseguire tutte le opere relative alla progettazione e alla costruzione del sistema di dighe mobili per salvare Venezia dalle acque alte eccezionali.
Casson denuncia che “lo strumento della concessione unica, introdotto con la legge n. 798/1984, è stato formalmente abrogato dall’art.6/bis della legge n.206/1995, ma è di fatto sopravvissuto grazie ad “escamotages” giuridici risalenti a decisioni del 1995 del governo Berlusconi, che si inventò un “compromesso-pateracchio”, facendo risultare tutti i successivi nuovi atti relativi al Mose come una prosecuzione della prima originaria concessione”.
Per questi motivi i due senatori chiedono al Governo di intervenire per superare una volta per tutto il concessionario unico e, non meno importante, di garantire a Venezia il sostegno finanziario previsto dal disegno della nuova Legge speciale che era rimasto incagliato nella crisi del governo Monti.

Il Consorzio Venezia Nuova è uno degli sponsor storici del meeting di Dro

I finanzieri venerdì nell’abitazione romana di Riccardo Capecchi, al vertice del pensatoio fondato da Enrico Letta. I contatti con Cvn

Mose, perquisito il tesoriere di veDrò

Nel mirino della Procura lagunare anche la sponsorizzazione che il Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico per costruzione delle opere di salvaguardia fra cui il Mose, ha assegnato a veDrò, l’associazione culturale fondata da Enrico Letta nel 2005, la cui attività è stata di fatto sospesa, dopo la sua nomina a premier. Cvn infatti, accanto ad aziende del calibro di Edison, Vodafone, Sky, Autostrade per l’Italia, Lottomatica, compare fra gli sponsor “storici” del tradizionale raduno estivo che veDrò ha organizzato per otto anni consecutivi nella cittadina trentina di Dro, con la partecipazione di molti esponenti di spicco della politica e dell’economia.
Ed è quasi certamente per acquisire documentazione cartacea e informatica inerente i rapporti intrattenuti con Cvn che i finanzieri delegati dal magistrato titolare dell’inchiesta, la pm Paola Tonini, venerdì scorso hanno bussato alla porta dell’abitazione romana del tesoriere nonché cofondatore di veDrò, Riccardo Capecchi, 47 anni, dal 2012 direttore generate di Poste Energia, uomo da sempre vicino a Letta. Contattata telefonicamente dal Gazzettino, l’associazione veDrò non ha rilasciato commenti sulla vicenda.
Il nome di Capecchi compare fra quelli delle persone fisiche e delle sedi di società, almeno un centinaio, perquisite dai 500 militari al comando del colonnello Renzo Nisi fra Lazio, Emilia Romagna, Lombardia, Friuli e Veneto. Perugino di nascita, Capecchi è balzato in particolare alla ribalta della cronaca quando nel 2007, a Palazzo Chigi con Prodi premier e Letta jr sottosegretario, si dimette dall’incarico presso la Presidenza del Consiglio dopo che alcuni giornali riportano una sua foto mentre si imbarca sul “volo di Stato” con cui l’allora ministro Francesco Rutelli rientra a Roma da Monza dove si era recato ad assistere al Gran Premio. Un gesto che valse a Capecchi molti apprezzamenti e anche l’appellativo di “danese” per la decisione assunta di farsi immediatamente da parte.
Turbativa d’asta è il reato contestato da gip ai vertici del Consorzio Venezia Nuova, in merito a un appalto indetto dall’Autorità portuale di Venezia, per lo scavo di canali di navigazione dell’importo complessivo di oltre 12 milioni di euro. Quattordici le ordinanze di custodia cautelare disposte: sette arresti e sette obblighi di dimora. Ai domiciliari, sono finiti fra gli altri l’ex presidente Cvn Giovanni Mazzacurati, 81 anni, dimessosi appena lo scorso 28 giugno, il suo più stretto collaboratore Federico Sutto, 60 anni, trevigiano già segretario del ministro Gianni De Michelis, e il consigliere di Cvn, Pio Savioli, 69 anni.

L’INCHIESTA – Iniziati con Pio Savioli e Federico Sutto gli interrogatori di garanzia delle sette persone finite ai domiciliari. I primi due indagati preferiscono tacere.

Entrambi hanno scelto la via del silenzio, pur respingendo le accuse. Ed entrambi si sono riservati di chiarire la propria posizione direttamente al pm Paola Tonini, una volta studiate le carte presentando richiesta di revoca o almeno di modifica della misura cautelare. Pio Savioli e Federico Sutto, attualmente agli arresti domiciliari (il primo a Carità di Villorba, il secondo a Zero Branco), hanno dato il via al valzer degli interrogatori di garanzia in merito all’inchiesta veneziana sui presunti appalti «pilotati» dal Consorzio Venezia Nuova. Scortati dai loro legali, gli avvocati Paolo De Girolami e Gianni Morrone, si sono presentati di fronte al gip di Treviso Cristian Vettoruzzo avvalendosi della facoltà di non rispondere. Sull’inchiesta, o meglio, sulle future linee difensive, soltanto commenti stringati da parte dei legali.
«Abbiamo soltanto precisato al giudice il ruolo che rivestiva Sutto nel consorzio, ovvero di assistente di Mazzacurati – ha dichiarato l’avvocato Morrone – Abbiamo inoltre presentato i documenti che attestano le dimissioni di Sutto datate 5 luglio». Il legale non ha aggiunto altro, se non il fatto di essersi riservati di parlare con il pm titolare dell’indagine in futuro. Il primo a entrare nell’aula IV del tribunale di Treviso è stato però Pio Savioli.
«Ci siamo avvalsi della facoltà di non rispondere per studiare nel dettaglio l’ordinanza di custodia cautelare – ha dichiarato l’avvocato De Girolami – Il mio cliente comunque respinge le accuse di turbativa d’asta che gli sono state mosse contro. Per gli inquirenti sarebbe stato il portavoce di Mazzacurati dando indicazioni e suggerimenti a due società nel non partecipare alle gare d’appalto per un’opera di scavo nel porto di Venezia».
Ma su Savioli, stando alle verifiche della Guardia di Finanza sui conti della Coop San Martino di Chioggia, emerge un altro particolare non di poco conto: nel biennio 2005-2006 avrebbe ricevuto dall’azienda della famiglia Boscolo Bacheto circa 600 mila euro. Denaro, derivante da fondi neri della società cartiera austriaca Istra Impex, che sarebbe documentato nella «contabilità parallela» della Coop San Martino. Su questo punto l’avvocato De Girolami è stato categorico: «Di questi soldi a noi non risulta proprio nulla». Domani intanto proseguiranno gli interrogatori: di fronte al gip Alberto Scaramuzza si presenterà il principale indagato, l’ex presidente di Cvn Giovanni Mazzacurati accusato di aver pilotato gli appalti attraverso un patto preventivo fra le imprese consorziate più grosse per favorire quelle più piccole. Assieme a Mazzacurati verranno sentiti Roberto Boscolo Anzoletti, Gianfranco Boscolo Contadin, Mario e Stefano Boscolo Bacheto.

 

Gazzettino – Inchiesta Mose. Baita, la commissione fantasma

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16

lug

2013

TERREMOTO SUL MOSE

VENEZIA – C’era chi chiedeva di allargare l’inchiesta del Comune alla vicenda Mazzacurati, ma si è scoperto che è tutto fermo

Istituita a fine aprile, è ancora in attesa di convocazione

Istituita a fine aprile dal Consiglio dopo il caso Mantovani, si è riunita solo per eleggere il presidente

IL CASO MAZZACURATI – Molina (Pd): «Si faccia luce su Mantovani e Consorzio»

IL PRESIDENTE Rizzi: «I gruppi non hanno ancora risposto ai miei inviti»

 

L’INCHIESTA – Mazzaccurati giovedì dal gip per l’interrogatorio di garanzia

È fissato per giovedì pomeriggio l’interrogatorio dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati (dimessosi per motivi di salute una ventina di giorni fa), agli arresti domiciliari a Venezia per un presunto appalto “pilotato”. Il suo difensore, l’avvocato Giovanni Battista Muscari Tomaioli sta studiando l’ordinanza di custodia cautelare per decidere se farlo rispondere alle domande del gip o attendere di poter conoscere meglio le carte in mano alla procura. Sempre giovedì, davanti al gip Alberto Scaramuzza, saranno ascoltati anche Roberto Boscolo Anzoletti (della società Lavori marittimi e dragaggi spa), Gianfranco Boscolo Contadin, detto Flavio (procuratore generale della Nuova Coedmar srl), Mario e Stefano Boscolo Bacheto (della cooperativa San Martino di Chioggia).
Questa mattina a Treviso, per rogatoria, si svolgeranno invece gli interrogatori dei trevigiani Pio Savioli e Federico Sutto, consigliere e dipendente del Consorzio Venezia Nuova, entrambi ai domiciliari nelle rispettive abitzioni di Vilorba e Zerobranco.
Nel frattempo l’avvocato Marco Vassallo ha già presentato ricorso al Tribunale del riesame per ottenere la revoca dell’obbligo di dimora imposto a Juri Barbugian (Natulis).

 

ORSONI «La cabina di regia del Mose resterà in mano al pubblico»

Il Comune vuole “indagare” ma la commissione su Baita finora non si è mai riunita

Fino a due o tre mesi fa non si parlava d’altro che di far luce sul “ruolo” che l’impresa Mantovani e il Consorzio Venezia Nuova avrebbero avuto sulla vita amministrativa del Comune. Poi, dopo la prima convocazione, la cosa è finita in un cassetto che nessuno – almeno pubblicamente – non ha più aperto. Risultato: la commissione d’inchiesta istituita dal consiglio comunale a fine aprile si è riunita solo una volta per eleggere il presidente.
Ieri, in Consiglio comunale, il consigliere del Pd Jacopo Molina, ha suonato l’adunata: «Non sarebbe ora di riunire questa commissione, specie dopo le notizie degli ultimi giorni? Se non c’è tempo sono disponibile a venire a che sabato o la domenica, ma riuniamoci».
Questa uscita non è stata per nulla gradita al presidente della commissione, Luca Rizzi (Pdl), che ha risposto per le rime, rispedendo le accuse al mittente e al suo partito.
«Attendo da oltre un mese la risposta dai capigruppo – risponde Rizzi – ad una lettera che avevo inviato a tutti pregandoli di farmi avere una lista degli argomenti sui quali avrebbero voluto discutere, in modo da organizzare una scaletta degli argomenti ed evitare riunioni che peraltro costano. L’unico che mi ha risposto è Gianluigi Placella (Movimento 5 Stelle), gli altri hanno ignorato la mia richiesta. Che Molina si consulti con il suo capogruppo o mi faccia una telefonata prima di fare certe dichiarazioni».
Rizzi ha comunque intenzione di procedere alla convocazione di sua iniziativa: «Mercoledì 24 – conclude – si discuterà dei recenti sviluppo giudiziari».
In aula, un attacco frontale all’amministrazione e alla maggioranza è arrivato poi da Renato Boraso e Stefano Zecchi (lista Impegno).
«Ci chiediamo – hanno dichiarato dopo aver letto i commenti sulla stampa dei giorni scorsi – ma con che coraggio chi è stato al vertice della politica cittadina o lo è attualmente oppure lo è stato in Procura, si è lanciato in commenti quasi d’incredulità, con sorprendente analisi, di forte critica sul mondo politico! Qualcuno – hanno aggiunto – ha detto che è mancato il controllo politico, ma ci chiediamo come loro signori, sindaci, consiglieri, ex magistrati ma dove sono stati in questi ultimi 20 anni? Con questi imprenditori o presidenti qualcuno andava a cena, qualcuno si incontrava sistematicamente, qualcuno ne decantava i pregi e l’alta professionalità».
Infine, il sindaco Giorgio Orsoni puntualizza la questione della gestione del sistema Mose dopo che questo sarà stato ultimato e collaudato.
Qualche giorno fa, il nuovo presidente del Consorzio, Mauro Fabris, aveva escluso una gestione diretta da parte del Consorzio a partire dal 2016, dopo il completamento e il periodo di gestione transitoria.
«Non mi pare che il presidente Fabris abbia detto niente di eversivo – esordisce scherzando il sindaco Giorgio Orsoni – le sue dichiarazioni sono opportune perché hanno tolto di mezzo equivoci dettato dal fatto che qualcuno forse si era fatto delle aspettative non conformi alla legge».
Orsoni, infatti, spiega che è proprio la legge a prevedere che la gestione del Mose sia affidata ad un soggetto pubblico o riferibile ad enti pubblici.
«Questo soggetto – prosegue – potrà essere un ente esistente o più probabilmente un soggetto terzo a partecipazione pubblica. Mi auguro che questo non coinvolga solamente il Comune, che ci dovrà per forza essere, ma anche il Magistrato alle Acque che è l’organo che ha giurisdizione sulla laguna dal punto di vista idraulico e anche dell’Autorità portuale, dal momento che le navi dovranno poter entrare e uscire a prescindere dal Mose».
A valle di questo soggetto pubblico potrebbe anche esserci un soggetto privato.
«Non è rilevante – puntualizza il sindaco – che a premere i “bottoni” del Mose sia un soggetto pubblico o privato. Potrebbe essere anche un privato, ma la legge prevede che ci sia una gara europea. In ogni caso, la cabina di regia in mano pubblica è indispensabile».

Michele Fullin  (Ha collaborato Raffaele Rosa)

 

L’INCHIESTA – Li versava la Coop S.Martino di Chioggia a Pio Savioli

Mose, al consigliere “paghetta” da 25mila euro al mese in nero

L’inchiesta sui lavori per il Mose continua a riservare sorprese. Ora emerge che Pio Savioli, consigliere del Consorzio Venezia Nuova, avrebbe ricevuto in media 25mila euro al mese per circa due anni, per un totale di 600mila euro, dalla Coop San Martino di Chioggia. Le dazioni sono documentate dalla contabilità “parallela” scoperta dalla Finanza. Oggi, intanto, via agli interrogatori di garanzia. Dal gip Savioli e Sutto.

 

«Salvare i 90 posti alla coop S. Martino»

«La preoccupazione principale in questo momento è di salvaguardare 90 posti di lavoro e un’attività produttiva fondamentale per la città di Chioggia». Lo dice il professor Loris Tosi, difensore di Mario e Stefano Boscolo Bacheto, amministratori di fatto della Cooperativa San Martino, l’azienda da cui è partita l’inchiesta che ha portato all’ìarresto di sette persone. «Lo sforzo – aggoiunge è quello di conciliare le esigenze defensionali con questo obiettivo che trascende l’interesse dei singoli».

 

L’inchiesta sui lavori del Mose. Ogni mese per due anni una media di 25mila euro a Pio Savioli, pagava la San Martino di Chioggia

VENEZIA – Convocati dal gip per le audizioni di garanzia. Si inizia con Savioli e Sutto

I primi indagati oggi dal giudice

Al via oggi i primi interrogatori degli indagati finiti agli arresti domiciliari per l’appalto “pilotato”. I trevigiani Pio Savioli e Federico Sutto, del Consorzio Venezia Nuova, sono stati convocati dal gip di Treviso, Umberto Donà, per ascoltarli su delega del collega veneziano Alberto Scaramuzza. Per gli altri l’appuntamento è fissato, invece, per il pomeriggio di giovedì alla Cittadella della giustizia di Venezia. Il principale indagato è l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati (dimessosi per motivi di salute una ventina di giorni fa). Il suo difensore, l’avvocato Giovanni Battista Muscari Tomaioli sta studiando l’ordinanza di custodia cautelare per decidere se farlo rispondere alle domande del gip o attendere di poter conoscere meglio le carte in mano alla procura. Davanti al giudice saranno interrogati anche Roberto Boscolo Anzoletti (della società Lavori marittimi e dragaggi spa), Gianfranco Boscolo Contadin, detto Flavio (procuratore generale della Nuova Coedmar srl), Mario e Stefano Boscolo Bacheto (della cooperativa San Martino di Chioggia). L’avvocato Marco Vassallo ha già presentato ricorso al Tribunale del riesame per ottenere la revoca dell’obbligo di dimora imposto a Juri Barbugian (Natulis).

 

LE PAROLE DEL PM – I motivi delle dazioni «sono in corso di compiuto accertamento»

PAGAMENTI SOSPETTI – A favore del consigliere Tomarelli una elargizione di 40 mila euro

Dalla coop 600mila euro all’uomo del Consorzio

Circa seicentomila euro nel biennio 2005/2006. Una media mensile di 25mila euro, con tranche che hanno toccato anche punte da 60mila. Secondo i riscontri eseguiti dalla Guardia di Finanza di Venezia sarebbero i soldi intascati da Pio Savioli, uno dei consiglieri del Consorzio Venezia Nuova, da venerdì scorso ristretto nella sua casa a Carità di Villorba nel trevigiano. La “causale” di tali elargizioni come sottolinea il gip Alberto Scaramuzza nell’ordinanza con cui ha disposto i domiciliari anche per Giovanni Mazzacurati, fino allo scorso 28 giugno presidente del Cvn, sono «in corso di compiuto accertamento» riportando le parole utilizzate dal sostituto procuratore Paola Tonini, titolare dell’inchiesta che come uno tsunami si è abbattuta sulla laguna e in particolare su quel Mose che dovrebbe difendere la città dall’acqua alta.
A “pagare” Savioli è la Cooperativa San Martino di Chioggia: è proprio la verifica fiscale nell’azienda della famiglia Boscolo Bacheto – ai domiciliari anche i suoi due amministratori Mario e Stefano – a condurre all’appalto da oltre 12 milioni di euro indetto dall’Autorità portuale che gli inquirenti sono convinti essere stato pilotato dai vertici di Cvn con un patto preventivo fra le imprese consorziate più grosse per favorire, su imposizione di Mazzacurati, le “piccole”. Le ripetute dazioni a Savioli, che è anche consulente di Coveco (di cui è stato anche presidente e che del Cvn detiene una quota diretta del 2,6332) sono documentate dalla “contabilità parallela” scoperta dai finanzieri in diversi file archiviati dalla segretaria della Coop San Martino, uno dei quali chiamato “Savioli” dove sono riportate le singole uscite con data e importo: euro 25.000 in data 7/12/2005 con scritto accanto “in parte per lunedì Mario consegna a Savioli”. Le uscite complessive come detto ammonterebbero addirittura a 600mila euro. Contanti che lo stesso Savioli, stando ai riscontri investigativi, andava a ritirare di persona nella sede della San Martino a Marghera. Fondi neri che alla San Martino arrivavano tramite le società cartiere – l’austriaca Istra Impex, amministrata di fatto dai due Boscolo Bacheto, e la Carina di Mestre – create allo scopo di emettere false fatturazioni attraverso cui il prezzo pagato dalla San Martino a una ditta croata per i “sassi” e le palancole utilizzate per la costruzione della bocca diporto a Chioggia, nell’ambito del Mose, lievitavano anche del 30%. La cresta complessiva si aggirerebbe sui sei milioni mezzo di euro. Dove sono finiti? Almeno 40mila sarebbero stati versati, come riportato dal Gip, a Stefano Tomarelli, che siede tutt’ora nel consiglio direttivo di Cvn in rappresentanza di ItalVenezia.
In merito alla posizione di Savioli, il gip nell’accogliere la richiesta di custodia cautelare, profila un collegamento tra le elargizioni di denaro e le sue condotte tese ad alterare le gare d’appalto nell’ambito del ruolo ricoperto in Cvn (incaricato di pubblico servizio) e quindi tale da far ritenere la condotta accertata legata alla turbativa d’asta contestatagli, sintomo di una più grave condotta finalizzata ad alterare in modo sistematico gare pubbliche per tornaconto personale.

Monica Andolfatto

 

VENEZIA – Non si è mai riunita la commissione d’inchiesta del Comune sugli appalti

C’era una volta una Commissione d’inchiesta sugli appalti. Era stata istituita in tutta fretta all’indomani dell’arresto di Piergiorgio Baita, il patron della Mantovani, una delle aziende capofila del Consorzio Venezia Nuova.
E adesso che il presidente del Consorzio, Mazzacurati, è stato arrestato, qualcuno si è ricordato di quella Commissione istituita dal Consiglio comunale di Venezia, ma solo per scoprire che si è riunita una sola volta da aprile e solo per eleggere il presidente. Ieri, in Consiglio comunale, il consigliere del Pd, Jacopo Molina, ha suonato l’adunata: «Non sarebbe ora di riunire questa commissione, specie dopo le notizie degli ultimi giorni? Se non c’è tempo sono disponibile a venire anche di sabato e domenica».
Una uscita che non è stata per nulla gradita al presidente della commissione, Luca Rizzi (Pdl): «Attendo da oltre un mese la risposta dai capigruppo ad una lettera che avevo inviato a tutti pregandoli di farmi avere una lista degli argomenti sui quali avrebbero voluto discutere, in modo da organizzare una scaletta degli argomenti ed evitare riunioni che peraltro costano. L’unico che mi ha risposto è Gianluigi Placella (Movimento 5 Stelle), gli altri hanno ignorato la mia richiesta.»
Rizzi ha comunque intenzione di procedere alla convocazione di sua iniziativa: «Mercoledì 24 – conclude – si discuterà dei recenti sviluppi giudiziari».

Michele Fullin

 

Il magistrato della Corte dei Conti Antonio Mezzera è l’autore di un dossier che ben prima degli arresti aveva individuato le storture della concessione unica del Consorzio Venezia Nuova: «Tutto ignorato»

VENEZIA «È contrario alla legge che i collaudatori dei lavori vengano pagati dalle imprese appaltatrici». Una delle tante note piuttosto esplicite contenute alla fine della relazione della Corte dei Conti di quattro anni fa. Note «pesanti», che concludevano una delibera molto dettagliata sullo «Stato di avanzamento dei lavori per la Salvaguardia di Venezia» firmata da Antonio Mezzera, magistrato della sezione centrale di controllo della Corte. Note finite però in modo inusuale, come ricorda lo stesso magistrato, «alla fine della relazione». E non a piè di pagina, come da prassi. Un dossier che aveva fatto discutere, tenuto nel cassetto per mesi dal presidente di allora, Tullio Lazzaro. Poi pubblicato – ma non pubblicizzato – dopo molte correzioni, limature, modifiche. Dei costi del Mose, della mancata concorrenza e delle «stranezze» sui collaudi oltre che delle distorsioni della concessione unica e della mancanza di concorrenza si parla in questi giorni dopo la bufera che ha travolto i vertici del Consorzio Venezia Nuova. In carcere Piergiorgio Baita, presidente della Mantovani, maggiore impresa del consorzio, con l’accusa di fatture false e fondi neri. Agli arresti Giovanni Mazzacurati, «padre del Mose», direttore e presidente del pool di imprese. Sospetti, accuse, richieste di indagini. Eppure nel febbraio 2009 il magistrato Mezzera molte di quelle cose – reati esclusi, naturalmente – le aveva già messe nero su bianco. Nella sua delibera di 102 pagine venivano formulate 47 richieste al concessionario unico della salvaguardia e al Magistrato alle Acque, ufficio lagunare del ministero delle Infrastrutture che avrebbe dovuto controllare e verificare le procedure del Mose e il sistema della salvaguardia.

Tra le lacune principali segnalate dal magistrato, ad esempio, l’aumento vertiginoso dei costi dell’opera – da un miliardo e mezzo del progetto di massima ai 4 miliardi e 200 milioni di allora, ai 5 miliardi e 600 di oggi. Ma anche la sottovalutazione dei costi di gestione, la non segnalazione degli oneri per le parcelle dei collaudatori», la presenza di «un membro non laureato» e di molti pensionati tra i collaudatori. E poi la «distorsione del mercato» e la mancanza di studi seri sulle alternative.

Una sorta di enciclopedia su tutti i «buchi neri» della salvaguardia e del Consorzio. La delibera viene pubblicata dopo molti mesi, nel febbraio del 2009. «Ormai è storia, ora posso dirlo», sorride Mezzera, uomo riservato ma molto determinato, autore tra l’altro del rapporto sul traffico dei rifiuti in Campania. E ricorda quei lunghi mesi in cui il suo lavoro, finito e condiviso con il presidente Clemente, non veniva pubblicato. «Il presidente centrale Lazzaro mi aveva chiesto di cambiare alcuni aggettivi. Avevo accettato, convinto che a parlare sarebbero stati i fatti. Poi aveva suggerito alcune modifiche come spostare le note a fine libro». Finalmente, nel febbraio del 2009 la delibera viene pubblicata. Nessuna conferenza stampa, nessun annuncio alle agenzie. Ne scrive soltanto qualche giornale, la stampa nazionale ignora. «Anche la ricerca sul sito era difficile», ricorda il magistrato. Ad ogni buon conto, il dossier viene inviato anche alle procure lagunari per eventuali approfondimenti e verifica del «danno erariale». Che fine ha fatto quel libro con tutte le critiche alla gestione della salvaguardia e della concessione unica? «È a disposizione», dice Mezzera. Che ricorda con un certo imbarazzo le obiezioni che a lui aveva fatto il governo, tramite il ministro delle Infrastrutture Altiero Matteoli e del presidente del Magistrato alle Acque Patrizio Cuccioletta, e le mancate risposte. «Un anno e mezzo dopo avevano sollevato una questione di incompetenza», ricorda, «volevano che tutto fosse esaminato dalla sezione regionale. Ma era abbastanza ridicolo, visto che i fondi per l’opera li mette lo Stato».

Alberto Vitucci

 

La Corte dei conti apre un fascicolo sul danno erariale

Un colloquio di buon mattino con il colonlello della Finanza Renzo Nisi, che coordina le indagini sul Consorzio Venezia Nuova. E poi la decisione: in attesa di esaminare carte e documenti, l’apertura di un fascicolo sulla base delle notizie già uscite per verificare l’esistenza di un eventuale «danno erariale». Il procuratore della Corte dei Conti Carmine Scarano è da ieri coinvolto nell’inchiesta che mira a far luce su appalti, fatture ed eventuali «fondi neri» gestiti da uomini del Consorzio Venezia Nuova. Sull’aspetto contabile, che potrebbe portare all’apertura di una indagine parallela per quantificare l’esistenza del danno all’Erario. Concessionari dello Stato e anche imprese che lavorano per questo sono infatti parificate a soggetti pubblici. Dunque la Corte deve indagare.(a.v.)

 

Oggi il gip interroga Sutto e Pio Savioli

A Treviso i primi due arrestati vengono sentiti per rogatoria giovedì tocca a Giovanni Mazzacurati e ad altri dieci indagati

VENEZIA – I primi due interrogatori dovranno sostenerli, oggi, il braccio destro di Giovanni Mazzacurati per quanto riguarda la rappresentanza, l’ex socialista Federico Sutto, e il rappresentante delle Coop all’interno del consiglio d’amministrazione del Consorzio Venezia Nuova, Pio Savioli. Il primo è difeso dall’avvocato padovano Gianni Morrone, il secondo dal trevigiano Paolo De Girolami: saranno sentiti – per rogatoria, dal giudice delle indagini preliminari di Treviso, visto che abitano uno a Zero Branco, l’altro a Villorba ed è proprio per questo che il magistrato veneziano che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare ha delegato il collega del capoluogo della Marca. Gli interrogatori dei veneziani e dei chioggiotti, invece, il giudice Alberto Scaramuzza li ha fissati per giovedì 18 luglio: ne sentirà undici in un unico giorno, a cominciare da Mazzacurati, dalla mattina alla sera, presumibilmente nella speranza che almeno la maggior parte di loro si avvarrà della facoltà che concede loro il codice penale, quella di non rispondere. L’unica donna, infine, Valentina Boscolo Zemello, essendo di Rosolina, sarà interrogata dal giudice di Rovigo quando rientrerà dal viaggio di nozze. È probabile che anche Sutto e Savioli rimarranno in silenzio, oggi, davanti al magistrato di Treviso: innanzitutto perché il giudice che li interroga non è quello che ha emesso la misura e che, di conseguenza, non può decidere se scarcerarli o meno (sono agli arresti domiciliari), in secondo luogo perchè i loro difensori devono ancora prendere in carico e leggere la documentazione messa a disposizione dal pubblico ministero Paola Tonini, che ha coordinato le indagini della Guardia di finanza. Sutto e Savioli, per quanto riguarda il reato di turbativa d’asta dell’appalto dell’Autorità portuale di Venezia per lo scavo dei canali, avrebbero avuto un ruolo fondamentale. Nelle 59 pagine dell’ordinanza cautelare sono riportate soprattutto le loro telefonate e i loro colloqui: il primo sarebbe stato colui che avrebbe riportate ordini e direttive del «grande capo», cioè Mazzacurati, in modo da far vincere l’associazione d’imprese che con il presidente del Consorzio si erano lamentate per non aver lavorato a sufficienza per il Mose. Savioli è, invece, colui che avrebbe «consigliato» ad alcune cooperative di non presentare offerte per l’appalto del Porto, ricevendo in cambio altri lavori per il Mose.

Giorgio Cecchetti

 

Prestanome per le fatture sui sassi croati

Commercialista indagato, aiutò la coop San Martino a costruire una “cartiera”: sequestrati 140 mila euro in pezzi da 500

VENEZIA – Ci vorrà almeno un mese di lavoro certosino per controllare documenti, telefoni, pc e tablet sequestrati nel corso delle 140 perquisizioni ordinate in tutta Italia dal pm Paola Tonini per fare luce sui fondi neri creati in seno al Consorzio Venezia Nuova. È leggendo in questi documenti che i finanzieri veneziani del colonnello Renzo Nisi dovranno capire quale strada hanno preso i soldi accumulati gonfiando le fatture, come è stato accertato per l’acquisto dei sassi in Croazia, o proponendo ribassi d’asta irrisori con la certezza di non avere concorrenti, o meglio: di averli nella stessa squadra, disposti a farsi da parte con la certezza di ottenere commesse su altri fronti, obbedendo, come è emerso dalle intercettazioni, alla volontà dei presidente del Consorzio, Giovanni Mazzacurati, ora agli arresti domiciliari. Tra i faldoni di materiale sequestrato, i finanzieri dovranno guardare con attenzione, tra le altre cose, ai documenti recuperati dello studio del commercialista Alessandro Pasut, di Udine, uno dei cento indagati, esperto in fiscalità internazionale. Nel corso delle perquisizioni gli sono stati sequestrati, nel caveau di una banca della città, anche 140 mila euro in pezzi da 500 di cui bisognerà accertare l’origine. Pasut avrebbe avuto un ruolo chiave nell’aiutare la società cooperativa San Martino di Chioggia alla costituzione di una società cartiera, attraverso l’utilizzo di prestanome, individuati in Austria. Una scelta non casuale, visto che oltralpe è garantita una maggiore segretezza bancaria. Per chi conosce i meccanismi della fiscalità internazionale si tratta di un passaggio non troppo complicato, soprattutto se si hanno in contatti con le persone giuste disposte a fare da prestanome, reclutate per alcune centinaia di euro e con la promessa, spesso disattesa, di un compenso mensile. L’apertura di una casella di posta, l’invio e l’arrivo di un po’ di carte sono gli altri passaggi necessari per dare a una società cartiera una parvenza di realtà. Un meccanismo già scoperto dai finanzieri nell’indagine coordinata dal pubblico ministero Sefano Ancillotto sulla Mantovani e su Baita, che utilizzava società San Marino per fare evasione fiscale e creare fondi neri. Secondo quanto emerso dall’indagine sul Consorzio Venezia Nuova, la società cartiera austriaca avrebbe permesso alla società di Chioggia di gonfiare le fatture dei sassi importati dalla Croazia e necessari per realizzare i fondali del Mose, per un valore di circa il 30%, mettendo da parte in cinque anni, fino al 2009, qualcosa come sette milioni di euro: capire in quali mani siano finiti quei soldi sarà il passaggio ultimo dell’inchiesta.

Francesco Furlan

 

Appalti e fondi neri per il Mose, filmati gli incontri al ristorante dei vip

Bufera sul Mose, nuovi particolari nell’inchiesta su appalti e fondi neri. L’ex presidente della Mantovani, Piergiorgio Baita, ha detto ai magistrati: «Decideva tutto Mazzacurati». In settimana gli interrogatori.

Appalti e fondi neri Baita: «Decideva tutto Mazzacurati»

A metà settimana gli interrogatori di tutti i sette arrestati Valentina Boscolo ascoltata al rientro del viaggio di nozze

VENEZIA – Piergiorgio Baita, l’ex presidente della Mantovani che ancora si trova agli arresti domiciliari, ha già dato la sua versione dei fatti che riguardano l’appalto dell’Autorità portuale per lo scavo dei canali. In uno dei tre interrogatori sostenuti con il pubblico ministero Stefano Ancilotto, grazie ai quali il rappresentante della Procura ha dato il suo assenso al patteggiamento di una pena di un anno e 10 mesi, l’ingegnere ha fornito ulteriori informazioni sul modo in cui il presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati gestiva gli appalti sia quelli per il Mose, protetto dalla legge del 1984 sul concessionario unico, sia quelli di altri enti pubblici che riguardavano lavori in laguna. Ed è proprio grazie alla sua collaborazione che Baita ha evitato una seconda ordinanza di custodia cautelare che il pubblico ministero Paola Tonini aveva chiesto. Nonostante l’importante impresa che rappresentava, Baita doveva seguire le direttive di Mazzacurati e nell’ordinanza il giudice scrive il presidente del Consorzio «è in grado di determinare le scelte dei consorziati a tal punto da ottenere immediatamente che il Baita, ossia la Mantovani, decidano di astenersi dal partecipare alla gara del Porto». C’è chi tenta di svicolare. «Si va in galera», registra una microspia durante la conversazione tra il presidente del Consorzio Veneto cooperativo Franco Morbioli e l’ingegnere Pio Savioli, anche lui agli arresti domiciliari. «Ah io parlo con Mazzacurati e faccio casino bestiale» risponde il secondo e Morbioli insiste. «Qua si va in galera». E ancora Savioli: «Federico (Sutto) è un cretino». E in un’altra conversazione tra i due il presidente del Co.Ve.Co. difende la sua scelta iniziale di aver presentato un’offerta durante la gara contro la direttiva di Mazzacurati, anche se poi a causa delle forti pressioni la ritirerà: «Questo l’ho capito, però secondo me non abbiamo fatto male, posso anche sbagliarmi, perché sempre essere a 90 gradi…». E sempre lui, intercettato da una microspia, spiega ad una sua stretta collaboratrice che «Mazzacurati ha dato l’ordine che dovevano partecipare solo alcune piccole aziende per accontentarle». A metà settimana, probabilmente concentrati in un unico giorno, ci saranno gli interrogatori da parte del giudice Alberto Scaramuzza. Ma Savioli e Sutto saranno sentiti per rogatoria dal giudice di Treviso, visto che risiedono in quella provincia, a Villorba e Zerobranco,e così sarà per Valentina Boscolo Zemello, che quando rientrerà dal viaggio di nozze, sarà interrogata dal giudice di Rovigo.

Giorgio Cecchetti

 

Gli incontri al tavolo del Monaco

Mesi di intercettazioni ambientali per scoprire il percorso del denaro

VENEZIA – Nel Veneto del malaffare e grandi opere, tra gli arrestati, la figura che dalle indagini emerge come quella che impone le sue idee è sicuramente l’ingegnere Giovanni Mazzacurati. Emerge evidente, già prima dell’arresto di venerdì scorso, dall’inchiesta del sostistuto procuratore Stefano Ancillotto. L’inchiesta che ha portato in carcere Piergiorgio Baita, l’altro “pezzo da Novanta” del sistema grandi opere e fondi neri in Veneto. Dalle intercettazioni fatte a Baita, quando l’ex presidente della Mantovani chiama l’ingegnere Mazzacurati, risulta un rapporto di quasi sudditanza tra i due. È evidente che tutto ruota intorno a Mazzacurati sia per quanto concerne l’attività regolare delle imprese e del consorzio sia per quel che riguarda le fatture false e i fondi neri. L’ultima parola ce l’ha sempre Mazzacurati. Se così accadeva con Baita figuriamoci con le altre piccole imprese. Quando qualcuno ha cercato di partecipare senza stare alla regola delle fatture false è stato spazzato via. E forse ora vorrà togliersi qualche sasso dalle scarpe. Le porte della Procura e della Guardia di Finanza, fanno sapere gli inquirenti, sono sempre aperte. Se le indagini fin qui svolte dai sostituti Paola Tonini e Stefano Ancillotto, hanno portato a Mazzacurati e a Baita, il proseguo dovrà consentire di scoprire dove sono finiti e a chi i soldi dei fondi neri costituiti con le fatture false dalle varie imprese. Persone e partiti, ha spiegato e fatto nomi Piergiorgio Baita. Quindi corruzione e finanziamento illecito dei partiti i reati. Denaro finito a ai partiti di destra come a quelli si sinistra. Parola di Baita. In Veneto l’equilibrio era stato trovato e durava da oltre 20 anni, passano indenne a vari cambi di potere politico. Da individuare inoltre chi decideva con Mazzacurati e Baita come doveva avvenire la spartizione e chi doveva essere pagato. Già molto è stato svelato da Baita nei suoi interrogatori. Altro continua ad essere messo assieme, giorno dopo giorno, dagli inquirenti delle Fiamme Gialle. per i più i riscontri sulla “cupola” ottenuti con l’inchiesta Baita, ora possono essere incrociati con quelli raccolti nell’indagine del sostituto Tonini. Ad iniziare dai filmati e dalle foto fatti dai finanzieri quando pedinavano Mazzacurati e alcune persone a lui vicine. Soprattutto quando si recavano agli incontri organizzati nel ristorante dell’hotel Monaco, dove l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, aveva sempre un tavolo prenotato. Quasi sempre incontri all’ora di pranzo. Al tavolo Mazzacurati portava politici locali ma anche nazionali, imprenditori e operatori della finanza. Diversi di questi non li ha mai ricevuti nella sede del Consorzio Venezia Nuova. Ci sarà un motivo.

Carlo Mion

 

INTERROGAZIONE pd

«Concessione Un sistema da superare»

MESTRE – Entro stasera il senatore del Partito Democratico Felice Casson depositerà in Senato la sua interrogazione urgente per sollecitare chiarezza sugli ultimi eclatanti risultati dell’indagine della magistratura che ha investito il consorzio Venezia Nuova, con l’arresto dell’ex presidente Giovanni Mazzacurati per l’inchiesta su fatture false e fondi neri che aveva già messo nei guai Piergiorgio Baita, ex presidente e amministratore delegato della Mantovani. «Una interrogazione urgente che mira a fare luce su tanti cantieri e interventi decisivi sulla laguna di Venezia e evidenziare la scarsa trasparenza del ruolo di concessionario unico del consorzio Venezia Nuova», dice l’ex magistrato. Casson ribadisce la necessità di approvare in fretta il testo della nuova legge speciale per Venezia. «Nella nostra proposta di legge si andava a superare proprio il concetto di concessione unica, che è un fatto tutto italiano e che non ha eguali in Europa». Non esclude al momento la possibilità di una interrogazione urgente alla Camera dei Deputati, neanche l’altro parlamentare veneziano del Pd Andrea Martella. «Ma è bene attendere gli esiti del lavoro della magistratura. Certo se sarà necessario presenterò anche io una interrogazione alla Camera», spiega il vice capogruppo del partito alla Camera, ma, aggiunge, «credo sia necessario anzitutto riprendere il percorso, che si è interrotto, della approvazione della nuova legge speciale per Venezia, superando il concetto del concessionario unico». Secondo Martella, è, infatti, «quanto mai evidente che nella fase di gestione e manutenzione del sistema Mose questi interventi non dovranno essere lasciati al consorzio». Il collega Casson ribadisce, oltre alla questione della scarsa trasparenza del ruolo e del potere assunto in questi anni dal consorzio, ora al centro della bufera giudiziaria, «la necessità di non lasciare oltre il Magistrato alle acque senza fondi e possibilità di controllo». (m.ch.)

Un faro sui soldi finiti al fedelissimo di Mazzacurati. Dalla verifica fiscale alla Coop S. Martino di Chioggia è emersa una contabilità in nero: i magistrati sospettano una rilevante elargizione di denaro a Pio Savioli

Le accuse a Mazzacurati e ai suoi uomini: dalla collusione alle minacce alla frode. Il gip Alberto Scaramuzza, nell’ordinanza con cui dispone i 14 provvedimenti restrittivi nell’ambito dell’inchiesta che ha travolto il Consorzio venezia Nuova, è durissimo nel delineare ruoli e responsabilità. Dalla verifica fiscale alla Coop S. Martino di Chioggia è emersa una contabilità in nero: i magistrati sospettano una rilevante elargizione di denaro a Pio Savioli tale da profilare un collegamento con le sue condotte tese ad alterare le gare d’appalto.

TERREMOTO SUL MOSE

COLLUSIONE – Stretto collegamento tra le grandi imprese per far vincere le “piccole”

LA FRODE – Per il Gip i ribassi erano talmente irrisori «da apparire ridicoli»

MINACCE – Morbiolo sarebbe stato “intimidito” per aver disobbedito all’ordine di Mazzacurati

LE CONTESTAZIONI – Le accuse a Mazzacurati e ai suoi uomini: dalla collusione alle minacce alla frode

Dopo le verifiche fiscali alla Coop San Martino di Chioggia sarebbe emersa una rilevante elargizione al consigliere del Cvn

Condotte collusive, minatorie e fraudolente con l’unico scopo di pilotare l’appalto in tre stralci da 12 milioni di euro indetto dall’Autorità portuale di Venezia nel 2011. Di qui la contestazione del reato di turbativa d’asta.
Il gip Alberto Scaramuzza, nell’ordinanza con sui dispone i 14 provvedimenti restrittivi (sette arresti ai domiciliari e 7 obblighi di dimora) nell’ambito dell’inchiesta che travolto il Consorzio venezia Nuova, è durissimo nel delineare ruoli e responsabilità.
La collusione è comprovata anche e soprattutto dallo stretto collegamento esistente fra le “grandi” imprese coinvolte nella vicenda e alle quali l’allora presidente Giovanni Mazzacurati chiede di astenersi dal partecipare alla gara per far vincere un pool costituto da piccole aziende.
Tutte sono infatti consorziate al Cvn: la Mantovani con una quota diretta dello 0,9489, il Coveco (Consorzio veneto cooperativo) con una quota diretta del 2,6332 mentre la Coedmar, la Coop San Martino e la Rossi Costruzioni (a quest’ultima era stato chiesto di presentare un’offerta con ribasso irrisorio come “specchietto per le allodole”), partecipano in forma indiretta in quanto azionisti a vario titolo del Consorzio costruttori veneti San Marco che detiene una quota diretta di Cvn pari al 13,1661.
Le minacce sono invece ravvisate nel comportamento di Pio Savioli, consigliere Cvn, che in merito al 2. stralcio, intimidisce Franco Morbiolo, presidente del Coveco che ha “osato” partecipare alla gara in questione, disobbedendo all’ordine di astenersi che sarebbe stato impartito dallo stesso Mazzacurati. E che in soldoni gli fa capire che se non si ritira non avrebbe più ottenuto alcun appalto.
La frode vien quindi ravvisata nel pianificare la presentazione di domande di partecipazione al bando da parte di altri soggetti economici, solo dopo avere concordato ribassi talmente irrisori – “da apparire ridicoli” scrive il gip – all’unico fine di favorire l’Ati composta dalle otto aziende minori che si erano lamentate con Mazzacurati e che hanno come capofila la Lmd.
Senza dimenticare la ricompensa alle “imprese rinuncianti”, ovvero quelle grandi, cui vengono promessi sostanziosi subappalti in cambio della fedeltà al “capo supremo”.
Pesante l’affondo del gip in particolare su Savioli. Dalla verifica fiscale alla Coop San Martino sarebbe emersa una contabilità in nero comprovante una rilevante elargizione di denaro nei confronti di Savioli, tale da profilare un collegamento con le sue condotte tese ad alterare le gare d’appalto. Circostanza tale da far ritenere la condotta accertata inerente alla turbativa d’asta contestatagli, un sintomo di una più grave condotta finalizzata ad alterare in modo sistematico gare pubbliche per tornaconto personale.

 

L’ASSOCIAZIONE COSTRUTTORI – L’Ance: «Il Consorzio è stato un riferimento per le imprese venete»

Una dichiarazione improntata alla “massima attenzione e cautela”, quella del presidente di Ance Venezia, Ugo Cavallin, sull’inchiesta coinvolgente il Consorzio Venezia Nuova e alcune imprese edili per presunta turbativa d’asta. «Quanto appreso fino ad oggi dagli organi di stampa non consente di esprimere giudizi che entrino nel merito dei capi d’imputazione – ha commentato ieri in una sua nota il rappresentante dei costruttori edili – L’Associazione confida in una rapida conclusione delle indagini per poter trarre conclusioni più approfondite. Il Consorzio Venezia Nuova è stato un riferimento per tutte le imprese veneziane, in alcuni casi diretto e in altri indiretto. A due anni dalla conclusione dei lavori del Mose, che non sembrano comunque toccati dall’inchiesta, sarebbe difficile mettere in discussione la concessione del Consorzio. Un altro aspetto, invece, è discutere il corretto utilizzo della stessa». Sul tema, la giornata ha registrato anche il «parere personale» di Lionello Barbuio. Che Ance l’ha presieduta fino al 2011, polemizzando più volte con il Consorzio Venezia Nuova per un coinvolgimento delle imprese locali a suo dire insufficiente: «In materia avrebbe potuto fare molto di più. Sia per l’economia del territorio, sia per l’acquisizione di un know-how in grado di rendere le nostre imprese più competitive a livello nazionale e soprattutto estero – ha detto – Mi auguro che l’inchiesta non fermi il completamento del Mose e si concluda con l’accertamento di tutte le responsabilità. Non vorrei infatti che per queste irregolarità, a pagare fossero solo le imprese. Perché le imprese sono fatte di lavoratori, spesso con famiglia. E posti di lavoro ne abbiamo già persi tantissimi. Quanto al Mose, si tratta indubbiamente della più grande opera pubblica italiana. Ritengo che almeno all’inizio, per velocizzare iter e lavori, l’identificazione di un concessionario unico fosse necessaria. Tuttavia, in 30 anni di vita del progetto, si poteva anche pensare a qualcosa di diverso. Come evitare la concentrazione di tutti i finanziamenti sul Mose, che ha interrotto la realizzazione delle opere complementari di quello che era nato come sistema, e lasciato il Comune di Venezia a bocca asciutta».

Vettor Maria Corsetti

 

L’INCHIESTA – Oltre 6 milioni di pagamenti sospetti.

Mose, le fatture del Consorzio da 3 anni nel mirino della Finanza

Il Consorzio Venezia Nuova era nel mirino della Guardia di Finanza da tre anni. Nel 2010, infatti, le Fiamme gialle hanno bussato alla porta del Consorzio in cerca di documenti dopo un’indagine fiscale partita un anno prima a Chioggia su importi “gonfiati”, un sistema che sarebbe costato alla collettività più di sei milioni di euro. Ora gli inquirenti sono al lavoro sulla documentazione acquisita nel corso delle perquisizioni.

Al setaccio i bandi di gara della quota “discrezionale”

Inquirenti al lavoro sui documenti acquisiti durante le perquisizioni

Già nel 2010 sequestrati documenti nella sede del Concessionario unico per il Mose. Indagine fiscale partita su importi “gonfiati” a Chioggia

Consorzio da tre anni nel mirino della Finanza

Sotto tiro da tre anni. È l’estate 2010 quando i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria bussano alla porta della sede del Consorzio Venezia Nuova per quella che viene presentata come una verifica di routine. Niente di sospetto. In fin dei conti è più che normale che l’attenzione delle Fiamme gialle si possa concentrare su un “colosso” come Cvn, in grado di attrarre miliardi di euro per la costruzione del Mose. In realtà gli uomini del colonnello Renzo Nisi sanno già cosa cercare. Perché gli accertamenti fiscali avviati un anno prima negli uffici della Cooperativa San Martino con sede amministrativa a Chioggia in località Val da Rio e legale a Marghera avevano già delineato la pratica diffusa di “gonfiare” gli importi dei lavori eseguiti, poi comprovata dal “registro del nero” conservato in una chiavetta Ubs affidata alla segretaria dell’azienda della famiglia Boscolo Bacheto. A venire alterato anche del 30% il prezzo dei sassi e delle palancole acquistati in Croazia e utilizzati per la realizzazione della bocca di porto di Chioggia del cosiddetto baby-Mose. A pagare le fatture, quelle comprese di “cresta” con il contributo di una società creata ad hoc in Austria, era lo stesso Cvn – e quindi noi cittadini – di cui la Coop risulta consorziata con una quota diretta dello 0.007900. Un giochetto che con una stima al ribasso fra il 2004 e il 2009 sarebbe costato alla collettività qualcosa come 6 milioni e mezzo di euro che almeno per ora non si sa ancora nelle tasche di chi siano finiti. È questo il nucleo dell’inchiesta che ha portato all’arresto, fra gli altri, del presidente dimissionario – ha lasciato la carica appena lo scorso 28 giugno – Giovanni Mazzacurati, al quale al pari di alcuni suoi fidi collaboratori come i trevigiani Federico Sutto e Pio Savioli, viene contestato il reato di turbativa d’asta in merito a un appalto indetto dall’Autorità portuale dell’importo complessivo di oltre 12 milioni di euro per lo scavo di alcuni canali di navigazione.
Ma è solo l’inizio. Per quella che potremo definire l’”operazione trasparenza”. Sia perché la verifica delle “carte” del Cvn dei militari al comando del colonnello Renzo Nisi è ancora in atto, sia perché con la disclosure delle indagini coordinate dalla Procura lagunare, ora la strada appare tutta in discesa.
L’esito dell’analisi per così dire forense dei documenti e dei dati finora acquisti è ancora coperto dal segreto. Certo è che alla luce di quanto contestato dal gip di Venezia nell’ordinanza di custodia cautelare, si è autorizzati a pensare che se Cvn era in grado di pilotare i bandi di gara di altri enti, chissà cosa poteva combinare al suo interno, in regime di piena e assoluta autoregolamentazione.
E il faro è stato acceso in particolare su quella quota del 12% del bilancio che per legge, quella “Speciale per Venezia”, il Cvn nato per la costruzione del Modulo Sperimentale Elettromeccanico, può decidere di impiegare con un amplissimo margine di discrezionalità. Finora una cifra enorme che ruota attorno a 500 milioni di euro. Come sono stati spesi? Contributi ad associazione, organi istituzionali, società pubbliche e private? O che altro? Con che finalità? Per creare o comprare il cosiddetto consenso? O ancora, per inquinare il mercato in barba alla sana e leale concorrenza?

 

L’INTERVISTA – Parla Giancarlo Ruscitti, già ai vertici della Sanità del Veneto. I finanzieri gli hanno sequestrato pc e iPad

«Io, perquisito solo perchè amico di Mazzacurati»

Non risulta indagato, ma alle 6 di mattina il campanello di casa è suonato anche a Giancarlo Ruscitti. Quattro uomini delle Fiamme Gialle hanno perquisito la sua abitazione nell’ambito dell’inchiesta sul Consorzio Venezia Nuova. Giancarlo Ruscitti, un passato ai vertici della sanità regionale come segretario (arrivò dal settore privato a seguito della disavventura giudiziaria di Franco Toniolo) e un presente come amministratore delegato dell’Opera dei padri Camilliani, non si spiega la perquisizione. «Posso legarla al rapporto che ho avuto ed ho tutt’ora con Mazzacurati, che però è del tutto estraneo al Mose e al Consorzio», spiega Ruscitti.
Dottor Ruscitti, come ha conosciuto Mazzacurati?
«Ci siamo incontrati nel 2006 quando la Banca degli Occhi stava attraversando un momento critico economico e amministrativo. In Regione si ragionò su chi poteva sostituire il presidente dottor Piergiorgio Coin e pensavamo che lui fosse la persona più rappresentativa del mondo veneziano. Lo presentai all’assessore Flavio Tosi e si decise che era la persona giusta. Lui divenne presidente e io il suo vice. Naturalmente si trattava di cariche onorifiche».
Che rapporti aveva la Regione con la Fondazione Banca degli Occhi?
«Facemmo un accordo per mettere in sesto la Banca e il Consiglio regionale votò un finanziamento di 500 mila euro per 3 anni con l’impegno morale che avremmo rimesso a posto i conti. Impegno che fu rispettato, nel 2009 la Fondazione era in equilibro e fui rinominato. Poi mi dimisi alla fine del 2011, un anno prima della scadenza, perché ritenevo di aver concluso l’opera di risanamento e mi subentrò il segretario Domenico Mantoan».
E il suo rapporto con Mazzacurati?
«Un rapporto familiare, ci diamo del lei, ma c’è stima reciproca. Anche in questi ultimi anni qualche volta ci siamo visti per parlare della Fondazione, io sono amministratore delegato della Fondazione Opera San Camillo ente ecclesiastico civilmente riconosciuto con sede a Milano e operante in 7 regioni del centro Nord. Poi c’è un rapporto personale, io sono medico e spesso gli sono stato di supporto».
Si è fatto un’idea sul perché è stato perquisito?
«Assolutamente no. I finanzieri sono arrivati in 4 alle 6 di mattina a casa mia. Gentilmente mi hanno chiesto se avevo rapporti di dipendenza col Consorzio, se avevo documenti del Consorzio. Ho detto che faccio tutt’altro lavoro e che la sede del mio ufficio è a Milano. Mi hanno chiesto se avevo un pc e un iPad. Ho detto di sì e se li sono portati via».
Non pensa che ci possa essere qualcosa legato alla sanità?
«Assolutamente no. Il capo d’accusa riguarda i lavori al porto per il Mose, di cui non mi sono mai occupato, neppure quando ero in Regione. Ho l’impressione che sia finito in mezzo perchè conosco Mazzacurati, perchè lui mi stima e mi segue. Quando il Patriarca mi ha dato l’incarico all’interno dell’Opera di Carità ne era stato molto felice».

Daniela Boresi

 

Nuova Venezia – Mose, cosi’ truccavano le gare

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14

lug

2013

Le accuse a Mazzacurati. Fabris: «Consorzio da sciogliere»

«Mazzacurati dominus assegnava gli appalti»

Gare truccate, ruolo centrale dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova.

Costi gonfiati per i sassi dalla Croazia: sul danno erariale il faro della Corte dei conti.

VENEZIA – Il ministero delle Infrastrutture ha pagato almeno il doppio del loro valore quei sassi portati dalla Croazia e sistemati sulla diga della bocca di porto di Chioggia dai mezzi della Cooperativa San Martino. Si tratta dei lavori del Mose con la supervisione del Magistrato alle acque. E uno dei compiti dei funzionari pubblici con gli uffici nel palazzo dei Dieci Savi dovrebbe essere proprio quello del controllo dei costi. Che cosa hanno fatto? E negli uffici dell’Autorità portuale di Venezia qualcuno si sarà chiesto come mai l’Associazione temporanea di imprese guidata dalla «Lavori Marittimi e Dragaggi» ha vinto l’appalto da 12 milioni di euro in tre stralci per scavare un canale navigabile in laguna, presentando un ribasso ridicolo rispetto alla media dei ribassi offerti in precedenza da altre imprese per lavori simili? Nell’ordinanza di custodia cautelare per i 14 indagati originata dalle indagini dei finanzieri del Nucleo di Polizia tributaria coordinate dal pubblico ministero Paola Tonini non c’è una risposta ai due quesiti. Ma è probabile che gli investigatori stiano già cercandola con i loro accertamenti, anche perché sia la Procura presso la Corte dei Conti sia l’avvocatura dello Stato seguono molto attentamente l’evolversi dell’inchiesta: la prima per capire se vi sia stato un danno erariale notevole per lo Stato e se non via sia stato un’omissione di controllo da contestare per quel sovrapprezzo costruito grazie alle fatture fasulle emesse dalla società austriaca di Villach, che in realtà operava da Chioggia; la seconda per appurare se davvero quello scavo del canale navigabile bandito dalle gare del maggio-giugno 2011 siano costate all’Autorità portuale, e quindi ancora una volta al ministero delle Infrastrutture, da due a quattro volte più di quello che avrebbe potuto costare se vi fosse stata «libertà d’incanto». Chi ha vinto ha proposto un ribasso del 12 per cento, mentre solitamente in altre gare si arriva anche a ribassi del 46 per cento, ma – stando alle accuse – l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati aveva impartito direttive ben precise attraverso il suo braccio destro Federico Sutto, ex socialista, e Pio Savioli, rappresentante della coop nel consiglio d’amministrazione del Consorzio. Aveva fatto in modo che le grandi imprese, la Mantovani, la San Martino e le altre, non presentassero alcuna offerta, che altre due piccole ditte, la «Rossi Costruzioni generale» e la «Sales spa» presentassero ribassi ridicoli o comunque abbondantemente inferiore a quel 12 per cento di chi doveva vincere. Eppure nulla, almeno sulla carta, il Consorzio Venezia Nuova aveva a che fare con la gara d’appalto del Porto, mentre in realtà non si muove foglia in laguna che il Consorzio non voglia. Così, anche in questo caso, uscito il bando di gara, le piccole imprese di lavori marittimi si lamentano con Mazzacurati perché, stando alle intercettazioni telefoniche ed ambientali, perché sono state praticamente escluse dai lavori alle bocche di porto per il Mose. Il presidente del Consorzio, allora, interviene e distribuisce i lavori, anche quelli che sulla carta nulla hanno a che fare con la sua autorità, ma lui in laguna è il «dominus assoluto, il padre padrone che può decidere della vita e della morte delle imprese» e così interviene e distribuisce i lavori anche ai «piccoli». Naturalmente, per consolare i grandi, dovrà affidare gli interventi sulle barene ai «grandi» e allora dà il 50 per cento alla Mantovani, il 25 per cento alla Cuova Coedemar e l’altro 25 alla San Martino. Paolo Costa, il presidente dell’Autorità portuale, sa che l’ente che dirige potrebbe aver subito un danno e infatti ieri ha dichiarato: «Lasciamo lavorare la magistratura, abbiamo consegnato tutte le carte e verso la quale assicuriamo la più totale disponibilità. Il Porto ha sempre affidato i suoi lavori nella massima trasparenza e se degli sviluppi dovessero esserci ci vedrebbero parte lesa». Gli interrogatori inizieranno la metà della prossima settimana ed è probabile che nessuno risponderà alle domande avvalendosi della facoltà di tacere data a tutti gli indagati: prima i difensori vorranno legge le intercettazioni, i documenti e le carte, poi decideranno la linea di difesa. Certo è che per il reato di falsa fatturazione (sono 319 per l’acquisto di sassi e palancole, 38 per lavori di carpenteria, per un totale di 5 milioni e 864 mila euro) è probabile che cercheranno un accoro con il pubblico ministero per patteggiare la pena come è accaduto per Piergiorgio Baita, Claudia Minutillo, Nicolò Buson e William Colombelli. Possibile, invece, che per l’altro reato, quello di turbativa d’asta, gli avvocati di coloro che hanno avuto semplicemente un ruolo passivo, quello di non presentare l’offerta, punteranno all’assoluzione.

Giorgio Cecchetti

 

Nei prossimi giorni gli interrogatori dei sette arrestati

Saranno sentite la prossima settimana dal gip veneziano Alberto Scaramuzza le 14 persone raggiunte da un provvedimento restrittivo, tra cui l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, coinvolte, assieme a un altro centinaio di persone, nell’indagine della Guardia di Finanza di Venezia. Ingente il numero dei documenti sequestrati nelle 140 perquisizioni di società e abitazioni, in varie regioni italiane dove le Fiamme gialle hanno anche preso computer, hard disc esterni, chiavette usb.

Businessmen, funzionari e imprenditori: la caccia ai documenti

acquisizione di atti, impegnati 500 finanzieri 

Le perquisizioni o, meglio, le acquisizioni di documenti, sono state più di un centinaio: i 500 finanzieri si sono presentati negli uffici e nelle case delle numerosissime persone che hanno avuto rapporti professionali con Giovanni Mazzacurati e con gli altri dirigenti del Consorzio finiti in manette, con gli imprenditori indagati, i dipendenti del Consorzio, le società e i professionisti con cui ci sono stati rapporti d’affari. Nel lavoro istruttorio è stato così raccolta una mole di documenti tale che saranno necessari molti mesi per gli approfondimenti e gli esami necessari prima di arrivare alla conclusione dell’inchiesta. La maggior parte delle persone visitate, comunque, non sono indagate: gli investigatori cercavano carte e quelle hanno chiesto e hanno ottenuto. Si sono presentati nelle sedi della Palladio Finanziaria, la holding di Vicenza, e nelle due residenze del patron Roberto Meneguzzo, nel capoluogo berico e al Lido; sono andati dall’ex segretario regionale alla Sanità Giancarlo Ruscitti, dal commercialista padovano Francesco Giordano. Naturalmente visitati i collaboratori di Mazzacurati, Maria Brotto a Bassano e le sue segretarie e anche l’addetta stampa Flavia Faccioli. Pure la rappresentante legale del Consorzio, Valentina Croff, ha ricevuto la visita dei finanzieri. E la lista prosegue: il professore di idraulica all’Università di Padova Attilio Adami, il contabile romano Andrea Collalti, i consulenti Paolo Merlo di San Donà, Fabio Milani di Padova, Massimo Paganelli di Venezia. Poi c’è una lunga lista di imprese e cooperative; la Cantieri Costruzioni Cemento di Musile, i cui titolari 20 anni fa furono protagonisti di importanti vicende giudiziarie, la Ciac di Marghera, la Clea di Campolongo, la Clodia Scarl di Chioggia, la Ln Consulting di Roma, la Coan Ambiente, la E-Solving e la Rain srl, tutte con sedi a Roma, la Groma di San Vendemiano e la Selc scarl di Marghera.

 

Fatture false e fondi neri, i fili fra l’Ingegnere e Baita

I soldi fuori bilancio servivano a pagare la “cupola” di chi decide e finanzia i lavori

Nella rete del pm Tonini le coop, in quella del pm Ancilotto imprese legate alla destra

VENEZIA – Una cosa certa emerge dalle inchieste della Procura di Venezia su grandi opere e malaffare in Veneto: chi voleva partecipare al business doveva contribuire a creare fondi neri, attraverso fatture false prodotte da società cartiera fatte nascere ad hoc. Le fatture false e i fondi neri sono i due elementi comuni alle inchieste dei sostituti Stefano Ancillotto e Paola Tonini. Il primo ha arrestato Piergiorgio Baita, ex presidente della Mantovani per frode fiscale, la seconda Giovanni Mazzacurati, ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, per turbativa d’asta. Un segnale chiaro del fatto che a Venezia è finita l’epoca degli intoccabili. La Mantovani è stata ed è la spina dorsale del Consorzio che sta realizzando il Mose in laguna. Chi non accettava la regola delle fatture false, restava fuori. Lo sapevano le imprese legate alla destra, come quelle finite nell’inchiesta di Stefano Ancillotto e lo sapevano quelle del mondo delle coop al centro dell’indagine di Paola Tonini. E da quanto fin qui emerso hanno accettato tutti. E per 20 anni c’è stato un perfetto equilibrio. Ed è altrettanto chiaro che quelle fatture non servivano a evadere le tasse e i fondi neri ad ingrassare i conti correnti personali degli imprenditori a capo del sistema. Ma, come spiega Piergiorgio Baita quando accetta di collaborare con gli inquirenti: i fondi neri servono a pagare chi i lavori li decide e li finanzia. Già nel primo interrogatorio l’ex presidente di Mantovani spiega ai finanzieri e al pm che lo interrogano, di aver dato denaro, in occasione di campagne elettorali, a partiti di destra e di sinistra. Quindi finanziamento illecito dei partiti. E avrebbe ammesso di aver pagato anche singole persone. Racconti simili li hanno fatti anche Claudia Minutillo e Nicolò Buson. Lei ex segretaria di Giancarlo Galan, poi imprenditrice e lui ragioniere tuttofare di Baita. Sempre dalle indagini emerge come chi tira le fila del sistema illecito, quando l’impresa accetta il patto delle fatture false, spiega come realizzare le “cartiere”. Nel caso dell’inchiesta Ancillotto sono società create in Canada e a San Marino. Invece nell’inchiesta che ha portato all’arresto di Mazzacurati le società si trovano in Croazia e Austria. Fin qui le cose certe. Però mancano delle tessere del puzzle, tra le quali la principale. Per usare un termine suggestivo, manca la “cupola”. Gli inquirenti sono certi che sia Baita che Mazzacurati sedevano al tavolo decisionale, ma non erano gli unici. In questi mesi i finanzieri del Nucleo Provinciale di Polizia Tributaria che si stanno occupando delle due indagini, hanno pedinato e fotografato diverse persone. Molte li hanno portati all’hotel Monaco e in particolare al ristorante del noto albergo. Il via-vai di personaggi ritenuti “interessanti” da un punto di vista investigativo era parecchio intenso.

Carlo Mion

 

«Dighe nel 2016, poi addio al Consorzio»

Il nuovo presidente Fabris: «Ultimati i lavori, della gestione dell’opera si dovrebbe occupare una società di scopo pubblica»

VENEZIA «Al primo Direttivo del Consorzio Venezia Nuova – che avevo già convocato per mercoledì, prima di questa bufera – chiederò alcuni impegni: il rispetto del termine del 2016 per la consegna del Mose allo Stato italiano e lo scioglimento del Consorzio Venezia Nuova una volta ultimati i lavori, a parte i due anni di copertura dopo la consegna, previsti dal contratto, ma d’intesa con le istituzioni. Sono convinto – e ne ho parlato anche con il sindaco di Venezia Orsoni, già prima di questi arresti – che della gestione di quest’opera così importante per la difesa della città e della laguna, si debba occupare una società di scopo che riunisca le istituzioni locali, rappresentanti dei ministeri, del Magistrato alle acque. Deciderà lei in che termini fare un bando per la gestione del Mose. Dopo il 2016, l’esperienza del Consorzio Venezia Nuova deve finire. Sono condizioni importanti di discontinuità che intendo porre al Direttivo, tanto più alla luce di quel che sta accadendo, oppure, sono disposto a rinunciare da subito al mandato di presidente, che pure mi onora e inorgoglisce». Così l’ex sottosegretario e europarlamentare, ora neo presidente del CVN Mauro Fabris affronta la bufera giudiziaria che sta terremotando il concessionario unico, monopolista e padrone assoluto della salvaguardia della laguna: venerdì, i carabinieri hanno bussato anche alla sua porta per chiedere copia di alcune fatture che aveva emesso a suo tempo come consulente del Consorzio. «Mercoledì vedrò per la prima volta i rappresentanti dei soci», prosegue Fabris, « mi sono visto precipitare questa tegola addosso senza aver ancora avuto modo di aver piena contezza dello stato dell’arte, anche se ho chiesto una ricognizione precisa ai dirigenti, ai quali – per altro – ho già annunciato che chiederò al direttivo il ritiro di tutte le deleghe, per un cambio di organizzazione a fronte di un segnale di discontinuità forte rispetto al passato che era già giunto con la mia nomina a presidente, quale tramite tra Consorzio, istituzioni e Stato, e dell’ingegner Hermes Redi a direttore: funzioni che prima riuniva l’ingegner Mazzacurati». Fabris è pacato, ma determinato: «Ho accettato questo incarico con l’obiettivo di consegnare il Mose alla città, come promesso, per il 2016. I fondi sono sostanzialmente tutti stanziati, mancano i 500 milioni che lo Stato ha assicurato come opere compensative a favore dei Comuni di Venezia e Chioggia, quelli che più ci rimetterebbero se venissero meno i fondi. Consegnare l’opera nel 2016 è una condizione per me essenziale per mantenere il mio mandato, come lo è il fatto che il Consorzio non gestirà l’opera, ma dovrà chiudere. Il Consorzio dev’essere soggetto terzo tra Stato e imprese, per garantire che i fondi pubblici siano spesi bene e nei tempi previsti. La magistratura avrà tutta la nostra disponibilità, per presentare qualunque documentazione richiesta nel corso di queste indagini». Ma il Consorzio si costituirà parte civile contro l’ex presidente Mazzacurati, il consigliere Pio Savioli, il dirigente Federico Sutto? «È una decisione che dovrà assumere il Direttivo», conclude Fabris.

Roberta De Rossi

 

Installate le prime quattro paratoie su 78 Fondi, ormai mancano “solo” 500 milioni

Il 4 luglio 2013, si è conclusa la prima fase di installazione delle paratoie del Mose, il sistema per la difesa di Venezia e della sua laguna dall’acqua alta: la quarta paratoia mobile è stata installata nel canale nord della bocca di porto del Lido (quella di ingresso a Venezia). Fase tecnica considerata – dal Consorzio Venezia Nuova, nei suoi comunicati ufficiali – «decisiva per ottimizzare e velocizzare la conclusione del sistema di difesa, che è oggi realizzato per oltre il 75%» . Il Mose è già finanziato per 4.934 milioni di euro, con una copertura che consente l’ultimazione del dispositivo di difesa dalle acque alte nel 2016, con la predisposizione, nel 2014, delle prime due barriere sulle 4 previste: la posa della prima pietra risale al maggio 2003, premier Berlusconi. I 500 milioni che mancano, sono destinati alle opere di compensazione e mitigazione chieste dall’Unione europea a favore del territorio. Il costo totale è di 5.493 milioni di euro: “prezzo chiuso” stipulato tra Stato e imprese nel 2005, dopo essere partiti dai 3200 miliardi di lire (1,5 miliardi di euro) alla fine degli anni Ottanta. I numeri sono noti: 4 dighe mobili, per 1,6 chilometri di sviluppo, 78 paratoie galleggianti, larghe da 18,5 a 29,5 metri per 20 metri di altezza e una profondità da 3,6 a 4,5 metri, ancorate alle fondamenta sui fondali, attraverso cerniere che si stanno testando in questi mesi, con le prime 4 paratoie.

INTERVISTA all’ex ministro

De Michelis: «Il monopolio serviva ma c’è stato un corto circuito»

VENEZIA – Intercettiamo Gianni De Michelis di passaggio a Venezia, città dove non vive più da quando si è trasferito a Roma vent’anni fa. L’incontro nasce per altri motivi ma è il giorno dell’arresto dell’ingegner Giovanni Mazzacurati con il Mose sbattuto in prima pagina su tutti i giornali veneti. Inevitabile parlarne, anche perché De Michelis sta all’inizio del Mose: era l’uomo più influente del Veneto, oltre che ministro del lavoro, quando il Consorzio Venezia Nuova muoveva i primi passi nel 1984 come concessionario unico di studi, progettazione e lavori per la grande opera. È da qui che comincia tutto: grazie ad una deroga introdotta nella legge speciale per Venezia, le imprese entrano nel Consorzio per chiamata e si spartiscono i lavori. Il Consorzio vorrebbe gestire anche le operazioni di disinquinamento, con gli interventi sugli acquedotti nei Comuni della gronda lagunare. Ne nascerà un furioso confronto con la Regione di Carlo Bernini e di Franco Cremonese, i quali si assicureranno invece la competenza. Fonte di non minori grattacapi anche quella. Nel Consorzio, che era dentro era dentro e chi era fuori restava fuori. Per sempre. In un certo senso è il peccato originale dal quale discende tutto, compresi gli arresti di oggi. Gianni De Michelis, che effetto le fa arrivare a Venezia e trovare una notizia del genere? «Io manco da Venezia da moltissimo tempo. Mi dispiace a livello personale per Federico Sutto, che vent’anni fa era stato mio collaboratore, ma non seguo più queste vicende». Massimo Cacciari dice che l’errore di impostazione l’hanno fatto i politici, inutile prendersela con i tecnici che in una situazione di monopolio hanno fatto i monopolisti. «Premesso che sono passati la bellezza di quasi cinquant’anni, dal 1966 ad oggi, in un periodo di tempo così lungo tutti gli argomenti possono essere ritenuti in qualche modo validi. A Cacciari potrei dire che avendo fatto e rifatto il sindaco di Venezia nell’arco di vent’anni, se si fosse espresso in questa direzione avrebbe potuto ottenere dei risultati». Il difetto era comunque quello che dice Cacciari, aver costituito un monopolio e averlo dato in mano ad un concessionario unico? «Io ho avuto qualche responsabilità in questa scelta ma è avvenuta all’inizio degli anni Ottanta, in un periodo in cui probabilmente il concessionario unico si giustificava per la necessità di compiere un’operazione rapida e in qualche modo coordinata. Nessuno si ricorda più che, a parte le paratie mobili alle bocche di porto, il progetto originario fatto per primo dalla società dell’ingegner Mazzi prevedeva tutta una serie di altri interventi: rafforzamento degli argini e delle sponde delle lagune, scavo dei canali e così via, tutte cose che nel corso del tempo ho proprio dimenticato. Particolari che invece una volta avevo sulla punta delle dita». Proprio dallo scavo dei canali parte l’inchiesta di oggi. È impressionante che abbia colpito Mazzacurati, perché rappresenta la continuità negli anni dell’operazione Mose. «Naturalmente c’è un nesso, da quello che capisco io molto dall’esterno, con la questione Mantovani e l’arresto di Baita. Nonostante il fatto che Baita fosse stato coinvolto nelle vicende di vent’anni fa all’inizio di Mani Pulite, nel corso di questi vent’anni era diventato il deus ex machina principale. Sempre da quello che capisco io». Lui stesso lo riconosce. «Evidentemente il fatto che ci fosse un Consorzio dominus di tutte le operazioni e un soggetto in qualche modo membro del Consorzio, una società privata, di fatto dominus dell’intera vicenda, ha creato una situazione in qualche maniera di…» Di cortocircuito? «Di cortocircuito, appunto». Adesso bisogna andare avanti con il monopolio o no? L’opera andrà pur finita, con tutti i soldi che ci è costata. «Adesso la cosa migliore è che finiscano l’opera, dopo quasi cinquant’anni e dopo una quantità di miliardi impegnati. Ma non conosco le cifre, non sono mai andato a vedere i lavori, non ho nemmeno idea del punto a cui siamo». Siamo al 75% dicono, ma manca la cosa più importante, la posa in opera delle paratie. Hanno messo giù la prima solo da qualche settimana. «Addirittura. Io mi ricordo che vent’anni fa mi presentarono il primo esempio di paratoie mobili. Vent’anni fa! Io facevo ancora il ministro degli esteri, credo fossero gli inizi degli anni Novanta, quando mi portarono a vederlo. Non ho mai capito perché ci hanno messo vent’anni».

Renzo Mazzaro

 

VIAFORA (CGIL)  «Nel Veneto sistema di illegalità diffusa» 

VENEZIA «La Cgil esprime piena fiducia nell’operato della magistratura e degli organi di vigilanza ed è convinta che la lotta contro l’illegalità per affermare la trasparenza e contrastare ogni forma di criminalità economica è la grande priorità per rimettere in moto l’economia regionale». Emilio VIafora, segretario generale della Cgil del Veneto esprime senza mezzi temini il giudizio della sua organizzazione sull’inchiesta che mette sottosopra un vero e proprio sistema economico illegale. «Ci auguriamo» continua Viafora «che la magistratura vada fino in fondo e che ci sia un forte coordinamento tra tutti gli organi preposti al controllo e al rispetto delle leggi perché emergano le responsabilità penali ma anche perché sia fatta luce su questo sistema di cointeressi che chiama in causa pezzi dell’economia, della politica e della mancata vigilanza istituzionale». Secondo il segretario della Cgil le indagini sul gruppo Mantovani e la bufera ora scoppiata sul Consorzio Venezia Nuova «stanno chiaramente facendo emergere nel Veneto un sistema di illegalità diffusa che vede coinvolte tante imprese in un rapporto di complicità e copertura reciproca per accaparrarsi fette significative di opere e denaro pubblico». A fronte di ciò, per la la Cgil «è indispensabile andare fino in fondo per capire se siamo di fronte ad un vero e proprio sistema che si è potuto costruire grazie a potenti complicità politico istituzionali, favorito dal proliferare dello svolgimento delle opere in regime di specialità che le pone al di sopra delle ordinarie regole e del controllo pubblico». «Bisognerebbe comunque riflettere» conclude «su tutto l’insieme delle concessioni che riguarda anche importanti reti infrastrutturali e le costruzioni nella sanità».

 

Chioggia trema, si teme per i lavoratori

La città preoccupata per le ricadute occupazionali. Salvagno: «Aziende importanti, la magistratura faccia tutte le verifiche

CHIOGGIA – La città sotto choc s’interroga sulle ricadute occupazionali della bufera scoppiata con l’inchiesta dei fondi neri del Mose. Nel settore delle imprese marittime e idrauliche, finito nella lente di ingrandimento delle Fiamme Gialle per presunte turbative d’asta, lavorano almeno 500 chioggiotti. L’attenzione della politica in questo momento va alle sorti degli imprenditori indagati, ma anche a quelle delle famiglie di chi lavora nel comparto, pilastro dell’economia cittadina. All’indomani dell’operazione della Guardia di finanza che ha portato all’arresto dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, e a provvedimenti cautelari per dieci conosciuti imprenditori marittimi chioggiotti, la città trema. Il comparto delle imprese marittime e dei dragaggi è uno dei più floridi per l’economia cittadina e da ieri in città non si parla d’altro. L’operazione dei finanzieri veneziani ha portato agli arresti domiciliari Roberto Boscolo Anzoletti, rappresentante legale della “Lavori marittimi e dragaggi”; Mario Boscolo Bacheto e Stefano Boscolo Bacheto, amministratori della cooperativa San Martino; Gianfranco Boscolo Contadin (conosciuto come Flavio), direttore tecnico della Nuova CoEdMar. Obbligo di dimora invece per Valentina Boscolo Zemello, legale rappresentante della Zeta; Antonio Scuttari, legale rappresentante della “Clodiense opere marittime”; Carlo Tiozzo Brasiola, legale rappresentante della Somit; Luciano Boscolo Cucco, titolare della Dragaggi; Dimitri Tiozzo, rappresentante legale della ditta Tiozzo Gianfranco; Erminio Boscolo Menela, rappresentante legale della società Boscolo Sergio Menela e Figli. «La vicenda è importante quanto delicata», commenta il vicesindaco Maurizio Salvagno, che detiene la delega alle attività produttive, «stiamo seguendo con attenzione l’evolversi perché si tratta di un comparto strategico per la nostra economia. Siamo certi che la magistratura farà tutte le verifiche del caso e chiarirà quanto prima la posizione di ciascuno. Si tratta di ditte importanti, ai vertici nazionali del settore per l’alta specializzazione che hanno raggiunto negli anni, che danno lavoro almeno a 500 chioggiotti e che hanno commesse in tutto il territorio nazionale e non solo. In questa fase siamo preoccupati anche per i lavoratori e per le famiglie». Molte di queste ditte hanno lavorato anche in città con appalti affidati dal Consorzio in attuazione all’accordo di programma tra Magistrato alle acque e Comune per la salvaguardia del centro storico. Di recente il Consorzio si è occupato del ripascimento dell’arenile e ora dovrebbe gestire il maxi cantiere per la sublagunare del Lusenzo da cui ci si attende la fine degli allagamenti per il centro storico di Sottomarina.

Elisabetta B. Anzoletti

I commenti sul sito della Nuova e in rete «Quanti Boscolo». E anche tanto timore

Commenti ironici, ma anche tanta amarezza nei post che da ieri accompagnano in internet la notizia della bufera a Chioggia per l’indagine sugli appalti distorti del Mose. Sui social network e sul sito della Nuova Venezia in decine hanno commentato la notizia dei dieci provvedimenti cautelari per altrettanti titolari o legali rappresentanti di aziende leader nel settore delle opere marittime. Chi non è chioggiotto ha sottolineato come tra gli indagati figurino molti Boscolo, pensando che si tratti di parenti, non sapendo invece che è il cognome più diffuso in città e che tra i vertici delle aziende non ci sono legami di parentela. Molti altri hanno invece sottolineato come il comparto dia lavoro da anni a centinaia e centinaia di persone augurandosi che l’inchiesta non abbia poi conseguenze sul fronte occupazionale. I più superficiali si sono limitati a commentare lo stile di vita di alcuni di questi imprenditori, dimostrando una certa invidia per le ville o le automobili possedute. Come sempre la rete si è divisa tra colpevolisti e innocentisti. In molti hanno sottolineato come non ci siano certezze fintanto che non si arriva ad una sentenza definitiva. (e.b.a.)

 

L’INCHIESTAL’avvocato di Mazzacurati difende anche il Consorzio

VENEZIA – Strana posizione quella dell’avvocato Alfredo Biagini, noto amministrativista originario di Roma e da anni trasferito in laguna . Si trova a vestire panni diversi nella stessa vicenda, quelli del difensore dell’ex presidente Giovanni Mazzacurati, che non appena ha capito che la Guardia di finanza lo stava arrestando, ha nominato lui come legale di fiducia (a Biagini si è poi aggiunto il penalista Giovanni Battista Muscari Tomaioli) e, nel contempo, quelli di colui che tutela gli interessi del Consorzio Venezia Nuova, tanto che nel pomeriggio di venerdì proprio dal suo studio è partito il comunicato firmato dal direttore del Consorzio Hermes Redi, in cui si sosteneva che «le eventuali turbative d’asta non riguardano i lavori del Mose» e che «il Consorzio è estraneo alle condotte contestate». Ma il direttore generale non può esimersi dallo scrivere che «l’ipotesi accusatoria sarà valutata al fine di verificare i comportamenti personali mantenuti dal personale coinvolto» e il Consorzio «si riserva ogni valutazione anche al fine di tutelare la propria posizione avverso eventuali comportamenti che possano comprometterne l’immagine e le attività in corso». A quel punto l’avvocato Biagini dovrà decidere da che parte stare: se continuare a difendere l’anziano ex presidente davanti ai giudici o se schierarsi con il Consorzio, gli interessi del quale da anni ormai difende davanti al Tribunale amministrativo regionale e davanti al Tribunale civile, e difenderne l’immagine, costituendosi magari parte civile contro uno o più indagati di questa inchiesta coordinata dal pubblico ministero Paola Tonini. Biagini, che oltre ad esercitare la professione legale è stato ed è a capo di società regionali come l’importante «Concessioni Autostradali – Cav», è già incappato in una situazione simile. Era il 2006, quando il consigliere comunale Beppe Caccia presentava un’interrogazione per chiedere come mai l’Asl 12 l’aveva inserito nella Commissione incaricata di preselezionare i progetti d’acquisto per l’ex Ospedale al Mare, quando tra gli acquirenti c’era assieme ad Est Capital la Mantovani di Baita.

Giorgio Cecchetti

 

Zanda: «Sono triste». Zoggia: «Chiarezza»

L’ex presidente è amareggiato. Miracco: «Il governo ora deve nominare un commissario»

VENEZIA – Luigi Zanda, per quasi dieci anni presidente del Consorzio Venezia Nuova e ora presidente dei senatori del Pd, non vuole parlare: «Quelli degli ultimi giorni sono fatti che mi rendono profondamente triste, per favore non chiedetemi dichiarazioni almeno per ora» risponde da Roma. Ma con i colleghi senatori in questi due giorni, dopo gli arresti veneziani, ha discusso e avrebbe spiegato che Giovanni Mazzacurati c’era già al Consorzio quando lui era presidente, ma si occupava di questione tecniche e non certo di tenere i rapporti con le imprese. Ha un’idea precisa Franco Miracco, allora stretto collaboratore di Zanda e per 15 anni responsabile delle relazioni esterne del Consorzio, ora assessore alla Cultura nella giunta di centrosinistra al comune di Trieste.«Sono davvero triste, ora il governo deve nominare un commissario al vertice del Consorzio», afferma, «perché c’è dagestire una delle più grandi opere in Italia. Deve essere una persona capace, come è accaduto per la Parmalat e ora per l’Ilva». Per Davide Zoggia, responsabile degli Enti locali del Pd ed ex presidente della Provincia di Venezia, «è necessario che la magistratura faccia chiarezza nel più breve tempo possibile, anche perché il Mose è una delle opere più importanti». «Per come l’ho conosciuto io», aggiunge, «Mazzacurati ha sempre creduto nel Mose e, comunque, ritengo che Massimo Cacciari colga nel segno quando afferma che il punto critico della legge di salvaguardia della laguna, quella del 1984, sia proprio quello di aver permesso al Consoprzio di essere concessionario unico». (g.c.)

 

Gazzettino – Mose, l’ombra delle tangenti

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14

lug

2013

L’ACCUSA – Al setaccio computer e documenti sequestrati. Il sospetto degli inquirenti che indagano sul Consorzio Venezia Nuova è che i fondi neri servissero per le tangenti.

LA DIFESA – Gli avvocati dell’ingegnere Giovanni Mazzacurati: «Ha sempre garantito l’equilibrio tra i vari soggetti. Come un padre, non un padrone».

L’INDAGINE – La difesa di Mazzacurati: «Agiva da padre, non da padrone. Tutelava le piccole imprese»

Gli inquirenti sospettano che i fondi neri servissero a pagare politici e funzionari pubblici

“VENEZIA NUOVA” nella bufera

Mose, l’ombra delle tangenti

L’INCHIESTA – L’obiettivo è scoprire dove va a finire il “denaro fantasma”

Sequestrati server, chiavette Usb, documenti cartacei. Si indaga sul “modello Venezia” degli appalti di opere pubbliche e dei fondi neri realizzati attraverso l’evasione fiscale

MESTRE – Dalla Mantovani al Consorzio Venezia Nuova sullo sfondo del Mose. L’hanno definita una manovra a tenaglia, sdoganando un’espressione di strategia militare. Attaccare su più fronti per essere sicuri di arrivare all’unico obiettivo. Quello delle tangenti? Gli investigatori fino a questo punto non si sbilanciano. Ma fanno capire che se si creano fondi neri attraverso l’evasione fiscale generata con fatture false e società cartiere, o con ribassi irrisori nei bandi in cui si è già sicuri di vincere in maniera da ottenere comunque una cresta rispetto al costo reale sostenuto, di sicuro non servono per fare beneficenza. Più plausibile pensare che il “denaro fantasma” sia impiegato per oliare meccanismi e far schierare dalla tua parte il politico di turno più funzionale ai tuoi affari.
«Non scapperà nessun segreto». È il monito pronunciato a mezza voce dai finanzieri che ieri sono stati impegnati anche per trentasei ore continuate nelle 140 perquisizioni eseguite in mezza Italia. Un esercito di cinquecento uomini che ha rastrellato una mole incredibile di materiale: computer, server, chiavette Usb, documenti cartacei che saranno oggetto di analisi forense. Un’attività che si stima possa durare mesi e mesi e grazie alla quale forse si potrà arrivare a dipanare le pastoie fra impresa e politica anche nei profili e nelle responsabilità: penali e morali. Fra i cento indagati manager, commercialisti, imprenditori, tecnici, amministratori pubblici che hanno avuto a vario titolo contatti, giudicati interessanti e quindi meritevoli di approfondimento, in primis con Giovanni Mazzacurati, ma anche con i suoi più fidati collaboratori sia dentro che fuori Cvn.
«Meno male che il Mose lo costruiamo sott’acqua» ebbe a dire Piergiorgio Baita quando ancora era il patron della Mantovani spa, società leader in Italia nel campo delle costruzioni. E l’inchiesta della Procura lagunare, coordinata dalla pm Paola Tonini, ancora una volta mette sotto accusa il “modello Venezia”, non quello virtuoso di una città capitale della cultura, bensì quello illegale e sfrontato nell’assegnazione dei lavori per le grandi opere pubbliche, talmente collaudato da espandere il contagio, si ha l’impressione, in tutta la regione. Già, gli appalti. È questo il filo conduttore delle ultime indagini incardinate dai magistrati veneziani con braccio operativo la Guardia di Finanza. A venire scoperchiato è un sistema che pare replicarsi. Basta ricordare che la stessa squadra investigativa, composta dai militari colonnello Renzo Nisi e dal pm Stefano Ancilotto, ha arrestato nel gennaio 2012 Lino Brentan, padre-padrone della Società autostrade Padova-Venezia quando ne era amministratore delegato, ed esponente di spicco della Sinistra veneziana, condannato in primo grado a 4 anni di reclusione per corruzione. E anche in quell’inchiesta battezzata “Aria nuova” il perno era costituito da bandi in un certo qual modo pilotati o spezzettati in modo da poter procedere con il cosiddetto cottimo fiduciario anche in assenza di presupposti. A essere privilegiate le aziende amiche che “ringraziavano” con delle mazzette consegnate brevi manu. Una cricca che l’anno precedente era stata individuata anche in Provincia, manovrata da due dirigenti e che di fatto si tradusse come tappa di avvicinamento al vero bersaglio, ovvero Brentan. Un ciclone in laguna che nel marzo scorso si trasformò in un vero e proprio tsunami con l’inchiesta “Chalet” e l’arresto di Baita, del console onorario di San Marino William Colombelli e di Claudia Minutillo, ex segretaria personale di Giancarlo Galan e responsabile di aziende collegate al colosso padovano delle costruzioni. Ancora appalti, ancora fondi neri. Si parlò di dieci milioni di euro. Ma la bufera non aveva ancora toccato il suo massimo. Lo ha fatto adesso con la detronizzazione di Mazzacurati e l’emersione di almeno sei milioni di euro non dichiarati? I ben informati si aspettano il vero colpo di coda, per restare nella metafora atmosferica, della perturbazione.

Monica Andolfatto

Computer al setaccio per trovare tangenti

LE PERQUISIZIONI – I finanzieri in “visita” negli studi dei vip

MESTRE – Studi di commercialisti, consulenti, imprenditori. Le perquisizioni delegate dalla pm Paola Tonini ai finanzieri hanno toccato anche personaggi eccellenti. Da Giancarlo Ruscitti, ex segretario generale della sanità del Veneto e di Mauro Fabris, vicentino, politico cresciuto prima nella Dc poi nell’Udeur per passare al Pdl, subentrato da due settimane al vertice del Consorzio Venezia Nuova dopo le dimissioni di Mazzacurati. Ma c’è anche Roberto Meneguzzo, vicentino, presidente della Palladio Finanziaria spa con sede sia nel capoluogo berico che a Milano. I militari del colonnello Renzo Nisi hanno “visitato” sia la sua abitazione in Contrà Zanella che gli uffici della società. A Padova il campanello l’hanno suonato al civico 32 di via Trieste dove si trova lo studio commercialisti Giordano Francesco, ma anche la Ing. Mazzacurati sas e la Cogenfi srl la quale ha una filiale anche a Roma in Piazza Mincio. E nella capitale l’attenzione si è concentrata al civico 52 di Piazza Rondanini che ospita la E-Solving srl, la Ibc srl in liquidazione, e la Rian srl. Ma anche in via Antonio Silvani dove si trova la LN Consulting. Per quanto riguarda Francesco Giordano, romano classe 1944, con casa a Padova ma anche a Venezia Cannaregio, il pm ha sottolineato che nel maggio del 2011 ha ricevuto confidenze in merito alla turbativa d’asta contestata nell’ordinanza di custodia cautelare e che quindi poteva essere in possesso di documentazione in qualche modo inerente. (m.and.)

 

Un commercialista friuliano dietro la “cartiera” creata in Carinzia

Un commercialista friulano noto alle cronache, fra i cento indagati nell’ambito dell’inchiesta condotta dalla Guardia di Finanza e coordinata dalla Procura di Venezia sugli appalti pilotati per i lavori del porto e per i fondi neri emersi sullo sfondo del Mose. Il nome di Alessandro Pasut è strettamente collegato alla Istra Impex HgmbH di Villach cui gli investigatori sono arrivati attraverso una “banale” verifica fiscale nella Cooperativa San Martino di Chioggia che di fatto ha aperto la strada all’arresto anche di Giovanni Mazzacurati, presidente dimissionario dal 28 giugno scorso del Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico per la costruzione del sistema di dighe mobili che dovrebbe rendere immune la città dalle bizze della marea.
Secondo i militari delle Fiamme gialle la ditta creata in Carinzia altro scopo non aveva che emettere le fatture false con cui la Coop impegnata nei lavori per la realizzazione della bocca di porto di Chioggia gonfiava il prezzo di sassi e palancole acquistate in Croazia. Una classica società cartiera, di fatto inattiva e consistente in un ufficio, con sede effettiva presso la stessa Coop San Martino. Esperto in fiscalità internazionale, come si legge nel suo sito, con studio a Udine e condannato a tre anni di reclusione dal tribunale di Klagenfurt per infedeltà patrimoniale, Pasut avrebbe avuto il compito anche di “trasportare” il denaro in Italia dopo averlo prelevato dal conto corrente di un istituto bancario austriaco. Analoghi viaggi, che richiamano alla mente i vecchi “spalloni”, sarebbero stati effettuati anche da due amministratori della Coop San Martino, Mario e Stefano Boscolo Bacheto, entrambi ai domiciliari.
A concorrere all’evasione fiscale, registrata nella contabilità parallela della Coop, anche una terza impresa ovvero la mestrina Corina di Luciano Mognato.
(m.and.)

 

OBBLIGO DI DIMORA – Valentina Boscolo Zemello si è sposata ed è ancora all’estero in viaggio di nozze

DIMISSIONI – L’ingegner Giovanni Mazzacurati aveva lasciato la presidenza del Consorzio lo scorso 28 giugno

LA DIFESA «Agiva da padre non da padrone»

Gli avvocati di Mazzacurati: «Non è vero che favoriva le grandi imprese, ha sempre garantito l’equilibrio»

Stanno attentamente leggendo tutte le carte dell’inchiesta, analizzando nel dettaglio ogni tipo di contestazione. E ribattono punto su punto all’impianto accusatorio. Anche ieri è stata una giornata frenetica per gli avvocati difensori degli indagati dell’inchiesta sul Consorzio Venezia Nuova. I legali hanno spiegato che gli interrogatori di garanzia dovrebbero iniziare la prossima settimana, ma ancora manca una data ufficiale. Giovan Battista Muscari Tomaioli, che insieme al collega Alfredo Biagini difende Giovanni Mazzacurati, il principale indagato dell’inchiesta in qualità di ex presidente del Consorzio, ieri è andato a dare un’occhiata alla corposa documentazione prodotta dalla Guardia di finanza. Va ricordato che già venerdì pomeriggio Biagini e Muscari Tomaioli avevano detto chiaramente che l’appalto finito nel mirino della Procura non era collegato al Mose, ma che riguarda solo un dragaggio al porto. Mazzacurati attualmente è agli arresti domiciliari.
«Non corrisponde al vero il fatto che Mazzacurati favoriva le grandi imprese – spiega Muscari Tomaioli – perchè, al contrario, si è sempre dato da fare per far lavorare anche le piccole realtà del territorio. L’ingegnere ha sempre garantito l’equilibrio tra i vari soggetti. Certo, aveva un ruolo importante, un padre sicuramente non certo un padrone. Stiamo anche analizzando la contestazione dei ribassi perchè, secondo noi, non ci sono elementi che portino alla luce irregolarità. Ma su questo fronte è ancora presto per dare un giudizio definitivo, stiamo ancora studiando».
Anche l’avvocato Marco Vassallo, che difende Juri Barbugian, legale rappresentante della Natulis che ha l’obbligo di dimora, si dice sorpreso delle accuse. «Il mio assistito – spiega l’avvocato Vassallo – ha partecipato ad un raggruppamento temporaneo di imprese con una quota di appena il 2 per cento. Di tutto quello che sta emergendo in queste ore non ne sapeva proprio nulla, ad esempio non sapeva di eventuali accordi sugli appalti. Insomma, è estraneo a questa storia».
C’è poi un caso davvero singolare ed è quello che riguarda Valentina Boscolo Zemello, legale rappresentante della Zeta srl. Anche l’imprenditrice fa parte del gruppo di indagati ai quali è stato imposto l’obbligo di dimora, ma attualmente si trova all’estero dove sta completando il suo viaggio di nozze. A rendere noto il particolare è il suo difensore, l’avvocato Francesco Zarbo, del foro di Rovigo.
«Si è sposata pochi giorni fa con un professionista ed ora è ancora all’estero – dice Zarbo – la Finanza ci aveva detto che c’era un provvedimento che la riguardava, ma non pensavamo certo all’obbligo di dimora. Comunque tra qualche giorno tornerà. Valentina ha una barca molto grande con la quale da anni lavora per il Consorzio. In questa vicenda dell’appalto le hanno chiesto di partecipare all’Ati e lei ha detto di sì. È del tutto estranea ai fatti, basti pensare che nel testo dell’ordinanza non viene nemmeno citata».

 

LA VISITA – Ho da poco visto i cantieri.  Un lavoro straordinario frutto del “genio italico”

DUE RUOLI – Abbiamo sdoppiato gli incarichi, non va bene avere plenipotenziari

Il presidente Fabris: «Il Consorzio Venezia Nuova non deve difendere la concessione unica

Invito amministrazioni locali e Stato a fare una società pubblica, il nostro ente può collaborare»

Due inchieste, una comune linea di indagine

Dalla Mantovani al Consorzio, gli inquirenti concentrati sui filoni della concorrenza e del mercato

Concorrenza e mercato sono le due direttrici sulle quali si è sviluppata l’azione della Procura di Venezia in questi mesi. Nelle due clamorose inchieste, la prima sul gruppo Mantovani e quest’ultima sul Consorzio Venezia Nuova e su altre aziende del territorio, non è difficile scorgere una linea comune ed omogenea. Con alcuni argomenti che, secondo quanto sostiene l’accusa, ritornano con una certa puntualità.
Anche se le due inchieste appartengono a due diversi magistrati (il pm Stefano Ancilotto per il caso Mantovani, il pm Paola Tonini per il Consorzio Venezia Nuova) in entrambi i casi l’azione della magistratura si è sviluppata per cercare di creare una sorta di equilibrio e parità tra i vari soggetti in campo. Per quanto riguarda l’inchiesta sulla Mantovani dello scorso febbraio, come si ricorderà, era finito sotto accusa soprattutto il sistema del project financing con il quale, secondo quanto ipotizzato da Procura e Guardia di finanza, alla fine in determinati appalti il lavoro veniva aggiudicato sempre alle stesse realtà, spesso di dimensioni molto grandi come nel caso della Mantovani. Con un evidente vantaggio per certi gruppi in un contesto di mercato bloccato. Posizioni per certi versi molto simili starebbero emergendo anche dagli accertamenti compiuti in questa seconda inchiesta estiva sulla turbativa d’asta, sempre affidata alla Tributaria di Venezia.
Venerdì mattina, alla presenza del generale Marcello Ravaioli e del colonnello Renzo Nisi, in più occasioni i finanzieri hanno specificato che il sistema portato alla luce non solo garantiva il lavoro ad un determinato gruppo di aziende, tanto che nel caso finito nel mirino della Procura si ipotizza un preaccordo prima della scadenza del bando, ma si sostiene anche che queste “abitudini” avrebbero danneggiato lo Stato visto che certi ribassi sospetti avrebbero fatto spendere alla collettività più del dovuto per un determinato intervento. «Da quanto abbiamo potuto notare tutti i soggetti coinvolti – hanno ribadito i finanzieri – condividevano analoghe visioni del mercato».

Gianpaolo Bonzio

 

L’INTERVISTA – Fabris: «Finito il Mose il Consorzio pronto a farsi da parte»

L’INTERVISTA – Le paratie per difendere la città dall’acqua alta pronte entro il 2016

PERQUISITO «I finanzieri sono stati a casa mia per un’ora. Non hanno preso niente»

“VENEZIA NUOVA” nella bufera.  «Noi finiremo con il Mose. Il Comune gestirà le dighe»

C’è sempre una prima volta. E per chi fa politica, prima o poi accade. Già. É capitato anche a lui. Mauro Fabris, 55 anni, già senatore vicentino Udeur traghettato nel 2008 nelle file del Pdl, da solo due settimane alla guida del Consorzio Venezia Nuova, la “task force” del sistema Mose, ha dovuto far buon viso a cattivo gioco. L’altro giorno, di mattina presto, un maresciallo della Finanza ha bussato alla porta della sua abitazione. «Non mi era mai successo prima – confessa – Non è stato piacevole, anche perchè ad aprire la porta non sono stato io…». Presidente Fabris, in gergo tecnico si dice “battezzato”…        «Si è svolto tutto in modo formale e correttamente. Nulla da dire. Gli investigatori cercavano materiale in relazione al Consorzio. Non hanno trovato nulla. Ho solo fatto presente che, in un lontano passato, avevo lavorato per l’ente. Tutto qui. Sono stati in casa mia per un’oretta, ma non hanno portato via nulla».
Momento non proprio facile per il Consorzio Venezia Nuova.
«Sono arrivato da quindici giorni e non è certo facile conoscere un ente così complesso. In tempi non sospetti avevo già convocato un Consiglio direttivo e in quella sede avevo chiesto a tutti i dirigenti di presentarsi con un “report” sullo stato dell’arte: fondi, operatività dei cantieri; copertura finanziaria e assicurativa; relazioni esterne e sponsorizzazioni; nuova sede all’Arsenale».
Sembra quasi un ministero…
«Di certo è fondamentale conoscere lo “stato di salute” dell’ente. E in questo senso va intesa anche la decisione di riorganizzare lo “stato maggiore”, sdoppiando gli incarichi tra presidente e direttore. Fino all’altro giorno, Giovanni Mazzacurati gestiva entrambe le cariche».
Segno di trasparenza?
«Sta nei fatti. Non vanno bene i plenipotenziari».
Da più parti, soprattutto dal mondo politico e amministrativo, emergono critiche sul criterio del “concessionario unico” sui grandi lavori pubblici. Soprattutto perchè non sempre il controllo dello Stato è efficace.
«É un ragionamento che ci può anche stare. Ora il mio obiettivo è che si completi l’opera. Siamo giunti al 95 per cento della copertura finanziaria dell’opera; al 75 per quel che riguarda la costruzione delle dighe mobili. Il sistema deve poter essere attivato al più presto. Noi non abbiamo nè l’esigenza nè il dovere di difendere l’istituto della “concessione unica”».
Sarebbe a dire?
«Al di là delle vicende di questi giorni, credo si debba operare perchè giunga a compimento il sistema Mose come previsto entro il 2016. Può esserci anche una fase transitoria, mettiamo di due anni, per tarare, controllare e monitorare un’opera straordinaria come questa, ma poi la “gestione” non deve essere del Consorzio. Devono entrare in campo gli enti locali e lo Stato. Tocca a loro individuare il soggetto giusto».
Musica per le orecchie del sindaco Giorgio Orsoni.
«Dico che il Consorzio può ritenere conclusa la propria esperienza e già da adesso invito il Comune e lo Stato ad operare per indicare il soggetto giusto per la gestione del Mose. In un colloquio, pochi giorni fa, lo dissi tranquillamente al sindaco».
Quindi, lei è pronto a dare chiavi in mano il “gioiellino” a chi potrà farsene carico…
«Si costituisca una società pubblica che sovraintenda al funzionamento del Mose. Noi come Consorzio ne terremo conto e saremo fin d’ora pronti alla collaborazione».
Pare una “rivoluzione copernicana” rispetto al passato.
«Noi abbiamo solo un unico obiettivo: concludere il Mose. Credo altresì che si possa avviare un dialogo e un dibattito sereno su più questioni aperte: concessionario unico; gestione futura del Mose; compenetrazione con la Legge speciale».
Presidente, ha già fatto un “giretto” ai cantieri alle bocche di porto di Venezia?
«Sì, ed è stato straordinario, a piena dimostrazione del “genio italico”. É impressionante quello che è stato fatto».

Paolo Navarro Dina

 

 

PISTA TANGENTI – Prende forza la pista delle tangenti. Gli inquirenti sono convinti che creare fondi neri attraverso l’evasione fiscale serva per mascherare il “denaro fantasma” impiegato per oliare i meccanismi e corrompere il politico di turno. Ipotesi supportata dall’ingente mole di materiale raccolto durante 140 perquisizioni.

TELEFONO CALDO  «Siamo matti, qui va a finire come nel ’92 quando tutti dicevano: “Oh tanto qui chi se ne frega facciamo…disfiamo”». Un’intercettazione di un arrestato che teme possa ripetersi Tangentopoli.

TERREMOTO SUL MOSE – Riscontri dalle perquisizioni. Gli investigatori sulle tracce dei soldi generati dai fondi neri

«Qui va a finire come nel ’92»

In una intercettazione uno degli arrestati mostra di temere la replica degli arresti per tangenti di venti anni fa

TERREMOTO SUL MOSE

I NOMI – Ecco chi è finito nel mirino della Gdf

MAXI INCHIESTA – Sono stati 500 gli agenti della Guardia di Finanza impegnati

Uno degli arrestati intercettato al telefono: «Stiamo attenti: qui finisce come nel 1992»

SASSI DALLA CROAZIA – La posa delle pietre in laguna per la realizzazione del Mose: è stato dall’acquisto di sassi dalla Croazia che è partita l’inchiesta della Guardia di Finanz

OPERAZIONE PROFETA – La prossima settimana gli interrogatori di garanzia

Si terranno la prossima settimana gli interrogatori di garanzia per gli indagati nell’ambito dell’inchiesta “Profeta” sulla presunta turbativa d’asta. Agli arresti domiciliari, oltre a Giovanni Mazzacurati, sono finiti anche Pio Savioli, consigliere del Consorzio Venezia Nuova; Federico Sutto, dipendente del Consorzio Venezia Nuova; Roberto Boscolo Anzoletti, rappresentante legale della Lavori Marittimi e Dragaggi Spa; Mario Boscolo Bacheto, amministratore di fatto della Cooperativa San Martino; Stefano Boscolo Bacheto, amministratore di fatto della Cooperativa San Martino e Gianfranco Boscolo Contadin (detto Flavio), direttore tecnico della Nuova Co.ed.mar.
L’obbligo di dimora è invece scattato per Valentina Boscolo Zemello, rappresentante legale della Zeta Srl; Antonio Scuttari, rappresentante legale della Clodiense Opere Marittime; Carlo Tiozzo Brasiola, rappresentante legale della Somit Srl; Luciano Boscolo Cucco, rappresentante legale de La Dragaggi Srl; Dimitri Tiozzo, rappresentante legale della Tiozzo Gianfranco Srl; Juri Barbugian, rappresentante legale della Nautilus Srl; Erminio Boscolo Menela, rappresentante legale della Boscolo Sergio Menela e figli Srl. Un centinaio gli indagati, tra i quali spicca l’ex capo della Mantovani Piergiorgio Baita. I finanzieri hanno effettuato perquisizioni al Magistrato alla acque, a Thetis, mentre un’altra perquisizione è stata effettuata anche nell’abitazione di Giancarlo Ruscitti, ex segretario generale della sanità veneta e ora direttore del San Camillo del Lido. Perquisita anche la Corina di via Torino.

 

La pista di un’altra Tangentopoli

«Siamo matti cioè qui va a finire…mmm… mi faceva un esempio (ndr Giordano), Pio ricordati il ’92 quando tutti dicevano “oh tanto qui chi se ne frega facciamo… disfiamo eccetera”». A parlare con il presidente di Coveco Franco Morbiolo, non sapendo di essere intercettato dalla Finanza, è Pio Savioli, consigliere di Cvn e collaboratore del Coveco, da venerdì ristretto ai domiciliari nella sua casa di Villorba. Adombra lo spettro di Tangentopoli che gli è stato suggerito forse perché rispetto all’appalto dell’Autorità portuale che secondo l’accusa sarebbe pilotato da Mazzacurati, la condotta sarebbe in un certo qual modo troppo spregiudicata. Nel senso che prima si decide chi deve vincere, e cioè l’Ati composta da otto piccole imprese con capofila la Lmd di Chioggia, poi si vuole far ritirare lo stesso Coveco che non avrebbe rispettato il “patto di astensione” imposto alle grandi aziende (compresa la Mantovani di Baita) dallo stesso “capo supremo”, ovvero sempre Mazzacurati allora presidente di Cvn. In questo senso “facciamo e disfiamo”. Sì perché nella gara da 12 milioni di euro in tre stralci per la quale la Procura ha contestato il reato di turbativa d’asta non solo si era già stabilito a tavolino l’assegnatario, ma anche chi doveva partecipare a mo di “civetta” e che quote di lavori andavano in premio a chi faceva parte del cartello con tanto di “ricompense” calcolate e accettate.
Nel caso specifico un totale di 710mila euro alla Mantovani per opere di refluimento in barena, di 140mial euro alla Cooperativa San Martino di Chioggia e di 235mnial euro alla Nuova Dragomar sr controllata Nuova Coedmar amministrata da Gianfranco Boscolo Contadin detto Flavio dsmpre di Chioggia.
«Farò immediato ricorso al Tribunale della Libertà: dopo tutte le indagini, intercettazioni e perquisizioni non mi pare ci siano più i presupposti per una misura restrittiva di questo genere». L’avvocato Paolo De Girolami fa il punto della situazione: è il difensore di Savioli. Secondo gli inquirenti, Savioli avrebbe avuto un ruolo importante nella gestione di alcuni appalti. «C’è molto da approfondire e da verificare – precisa De Girolami – in genere delle intercettazioni fatte viene trascritto quello che serve per supportare l’impianto accusatorio, ma per capire bene bisogna leggere anche il resto. E poi, chiariamo, non stiamo parlando di appalti relativi al Mose. Al mio cliente poi viene contestata la turbativa d’asta per unico lavoro in un appalto di tre stralci. Inoltre per quel che riguarda eventuali irregolarità nella stipula di fatture, risulta del tutto estraneo».

 

IL CASO – Obbligo di dimora, ma lei era in viaggio di nozze

C’è un caso singolare nell’inchiesta ed è quello che riguarda Valentina Boscolo Zemello, legale rappresentante della Zeta srl.
L’imprenditrice (nella fotografia) fa parte del gruppo di indagati ai quali è stato imposto l’obbligo di dimora, ma attualmente si trova all’estero dove sta completando il suo viaggio di nozze.
A rendere noto il particolare è il suo difensore, l’avvocato Francesco Zarbo, del foro di Rovigo.
«Si è sposata pochi giorni fa con un professionista ed ora è ancora all’estero – dice Zarbo – la Finanza ci aveva detto che c’era un provvedimento che la riguardava, ma non pensavamo certo all’obbligo di dimora. Comunque tra qualche giorno tornerà. Valentina ha una barca molto grande con la quale da anni lavora per il Consorzio. In questa vicenda dell’appalto le hanno chiesto di partecipare all’Ati è lei ha detto di sì. È del tutto estranea ai fatti, basti pensare che nel testo dell’ordinanza non viene nemmeno citata».
G.P.B.

Ennio Fortuna: «Ma il concessionario unico è previsto dalla legge»

L’ANALISI – Per l’ex magistrato c’era una sproporzione tra il controllato e il controllore delle opere

«Consorzio troppo forte sul Magistrato alle Acque»

È il tema del giorno. Sono in molti in queste ore, alla luce dell’inchiesta della Procura lagunare sul Consorzio Venezia Nuova, a prendere in esame le finalità e il ruolo effettivo svolto dal concessionario unico.
Tra questi c’è Ennio Fortuna, ex magistrato, che conosce bene la normativa di riferimento e il quadro generale.
«La creazione del concessionario unico è prevista appositamente dalla legge di riferimento per cui non ci sono anomalie a riguardo – spiega Fortuna – forse a questo punto si potrebbe anche rivedere il sistema complessivo, ma la normativa in questo caso è molto chiara». Proprio ieri il sindaco Giorgio Orsoni aveva sottolineato che il sistema è molto delicato e che è necessario un forte controllo del soggetto pubblico. Per questo motivo Giorgio Orsoni aveva sostenuto che il sistema andrebbe rivisto.
«La normativa parla di un concessionario – aggiunge Fortuna – ma al momento non si può certo sostenere che se ci fossero stati, ad esempio, tre concessionari le cose sarebbero andate meglio. Forse ci sarebbero stati altri problemi». L’altro tema delicato è quello che riguarda i controlli da parte di un ente, come il Magistrato alle Acque, che è chiamato a verificare il lavoro.
«Obiettivamente c’è una sproporzione tra le due strutture – dice Fortuna – nel senso che nel Consorzio confluiscono una cinquantina di aziende che hanno diversi ingegneri che seguono i vari progetti, mentre il Magistrato alle Acque ha una struttura molto più ridotta. È del tutto evidente che, in questo contesto, il Consorzio ha sicuramente preso il sopravvento sul Magistrato alle Acque. Guardando le due strutture posso tranquillamente affermare che la cosa non mi meraviglia di certo. Anche nel caso dei lavori per la diga del Vajont ricordo che c’era una grande sproporzione tra i numerosi tecnici della Sade, che doveva realizzare l’opera, e chi per conto dello Stato doveva effettuare controlli e verifiche».

Gianpaolo Bonzio

 

I COMMENTI – Viafora e Baratello: «Illegalità e spreco»

(vmc) «Le indagini in corso – dalla vicenda della Mantovani a quella del Consorzio Venezia Nuova – stanno facendo emergere nel Veneto un sistema di illegalità diffusa che vede coinvolte tante imprese in un rapporto di complicità e copertura reciproca per accaparrarsi fette significative di opere e denaro pubblici. È indispensabile andare fino in fondo, per capire se siamo di fronte a un vero e proprio sistema che si è potuto costruire grazie a potenti complicità politico-istituzionali. Favorito dal proliferare dello svolgimento delle opere in regime di »specialità”, al di sopra delle regole ordinarie e del controllo pubblico”.
Durissimo il commento di Emilio Viafora, segretario regionale della Cgil, sulla bufera che ha coinvolto il concessionario unico per la realizzazione del Mose e alcune imprese del Veneziano. Nell’esprimere piena fiducia nell’operato della Magistratura, il rappresentante sindacale estende le proprie richieste a «un forte coordinamento fra tutti gli organi preposti al controllo e al rispetto delle leggi». E a una riflessione «su tutto l’insieme delle concessioni, che riguarda anche importanti reti infrastrutturali e le costruzioni nella sanità».
Altrettanto critico Maurizio Baratello, consigliere comunale del Partito democratico. Che, richiamata la propria «contrarietà da sempre al Mose e al sistema del concessionario unico», sottolinea come quest’ultimo sia in contrasto con la normativa comunitaria per il doppio ruolo assegnato al Consorzio Venezia Nuova di progettista e realizzatore della grande opera. «Per non parlare dello sperpero di denaro pubblico, perché il costo del Mose è passato da 1,9 a 6 miliardi di euro. E del blocco delle opere diffuse, con gravi ricadute sulla manutenzione cittadina».

CITTÀ SOTTO CHOC – Bufera su personaggi conosciuti e considerati vicini ai politici locali

TESSERIN  «Nessun coinvolgimento. Appalti decisi lontano da Comune e Regione»

«Fare presto, a rischio il lavoro»

Chioggia teme per il futuro delle imprese coinvolte. Il sindaco: «L’inchiesta sia rapida»

Un terremoto che sta facendo tremare tutti. L’inchiesta della Guardia di Finanza ha messo a nudo un settore che dà lavoro a centinaia di chioggiotti, e la preoccupazione in città è forte. Una preoccupazione sintetizzata dal sindaco Giuseppe Casson: «Mi auguro che venga fatta chiarezza al più presto per il bene anche della città. È giusto che la Magistratura faccia il suo corso. Siamo alla fase preliminare delle indagini, le persone coinvolte avranno quindi tutti il tempo e gli spazi necessari per chiarire la loro posizione». I titolari e i rappresentanti legali delle imprese chioggiotte coinvolte nell’inchiesta sono molto conosciuti in città, spesso ritratti vicino ad esponenti di spicco della politica locale. Possono aver avuto il potere anche di “pilotare” le scelte politiche di questi ultimi anni e di permettere la candidatura o la vittoria di uno o l’altro contendente? «È normale che ci siano stati degli incontri tra i politici e queste aziende – risponde il sindaco Casson -. Si tratta di imprese che danno lavoro a tantissimi chioggiotti. Ma si tratta di contatti fisiologici, ci sono come ci sono per tante altre aziende e cooperative della zona. Niente di più. Che possano aver influenzato le scelte politiche mi sembra improbabile, se non impossibile». Carlo Alberto Tesserin, consigliere regionale del Pdl, commenta: «Sono preoccupato perché queste aziende danno lavoro a tanti chioggiotti. Mi auguro che tutti possano chiarire la loro posizione e che alla fine non emergano responsabilità riguardo a questi gravi capi d’accusa. Altrimenti per la città sarebbe davvero un brutto colpo a livello economico che andrebbe a ricadere sui lavoratori». Riguardo alla possibilità di incroci pericolosi con la politica, Tesserin lo esclude: «Non sono appalti decisi da Comune, Provincia e Regione. Inoltre se andiamo a vedere l’alternanza di sindaci che ci sono stati a Chioggia, si esclude ancora di più che ci possa essere una linea politica prestabilita e dettata da qualche gruppo di potenti. Abbiamo avuto Lucio Tiozzo, Gallimberti, Todaro, Guarnieri, Romano Tiozzo e ora Giuseppe Casson. Un’alternanza di politici e di idee politiche e di partiti che non fanno pensare a niente di simile. E in Regione siamo stati eletti io e Lucio Tiozzo: due persone con idee politiche opposte».
Il consigliere regionale del Pd Lucio Tiozzo, come Tesseri, si dice peoccupato per le ricadute economiche che la vicenda potrà avere per Chioggia. «La Magistratura faccia il suo corso, non posso ovviamente che essere preoccupato per i tanti lavoratori che lavorano non solo alle dipendenze dirette ma anche nell’indotto legato alle aziende coinvolte nell’inchiesta».

 

Bocche cucite, tacciono anche i blog

Il reddito di centinaia di famiglie dipende dalle aziende finite nell’occhio del ciclone. E nessuno si espone

CHIOGGIA – Bocche cucite a Chioggia. Gli arresti domiciliari e gli obblighi di dimora inflitti dalla Magistratura ad una decina tra i più affermati imprenditori del Veneto meridionale hanno suscitato stupore, ma non incredulità. Nessuno, infatti, mette in dubbio la serietà della Lavori marittimi e dragaggi, della Cooperativa San Martino, della Nuova Coedmar, della Zeta, della Clodiense opere Marittime e della Sergio Menela e figli, benché sia opinione comune che tutto quel che, nel Clodiense, gravita attorno al Consorzio Venezia Nuova risenta in qualche modo di quel genere di condizionamenti ed interessi che troppo spesso condizionano le realtà economiche pubblico-private. Tutti, insomma, sarebbero disposti a mettere la mano sul fuoco a difesa delle aziende e dell’intelligenza dei rispettivi dirigenti: Roberto Boscolo Anzoletti, Mario e Stefano Boscolo Bacheto, Gianfranco Flavio Boscolo Contadin, Valentina Boscolo Zemello, Antonio Scuttari, Luciano Boscolo Cucco, rappresentante legale della Dragaggi, Dimitri Tiozzo ed Erminio Boscolo Menela. Del resto si tratta di imprese familiari solidissime, fondate parecchi decenni fa e mai sfiorate da dissesti o fallimenti. Ma nessuno, o quasi, a Chioggia se la sentirebbe di esporsi asserendo che la Magistratura e la Guardia di finanza avrebbero preso un colossale granchio. In parole povere, la gente tace ed attende l’evolversi degli eventi nella speranza che, nonostante i guai giudiziari, le aziende rimangano attive ed i lavori proseguano.
Quest’atteggiamento di estrema prudenza si giustifica in virtù del fatto che il reddito di centinaia di famiglie dipende direttamente o indirettamente dalle attività delle imprese finite nell’occhio del ciclone. Ne va di mezzo del posto di lavoro di svariate decine di marinai, degli addetti alle manutenzioni ed alle riparazioni, dei trasportatori di fiducia. A riprova di tutto ciò anche il fatto che, una volta tanto, tacciono perfino i blog e le pagine facebook dedicate al “malaffare” in città, vero o presunto. Questa volta, a Chioggia prevale la scaramanzia.

Roberto Perini

 

Trema il calcio con lo sponsor della coop San Martino

La Cooperativa San Martino ha legato con continuità il proprio nome alla prima squadra calcistica della città di Chioggia, contribuendo all’attività della prima squadra – impegnata nel campionato di Serie D – e a quella del fiorente settore giovanile.
La presenza del marchio sulle maglie dei beniamini che la domenica fanno entusiasmare gli sportivi allo stadio Aldo e Dino Ballarin risale ancora alla gestione della presidenza di Gino Levantaci, quando la squadra si chiamava ancora ChioggiaSottomarina.
Sparita la società di Levantaci, il marchio della Coop S.Martino è apparso spesso sulle divise da gioco della Clodiense, la realtà che ha sostituito il ChioggiaSottomarina nel campionato di Serie D – dopo la promozione dall’Eccellenza – e che tuttora gioca proprio nello stadio Ballarin.
La presenza della Cooperativa è passata dal ruolo di unico main sponsor a sponsor a rotazione sulle maglie della squadra nonchè sui banner del sito internet del sodalizio calcistico, ma ha continuato ad assicurare alla Clodiense un contruibuto per l’attività sportiva nelle ultime stagioni.
La tempesta che ha colpito la realtà imprenditoriale inevitabilmente si abbatterà anche sulla presenza della sponsorizzazione calcistica: un abbinamento in meno per il team del presidente Boscolo Bielo.
E proprio il massimo dirigente della Clodiense da noi contattato per un commento sulla situazione che si viene così a creare all’interno della società con la perdita della sponsorizzazione, ha preferito non rilasciare dichiarazioni, rimandando ogni commento ai prossimi giorni.

 

Gazzettino – Terremoto sul Mose. Arrestato Mazzacurati

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13

lug

2013

TERREMOTO SUL MOSE – Ai domiciliari l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, 14 misure restrittive, un centinaio di indagati

TRAVOLTI ANCHE IMPRENDITORI DI CHIOGGIA

False fatture per i sassi. Tremano i “sabionanti”

BUFERA GIUDIZIARIA – Nuovo ciclone giudiziario sulla città. Ieri mattina la Guardia di finanza ha disposto gli arresti domiciliari nei confronti dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, 81 anni, e di altre sei persone (altri sette hanno l’obbligo di dimora). L’accusa è di turbativa d’asta per un appalto al porto di Venezia.

L’INCHIESTA – Tutto è partito da una verifica amministrativa sulla cooperativa San Martino di Chioggia che, secondo l’accusa avrebbe creato fondi neri per quasi 5 milioni. Ma la turbativa d’asta si è concretizzata in un appalto di 15 milioni nel quale sono stati scoperti ribassi sospetti ed un ruolo ritenuto troppo decisivo del Consorzio.

APPALTI PILOTATI – L’ingegnere dimessosi in giugno “decideva” chi doveva vincere le gare. Baita evita un nuovo arresto «perchè sta collaborando»

OPERAZIONE PROFETA – L’indagine che ha portato all’arresto di Mazzacurati

LE IPOTESI DI REATO – False fatture e turbativa d’asta per una serie di lavori in laguna

INCHIESTA AD AMPIO RAGGIO – Cinquecento finanzieri impegnati in tutta Italia: indagini in corso

Sette agli arresti e 100 indagati

Tra i perquisiti “eccellenti” anche Mauro Fabris (presidente del Consorzio) e l’ex manager della sanità, Ruscitti

L’offensiva è di quelle pesanti. E non solo per i nomi coinvolti. Ma anche per le forze messe in campo dalla Guardia di Finanza, braccio operativo della Procura di Venezia. Cinquecento i militari al lavoro dall’alba di ieri per eseguire le ordinanze di custodia cautelare, sette arresti domiciliari, sette obblighi di dimora e le perquisizioni in mezza Italia, alcune come dire eccellenti: 140 in tutto fra Veneto, Friuli, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Lazio e Campania, a carico sia di indagati, un centinaio, che di persone informate sui fatti entrate in contatto a vario titolo con gli indagati, il cui rapporto secondo gli investigatori merita accertamenti più approfonditi
Sedi di aziende, uffici e abitazioni private. “Visitate” dagli uomini al comando del colonnello Renzo Nisi e del tenente colonnello Roberto Ribaudo a vario titolo e dunque anche per la semplice acquisizione di documenti come è il caso dell’Autorità portuale di Venezia che in questa inchiesta sarebbe parte lesa, insieme a tutti i cittadini che si sono trovati a finanziare opere pubbliche di importo di molto superiore a quello che sarebbe risultato in un mercato di reale libera concorrenza e non inquinato a monte dalla turbativa d’asta contestata.
I finanzieri hanno suonato al campanello della sede del Magistrato alle Acque, della Thetis all’Arsenale. E pure a quello di casa di Giancarlo Ruscitti, ex segretario generale della Sanità del Veneto e ora direttore del San Camillo al Lido, forse collegato con Mazzacurati quando quest’ultimo presiedeva la Banca degli occhi di Mestre. E si sono spinti anche a Camisano Vicentino, dove abita Mauro Fabris, nominato al vertice di Cvn dallo scorso 28 giugno dopo le dimissioni di Mazzacurati.
Fra le imprese figurano Rossi Costruzioni Generali di Vicenza, Cantieri Costruzioni Cemento CCC di Musile di Piave, Ciac di Marghera, Clea Scarl di Campolongo Maggiore, Clodia Scarl di Chioggia con sede anche a Roma, Coan Ambiente srl di Roma, CosIdra srl di Padova, E-Solving di Roma, Geosigma srl di Pordenone, Groma di San Vendemmiano (Tv) Ibc srl di Roma, Ing. Mazzacurati sas di Padova, Ln Consulting di Roma, Palladio Finanziaria di Vicenza con sede anche a Milano, Protecno srl di Noventa Padovana, Rain srl di Roma, Selc di Marghera, Te.Ma du Faenza (Ravenna), Cogenfi di Roma con sede anche a Padova in via Trieste 32, stesso indirizzo dello studio del commercialista Francesco Giordano: quest’ultimo avrebbe ricevuto confidenze in merito alla turbativa d’asta dell’appalto da quasi 12 milioni di euro bandito dall’Autorità portuale di Venezia e che ha portato all’arresto del “capo supremo” di Cvn, Giovanni Mazzacurati. Perquisita pure la Corina di via Torino a Mestre, ora in liquidazione, società cartiera collegata al giro di fatture false generate dalla Coop san Martino che faceva lievitare il prezzo dei “sassi” acquistati in Croazia per la realizzazione della bocca di porto di Chioggia.
Perquisizioni domiciliare quindi per le segretarie di Mazzacurati, Stefania Accietto di Mestre, Francesca De Pol alla Giudecca, Ornella Malusa a Cannaregio, per l’addetta stampa di Cvn Flavia Faccioli a Santa Croce, per i dipendenti di Coveco Stefania Gruarin di Gruaro, Enrico Provenzano ed Elena Scacco entrambi di Chirignago, per i dipendenti di Cvn Vincenzo Palomba di Scorzè, Roberto Rosselli di Parma, dell’ex dirigente Roberto Pratavà di Treviso, della rappresentante legale Cvn Valentina Croff a Santa Croce e della dirigente Nicoletta Doni al Lido. E anche per il presidente di Clea, Sandro Zerbin a Campolongo Maggiore e di Paolo Merlo della Ccc a San Donà.

 


Altri sette con obbligo di dimora

A Rialto blitz all’alba: sequestrati i computer dei dirigenti dell’ente

Oltre a Mazzacurati gli arresti domiciliari per turbativa d’asta riguardano Pio Savioli, consigliere del Consorzio Venezia Nuova; Federico Sutto, dipendente del Consorzio Venezia Nuova; Roberto Boscolo Anzoletti, rappresentante legale della Lavori Marittimi e Dragaggi Spa; Mario Boscolo Bacheto, amministratore della Cooperativa San Martino; Stefano Boscolo Bacheto, amministratore di fatto della Cooperativa San Martino e Gianfranco Boscolo Contadin (detto Flavio), direttore tecnico della Nuova Co.ed.mar. Obbligo di dimora per Valentina Boscolo Zemello, rappresentante legale della Zeta Srl; Antonio Scuttari, rappresentante legale della Clodiense Opere Marittime; Carlo Tiozzo Brasiola, rappresentante legale della Somit Srl; Luciano Boscolo Cucco, rappresentante legale de La Dragaggi Srl; Dimitri Tiozzo, rappresentante legale della Tiozzo Gianfranco Srl; Juri Barbugian, rappresentante legale della Nautilus Srl; Erminio Boscolo Menela, rappresentante legale della Boscolo Sergio Menela e figli Srl.

 

L’ALTRO ARRESTO “FAMOSO”

Sutto, una carriera all’ombra di De Michelis e poi l’incarico come assistente di Mazzacurati

A 37 anni era già un “arrivato”, Federico Sutto. Si era iscritto al Psi nel 1975 e 15 anni dopo era segretario provinciale del partito socialista di Treviso, poltrona strappata ad un uomo del senatore Siro Zanella che fino ad un giorno prima era il ras del Psi di Treviso. Ma ormai nel Veneto degli anni ’90 comandava il Doge di Venezia, cioè Gianni De Michelis e Federico Sutto era il suo segretario. Sutto aveva seguito il ministro prima alle Partecipazioni statali, poi al ministero del Lavoro, infine a Palazzo Chigi come vicepresidente del Consiglio. Ma nel 1992 De Michelis incappa nell’inchiesta sulla tangenti ai partiti per la terza corsia dell’autostrada e per la bretella dell’aeroporto Marco Polo. In aula, a testimoniare a favore di De Michelis, che verrà comunque condannato, c’è anche il trevigiano – ma abita a Zero Branco – Federico Sutto. Che ritroviamo anni dopo – adesso ne ha 60, compiuti a marzo – come segretario del Consorzio Venezia Nuova, “collaboratore personale addetto ai rapporti di rappresentanza del presidente Mazzacurati Govanni” – è la dizione esatta del suo incarico. Come dire il braccio destro e sinistro del “capo supremo”, come lo chiamano confidenzialmente gli imprenditori che lavorano con il Consorzio e che obbediscono ciecamente agli ordini di Mazzacurati e di Federico Sutto. Un ruolo importante, al punto che, Sutto si occupa direttamente degli appalti e quando capita – non capita mai, ma qualche volta capita – che una ditta vinca un appalto che non deve vincere, è Sutto che prende in mano il telefono e costringe la ditta a ritirarsi. Si tratta della Coveco, che viene ricompensata del “sacrificio” con l’assegnazione di opere per 150 mila euro. Tanto paga Pantalone. Ma per Federico Sutto, secondo il Gip Scaramuzza, sono sufficienti gli arresti domiciliari perchè “trattasi di soggetto certamente esecutore di ordini altrui e privo di poteri decisonali o d’iniziativa propri, trattando si esecutore degli ordini del Mazzacurati”. Un giudizio impietoso perchè è come dire che, anche dopo tanti anni, Sutto è rimasto il segretario di qualcuno, come ai tempi di De Michelis. (m.dia.)

 

Magistrato alle Acque, Thetis e Porto “visitati” dalla Finanza

Sono arrivati all’alba, i finanzieri del Nucleo di Polizia tributaria di Venezia: alle sei di mattina erano già fuori delle sedi-simbolo del Mose. A Palazzo Dieci Savi, a Rialto, negli uffici del Magistrato alle Acque, gli impiegati dovevano ancora arrivare. Il custode ha aperto e i finanzieri si sono addentrati nei corridoi di quello che fin dal 1501 è il luogo deputato a garantire la salvaguardia della città dall’acqua alta. Sono andati a colpo sicuro, si sono indirizzati in uffici ben identificati e hanno sequestrato, a quanto pare, i computer utilizzati abitualmente dalle persone che più contano – o contavano – all’interno del Provveditorato alle Opere pubbliche. Ovvero i due ex presidenti del Magistrato alle Acque, a ritroso nel tempo Ciriaco D’Alessio e Patrizio Cuccioletta, il vicepresidente Giampietro Mayerle attualmente in pensione, l’attuale capo dell’ufficio tecnico e dell’Ufficio Salvaguardia ingegner Fabio Riva, e il funzionario ing. Valerio Volpe. Tra lo sconcerto dei dipendenti, che non si aspettavano uno spiegamento di forze così massiccio.
Un copione simile all’Arsenale, negli uffici di Thetis, società di ingegneria con oltre un centinaio di dipendenti presieduta da Giovanni Mazzacurati fino al 28 giugno scorso, che sviluppa progetti e applicazioni tecnologiche per l’ambiente e il territorio, nata a capitale pubblico come partecipata del Comune e della Regione e che via via nel tempo è diventata per la maggioranza delle azioni proprietà del Consorzio Venezia Nuova.
Amministratore delegato è Maria Teresa Brotto, in vacanza all’estero, informata telefonicamente di quanto stava accadendo e che non ha voluto rilasciare dichiarazioni. Nel frattempo i finanzieri hanno acquisito documentazione ritenuta importante, e hanno chiesto con molta gentilezza ai dipendenti di non utilizzare i computer, per cui nel pomeriggio l’attività dei lavoratori è stata sospesa.
Perquisizioni anche negli uffici dell’Autorità portuale, dove la Guardia di Finanza ha prelevato documentazione inerente probabilmente allo scavo e alla manutenzione dei canali di grande navigazione.

 

AUTORITÀ PORTUALE – Il presidente Paolo Costa

L’AUTORITÀ PORTUALE – Costa: «Collaboriamo con la Finanza. In questa vicenda siamo parte lesa»

Non è stata una bella giornata, ieri, nemmeno per l’Autorità portuale veneziana (Apv) anche perché gli appalti sotto inchiesta sono tra i più importanti affidati negli ultimi anni dato che riguardano l’escavo dei canali industriali della laguna. Un’opera indispensabile e senza la quale il porto commerciale di Marghera sarebbe stato destinato ad una lenta agonia e alla morte per mancanza di navi che non sarebbero più riuscite a passare per canali intasati dai fanghi. Quando l’operazione escavo venne avviata la situazione era già di grave emergenza, tanto che il Governo nominò un commissario per affrontarla e per ricominciare a fare quel che la Repubblica Serenissima faceva in continuazione, ossia la manutenzione dei suoi canali, e che invece da almeno trent’anni non venivano toccati. Il presidente del Porto, Paolo Costa, non ha voluto intrattenersi sulla notizia del nuovo filone dell’inchiesta ma si è limitato a commentare che «abbiamo aperto le porte alla Guardia di Finanza e abbiamo messo a disposizione tutti i documenti che ancora ci chiederanno, per assicurare la massima trasparenza. Per il resto, a quanto ci risulta, siamo parte lesa».

 

IL METODO   «Fondi neri e società cartiera. Un meccanismo che si ripete»

IL SINDACO – Si riapre la discussione sull’affidamento di grandi progetti a un unico soggetto

«Rivedere il sistema delle concessioni»

Orsoni rivendica più controlli da parte degli enti di vigilanza. «Sono uno strumento a rischio»

Il “nodo” sta tutto nelle concessioni. In quell’idea che – proprio attraverso queste formule “autorizzatorie” – si apra la questione più importante. Giorgio Orsoni, sia pure come sindaco, esprime un parere da avvocato amministrativista sull’inchiesta che ha travolto il Consorzio Venezia Nuova. Professione e attività politica in questo caso coincidono.
Sindaco, sotto accusa c’è però una gestione come quella del Consorzio Venezia Nuova…
«Ho sempre detto – sottolinea il sindaco – che il sistema dei concessionari unici è un sistema molto delicato e che può avere un senso. E questo può averlo in determinate situazioni. Ma c’è anche bisogno che ci sia un’amministrazione “concedente” la concessione che abbia, e sappia esercitare, un controllo reale e soprattutto efficiente».
Quindi lo Stato faccia più controlli. Verifiche solo in riferimento al Consorzio Venezia Nuova?
«Non mi riferisco solo ed esclusivamente ad esso. Come sappiamo il regime della concessione è uno strumento usato con grande generalità. Pensiamo ad esempio al porto e all’aeroporto laddove solo pensando al territorio veneziano, ci sono dei “concessionari” privati su infrastrutture statali che dovrebbero gestire il settore secondo evidenti interessi pubblici. Ci si ritrova, per certi versi, in alcuni casi con privati che, pur avendo una “concessione” pubblica dallo Stato, fanno prevalere i loro interessi rispetto a quelli del “concedente”. Quello che auspico, e che ho sempre cercato, è che lo Stato, ma in particolar modo gli enti locali possano esercitare una maggiore forma di controllo».
Insomma, episodi come quello del Consorzio Veneto potrebbe rientrate nella casistica del “mancato controllo”?
«Mi limito ad osservare una situazione generale. E mi accorgo di questa situazione. Come ho cercato di descriverla».
Il blitz della Guardia di Finanza che ha portato all’arresto dell’ex presidente Mazzacurati è da mettere in relazione all’inchiesta legata alla figura di Piergiorgio Baita?
«Non ho alcun elemento per dire nè sì nè no. A leggere le notizie pervenute sulla vicenda di Mazzacurati, mi pare che si metta un po’ in discussione un sistema. Da quello che leggo finora il meccanismo dei “fondi neri” e di creare delle “cartiere” mi pare simile a quello che ha contraddistinto la vicenda Baita. Però sono tutte cose che si debbono provare».
Al centro dell’attenzione c’è ovviamente tutta la vicenda del Mose visto che si stanno ultimando le opere.
«Sono giunte al termine molti passaggi importanti sul Mose, ma manca ancora un miliardo e mezzo di finanziamento per arrivare al completamento dell’opera. Non proprio noccioline, anche se è tutto impostato anche per la sua gestione futura. Ma quello che spetta a noi, oggi più di ieri, è di sollecitare i controlli. Così come abbiamo sempre fatto».
E quindi?
«Torno a ripetere spetta all’autorità concedente vedi il Ministero per le infrastrutture esercitare il proprio controllo, attraverso il Magistrato alle Acque su queste vicende e quindi sulla “concessione” data. Non voglio dire che se il “controllo” fosse affidato al Comune le cose sarebbero andate diversamente, ma credo che se gli enti locali fossero stati obiettivamente maggiormente coinvolti, forse ci sarebbe stata maggiore oculatezza su questi procedimenti»

 

LE REAZIONI DELLA CITTÀ – Fiducia nella magistratura e desiderio di fare chiarezza

Zaccariotto: «Avanti Mose». Bonzio: «Potere condizionante»

Tra i primi rappresentanti politici a commentare a Venezia l’inchiesta in corso sul Consorzio Venezia Nuova, Francesca Zaccariotto, presidente della Provincia: «Meglio non perdersi in giudizi affrettati – spiega – Ma è evidente che le notizie sono gravi, lasciano l’amaro in bocca e fanno male alla politica, al territorio e alle imprese. Mi auguro che il Mose non subisca battute d’arresto». Dello stesso tenore la dichiarazione del suo predecessore Davide Zoggia, parlamentare e responsabile Enti locali del Pd: «Massima fiducia nella Magistratura, si faccia chiarezza al più presto: il Mose è un’opera giunta alla fine, sarebbe il colmo se si fermasse ora». Mentre per Andrea Martella, deputato del Pd, «va da sè che occorre attendere gli sviluppi, capire nel dettaglio quanto è accaduto e accertare ogni responsabilità. Tuttavia, dall’inchiesta emerge il nodo Consorzio Venezia Nuova, in quanto concessionario unico dal potere vastissimo e privo di particolari controlli. Un’anomalia evidenziata più volte e che va superata, nell’interesse di Venezia e dello stesso Mose». Da Ca’ Loredan, a sparare a palle incatenate contro quello che definisce «il meccanismo perverso e all’origine di tutti i mali della concessione unica dei lavori per la salvaguardia fisica di Venezia e della sua laguna» è Beppe Caccia, consigliere della lista In Comune. Che, insieme al superamento di «un meccanismo che ha consegnato a una lobby d’imprese un enorme potere di condizionamento della vita economica e politico-amministrativa della città e della regione», si augura la calendarizzazione di tutte le proposte di legge speciale, e che le indagini «chiariscano una volta per tutte come sono stati impiegati e a chi sono stati dirottati i fondi neri accumulati dal Consorzio e soci». Anche Sebastiano Bonzio della Federazione della sinistra confida che «la Magistratura faccia fino in fondo chiarezza su un sistema che per decenni ha strozzato l’economia veneziana. Una richiesta doverosa per chi, come noi, denuncia da tempo le anomalie di un potere monopolistico che ha condizionato al di fuori delle regole e delle normative economia, vita politica e progettazione urbana. Pretendiamo si esca dalla logica delle opere utili solo per chi le fa. E che, finalmente, si operi per rivoluzionare il sistema costruendone uno alternativo».
Infine, Piero Bortoluzzi, consigliere provinciale e municipale di Fratelli d’Italia. «Non è accettabile – commenta – che si arrivi solo ora alla resa dei conti, con l’opera ormai quasi completata e con milioni di euro in più ormai già sottratti alla collettività per le maggiori spese conseguenza degli illeciti ipotizzati. Solo ora nonostante anni ed anni di dubbi e di richieste di chiarimenti sul regime anomalissimo del Consorzio Venezia Nuova, caso unico in Europa di ente controllante e controllato, progettista e realizzatore!»

Vettor Maria Corsetti

 

IN ATTESA DI NOMINA – Da due mesi e mezzo il posto di presidente è vacante

I MAGISTRATI ALLE ACQUE – D’Alessio: «La turbativa? Lavori spartiti in autonomia»

Il presidente dell’ente in pensione dal 30 aprile si dice «mortificato»

Maria Giovanna Piva: «Ho lasciato Venezia, con la città ho chiuso»

Maria Giovanna Piva è stata per sette anni a capo del Magistrato alle Acque. Fino al 2008, anno in cui le imposero di lasciare la presidenza, destinazione l’Emilia Romagna, in anticipo rispetto alla naturale scadenza del suo contratto. Forse per il fatto che aveva chiesto degli approfondimenti sul tipo di cerniere delle paratoie da utilizzare nel Mose, perchè il progetto approvato definitivamente prevedeva un prototipo realizzato con il meccanismo della fusione, già sperimentato positivamente, mentre il Consorzio Venezia Nuova decise di utilizzare quelle in lamiere saldate, tra l’altro più costose.
Piva da cinque anni è in pensione e ieri mattina è stata informata via sms della vicenda degli arresti, che hanno coinvolto persone con cui ha lavorato fianco a fianco. Ma con fermezza preferisce non commentare, evitando di riaprire una ferita lenta a cicatrizzare. «Per due anni ho fatto fatica a tornare a Venezia, ormai ho chiuso definitivamente la porta di quell’esperienza»
Piva fu sostituita dall’ingegner Patrizio Cuccioletta, ieri irrintracciabile, rimasto in carica dal 2008 al 2011, per pensionamento. Dopo una settimana fu nominato al suo posto l’architetto Ciriaco D’Alessio, che ieri ha accolto la notizia dell’operazione della Finanza con un duplice stato d’animo. «Sono mortificato – ha detto – mi spiace davvero per l’ingegner Mazzacurati, il “padre” del Mose che a breve avrebbe visto il suo completamento. Uno smacco. E sconcertato anche per l’accusa, la turbativa d’asta. In effetti il Consorzio Venezia Nuova, come concessionario unico, si “spartisce” il lavoro autonomamente, non capisco in che cosa consista la turbativa se non per gli appalti più piccoli di fornitura».
E in questo momento la presidenza del Magistrato alle Acque è vacante, dopo il pensionamento, il 30 aprile scorso, di D’Alessio, circostanza peraltro già ampiamente prevedibile. E non c’è memoria di un’assenza così duratura di un incarico con la funzione (anche politica) di controllo, tra l’altro, sull’esecuzione di un’opera pubblica tra le più rilevanti in Italia, che ha già portato un flusso di denaro di quasi 5 miliardi di euro a Venezia. Un problema, quello dell’assenza del “controllore” ancora più evidente in questo frangente. In un ambiente in cui capita che dipendenti del Consorzio Venezia Nuova passino per concorso alle dipendenze del Magistrato alle Acque e quindi la funzione di controllo diventi ancora più impegnativa. Ma la nomina, prerogativa del Capo dello Stato d’intesa con il consiglio dei ministri, non è ancora stata formalizzata.

Raffaella Vittadello

 

ODORE DI TANGENTI – Depositi milionari in Austria grazie alle società cartiere

Nella rete Luciano Boscolo Cucco, l’imprenditore mecenate della città

L’inchiesta che ha scoperchiato il giro di fatture false e appalti pilotati è scaturita da una verifica fiscale fatta nel 2009 alla Coop San Martino

CHIOGGIA – Tra gli imprenditori finiti nei pasticci c’è anche Luciano Boscolo Cucco, titolare della Dragaggi la cui sede si trova a Marghera. La sua flotta di unità specializzate opera su tutto il territorio nazionale ed all’estero. Le sue attività spaziano dal ripascimento delle spiagge ai lavori per la posa degli oleodotti. Oltre che per la sua attività imprenditoriale, Cucco deve la propria notorietà a numerose iniziative filantropiche ed a sostegno della cultura chioggiotta. Nel 2008, sostenne tra l’altro le spese per il trasporto negli Stati Uniti del bragozzo «Teresina», appartenente alla collezione storica del comune di Bellaria Igea Marina. Fu fatto sfilare a New York lungo la Fifth Avenue, in occasione del Columbus Day. La stessa imbarcazione ha, inoltre, partecipato a varie manifestazioni nel Mediterraneo.
Cucco rientra, tra l’altro, nel comitato che organizza ogni anno gli incontri della «Rotta del sale», iniziativa dedicata agli approfondimenti storici sulle attività tradizionali dei salinari dell’Alto Adriatico, cessate all’epoca della caduta della Repubblica di San Marco. Non si contano, infine, le occasioni in cui il titolare della Dragaggi si è reso promotore di borse di studi e restauri d’opere d’arte di notevole valore storico.
Ma in realtà molti dei personaggi coinvolti nell’inchiesta frequentano il mondo che conta di Chioggia e Sottomarina sia a livello politico che sociale, esponenti dei “salotti buoni” della città entrati per ovvie ragioni a contatto con gli amministratori locali. Esemplare, per l’appunto, l’attività del mecenate Boscolo Cucco. (R.Per.)

 

Lavori e milioni in laguna. Così Chioggia finisce nell’occhio del ciclone

Stavolta i fondi neri portano a Chioggia. Già, perché secondo l’inchiesta condotta dalla Guardia di Finanza e coordinata dalla Procura di Venezia, il giro vorticoso di fatture false è generato dalla Cooperativa San Martino, impresa di costruzioni con sede amministrativa in via dei Maestri del Lavoro in località Val da Rio e sede legale a Marghera in via Galvani. Non a caso fra i sette finiti agli arresti domiciliari ci sono i due amministratori di fatto, Mario Boscolo Bacheto, di 68 anni, e Stefano Boscolo Bacheto, di 46 anni, residenti a Sottomarina, il primo in via Giovanni da Verrazzano, il secondo sul Lungomare Adriatico.
E l’inchiesta che poi ha scoperchiato il sistema degli appalti “pilotati” dal Consorzio Venezia Nuova per quanto riguarda le grani opere portuali nasce proprio da una “banale” verifica fiscale alla Coop San Martino datata 2009, quando l’azienda è impegnata nella realizzazione della bocca di porto del Mose a Chioggia. Servono “sassi” e parancole che la Coop acquista in Croazia con tanto di fatture. Gonfiate. O meglio, attive per operazioni inesistenti. Questa la contestazione formulata. Se ad esempio l’importo era cento, di fatto il pagato era ottanta. Uno stratagemma che le Fiamme gialle hanno rendicontato, almeno fino al 2004, per un importo complessivo di oltre sei milioni di euro di “denaro fantasma”.
Di reale c’era solo il conto corrente in Austria dove veniva depositato attraverso due società cartiere, la Istra Impex HgmbH con sede a Villach consistente in un mero ufficio e la Corina di Mestre ora in liquidazione. E i viaggi che ogni tanto i Boscolo – stando a quanto emerso – effettuavano oltre il confine di Tarvisio per prelevare il contante. A chi lo portavano? A chi serviva? Sono domande per il momento ancora senza risposta e che comunque fanno ipotizzare anche l’«opzione tangenti». A inchiodare i vertici della Coop San Martino la chiavetta Usb affidata alla segretaria trovata dai militari del colonnello Renzo Nisi contenente file dettagliati di tutta la “contabilità parallela”.
Sembra la fotocopia dell’inchiesta che lo scorso marzo ha portato in cella l’allora presidente della Mantovani Spa Piergiorgio Baita e sodali sempre per “evasione fiscale”: lo schema applicato era lo stesso. E la strada portava sempre all’estero, in quel di San Marino. E compariva anche Cvn. E il Mose: «Meno male che lo costruiamo sott’acqua» ebbe a dire Baita, così sassi e palancole non si contano…
In un intreccio di collegamenti più o meno carsici che i finanzieri stanno facendo emergere con una sorta di manovra a tenaglia, avanzando e attaccando su più fronti. Per condannare una volta per tutte il “modello Venezia”, illegale e sfrontato tanto nei metodi quanto nell’ideazione, nell’ambito dell’aggiudicazione dei lavori per le grandi opere pubbliche. Adombrando pastoie fra imprese e politica che prima o poi verranno delineate nei profili e nelle responsabilità. Penali e morali. A rimetterci in primis sono sempre e in ogni caso i cittadini. Meglio non dimenticarlo.

 

LE AZIENDE COINVOLTE – Specializzate in edilizia e nei lavori marittimi

LE IMPRESE – S. Martino, Lmd, Zeta, Somit, Boscolo Menela Clodiense, Nautilus

OBBLIGO DI DIMORA – Il provvedimento ha colpito sette persone dell’ambiente

L’INCHIESTA DI MARZO – La Dragaggi srl già indagata per i lavori a Pescara

Nel marzo scorso un’inchiesta condotta dalla Guardia di Finanza dell’Aquila aveva portato alla luce un giro di appalti pilotati e un giro d’affari milionario per i lavori nel porto canale di Pescara, che vedeva ditte veneziane in prima fila. L’inchiesta era partita un paio di anni prima, quando la draga Gino Cucco della Dragaggi srl con sede a Marghera era stata sequestrata dai carabinieri. La gara d’appalto l’aveva vinta un’altra la Francesco Gregolin di Cavallino Treporti. Tra gli arrestati Giuseppe Biscontin, 65 anni, muranese, ex dirigente del Magistrato alle Acque e consulente della Dragaggi srl di Luciano Boscolo Cucco. I titolari delle due aziende erano stati interdetti per due anni dall’attività. Secondo i finanzieri ci sarebbe stato un cartello di partecipazione all’appalto per favorire la Dragaggi. In una mail tra l’amministratore unico della Dragaggi e Giuseppe Biscontin si accertava che, prima della formalizzazione della procedura concorsuale, la stessa società conosceva sia i nomi di tutti i partecipanti che le percentuali di ribasso che avrebbero offerto. Nell’inchiesta è indagato anche l’ex commissario per il dragaggio del porto, dimessosi nel 2012, e presidente della Provincia di Pescara, Guerino Testa.

 

Da “sabionanti” a re del cemento

L’inchiesta della Finanza coinvolge imprenditori di spicco in città: ecco chi sono

Chioggia trema. Gli arresti domiciliari e gli obblighi di dimora decisi dalla Magistratura a carico di 11 imprenditori e professionisti di Sottomarina, sospettati d’aver in qualche modo orchestrato l’attribuzione degli appalti del consorzio Venezia nuova, mette a dura prova la credibilità di alcune tra le più affermate aziende specializzate nei lavori marittimi e nell’edilizia generale. Si tratta della Lavori marittimi e dragaggi, della Cooperativa San Martino, della Nuova Coedmar, della Zeta, della Clodiense opere Marittime, della Nautilus e della Sergio Menela e figli.
L’inchiesta condotta dalla Guardia di Finanza sugli appalti del Consorzio parrebbe, dunque, aver concentrato le attenzioni sulle quasi totalità delle società impegnate nei lavori del Mose e delle opere ad esso complementari. I nomi dei chioggiotti sottoposti agli arresti domiciliari, in città, sono notissimi: Roberto Boscolo Anzoletti (rappresentante legale della Lavori marittimi e dragaggi); Mario e Stefano Boscolo Bacheto, amministratori di fatto della San Martino; Gianfranco Flavio Boscolo Contadin. Sono stati invece destinatari dell’obbligo di dimora: Valentina Boscolo Zemello, rappresentante legale della Zeta; Antonio Scuttari, rappresentante legale della Clodiense opere marittime; Carlo Tiozzo Brasiola, rappresentante legale della Somit; Luciano Boscolo Cucco, rappresentante legale de La Dragaggi; Dimitri Tiozzo, rappresentante legale della Tiozzo Gianfranco; Juri Barbugian, rappresentante legale della Nautilus; Erminio Boscolo Menela, rappresentante legale della Sergio Boscolo Menela e figli.
Non v’è dubbio che si tratti degli esponenti di maggior spicco di un mondo imprenditoriale che spiccò il volo a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, per iniziativa di un certo numero di cavatori fluviali particolarmente intraprendenti. A Sottomarina, erano definiti “i sabionanti”. Essi risalivano il corso dei fiumi con i loro burchi muniti di benna per poter, appunto, prelevare la sabbia d’acqua dolce destinata all’edilizia che, all’epoca, era in pieno “boom”. Entrati in contatto con i costruttori più affermati, i “sabionanti” non tardarono a comprendere che loro stessi li avrebbero potuti emulare e battere, almeno nel particolare ambito delle opere fluviomarittime. La loro grande occasione arrivò con la costituzione del Consorzio Venezia Nuova, monopolista pubblico-privato dei lavori per la realizzazione delle paratoie alle bocche di porto e della miriade di opere ad esse complementari: scogliere, consolidamento della banchine, scavi portuali, opere idrauliche pubbliche e così via. Estremamente lungimiranti, gli eredi degli umili cavatori compresero ben presto che il futuro delle proprie aziende sarebbe dipeso dalla preparazione tecnica e culturale di chi le avrebbe dovute rappresentare sul mercato generale. Sta di fatto che, attualmente, esse sono tutte gestite da personaggi in grado di trattare a tutto campo tanto con i privati quanto con gli amministratori pubblici di maggior livello.
Va da sè che, nel corso degli ultimi decenni, i contatti tra i responsabili di tali aziende ed il mondo della politica siano fatti sempre più stretti e frequenti. Raggiunti traguardi qualitativi invidiabili, gli eredi dei “sabionanti” operano attualmente a livello internazionale, ottenendo grandi appalti non solamente in Europa. Nel frattempo, il loro impatto sull’economia del Clodiense è divenuto rilevantissimo anche in virtù dell’indotto generato dalle attività principali. Esso spazia dalla cantieristica, ai trasporti, alla portualità ed alle forniture di materiali per le costruzioni.

 

 

L’uomo delle dighe chiamato il sindaco occulto di Venezia

Lo hanno chiamato “il padre del Mose”. In ufficio per tutti era “L’ingegnere”. Lui, Giovanni Mazzacurati, 81 anni, toscano di Pisa, “è stato” il Consorzio Venezia Nuova.

INTERCETTAZIONI   «La torta da spartire fra i pollastrelli» «Qui si va in galera»

L’INCHIESTA – Appalti con il trucco. Bufera sul Consorzio Venezia Nuova. L’ex presidente, dimessosi lo scorso 28 giugno, Giovanni Mazzacurati, 81 anni, è finito agli domiciliari.

LE MISURE – Sette ordini di custodia ai domiciliari e altrettanti obblighi di dimora. Un centinaio di indagati. Blitz all’alba: 500 finanzieri impegnati in 140 perquisizioni.

L’INCHIESTA – Appalti con il trucco. Bufera sul Consorzio Venezia Nuova. L’ex presidente, dimessosi lo scorso 28 giugno, Giovanni Mazzacurati, 81 anni, è finito agli domiciliari.

LE MISURE – Sette ordini di custodia ai domiciliari e altrettanti obblighi di dimora. Un centinaio di indagati. Blitz all’alba: 500 finanzieri impegnati in 140 perquisizioni.

La torta da spartirsi è di quasi 12 milioni e mezzo di euro. Ma stavolta la fetta più grossa la vogliono le imprese più piccole, i pollastrelli, come le definisce Franco Morbiolo, rappresentante legale, direttore tecnico e presidente del Cda del Coveco, società consorziata nel Venezia Nuova.
Non sa di essere intercettato dalla Guardia di Finanza quando parla nel suo ufficio con Mario Boscolo Bacheto, della Coop San Martino, e anche al telefono con Pio Savioli, consigliere del Consorzio Venezia Nuova, il 24 giugno 2011, a due giorni dalla scadenza del termine della presentazione delle offerte per la gara d’appalto – la “torta” – indetta dall’Autorità portuale di Venezia per il “Completamento dello scavo dei canali portuali di grande navigazione sino alla quota prevista da Prp e conferimento dei sedimenti dragati” in tre stralci distinti. Morbiolo non nasconde la sua netta contrarietà alla decisione di Giovanni Mazzacurati, dominus indiscusso del Consorzio, che ha potere assoluto nell’aggiudicare i lavori, di “tacitare” le aziende minori che erano andate a lamentarsi direttamente da lui, assicurando loro raggruppate in Ati, la vincita. Escludendo per stavolta, come si evince dall’ordinanza firmata dal gip Alberto Scaramuzza, la creme de la creme – la definizione è sempre di Morbiolo – ovvero i leoni, Mantovani Spa di Baita, Nuova Coedmar di Gianfranco Boscolo Contadin detto Flavio e Coop San Martino di Mario Boscolo Bacheto cui nell’ordine sarebbero spettate le quote del 50% e del 25%. Era stato lo stesso Mazzacurati a impartire l’ordine ai tre “colossi” di astenersi evidenziando quindi, come sottolinea più volte lo stesso giudice, il ruolo di deus ex machina dell’allora presidente di Cvm. Non tollerando alcuna, come dire, indisciplina.
M. a S.: Mario (ndr Boscolo) è venuto qua, prima ha parlato dell’autorità portuale no? e allora dice “ti cosa pensi..” io cosa vuoi che ne pensi… io gli ho detto: le cose fatte così non vanno bene. Perché chi guarda esternamente la roba qua e sa leggere vede che c’è un inciucio. Allora ho detto: io non so ho detto, però finora le gare che ha fatto l’autorità portuale sono andate via dal 48 al 57% di ribasso e hanno sempre partecipato tutti perché il mercato è quello che è. Quindi tutti le imprese hanno partecipato e tiriamo una linea. Oggi in queste tre gare che sono 15 e 12 milioni…
S.: 12
M.: Cosa succede? Che vedono che spariscono… che sparisce la creme de la creme delle imprese vere. Vedono che rimane soltanto dei pollastrelli … lui (ndr Mario Boscolo) mi ha detto ” quel numero lì…” io pensavo col 20, vincono con l’8-10% di ribasso
La conversazione continua.
M.: Si va in galera
S.: Ah io parlo con Mazzacurati e faccio un casino bestiale!!!
M. Qua si va in galera
S.: Federico (ndr (Sutto, uomo di fiducia di Mazzacurati) è un cretino…
Poi succede quello che non deve succedere. Morbiolo non si allinea e decide sul filo di lana di partecipare alla gara nonostante il veto di Mazzacurati che si arrabbia. Moltissimo. È il 27 giugno quando telefona a Savioli
Mazzacurati: Pio è successo un casino e là il Coveco ha fatto l’offerta su quella gara…
S.: Va bè questo l’ho saputo me l’ha detto Federico (ndr Sutto) ieri
M.: E ho capito ma si era… si era impegnati ad agire in un certo modo, è la solita storia…
S.: No scusa Giovanni a me non era stato detto. Io dovevo fare…
M.: Te l’ho detto… te l’ho detto
S. Io dovevo fare una cosa che ho fatto
M.: Te l’ho detto anch’io te l’ho detto
S.: Sì mi avevi detto della San Martino, comunque…
M.: No va bene è la stessa cosa roba dai!
S.: E no il fatto
M.: (ndr alzando notevolmente il tono della voce) Va bene Pio. Adesso Pio
S.:: Bisogna che ne parliamo a voce lunedì
M.:: Benissimo! Hai fatto un trucco e mi vuoi anche far passare per scemo! La trovo una roba inaudita!
S.: Ma neanche per sbaglio Giovanni!
M::: Hai Capito! La trovo… Mi crea un problema gigantesco per niente! Quattro minuti prima della chiusura… Ma dimmi che razza…
S.: Ma non è così!
M.: Che razza di truffanti che ci sono!!!
S.: Non è così!!!
M.: Erano… come non è così??? E così!
S.:: Va bene Giovanni
M.: Va bene
S.: Ne parlimo e te lo spiegherò
M.: No!No! Non ne parliamo neanche!!! Non credo che ne parlerò più io! Ciao ciao.
E butta giù il telefono.
Un’intercettazione fondamentale scrive il gip perché indicativa della predominanza del Cvn e della reazione violenta di Mazzacurati nei confronti di chi disubbidisce ai suoi ordini.

Monica Andolfatto

 

 

 

BLITZ ALL’ALBA Per altri sette l’obbligo di dimora. Cento indagati. Perquisizioni in tutt’Italia

Tempesta sul Mose, 7 arresti

Ai domiciliari Mazzacurati, ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, per turbativa d’asta

“VENEZIA NUOVA” nella bufera

LE CONFERME DALLE INTERCETTAZIONI – L’”ingegnere” padre-padrone influenzava ogni vicenda

Ai domiciliari l’ex presidente Giovanni Mazzacurati, il consigliere Pio Savioli, l’ex dirigente Federico Sutto e quattro imprenditori di Chioggia

BLITZ DELLA FINANZA – Eseguite 140 perquisizioni in Veneto e Friuli. Un centinaio gli indagati

«Noi estranei, il Mose non c’entra»

Il direttore Redi: «Quei lavori erano stati appaltati dall’Autorità portuale»

Aste e appalti truccati. Retata al Consorzio

Un fulmine a ciel sereno. Mauro Fabris, neopresidente del Consorzio Venezia Nuova, dopo 31 anni di “governo” Mazzacurati, è imbarazzato: «Avevo appena convocato per mercoledì prossimo il direttivo del Consorzio per fare il punto della situazione dopo aver chiesto ai dirigenti di relazionare sullo “stato di fatto” di tutti gli impegni del nostro ente. Ora siamo qui a prender atto di una situazione inaspettata».
Anche se Fabris dichiara la propria disponibilità a collaborare con la magistratura, il “colpo allo stomaco” è stato pesantissimo. Ieri nella nuova sede del Consorzio all’Arsenale, c’era smarrimento e preoccupazione tra i dipendenti. Non capita tutti i giorni vedere i finanzieri negli uffici e il personale costretto a restare all’esterno. «Posso comunque ribadire – spiega Fabris – che non vi è alcun problema per il Mose. I fondi sono stati già stabiliti e quindi non vi è nulla da temere».
Il Consorzio è un “gigante” sorto nel 1987 per “concessione” dello Stato che affidava ad un gruppo di imprese le opere per la salvaguardia di Venezia. Attualmente ha 131 dipendenti, ma è soprattutto l’indotto d’appalto a contare. Nei quattro cantieri aperti alle bocche di porto della laguna sono impiegate all’incirca 5mila persone. Una situazione delicata sintetizzata anche dalla nota del direttore generale, Hermes Redi: «Il Consorzio intende sottolineare che le eventuali turbative d’asta non riguardano i lavori del Mose. Al riguardo, atteso lo stato delle indagini, può solo affermarsi che il Consorzio è estraneo alle condotte contestate relativamente alla presunta turbativa di incanti pubblici riferita ad una gara d’appalto indetta dall’Autorità portuale di Venezia. Le eventuali condotte non sono riferibili all’assegnazione dei lavori del Mose, assentiti al Consorzio Venezia Nuova sin dal 1985 e avviati nel 2003. In ordine a presunti coinvolgimenti relativi ad attività del Consorzio, peraltro del tutto marginali, estranee al Mose in cui sembrano coinvolti taluni consulenti e dipendenti del Consorzio, di livello impiegatizio, l’ipotesi accusatoria sarà valutata al fine di verificare i comportamenti personali mantenuti dal personale coinvolto». Insomma Redi prende le distanze segnando una sorta di “discontinuità” con il passato. «Il Consorzio Venezia, pur con l’auspicio che l’ex presidente ingegner Giovanni Mazzacurati, il componente del consiglio direttivo, Pio Savioli, l’ex dirigente Federico Sutto e i dipendenti coinvolti comprovino la loro estraneità ai fatti, si riserva ogni valutazione anche al fine di tutelare la propria posizione avverso eventuali comportamenti che possano comprometterne l’immagine e le attività in corso». Come dire, se qualcuno ha sbagliato, il Consorzio farà valere la propria immagine.

 

L’INCHIESTA – È stato contestato il reato di turbativa, con obbligo di dimora per altre 7 persone

Questa volta il bersaglio grosso è il Consorzio Venezia Nuova. Lo storico presidente e direttore generale dimessosi lo scorso 28 giugno, Giovanni Mazzacurati, 81 anni, è finito agli arresti domiciliari insieme ad altre sei persone (altre sette hanno l’obbligo di dimora) in seguito ad un’inchiesta sulla turbativa d’asta in merito ad aziende collegate ai lavori del Mose, il progetto per la difesa di Venezia dall’acqua alta. Si tratta del secondo affondo della Procura dopo l’arresto, nei mesi scorsi, di Piergiorgio Baita, l’ex presidente della Mantovani. In questo caso si tratta di accertamenti che hanno tratto spunto da una verifica amministrativa su una delle tante aziende impegnate negli interventi di salvaguardia, la Cooperativa San Martino scarl di Chioggia. Nel 2009 i finanzieri della tributaria lagunare, coordinati dal colonnello Renzo Nisi, hanno scoperto che questa società aveva dato vita ad una serie di operazioni e fatturazioni fittizie collegate all’acquisto di palancole e di sassi da annegamento provenienti da una società croata. Avendo notato che alcuni costi erano lievitati a dismisura, i finanzieri hanno scoperto una società in Austria dove venivano creati i fondi neri poi messi a disposizione della Cooperativa. La scelta dell’Austria non è casuale visto che quello, in gergo, viene definito un “paradiso bancario”. Da questo primo nucleo di partenza, relativo ad un frode di oltre cinque milioni di euro per operazioni inesistenti sistemate in una contabilità parallela, la Finanza ha poi messo sotto i riflettori anche altre aziende che lavoravano per il Consorzio. È saltato fuori che alcuni appalti per il Mose funzionavano in modo arbitrario.
Emblematico il caso di un bando per lo scavo dei canali per conto dell’Autorità portuale, suddiviso in tre stralci per un totale di quasi 15 milioni. Ad attirare l’attenzione degli inquirenti è il fatto che generalmente i ribassi si attestano fino al 46 per cento, in questi casi si arriva solo attorno al 10. Con un evidente danno per lo Stato, per più episodi, anche fino a 100 milioni. «Durante i controlli che hanno visto l’impiego di 500 uomini – hanno spiegato i finanzieri – abbiamo accertato che il Consorzio può gestire, dirigere e quindi anche scegliere le società che poi dovranno fare i lavori». Per questo appalto un soggetto, uscito da questa sorta di “patto”, presenta all’ultimo minuto una proposta vincente che scatena le ire delle altre imprese. «In questo caso – ha spiegato il colonnello Nisi – la Coveco ha vinto, ma subito dopo il Consorzio ha disposto che doveva assolutamente far lavorare anche gli altri soggetti esclusi». Da qui l’indagini del pm Tonini che ipotizza la turbativa d’asta. Le intercettazioni non fanno che confermare un quadro dove, come hanno spiegato gli investigatori, Mazzacurati agiva da “padre padrone” capace di influenzare ogni vicenda.
Agli arresti domiciliari sono finiti anche Pio Savioli, consigliere del Consorzio Venezia Nuova; Federico Sutto, dipendente del Consorzio Venezia Nuova ex socialista legato in passato a Gianni De Michelis; Roberto Boscolo Anzoletti, rappresentante legale della Lavori Marittimi e Dragaggi Spa; Mario Boscolo Bacheto, amministratore di fatto della Cooperativa San Martino; Stefano Boscolo Bacheto, amministratore di fatto della Cooperativa San Martino e Gianfranco Boscolo Contadin (detto Flavio), direttore tecnico della Nuova Co.ed.mar.
L’obbligo di dimora è invece scattato per Valentina Boscolo Zemello, rappresentante legale della Zeta Srl; Antonio Scuttari, rappresentante legale della Clodiense Opere Marittime; Carlo Tiozzo Brasiola, rappresentante legale della Somit Srl; Luciano Boscolo Cucco, rappresentante legale de La Dragaggi Srl; Dimitri Tiozzo della Tiozzo Gianfranco Srl; Juri Barbugian della Nautilus Srl; Erminio Boscolo Menela della Boscolo Sergio Menela. Eseguite 140 perquisizioni, soprattutto nel Veneziano, ma anche a Padova, Treviso e Pordenone. Un centinaio gli indagati.
Secca replica dei difensori di Mazzacurati, gli avvocati Alfredo Biagini e Giovan Battista Muscari Tomaioli. «Il Mose non c’entra, si tratta di un appalto per il porto di Venezia».

Gianpaolo Bonzio

 

AZIONI LEGALI  «Ci tuteleremo per danni alla nostra immagine»

GIOVANNI MAZZACURATI  «Noi si era impegnati ad agire in un certo modo, invece è successo un casino è la solita storia…»

PIO SAVIOLI   «Sì, questo l’ho saputo da Federico, a me non era stato detto, io dovevo fare una cosa che ho fatto»

LA RICOSTRUZIONE – Una società austriaca creava “fondi neri” per la Coop S. Martino

Un fulmine a ciel sereno. Mauro Fabris, neopresidente del Consorzio Venezia Nuova, dopo 31 anni di “governo” Mazzacurati, è imbarazzato: «Avevo appena convocato per mercoledì prossimo il direttivo del Consorzio per fare il punto della situazione dopo aver chiesto ai dirigenti di relazionare sullo “stato di fatto” di tutti gli impegni del nostro ente. Ora siamo qui a prender atto di una situazione inaspettata».
Anche se Fabris dichiara la propria disponibilità a collaborare con la magistratura, il “colpo allo stomaco” è stato pesantissimo. Ieri nella nuova sede del Consorzio all’Arsenale, c’era smarrimento e preoccupazione tra i dipendenti. Non capita tutti i giorni vedere i finanzieri negli uffici e il personale costretto a restare all’esterno. «Posso comunque ribadire – spiega Fabris – che non vi è alcun problema per il Mose. I fondi sono stati già stabiliti e quindi non vi è nulla da temere».
Il Consorzio è un “gigante” sorto nel 1987 per “concessione” dello Stato che affidava ad un gruppo di imprese le opere per la salvaguardia di Venezia. Attualmente ha 131 dipendenti, ma è soprattutto l’indotto d’appalto a contare. Nei quattro cantieri aperti alle bocche di porto della laguna sono impiegate all’incirca 5mila persone. Una situazione delicata sintetizzata anche dalla nota del direttore generale, Hermes Redi: «Il Consorzio intende sottolineare che le eventuali turbative d’asta non riguardano i lavori del Mose. Al riguardo, atteso lo stato delle indagini, può solo affermarsi che il Consorzio è estraneo alle condotte contestate relativamente alla presunta turbativa di incanti pubblici riferita ad una gara d’appalto indetta dall’Autorità portuale di Venezia. Le eventuali condotte non sono riferibili all’assegnazione dei lavori del Mose, assentiti al Consorzio Venezia Nuova sin dal 1985 e avviati nel 2003. In ordine a presunti coinvolgimenti relativi ad attività del Consorzio, peraltro del tutto marginali, estranee al Mose in cui sembrano coinvolti taluni consulenti e dipendenti del Consorzio, di livello impiegatizio, l’ipotesi accusatoria sarà valutata al fine di verificare i comportamenti personali mantenuti dal personale coinvolto». Insomma Redi prende le distanze segnando una sorta di “discontinuità” con il passato. «Il Consorzio Venezia, pur con l’auspicio che l’ex presidente ingegner Giovanni Mazzacurati, il componente del consiglio direttivo, Pio Savioli, l’ex dirigente Federico Sutto e i dipendenti coinvolti comprovino la loro estraneità ai fatti, si riserva ogni valutazione anche al fine di tutelare la propria posizione avverso eventuali comportamenti che possano comprometterne l’immagine e le attività in corso». Come dire, se qualcuno ha sbagliato, il Consorzio farà valere la propria immagine.

 

TECNOLOGIE – Cimici in uffici e nelle auto hanno svelato il “sistema”

Intercettazioni telefoniche e ambientali per delineare un “sistema”. I finanzieri hanno ascoltato l’utenza di casa della segretaria della Coop San Martino, il cellulare di Pio Savioli che oltre a essere consigliere di Cvn aveva un rapporto di collaborazione con Coveco, il cellulare di Giovanni Mazzacurati allora presidente di Cvn, il cellulare di Piergiorgio Scuttari della F.lli Scuttari Benito. Mentre le cimici sono state messe nell’auto di Savioli, nell’ufficio di presidenza di Coveco a Marghera utilizzato solo da Franco Morbiolo, in un altro ufficio Coveco utilizzato solo da Savioli, e nell’auto di Stefano Tomarelli consigliere Cvn destinatario di fondi da parte di Coop San Martino.

 

INTERCETTAZIONI – Le conversazioni al telefono di presidente e imprenditori avvalorano la tesi investigativa dell’accordo per controllare le assegnazioni

«Hai barato e mi fai scemo…»

«Il Coveco ha presentato l’offerta quattro minuti prima della chiusura»

Per l’imprenditore si profila l’accordo di patteggiare la pena di 22 mesi

Il suo grande sogno: realizzare le dighe mobili per salvare la città più bella dall’alta marea e dalla forza del mare

IL PERSONAGGIO – L’ingegner Mazzacurati ha legato vita e carriera all’opera di salvaguardia

INCHIESTE PARALLELE Il gip: «Si è già dimesso dagli incarichi e ha iniziato un rapporto di collaborazione con l’autorità giudiziaria»

Respinta la richiesta di arrestare anche Piergiorgio Baita

La Guardia di finanza ha spiegato che quest’inchiesta non ha collegamenti particolari con quella che ha interessato qualche mese fa l’ex presidente della società di costruzioni Mantovani, Piergiorgio Baita.
Ma è del tutto evidente che parlare delle opere del Consorzio Venezia Nuova e andare a riguardare gli appalti del Mose, porta inevitabilmente ad incrociare l’imprenditore di Mogliano che lo scorso 14 giugno è uscito dal carcere di Belluno dopo tre mesi e mezzo di detenzione. E così si scopre che il pubblico ministero Tonini aveva anche chiesto una misura cautelare per lo stesso Baita. Una richiesta però respinta.
Secondo quanto afferma il gip lagunare, «l’indagato Baita non ricopre più alcun incarico poichè a seguito di altre vicende processuali, distinte anche se connesse a queste per le quali lo stesso si trova agli arresti domiciliari, il medesimo si è già dimesso da tutti gli incarichi, iniziando un rapporto di collaborazione con l’autorità giudiziaria. Per questo, per l’assenza dei ruoli idonei e per gli atteggiamenti processuali non è configurabile alcuna esigenza cautelare».
E quindi, controllando le date, si può notare che sia la scarcerazione di Baita sia la chiusura delle indagini e la richiesta di questi arresti domiciliari, la distanza è davvero breve.
Non è un caso che dopo la scarcerazione di Baita tutti si aspettavano una nuova offensiva dalla magistratura. A far tremare più di qualcuno, in tutto il Veneto ma non solo (le indagini della Finanza si sono sviluppate anche in Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana Lazio e Campania) probabilmente sono state le dichiarazioni fatte da Baita in queste ultime settimane.
L’imprenditore, accusato di associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale e difeso dall’avvocato Alessandro Rampinelli, nell’ultimo confronto con il pm Stefano Ancilotto aveva parlato per oltre tre ore. E in quella circostanza, a quanto pare, avrebbe fornito un quadro generale del funzionamento del mondo degli appalti e della presenza di un sistema di pagamento di “mazzette”.
A questo punto anche la sua posizione sembra arrivata ad una svolta. Qualche giorno fa, infatti, la Procura di Venezia e la difesa avrebbero trovato un accordo per un patteggiamento complessivo di 22 mesi. Ora la parola passa al giudice.

Gianpaolo Bonzio

 

Il “padre” del Mose è stato sommerso dalla piena giudiziaria

Il simbolo, l’uomo da attaccare, il dirigente con il quale condividere le scelte legate alla salvaguardia di Venezia. Sposato, un figlio Carlo, regista apprezzato, è sempre stato un uomo in disparte. Schivo, lontano dalle telecamere e dal circo Barnum dell’informazione, ma cortese, disponibile. Cattolico praticante, per molti anni è stato Procuratore di San Marco e anche presidente dello Studium Marcianum, la “creatura” fondata dal cardinale Angelo Scola quando era Patriarca di Venezia. Dal 2006 è anche al vertice della Fondazione Banca degli Occhi.
Mazzacurati ha trascorso la sua vita per il Mose. L’ha sognato, lo ha realizzato, lo ha amato. Lo ha soprattutto difeso contro tutti i detrattori. A destra e a sinistra. Con un unico obiettivo: realizzare un’opera unica al mondo per salvare la città più bella del globo. E ovviamente passare alla storia come l’ingegnere che, dopo aver ipotizzato le “dighe mobile”, sarebbe riuscito a realizzarle per bloccare la forza del mare. Un personaggio a tutto tondo capace di giudizi pesanti come quando all’ex sindaco Massimo Cacciari disse che “ormai si era ridotto ad un soprammobile” dopo l’ennesima polemica sul Mose fino a negare veementemente in tutti i modi – e di fronte ai giornalisti – di non essere “il sindaco occulto” di Venezia. Ma uomo di potere certamente sì.
Mazzacurati nato nel 1932 all’ombra della “Torre Pendente”, si è laureato in Ingegneria Idraulica all’università di Padova. Dal 1955 al 1959 lavora nell’azienda di famiglia realizzando opere di difesa costiera nel delta del Po e di bonifica in Sardegna. Dal 1959 al 1983 è direttore del gruppo di costruzioni “Furlanis” di Portogruaro – vero e proprio modello veneto di sviluppo, si diceva una volta – una delle grandi potenze di settore. Qui tra i suoi dipendenti c’è anche quel Piergiorgio Baita che poi per molti anni a venire sarà al suo fianco al Consorzio Venezia Nuova come titolare di un’azienda, la Mantovani, finita in questi mesi nell’occhio del ciclone per frode fiscale.
E negli anni per la “Furlanis”, Mazzacurati realizza grandi opere (centrali termoelettriche, tratte autostradali e provinciali, opere aeroportuali e marittime ed idrauliche tra le quali una grandissima diga a Bakalori in Nigeria con relative bonifiche). Insomma, un manager di tutto rispetto. Poi agli inizi degli anni Ottanta il grande balzo, l’arrivo alla direzione del Consorzio Venezia Nuova. Il “gioiello” o il “buco nero” – a seconda dei punti di vista – che favorirà e opererà per un’opera faraonica come quella del Modulo Sperimentale Elettromeccanico, il Mose. E qui, tra le mura del nuovo ente che riunisce le imprese che puntano a lavorare per la salvaguardia di Venezia, si muove come un leone. Difende a spada tratta il progetto, la sua immedesimazione è totale. È il perno sul quale gira il sistema di costruzione dell’opera. È altresì l’«elemento di continuità», come lo definiscono i giornali nel corso di quest’ultimo ventennio per lo sviluppo del progetto. Prima lavora come direttore dell’ente dal 1983 vedendo transitare davanti a sè fior fiore di presidenti mandati in laguna dallo Stato, Luigi Zanda, Franco Carraro, Paolo Savona, tutti “grand commis” di Stato, ma con un piede più a Roma che a Venezia. Poi nel 2005 diventa presidente del Consorzio.
Qui, nella Serenissima, c’è solo lui. Transitano nei suoi uffici presidenti della Repubblica, governatori di regione, uomini politici, parlamentari, ministri. Mazzacurati è l’unico “bastione” a difesa del Mose, delle cerniere, delle paratie mobili, dei lavori alle bocche di porto. Insomma, un “grande vecchio” che a poco a poco vede nascere, sviluppare, crescere la sua opera. E poi, infine, la svolta del giugno scorso dove un lapidario comunicato partorito dal “suo” Consorzio racconta le sue dimissioni per motivi di salute. Tutto vero per un uomo che soffre di cuore. «Lascio sapendo che il lavoro ormai è vicino alla conclusione. Il 90 per cento è terminato e abbiamo portato a termine una serie di opere. Ci sono voluti 31 anni, costellati di alti e bassi, ma possiamo dire che vediamo la fine dell’opera per la quale è stato costruito il Consorzio». Quasi un testamento.

Paolo Navarro Dina

 

 

L’EX SINDACO «È un’operazione da sei miliardi…»

LA MORALE – Bottacin: l’assenza di concorrenza è un danno per tutti

L’ACCUSA   «Un enorme potere è stato consegnato a una lobby di imprese»  Beppe Caccia consigliere comunale

LE REAZIONI – Il sindaco di Venezia: si dovevano coinvolgere gli enti locali

Orsoni: è mancato il controllo

Cacciari: la logica del “concessionario unico” porta a questi risultati. «L’ho denunciato dall’inizio, nessuno mi ascoltò. Tutti i governi, di destra e sinistra, erano favorevoli»

Del Mose è stato il principale oppositore. Il professor Massimo Cacciari, sindaco di Venezia negli anni in cui la politica – veneta e italiana – prese insieme le decisioni definitive sulle opere per la salvaguardia di Venezia e sul soggetto che avrebbe dovuto realizzarle, oggi può serenamente allargare le braccia di fronte all’inchiesta che investe l’ex presidente del Consorzio e i meccanismi d’affidamento delle opere: «Tutti i governi, di destra e di sinistra, indistintamente, si sono sempre schierati a favore di questa opera. Nessuno mi ha ascoltato. Il Mose è un’operazione da sei miliardi di euro, e questo dice tutto».
Lei non lo voleva.
«Io sono uso pensare che anche i miei avversari siano persone in perfetta buona fede, e del tutto onesti. Io mi opponevo al Consorzio e al Mose per ragioni tecniche ed economiche. Ora lo scenario è completamente cambiato, e ci penserà la magistratura».
Lei era contrario non solo alle opere, ma anche al meccanismo che è stato messo in piedi per realizzarle.
«Io sottolineo le responsabilità politiche e mediatiche dei molti che furono pancia a terra favorevoli all’opera. Perché un’opera con un concessionario unico e che concentrava su un’unica cosa tutto il problema della salvaguardia di Venezia, bè era il grembo fecondo ideale anche per operazioni come quelle sulle quali adesso sta indagando la magistratura. Sia chiaro, io non so nulla della materia che riguarda l’inchiesta e non mi interessa. Io questo so, che tutta la procedura del Mose era viziata ab origine, che ab origine io la denunciai con pochissimi altri».
Allora lei insisteva per soluzioni alternative.
«Ci sono due tremila pagine, abbiamo fatto indagini inchieste seminari, abbiamo pubblicato volumi su volumi, ci sono questioni di carattere tecnico ed economico che riguardano tutto il problema della salvaguardia e l’utilità del Mose e sì, anche eventuali soluzioni alternative».
Ma lei era anche contrario al meccanismo scelto per affidare le opere, un’eccezione al normale funzionamento della concorrenza e del mercato.
Ma certo che ero contrario: è evidente, la logica del concessionario unico e dell’unica grande opera è l’humus più favorevole per ogni pratica monopolistica. Dopo di che io mi auguro che la magistratura non trovi nulla e che l’opera possa realizzarsi al più presto. Quando giunsi alla fine della mia battaglia, con Prodi presidente del Consiglio, immediatamente dopo aver votato contro nel Comitato interministeriale, dichiarai che da quel momento io cessavo ogni forma di opposizione perché in democrazia si discute ma poi si deve anche decidere e quindi mi auguravo a quel punto che l’opera potesse concludersi nei tempi previsti, che mi pare fossero il 2013-2014».

 

IL GOVERNATORE – Zaia: spero che si faccia chiarezza nel più breve tempo possibile

Giorgio Orsoni, seppure come sindaco, esprime un parere da avvocato amministrativista sull’inchiesta che ha travolto il Consorzio Venezia Nuova. «Ho sempre detto – dice il primo cittadino di Venezia – che il sistema dei concessionari unici è un sistema molto delicato e che può avere un senso. E questo può averlo in determinate situazioni. Ma c’è anche bisogno che ci sia un’amministrazione “concedente” la concessione che abbia, e sappia esercitare, un controllo reale e soprattutto efficiente». Per Orsoni «lo strumento usato con grande generalità. Ci si ritrova, in alcuni casi con privati che, pur avendo una “concessione” pubblica dallo Stato, fanno prevalere i loro interessi rispetto a quelli del “concedente”. Quello che auspico, e che ho sempre cercato, è che lo Stato, ma in particolar modo gli enti locali possano esercitare una maggiore forma di controllo». Orsoni non vuole dire «che se il “controllo” fosse affidato al Comune le cose sarebbero andate diversamente, ma credo che se gli enti locali fossero stati obiettivamente maggiormente coinvolti, forse ci sarebbe stata maggiore oculatezza su questi procedimenti»
Il governatore del Veneto, Luca Zaia, auspica si chiarisca in fretta: «Ho piena fiducia nell’operato della magistratura, l’unica titolata a fare chiarezza e a tutelare gli interessi dei veneti, nella speranza che, in un momento cruciale e tormentato per la nostra terra, l’istruttoria si svolga nel piu’ breve tempo possibile per il bene del Veneto».
Il presidente del Porto, Paolo Costa, si limitato a commentare che «abbiamo aperto le porte alla Guardia di Finanza e abbiamo messo a disposizione tutti i documenti che ancora ci chiederanno, per assicurare la massima trasparenza. Per il resto, a quanto ci risulta, siamo parte lesa».
Pietro Bortoluzzi, consigliere comunale a Venezia di Fratelli d’Italia, parla di «senso di scoramento e di amaro in bocca per l’esito clamoroso dell’inchiesta». Sergio Berlato, europarlamentare veneto del Pdl, confida «sul fatto che alla Guardia di finanza venga permesso di andare fino in fondo nell’operazione».
«I fatti dimostrano – rileva Diego Bottacin, consigliere regionale veneto di Verso Nord – come l’assenza di concorrenza si trasforma in danno per gli enti pubblici, per i cittadini e per le imprese». Beppe Caccia, consigliere comunale di Venezia per una civica, definisce «perverso» il «meccanismo della concessione unica da parte dello Stato dei lavori per la salvaguardia fisica di Venezia e della sua laguna, meccanismo che dal 1984 in poi ha consegnato ad una lobby d’imprese un enorme potere di condizionamento della vita economica e politico-amministrativa della città e dell’intera regione».
Per il consigliere regionale della Federazione della sinistra Veneta, Pietrangelo Pettenò «l’arresto di Mazzacurati, l’ex uomo chiave del Consorzio Venezia Nuova getta un’ombra su tutta la città e chiama le forze politiche ed istituzionali che hanno governato e operato le scelte sul territorio ad una grande iniziativa di chiarificazione e trasparenza».

 

Nuova Venezia – Lavori del Mose, arrestato Mazzacurati

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13

lug

2013

BUFERA SUL MOSE

Fatture false e turbativa d’asta per l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova

Retata per le gare truccate

Sette arrestati fra cui l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati

VENEZIA – C’è una legge, quella per la salvaguardia della laguna di Venezia del 1984, che permette al Consorzio Venezia Nuova di concedere i lavori senza alcuna gara pubblica o bando, essendo «concessionario unico». Ma gli appalti degli enti pubblici veneziani devono essere gestiti come prevedono le regole, invece l’ex presidente del Consorzio Giovanni Mazzacurati (si è dimesso quindici giorni fa) avrebbe gestito, stando alle accuse che hanno fatto scattare le manette ai suoi polsi, una gara per lo scavo dei canali portuali di grande navigazione dell’Autorità portuale come si trattasse di «cosa sua». «È stato individuato il ruolo centrale», scrivono in un comunicato gli investigatori della Guardia di finanza del Nucleo di Polizia tributaria che hanno fatto le indagini, «nel meccanismo di distorsione del regolare andamento degli appalti di Giovanni Mazzacurati, che predeterminava la spartizione delle gare allo scopo di garantire il monopolio di alcune imprese sul territorio veneto, di tacitare i gruppi economici minori con il danaro pubblico proveniente da altre Pubbliche amministrazioni e quindi di conservare a favore delle imprese maggiori il fiume di danaro pubblico destinato al Consorzio Venezia Nuova».

Ieri, su richiesta del pubblico ministero Paola Tonini, in manette sono finiti in sette agli arresti domiciliari, tra cui Mazzacurati nella sua casa veneziana, e il suo braccio destro per i rapporti di rappresentanza, l’ex socialista Federico Sutto (è stato segretario di Gianni De Michelis prima di Giorgio Casadei e sindaco di Zero Branco), e Pio Savioli, consigliere nello stesso Consorzio Venezia Nuova per il Consorzio Veneto Cooperativo. Ad altri sette indagati è stato applicato l’obbligo di dimora nel loro comune di residenza. Gli interrogatori da parte del giudice Alberto Scaramuzza inizieranno giovedì prossimo. Mazzacurati è difeso dagli avvocati Giovanni Battista Muscari Tomaioli e Alfredo Biagini, Savioli dall’avvocato Paolo De Girolami, i Boscolo Bacheto dall’avvocato Loris Tosi, Barbigiasn dall’avvocato Marco Vassallo, Sutto, per ora d’ufficio, dall’avvocato Barbara De Biasi.

Circa 500 uomini delle «fiamme gialle» hanno eseguito in Veneto, Lombardia, Friuli Venezia Giulia , Emila Romagna, Toscana, Lazio e Campania circa 140 perquisizioni negli uffici di numerose imprese e aziende e nelle case di indagati e di chi potrebbe conservare documenti utili alle indagini. Le indagini del Nucleo di Polizia tributaria sono partite nel 2009, ancor prima di quelle che hanno portato all’inchiesta del pubblico ministero Stefano Ancilotto su Piergiorgio Baita e Claudia Minutillo. Hanno preso le mosse da una verifica fiscale, una delle tante, alla Cooperativa San Martino di Chioggia: i finanzieri hanno scoperto l’esistenza di una società austriaca, la «Istra Impex»con sede a Villach, grazie ad alcuni file in cui i titolari avevano nascosto la contabilità «nera». I controlli hanno riguardato la fatturazione dal 2004 al 2009 per i lavori del Mose. Grazie alla società in Austria, di cui secondo l’accusa erano amministratori di fatto Mario e Stefano Boscolo Bacheto, sarebbe stato fatto lievitare il costo dei sassi da gettare sulla diga nella bocca di porto di Chioggia e acquistati in Croazia e delle palancole grazie alle fatture per operazioni inesistenti per cinque milioni e 864 mila euro. Il sospetto, quindi, è che in Austria i titolari della San Martino avessero creato fondi neri. Sono scattate le intercettazioni telefoniche ed ambientali. Lo sviluppo delle indagini ha permesso di ricostruire le manovre, tra i mesi di maggio e giugno 2011, per pilotare l’appalto dell’Autorità portuale per lo scavo dei canali navigabili. Si trattava di un lavoro diviso in tre stralci per complessivi 15 milioni di euro. Un appalto che alla fine è stato vinto dall’Associazione temporanea d’imprese composta dalla «Lavori Marittimi e Dragaggi,» da «Zeta srl»,, «Clodiense Opere Marittime srl», «Somit srl», «La Dragaggi srl», la «Tiozzo Gianfranco srl», la «Nautilus stl» e la «Boscolo Sergio Menela e Figli e C. srl». Una gara vinta con un ribasso dell’11 per cento, quando invece in analoghe gare il ribasso praticato è stato anche del 46 per cento. In questo modo l’Autorità portuale ha speso da due a quattro volte di più per il dragaggio di quei canali. Alla gara avevano partecipato altre due ditte, la «Rossi Costruzioni generali srl» e la «Sales spa», che avevano presentato ribassi del 2,8 per cento e del 2,2 per cento, evidentemente fittizie. Ma soprattutto non avevano partecipato alla gara la «Mantovani, la «San Martino», la «Co.Ve.Co.» e la «Nuova Coedemar». Stando alle accuse, a fronte delle doglienze del titolare della «Lavori9 Marittimi Dragaggi» di non aver ottenuto dal Consorzio lavori per il Mose, Mazzacurati lo avrebbe assicurato che il lavoro del Porto se lo sarebbe aggiudicato lui. Con la collaborazione di Sutto e Savioli avrebbe convinto le imprese più importanti a lasciar perdere e a non presentare offerte, in cambio di alcuni lavori del Consorzio per la ricostituzione delle barene, e alle due che si erano presentate alla gara di proporre un ribasso ampiamente inferiore a quello di chi doveva vincere. I titolari di tutte le ditte coinvolte, chi non si è presentato e chi ha vinto, sono sotto inchiesta.

Giorgio Cecchetti

 

LE DEFINIZIONI DELL’ORDINANZA  «Dominus, padre padrone, chi decide di vita e di morte»

«Regista nella predisposizione di comportamenti collusivi», «Dominus assoluto del Consorzio Venezia Nuova», «Padre padrone degli appalti», «Colui che decide della vita o della morte delle imprese». Queste le frasi prese dall’ordinanza di custodia cautelare e dai resoconti degli ufficiali della Guardia di finanza che ieri hanno tenuto la conferenza stampa per definire Giovanni Mazzacurati. Il pezzo da novanta di questa inchiesta assieme a Piergiorgio Baita, ma l’ex presidente della Mantovani, in questo caso ha un ruolo passivo, si limita ad eseguire i «consigli« dell’anziano ingegnere a capo del Consorzio e a non presentare l’offerta per il bando di gara dell’Autorità portuale. Mentre Mazzacurati agisce, ordina, impone e si arrabbia pure. Quando quelli del Consorzio Veneto Cooperativo, quattro minuti prima della scadenza finale, presentano la loro offerta, più economicamente conveniente, disobbedendo alle direttive, Mazzacurati prende il telefono e urla a Savioli: «Hai fatto un trucco e mi vuoi anche far passare per scemo, che razza di truffanti». (g.c.)

Cimici della Finanza «Chi guarda da fuori può capire l’inciucio»

Le intercettazioni: «Il capo supremo ha dato l’ordine»

Il pm Tonini aveva chiesto l’arresto di Baita: negato dal gip

VENEZIA – Il pubblico ministero Paola Tonini, che ha coordinato le indagini della Guardia di finanza, aveva chiesto che anche Piergiorgio Baita finisse nuovamente in manette, ma il giudice Alberto Scaramuzza, che aveva accolto la stessa richiesta del pm Stefano Ancilotto il 28 febbraio scorso, nell’ordinanza di custodia cautelare scrive che l’ingegnere «non ricopre più alcun ruolo nella Mantovani perché in seguito di altre vicende processuali distinte, anche se connesse alle odierne vicende, e per le quali si trova agli arresti domiciliari, il medesimo si è già dimesso da tutti gli incarichi, iniziando altresì un rapporto collaborativo con l’autorità giudiziaria».

Per la prima volta, in un documento ufficiale, si ha la conferma che Baita ha parlato e che proprio per questo il rappresentante della Procura che lo ha fatto arrestare cinque mesi fa è disposto all’accordo sul patteggiamento per una pena di un anno e dieci mesi. Durante la verifica fiscale alla Cooperativa San Martino, gli investigatori della Guardia di finanza hanno anche scoperto i file con la contabilità nera ed hanno anche rintracciato dove siano finiti, almeno in parte, i fondi creati in Austria con la fatturazione fasulla. «La documentazione extracontabile è rilevante», scrive il magistrato, «anche perché alla colonna uscite annovera una serie di elargizioni a persone fisiche. Tra queste emergeva in particolare il nome di Tomarelli Stefano, con accanto le cifre di 20 mila+ 20 mila, e di Pio Savioli, con accanto le cifre 25 mila + 60 mila. Tali soggetti sono corrispondenti ai nomi di due individui che avevano ricoperto incarichi dirigenziali nel Consorzio Venezia Nuova, risultando entrambi consiglieri dal 2002 del Consorzio…In tali file, per il 2006 e il 2006, sono rappresentate uscite verso Savioli di complessivi 600 mila euro (cifra veramente ingente). Il giudice sostiene che i comportamenti di Savioli, Sutto e dello stesso presidente Mazzacurati hanno dimostrato l’esistenza di una vera e propria regia all’interno del Consorzio Venezia Nuova nella predisposizione di comportamenti collusivi, a volte intimidatori, finalizzati all’alterazione delle gare oggetto di contestazione». C’è in particolare una intercettazione ambientale, grazie ad una microspia piazzata nell’ufficio di Savioli, in cui parla con il suo presidente Franco Morbioli .«Devo andare in San Martino a fare», gli racconta, «il capo supremo ha dato l’ordine…quella lì di 11 milioni, è una gara di 11 milioni, cifre pesanti, quello si e allora loro, Mantovani, Flavio (Boscolo Contadin) e Mario (San Martino) si sono messi d’accordo: 50,25 e 25». E ancora: «Sono andati a piangere da Mazzacurati i piccoli e allora lui ha chiamato Baita. Baita esce ha chiamato Flavio esce e a me tocca andare a dire a Mario di andare fuori dalle balle». Sempre durante un colloquio tra i due, la cimice riesce a captare le perplessità di Morbioli sulla gara dell’Autorità portuale per il dragaggio dei canali: «Le cose così vanno fatte bene perché chi guarda esternamente la roba qua e sa leggere vede che c’è un inciucio». (g.c.)

 

Quei trent’anni senza concorrenti

Dighe mobili, la storia del Consorzio Venezia Nuova

La concessione unica e le “quote garantite” alle imprese

VENEZIA – Che ci fosse qualcosa nell’aria, l’anziano ingegnere lo aveva capito da tempo. Così cogliendo al volo il consiglio del suo cardiologo, Giovanni Mazzacurati “padre del Mose” aveva deciso di andarsene. Quindici giorni dopo le dimissioni ecco l’arresto per “turbativa d’asta”. Quasi una beffa per un uomo che ha gestito per trent’anni in regime di monopolio – e senza bisogno di gare – la salvaguardia di Venezia e della laguna. Il crollo di un mito. Perché anche agli avversari della grande opera Mazzacurati era sempre apparso come la “faccia perbene” del Consorzio. L’ingegnere padovano di famiglia borghese, figlio d’arte che aveva libero accesso nelle stanze di ministri e grand commis di Stato. Che sapeva portare a casa finanziamenti anche in tempi di crisi. Un uomo potente, ora inciampato nella buccia di banana degli appalti per lo scavo dei canali portuali.
Crollo di un mito. O di un avversario potente, a seconda dei punti di vista. Che arriva dopo l’uscita di scena di un altro protagonista della salvaguardia negli ultimi anni, Piergiorgio Baita, ex presidente della Mantovani, arrestato a fine febbraio per fatture false. Una storia lunga trent’anni, quella di Mazzacurati. Che molti ricordano a fianco di Luigi Zanda, primo presidente del Consorzio, negli anni Ottanta come direttore. Poi a convincere della bontà della sua creatura, molto influente sulla nomina di consulenti e perfino dei ministri. Il monopolio. «Se l’accusa è di turbativa d’asta, non riguarda i lavori del Mose, che come si sa sono fatti in regime di monopolio». Il ragionamento che trapela dal Consorzio Venezia Nuova non fa una grinza. Ma mette l’accento su un «sistema», quello della mancata concorrenza, che secondo alcuni è all’origine di molte storture e dell’aumento dei costi della grande opera. La storia. Il Consorzio Venezia Nuova nasce nel 1983, con la seconda Legge Speciale, la 798, approvata allora all’unanimità dal Parlamento. Si riprendono i concetti della prima Legge del 1973, introducendo il nuovo «concessionario unico». Dovrà realizzare le opere di salvaguardia con fondi garantiti dallo Stato, senza gare d’appalto, puntando sul grande progetto Mose per la chiusura delle bocche di porto. Progetto già messo a punto proprio da Mazzacurati, che nel 1982, proveniente dalla Furlanis, aveva cominciato la sua carriera con le imprese del pool. Del Consorzio fanno parte le più grandi imprese edili italiane: Impregilo, Mazzi, Fincosit, Condotte, fino alle cooperative del Coveco e alle imprese locali. A metà degli anni Novanta Impregilo comincia la sua avventura per il progetto del Ponte di Messina e lascia le sue quote alla padovana Mantovani della famiglia Chiarotto. Le quote lavoro. Costituito il Consorzio vengono definite oltre alle quote societarie anche le “quote lavoro”. Significa che ogni impresa socia ha diritto a una quota di lavori garantiti «se dimostra la sua competenza in materia». Un sistema per anni in equilibrio che in tempi di crisi aveva sollevato dure proteste da parte delle realtà locali, escluse anche dai subappalti. Un fiume di denaro per il Mose e la salvaguardia, andato alle stesse imprese. La Corte dei Conti. Il sistema del monopolio è finito più volte in questi anni nel mirino della Corte dei Conti. Ma le denunce sono rimaste spesso lettera morta. Famosa quella scritta nero su bianco in un’ordinanza di centinaia di pagine dal consigliere della Corte Antonio Mezzera. Sotto accusa l’aumento dei costi del Mose derivanti dal monopolio, la mancanza di alternative, le troppe consulenze e la poca distinzione tra il controllore (Magistrato alle Acque) e il controllato (Consorzio Venezia Nuova). Concessione “illegittima”. La legge 206 del 31 maggio 1995 abolisce la concessione unica, in applicazione delle norme europee. Ma il governo Berlusconi raggiunge con l’Europa un compromesso (lodo Buttiglione) e la situazione non cambia. Si decide che dovranno essere messe a gara soltanto le forniture di materiali per le paratoie. Gli altri lavori vanno avanti con il solito sistema. Un fatto su cui Italia Nostra presenta un esposto all’Unione europea. Ancora aperta anche la procedura di Infrazione della commissione petizioni dopo l’esposto presentato dai Comitati No Mose con 12.500 firme. I sassi. Uno dei filoni dell’ultima inchiesta riguarda le fatture emesse per l’acquisto di palancole e massi provenienti dall’Istria utilizzati per i lavori alle bocche di porto. Milioni di metri cubi di materiale usato per le tre dighe foranee (costo circa 40 milioni di euro l’una), per le «spalle» del Mose e per la nuova conformazione dei fondali. Costi di cui spesso ambientalisti e comitati hanno chiesto la verifica. Piuttosto difficile perché i lavori, come diceva lo stesso Baita «sono fatti sott’acqua». Il prezzo chiuso. I fatti dell’inchiesta che ha portato all’arresto di Baita e poi di Mazzacurati «non hanno alcun rapporto con la salvaguardia», ha precisato ieri il Consorzio. I lavori del Mose sono definiti dalle Leggi speciali che li affidano in regime di monopolio al Consorzio Venezia Nuova e dalle convenzioni firmate tra le imprese del Consorzio e lo Stato (Magistrato alle Acque). L’ultima convenzione è quella che stabilisce il «prezzo chiuso». Il costo del progetto di massima era di un miliardo e mezzo di euro alla fine degli anni Ottanta (3200 miliardi di lire). È arrivato a 4 miliardi e 200 milioni a fine anni Novanta, poi adeguato con delibera firmata dall’ex presidente del Magistrato alle Acque Patrizio Cuccioletta, a 5 miliardi e 600 mila euro. Oggi sono quasi tutti garantiti dal Cipe. Manca all’appello circa un miliardo di euro, in buona parte da utilizzare per gli interventi di compensazione e mitigazione imposti dall’Unione europea dopo l’archiviazione della Procedura di infrazione per i cantieri abusivi a Santa Maria del Mare. Le alternative. Comitati, esperti idraulici e Comune hanno sempre denunciato la mancanza di studi seri sulle alternative al progetto Mose, che ha portato a una lievitazione dei costi. Le proposte del Comune, messe a punto dopo un lungo dibattito, erano state portate nel 2008 all’esame di una commissione presieduta allora da Carlo Malinconico, il sottosegretario del governo Prodi poi finito nei guai per le vacanze pagate. E Angelo Balducci, condannato per la cricca e le tangenti dei costruttori. Balducci, già presidente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici e potente dirigente del ministero, era anche stato ingaggiato come collaudatore del Mose insieme a Fabio De Santis, anche lui condannato per le tangenti. Il Consorzio non c’entra. «Il Consorzio e il Mose non c’entrano con queste vicende». I legali e i nuovi dirigenti del Consorzio si affannano a ripeterlo. Lo avevano detto all’indomani dell’arresto di Baita, sostituito in un batter di ciglia al vertice della Mantovani da un ex poliziotto, Carmine Damiano. E anche adesso dopo gli arresti (domiciliari, vista l’età) di Mazzacurati, il padre del Mose. Difficile però circoscrivere gli episodi a singole responsabilità di personaggi che hanno avuto un ruolo così importante nella storia del Consorzio. Che da almeno trent’anni attraverso le sue imprese si occupa anche di lavori di bonifica a Marghera e di messa in sicurezza, di rifacimento sponde e di scavi e dragaggi dei canali portuali. Attività condotte spesso a stretto contatto con la politica, locale e nazionale. Il futuro. Riprende vigore il partito di coloro che chiedono la fine della concessione unica. Dovrebbe finire con i lavori del Mose, nel 2016, anche se il Consorzio Venezia Nuova dovrà garantire almeno per i primi due anni l’avvio del sistema. I lavori per le dighe mobili sono giunti al 75 per cento anche se la parte più difficile – la posa delle paratoie, appena cominciata – deve ancora venire, insieme alla verifica del funzionamento di un sistema complesso e costoso, che funziona sott’acqua. Che dunque ha bisogno di una delicata e continua manutenzione. Attività per cui, almeno in teoria, sarà necessario indire una gara d’appalto.

Alberto Vitucci

 

MAURO FABRIS, NEO PRESIDENTE: «FINANZA ANCHE A CASA MIA»

Il direttore Redi minimizza: «Le attività del Mose estranee all’inchiesta giudiziaria»

«Che ci fosse qualcosa nell’aria lo immaginavo. Ma una bufera del genere appena arrivato….» Mauro Fabris, 55 anni, è presidente del Consorzio Venezia Nuova da meno di due settimane. Ieri mattina i carabinieri si sono presentati anche a casa sua a Vicenza per acquisire dei documenti. «Cercavano fatture del Consorzio», dice. E spiega: «Quando ho smesso di fare il parlamentare nel 2008 ho ripreso la mia attività di consulente per la comunicazione e il monitoraggio dell’attività parlamentare. In questa veste ho avuto rapporti con il Consorzio, di cui adesso sono diventato presidente. Io non ero in casa, hanno mostrato a mia sorella una carta firmata dal giudice. Ho consegnato quello che avevo, tra cui una fattura che mi è stata restituita. Il maresciallo è stato molto gentile». Stupore e attesa. I fatti per cui sono scattati gli arresti ovviamente non riguardano la gestione Fabris. E nemmeno quella di Hermes Redi, ingegnere che ha preso il posto di Mazzacurati come direttore, ieri in Spagna per lavoro. «Posso solo ribadire che siamo a disposizione dei magistrati», dice Fabris, «vogliamo collaborare per fornire ogni dettaglio utile all’inchiesta». Redi ha diffuso in serata, attraverso lo studio legale Biagini, una nota in cui sostiene che le «attività del Mose sono estranee all’inchiesta» e che «i convolgimenti di dipendenti del Consorzio peraltro di livello impiegatizio sono marginali». Riservandosi di valutare «iniziative su comportamenti che possano ledere l’immagine del Consorzio». I finanzieri hanno perquisito ieri mattina anche la nuova sede del Consorzio Venezia Nuova all’Arsenale e gli uffici di Tethis, società acquisita dal Consorzio. Non c’era la presidente Maria Teresa Brotto, vicedirettore del Consorzio. I dipendenti hanno dovuto attendere un’ora prima di poter entrare negli uffici. Telefoni e computer sono stati isolati, mentre i militari cercavano documenti e fatture relativi ai rapporti delle società con il Consorzio Venezia Nuova.(a.v.)

 

l’intervista

Cacciari: «Un mostro creato dai politici e adesso tocca a loro»

L’ex sindaco: colpa di chi ha difeso il regime di monopolio. Ne denunciai i pericoli alla Corte dei conti, fu tutto archiviato.

VENEZIA «Adesso tocca alla politica. Devono emergere le responsabilità di chi ha creato questo mostro giuridico che si chiama Consorzio Venezia Nuova. E di chi ha sempre difeso in questi anni il suo regime di monopolio nei lavori di salvaguardia in laguna. Non si poteva che arrivare a questo punto. E adesso non si può dare ogni colpa alle strutture tecniche del Consorzio». Massimo Cacciari è stato sindaco di Venezia per la terza volta dal 2005 al 2010. Periodo in cui, con il voto contrario del Comune e dello stesso Cacciari, il governo Prodi aveva dato il via libera al proseguimento dei lavori del Mose, avviati nel 2003 dal governo Berlusconi con la benedizione del patriarca Scola e dell’allora sindaco Paolo Costa. Non erano state nemmeno considerate le proposte alternative che venivano dal territorio. Bocciate senza nemmeno analizzarle le idee che il Comune e Cacciari avevano proposto in alternativa alle dighe mobili del Consorzio. Le paratoie a gravità, le barriere provvisorie e rimovibili, gli interventi alternativi. In Consiglio dei ministri Prodi aveva detto «no» al Comune e anche a due suoi ministri (Mussi e Pecoraro Scanio) che avevano presentato le relazioni negative dei loro uffici. L’allora governatore Giancarlo Galan aveva applaudito. Cacciari, se li aspettava questi arresti eccellenti? «Era chiaro che prima o poi qualcosa sarebbe successo. Questa indagine mette in evidenza un vizio originario, che è stato per anni denunciato da pochi. La madre, anzi il padre di tutti i problemi: la situazione di assoluto monopolio in cui il Consorzio ha operato in questi trent’anni». La politica ha assecondato? «Beh… Abbiamo perso la memoria? E le voci critiche, non molte per la verità, sono state sempre inascoltate. Si dà il caso che tra i critici ci fosse anche il sottoscritto, che all’epoca era sindaco della città interessata ai lavori del Mose». Il governo vi aveva convocato per decidere. «Abbiamo scritto migliaia di pagine sull’argomento, critici ed esperti di fama che mettevano in luce proprio queste cose: il rischio del monopolio e delle turbative, i prezzi aumentati, la mancanza di studi su alternative meno costose e più efficaci per difendere Venezia dall’acqua alta. Siamo stati quasi derisi allora. E allora il governo Prodi decise di andare avanti comunque con la grande opera». Qui però stiamo parlando di turbativa d’asta e prezzi lievitati. «Anche questo sta scritto da anni, ad esempio nelle ordinanze della Corte dei Conti. Il regime di monopolio ha portato a questa situazione. Ricordo che dopo la denuncia ero stato convocato e ascoltato da un gruppo di togati sonnacchiosi. Tre minuti in tutto, poi avevano deciso l’archiviazione». Significa che questa storia dei prezzi e dei lavori «gonfiati» non è una novità? «Io dico che in quell’indagine della Corte dei Conti c’era già scritto tutto». Non che le gare d’appalto venivano truccate come emerge adesso. «Voglio dire chiaramente che io stimo l’ingegner Mazzacurati. È stato un avversario sulla questione del Mose ma con me si è sempre comportato con grande correttezza. Aspettiamo che la magistratura finisca il suo lavoro, ma mi sembra un po’ facile scaricare tutto su di lui e sulla struttura tecnica del Consorzio». Che significa? «Che bisogna cercare le responsabilità di chi ha creato questo mostro. Una responsabilità politica, bypartisan». Facciamo nomi? «Beh, Prodi e Berlusconi, prima di tutto. E qualcuno che non ha mai voluto sentir ragione a mettere in discussione quel progetto. E soprattutto procedure di concessione unica e mancanze di controlli che hanno dato l’input a effetti come questi». Il vizio dunque sta nella Legge speciale. «In alcune parti della legge del 1984. Quando si decise di costituire un concessionario unico per le opere di salvaguardia in laguna e di puntare tutto su un’unica grande opera, il Mose, senza badare alle alternative e dirottando tutti i fondi della salvaguardia di Venezia su quell’opera. Un potere enorme, che poi si è esteso anche a tutti gli altri grandi lavori in laguna. Con quel sistema monopolistico di gestione dei lavori e dei pochi appalti era inevitabile, quasi fisiologico che si arrivasse a questo punto». Ci sono delle responsabilità individuali di chi, sembra, ha fatto fatture false e truccato le gare. «Su questo i giudici indagano, fanno bene. Ripeto, io e pochi altri queste cose le denunciamo inascoltati da anni. Ma al di là dei singoli episodi c’è un sistema mostruoso che ha creato tutto questo. Lavori affidati sempre alle stesse imprese, piccole aziende locali soffocate dalla mancanza di fondi e dal monopolio delle grandi imprese che si spartivano tutto». Vuol dire che non crede alla colpevolezza di Mazzacurati? «Rispetto il lavoro della magistratura. Voglio solo dire che il mandante di questa situazione è la politica. Si è creato un sistema che ha dato questi frutti. E oggi, dopo tanti anni si scopre che alcune imprese erano favorite rispetto ad altre. Quando queste cose le denunciava il sindaco di Venezia, a Roma non ho trovato ascolto».

Alberto Vitucci

 

La politica non c’entra. Ma qualcuno trema.

Giancarlo Galan: «Mazzacurati meritava davvero la misura cautelare?»

Luigi Schiavo (Ance): qualcosa non va nei codici etici di noi imprenditori

VENEZIA – L’attesa del «tintinnar» di manette per la politica, ancora una volta, è andata delusa. Non ci sono politici nella nuova retata che ha portato in carcere il vertice del Consorzio Venezia Nuova ad appena quattro mesi dall’inchiesta che ha decapitato la Mantovani. Ma anche in questo caso le persone finite agli arresti domiciliari con la politica coltivavano un’abituale frequentazione. Il cuore dell’inchiesta della Procura di Venezia è di nuovo il sistema delle fatturazioni su estero (in questo caso l’Austria) di alcune forniture – palancole e sassi da annegamento – a prezzi decisamente superiori a quelli di mercato. Ma se è chiaro il percorso dall’Italia all’Austria per costituire la provvista, non si conosce per il momento il percorso a ritroso che potrebbe effettivamente aver alimentato il mondo della politica. Ma la politica, per adesso, tira un sospiro di sollievo e conferma fiducia nella magistratura. «Sgomento di fronte alla portata dell’inchiesta» si dice Gennaro Marotta, segretario regionale dell’Italia dei valori: «Se è vero che le società cartiere erano tali e facevano fondi neri, questi soldi a che servivano? A chi finivano? La gravità e la delicatezza della situazione è evidente, confidiamo nel lavoro di inquirenti e magistratura, ma certo non è un bel segnale per Venezia». Marino Zorzato, vice presidente della giunta regionale, sottolinea proprio l’estraneità del mondo della politica ed esclude legami con la precedente inchiesta su Piergiorgio Baita: «Non vedo collegamenti tra quest’inchiesta e quella sulla Mantovani. Si tratta di storie diverse, di magistrati diversi, di provvedimenti diversi. Mi sembra più un fatto, esecrabile, tra imprese private. Sono fatti che, se dimostrati, vanno assolutamente condannati ma, ripeto, mi sembrano più vicende legate a rapporti tra imprese». «É difficile entrare nel merito di una vicenda i cui particolari apprendiamo soltanto ora e in modo frammentario – commenta il governatore Luca Zaia –. Ho piena fiducia nell’operato della magistratura l’unica titolata a fare chiarezza e a tutelare gli interessi dei veneti, nella speranza che, in un momento cruciale e tormentato per la nostra terra, l’istruttoria si svolga nel più breve tempo possibile per il bene del Veneto». «Le mie sensazioni sono due – riflette Giancarlo Galan, per tre volte governatore del Veneto –. La prima è umana ed è per Giovanni Mazzacurati: ingegnere idraulico che, a 81 anni, sta per realizzare il sogno della sua vita. Mi chiedo: meritava davvero la misura restrittiva? La seconda è di grande dispiacere: io, a differenza di Massimo Cacciari, al Mose ci ho sempre creduto. Sono e resto convinto che si tratti di una grandissima opera di ingegneria idraulica, straordinaria e mondiale. Vederla sporcata da questa vicenda mi provoca un grande dispiacere». «La politica non si chiami fuori – attacca il capogruppo di Verso Nord, Diego Bottacin –. Questa vicenda è l’ennesima conferma dell’assoluta assenza di libertà e di concorrenza nelle commesse pubbliche. Questo sistema tiene fuori le imprese migliori e tiene dentro le imprese amiche, soffocando la concorrenza e facendo pagare ai cittadini un sovrapprezzo inaccettabile». «Forse lo Stato e non solo per il Mose dovrebbe rivedere le regole d’ingaggio dei concessionari unici, le modalità di assegnazione della concessione e di utilizzo dei fondo» aggiunge Gennaro Marotta. Stesso ragionamento di Luigi Schiavo, presidente regionale di Ance costruttori, che non esita a fare autocritica: «Non è il primo caso, non sarà probabilmente l’ultimo. Evidentemente c’è qualche cosa che non va nelle regole: in quelle dello Stato ma anche nei nostri codici etici». Non va per il sottile Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista: «Il Mose è come la Tav in Val di Susa: grandi opere per grandi mazzette, solo che le mazzette si scoprono dopo, quando i danni sono già stati fatti e i soldi pubblici sprecati». In una nota il consigliere regionale della Federazione della sinistra Veneta, Pietrangelo Pettenò, rileva: «L’arresto di Mazzacurati getta un’ombra su tutta la città e chiama le forze politiche ed istituzionali che hanno governato e operato le scelte sul territorio ad una grande iniziativa di chiarificazione e trasparenza».

Daniele Ferrazza

 

Il chioggiotto Tiozzo «Imprese note e ben radicate»

Sorpresa e stupore per il capogruppo del Pd in consiglio regionale, Lucio Tiozzo, che vive a Chioggia, la città dove l’inchiesta si è abbattuta come un ciclone coinvolgendo alcune delle più conosciute imprese di lavorazioni marittime. «Sono tutte imprese conosciute e radicate nel tessuto economico ed industriale del territorio», spiega il capogruppo Pd. «Non ho elementi per commentare, aspettiamo che la magistratura completi il proprio lavoro». «A Chioggia esiste un distretto delle opere marittime: piccole e medie imprese che sanno lavorare in mare con professionalità».

 

Puppato: quei sospetti del Consiglio veneto

L’ex capogruppo Pd: facemmo un sopralluogo per le cerniere pagate più dei prezzi di mercato

VENEZIA «Non conosco i dettagli di quest’inchiesta, ma certamente ancora una volta è rimesso in discussione il modello di governo del centrodestra nel Veneto». Laura Puppato, ex capogruppo del Pd in consiglio regionale ed oggi senatore della Repubblica, rivendica il merito di aver puntato l’indice contro la gestione dei lavori del Mose, un paio d’anni fa. «Report dedicò un’intera trasmissione al Mose e al sistema di lavori che alimentava. Ne parlai in Regione e feci un’interrogazione». Cosa la colpì, all’epoca? «Il caso delle cerniere che venivano fatte pagare molto più dei prezzi di mercato e richiedevano una manutenzione più costante e prolungata di tutti gli altri pezzi». Come andò a finire? «Chiedemmo un sopralluogo di due commissioni regionali sui cantieri del Mose, incalzammo la giunta regionale». In qualche modo, dunque, qualche sospetto c’era. «C’erano degli elementi che ci avevano portato ad accendere i riflettori su questa grande opera e sulla gestione del Consorzio Venezia Nuova». Ancora un’inchiesta che lambisce le grandi opere nel Veneto: che impressione si è fatta? «Credo che questa sia l’occasione per una riflessione più generale. Negli ultimi dieci anni siamo stati pervasi dalla cultura delle grandi opere: una deriva che ha prestato terreno alla demagogia politica del fare e, dall’altro, ha portato a pagare prezzi altissimi». Qualche esempio? «La Maddalena, il ponte sullo Stretto, L’Aquila, gli stessi F35 sono tutte facce della stessa medaglia. Pervasi dalla cultura del fare, in assoluta emergenza, le grandi opere, finiamo per realizzarle pagandole di più del dovuto perché sotto c’è una foresta di corruzione, concussioni, turbativa d’asta» Che cosa si può fare, dunque? «Far uscire le grandi opere pubbliche dal tunnel dell’emergenza, riflettere se si tratti di investimenti necessari, anche alla luce della situazione generale. E poi è necessaria la trasparenza, assoluta, nelle procedure e nei percorsi. I cittadini non possono continuare a pagare prezzi più alti per delle opere pubbliche che all’estero costano meno». (d.f.)

 

l’ambientalista beppe caccia

«Opere con procedure straordinarie, ecco il cuore del malaffare»

«Dopo l’arresto di Piergiorgio Baita, presidente di Mantovani SpA, per frode fiscale, il nuovo filone di indagini che ha portato ieri mattina all’esecuzione di provvedimenti cautelari a carico del presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, e di altre 13 persone per turbativa d’asta, dimostra che la realizzazione di grandi opere infrastrutturali, spesso inutili, attraverso procedure straordinarie sottratte ad ogni controllo, è il cuore del malaffare, della costruzione di veri e propri sistemi di potere finalizzati all’accaparramento di enormi risorse pubbliche da parte di pochi». È il commento di Beppe Caccia, consigliere comunale della lista In Comune, che, ancora una volta – come già per il caso-Baita – punta i riflettori sugli effettivi negativi dell’operazione Mose, «grande opera che è costata e costerà oltre sei miliardi di euro, finanziamenti dello Stato sempre e comunque reperiti nonostante la crisi e le varie spending review. Risorse di tutti i cittadini che sono state finora gestite, senza alcuna trasparenza e fuori da ogni verifica, da un consorzio di imprese private, i cui metodi sono oggi sotto gli occhi di tutti. Origine di tutti i mali, di cui oggi vediamo emergere solo qualche dettaglio, è infatti il perverso meccanismo della concessione unica da parte dello Stato dei lavori per la salvaguardia fisica di Venezia e della sua Laguna, meccanismo che dal 1984 in poi ha consegnato ad una lobby d’imprese un enorme potere di condizionamento della vita economica e politico-amministrativa della città e dell’intera regione». Conclude il consigliere ambientalista: «Mentre ci auguriamo che ulteriori sviluppi delle indagini chiariscano una volta per tutte come sono stati impiegati e a chi sono stati dirottati i fondi neri accumulati all’estero dal Consorzio Venezia Nuova e dai suoi soci, è proprio il sistema della concessione unica che dev’essere quanto prima superato».

 

Orsoni: «Metodo rozzo però il sistema è in crisi»

Il sindaco di Venezia critica la gestione delle concessioni affidate ai privati

«Dovrebbero essere gestite nell’interesse pubblico, ma bisogna vigilare»

VENEZIA «Fatture false, appalti pilotati: mi pare un metodo alquanto stravagante e un po’ rozzo d’agire». Così, di prima battuta, il sindaco Giogio Orsoni commenta la notizia del giorno, tra le mani i primi lanci di agenzia sugli arresti di Giovanni Mazzacurati & Co. che hanno terremotato il Consorzio Venezia Nuova, con accuse di false fatturazioni, fondi neri, moltiplicazione di costi per le casse pubbliche e appalti pilotati. A scanso di equivoci: «rozzo» non si riferisce all’operato degli investigatori, ma al (presunto) agire degli indagati. «Certo, se queste prime accuse saranno accertate», prosegue Orsoni, che legge le notizie con l’occhio dell’avvocato, oltre che del sindaco, «sarebbe una grave distorsione non solo dell’uso dei fondi pubblici destinati al Mose, ma anche della concorrenza delle imprese locali, con riflessi in prospettiva negativi, perché la distorsione della concorrenza, altera anche il corretto comportamento delle aziende, con trattamenti previlegiati». Poi arriva il giudizio dell’amministratore e del politico, che da anni protesta per l’espropriazione subita dal Comune di decisioni su parti e funzioni strategiche del proprio territorio, gestite in maniera autonoma dai concessionari dello Stato, si tratti di salvaguardia (con la concessione unica al Consorzio Venezia Nuova), del porto con l’Autorità portuale o dell’aeroporto. con Save. «Il sistema delle concessioni», prosegue Orsoni, «dovrebbe essere contingente e limitato, ma soprattutto ha bisogno di amministrazioni che siano grandi controllori, molto efficaci e puntuali nelle verifiche. Non mi riferisco solo alla realizzazione del Mose, ma in generale: la gestione delle concessioni è prevista dalla legge, ma è impropria. Penso anche a porto o aeroporto. In generale, le concessioni private dovrebbero essere gestite nell’interesse pubblico, ma essendo i privati i cointeressati, questi possono perseguire scopi che – talvolta – se non sufficientemente controllati, possono far prevalere i loro interessi rispetto a quelli del concessionari». Dunque, che fare? «Mi pare che quest’inchiesta, metta in discussione tutto il sistema, simile com’è nel meccanismo a quanto contestato all’ex presidente della Mantovani, Piergiorgio Baita, nel creare cartiere e fondi neri», conclude Orsoni, «per il Mose c’è ancora oltre 1 miliardo di euro da spendere, non noccioline. Bisogna vigilare da vicino: non a caso ho chiesto da tempo che il Magistrato alle acque sia trasferito al Comune. Non dico che il nostro controllo sarebbe più efficace, ma serve un maggiore verifica da parte delle amministrazioni, per avere più occhi e più vicini».

Roberta De Rossi

 

«Salvare le dighe mobili dal discredito»

Il presidente della Provincia di Venezia Zaccariotto: temo ricadute negative su economia e politica

VENEZIA «Questa nuova ondata di arresti che coinvolge imprese e personaggi del nostro territorio genera un grande senso di sgomento, proprio perché, alla fine, non può non avere ricadute negative sul sistema delle imprese e sulla politica, oltre che direttamente sulla gente. In attesa di capire quali sarà l’esito finale di questa inchiesta a largo raggio della magistratura, sarebbe estremamente negativo se venisse coinvolta nel discredito un’opera come il Mose, che al di là dei giudizi di ognuno, è un’infrastruttura di enorme importanza e ormai vicina alla conclusione. Mi auguro veramente che questo non accada». È il pacato commento del presidente della Provincia Francesca Zaccariotto alla nuova inchiesta sul sistema delle imprese legate anche alla costruzione del Mose, che ha portato tra l’altro anche all’arresto dell’ingegner Giovanni Mazzacurati, fino a pochi giorni fa presidente del Consorzio Venezia Nuova. Che si faccia chiarezza su tutto e che la magistratura vada fino in fondo – commenta invece il segretario provinciale del Pd Michele Mognato – se, come pare, si configureranno illeciti legati al sistema delle imprese e dei loro rapporti. In senso generale, la Corte dei Conti ha già detto da tempo che c’è qualcosa che non funziona in profondità nel nostro Paese». «Premesso che è doveroso attendere l’esito dell’inchiesta della magistratura – aggiunge invece il parlamentare veneziano Andrea Martella – emerge comunque un nodo, già evidenziato in passato che è il ruolo del Consorzio Venezia Nuova come concessionario unico delle opere di salvaguardia in laguna, con una capacità di spesa di rapporti assoluta. È un’anomalia che va superata nell’interesse dei veneziani». «Confido che la Magistratura faccia fino in fondo il proprio ruolo, facendo chiarezza su un sistema che per decenni ha strozzato l’economia della Città di Venezia – commenta invece il capogruppo delle Federazione della Sinistra in Consiglio comunale, Sebastiano Bonzio – per come configurato dall’inchiesta odierna che ha portato all’arresto dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, e quella che tre mesi fa ha portato, tra gli altri, alla custodia cautelare per il reato di “associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale” del presidente della Mantovani. Pretendiamo che si esca dalla logica delle opere utili solo per chi le fa e che, finalmente, si operi per rivoluzionare questo sistema».

 

«Appalti, troppo potere dal monopolio»

Il senatore Casson: il Parlamento approvi una legge per contrastare la corruzione, il sistema più malato degli anni ’90

VENEZIA – Senatore Felice Casson, un passo indietro a vent’anni fa, quando lei era Gip a Venezia. In che occasione lei ha conosciuto Piergiorgio Baita, ex amministratore delegato della Mantovani e protagonista dell’inchiesta giudiziaria che continua a riservare sempre nuovi clamorosi sviluppi? «Ero Gip del processo sulla tangentopoli veneta che ha portato a giudizio Franco Ferlin, portaborse di Carlo Bernini e Giorgio Casadei, portaborse di Cesare De Michelis. In quegli anni la procura della repubblica di Venezia si era fermata troppo presto su Baita, che aveva appena cominciato a parlare e aveva dato l’illusione di raccontare tutto. Così il manager è tornato libero e su quel fronte tutto è continuato peggio di prima». I magistrati hanno già accordato il patteggiamento a Piergiorgio Baita per l’inchiesta sull’evasione fiscale con le società cartiere estere: secondo lei è una procedura corretta o troppo veloce? «No, nessun dubbio, è una procedura correttissima. Il pm ha valutato le dichiarazioni rese dall’imputato come utili per l’ottica processuale e ha proposto il patteggiamento. Ha seguito la prassi: penso che i positivi sviluppi si vedranno più avanti. La strategia processuale è stata perfetta: è corretto che il magistrato inquirente acquisisca gli elementi probatori e li sottoponga al vaglio del dibattimento in tempi rapidi proprio per evitare che i processi restino aperti in eterno. Ora con il patteggiamento di Baita si chiude una fase e se ne apre una di nuova. Da parte mia, massimo rispetto per il lavoro della procura di Venezia». Tutti si chiedono se siamo di fronte ad una stagione simile a quella del 1992-93 almeno per quanto riguarda i grandi appalti di Venezia e del Veneto finiti nell’occhio del ciclone. Il filone lambisce i legami tra politica e affari: la sua impressione? «La situazione è peggiore rispetto agli anni Novanta perché gli imprenditori e i politici si sono fatti più accorti, i sistemi delle tangenti funzionano ancora ma sono più sofisticati e coperti. Oggi per la magistratura è molto più difficile trovare le prove e arrivare alla condanna rispetto agli anni Novanta. In secondo luogo, con tutte le cautele, le inchieste di questi giorni sono sempre il preludio a vicende più complesse: con le turbative d’asta e le evasioni fiscali si preparano le provviste per i fondi neri illeciti, da utilizzare a seconda della bisogna. Ci vuole pazienza e attendere gli sviluppi». Lei non crede che sul Mose di Venezia anche il Parlamento debba aprire una commissione d’inchiesta per fare luce su come sono stati spesi questi 5 miliardi di euro? «Per il Mose ho chiesto con interrogazioni parlamentari presentate al Senato che si ponga fine al sistema della concessione unica. Si tratta di una procedura anomala che contrasta con le esigenze di trasparenza e libera concorrenza del mercato. Persino il Parlamento europeo ha criticato il sistema di monopolio e il concessionario unico non ha più ragione di esistere. C’è già stata una risoluzione votata dal Senato che invita a cambiare una procedura che vìola ogni regola di concorrenza, crea dei privilegi e disparità di trattamento tra le aziende non accettabili. I benefici sono pochissimi e si assegna un potere grandissimo al Consorzio Venezia Nuova, soggetto privato, che anziché essere controllato dal Magistrato delle acque, diventa il supervisore di se stesso e ciò determina un sistema perverso». Per il Mose siamo in dirittura d’arrivo, le opere sono al 75% e modificare la concessione unica diretta è una sfida impossibile che si fa? «Siamo ormai al traguardo, da sempre sono stato contrario e scettico sull’utilità di quest’opera che però va finita entro il 2016. Speriamo solo che non produca danni a Venezia e al sistema lagunare, mi preoccupa però che tutti i soldi destinati in laguna dal Governo finiscano nelle casse del Consorzio Venezia Nuova. Ciò non va bene perché tutta la galassia di imprenditori che lavora per lo scavo dei rii, il restauro delle case e delle fondamenta, ha visto prosciugare i fondi loro assegnati perché tutte le risorse sono finite al Mose. La crisi pesa, lo so che è difficile cambiare un’opera giunta alla conclusione ma le perplessità sono fortissime: sulle cerniere delle paratie ferve una discussione scientifica con dubbi mai fugati». Senatore Casson, quali iniziative bisogna adottare per contrastare la corruzione e aiutare le imprese oneste che rispettano le procedure ? «Debbo dire che la legge anticorruzione Severino-Monti della scorsa legislatura è del tutto inutile: solo acqua fresca. Ho ripresentato un ddl di legge a nome del Pd per avviare una lotta vera alla corruzione, che questa maggioranza non farà mai. Non è possibile che il Parlamento sia costretto a occuparsi delle vicende personali di Berlusconi invece di affrontare la grave crisi economica e rilanciare le aziende che operano nel rispetto della legalità. Ci vuole una svolta».

Albino Salmaso

 

Cerniere, guerra in tribunale

La General Fluidi ha presentato una denuncia contro la Fip Group

PADOVA – La General Fluidi, azienda padovana produttrice di impianti oleodinamici, presenta una nuova denuncia, questa volta penale, contro parte dello staff tecnico e direttivo della Fip Industriale, società di Fip Group, per appropriazione indebita. Fip Industriale è accusata «di aver assunto indebitamente la paternità dei progetti oleodinamici di General Fluidi da inserire nel progetto esecutivo Mose per la regolazione dei flussi di marea a Venezia». La controversia sta nell’utilizzo dei disegni tecnici industriali e degli elaborati progettuali, che sarebbero «stati copiati e ceduti a società concorrenti fra le quali Fiar Oleodinamica, marginale concorrente di General Fluidi, per far eseguire sotto costo i manufatti oggetto di progettazione, realizzando così un indebito vantaggio patrimoniale». Nello specifico, Fip Industriale ha commissionato a General Fluidi la progettazione e realizzazione, comprensiva di elaborati tecnici, di un modello di sistema oleodinamico per l’azionamento dei 178 gruppi di connettori di aggancio con relative centraline alle paratie mobili. «In questo caso, appare configurarsi il reato previsto dagli articoli 473 e 646 del codice penale», rileva l’avvocato Biagio Pignatelli, legale dell’azienda General Fluidi – in quanto FIP Industriale si è indebitamente appropriata della paternità del progetto, comprensivo di disegni tecnici, prototipazione e risultati dei test di collaudo. Tale illecita condotta», prosegue Pignatelli, «ha sicuramente creato un grave danno economico a General Fluidi quantificato in 650 mila euro, privandola dei profitti che le sarebbero derivati dalla commessa relativa alla realizzazione di tutto il sistema del Mose e rendendo inutile l’investimento di tempo e denaro per l’acquisizione delle competenze tecniche necessarie a sviluppare l’opera».

 

Venezia rivive l’incubo della tangentopoli di vent’anni fa

VENEZIA – Il ciclone non si ferma e le società «cartiere» costruite all’estero per creare fondi neri spuntano come funghi. Dopo il blitz del febbraio scorso che ha portato in carcere Piergiorgio Baita, Claudia Minutillo, William Colombelli e Nicolò Buson con l’accusa di frode fiscale, ora siamo alla «Grande retata di Chioggia» con altri 7 arresti e altri 7 obblighi di dimora ai domiciliari con l’accusa di turbativa d’asta. Venezia si ritrova così al centro di clamorose inchieste giudiziarie e rivive l’incubo degli anni Novanta, con gli imprenditori portati in carcere con le manette ai polsi a raccontare il patto per la divisione degli appalti. Allora c’era un cartello regolato dalla politica con una sorta di manuale Cencelli: per vincere bisognava pagare i capicorrente. Un’intera classe politica fu spazzata via: Dc e Psi azzerati. Il Mose era agli inizi, ancora nella fase progettuale. Ma il sistema degli appalti era già ben codificato in base alla legge per la salvaguardia della laguna di Venezia del 1983 che permette al Consorzio Venezia Nuova di concedere i lavori senza alcuna gara pubblica o bando, essendo concessionario unico. Monopolio assoluto. In barba a tutte le norme Ue di concorrenza. Con il Governo italiano più che mai deciso a difendere la procedura dagli attacchi di Bruxelles e Strasburgo: Venezia verrà salvata dal «Mose Made in Italy». Sfida politica internazionale, con tutti i presidenti del Consiglio e ministri dei Lavori pubblici pronti a rispondere ad ogni attacco e critica. Lo strabiliante aumento dei costi arrivato a 5 miliardi e mezzo di euro? Già previsto. Non è così anche per la Salerno-Reggio Calabria e l’Alta Velocità, due scommesse mai vinte? Il Mose, almeno, fra tre anni entrerà in funzione per salvare Venezia e la laguna dalle alluvioni. Il merito? Di Giovanni Mazzacurati e Piergiorgio Baita, il direttore padre-nobiler del Mose, e il top manager della Mantovani, il re del project financing in Veneto. La loro stagione si è chiusa e si gira pagina. La magistratura questa volta ha bruciato le tappe: Baita ha confessato non solo i fondi neri all’estero con l’evasione fiscale ma anche i legami con i «committenti» e ha patteggiato la pena di 22 mesi. Anche gli altri indagati hanno seguito analoga procedura: Minutillo se la caverà con 16 mesi, Buson e Colombelli con 14. Tutto finito? pare proprio di no. Perché il blitz di ieri fa capire che la magistratura si è mossa ben prima della confessione di Baita. E le sorprese non sono finite: la pista dei fondi neri e dell’evasione fiscale su società estere è infinita.

 

Chioggia travolta, coinvolti in dieci

Le imprese nei guai: Lavori marittimi, Cooperativa San Martino, CoEdMar, Zeta, Clodiense, Somit, Dragaggi, Tiozzo, Boscolo

CHIOGGIA – La bufera giudiziaria sul Mose si abbatte pesantemente su Chioggia, dove risiedono 10 dei 14 destinatari dei provvedimenti restrittivi eseguiti dal Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Venezia. I dieci indagati di Chioggia sono tutti imprenditori molto conosciuti in città, che operano da anni nel mondo delle opere marittime e idrauliche. Sono agli arresti domiciliari Roberto Boscolo Anzoletti, rappresentante legale della “Lavori marittimi e dragaggi”; Mario Boscolo Bacheto e Stefano Boscolo Bacheto, amministratori della cooperativa San Martino; Gianfranco Boscolo Contadin (conosciuto come Flavio), direttore tecnico della Nuova CoEdMar. Obbligo di dimora per Valentina Boscolo Zemello, legale rappresentante della Zeta; Antonio Scuttari, legale rappresentante della “Clodiense opere marittime”; Carlo Tiozzo Brasiola, legale rappresentante della Somit; Luciano Boscolo Cucco, titolare della Dragaggi; Dimitri Tiozzo, rappresentante legale della ditta Tiozzo Gianfranco; Erminio Boscolo Menela, rappresentante legale della società Boscolo Sergio Menela e Figli. Obbligo di dimora anche per Juri Barbugian, rappresentante legale della Nautilus srl, di Cona. Sono imprese storiche che operano nei dragaggi e nelle opere marittime da decenni, con appalti in Italia e all’estero. Le ditte finite sotto la lente d’ingrandimento della Finanza per presunta turbativa d’asta e fondi neri operano nel settore da decenni, alcune dalla fine dell’Ottocento quando con i burci si risalivano i fiumi per trasportare i sassi. Negli anni si sono ingrandite, dotate di strumentazioni all’avanguardia, di flotte di ultima generazione: lavorano con appalti pubblici e privati in Italia e all’estero, soprattutto con commesse nel Mediterraneo. La Nuova CoEdMar, nata nel dopoguerra, negli ultimi anni si è specializzata nelle costruzioni marittime e fluviali, nelle bonifiche e nelle opere speciali, lavora quasi esclusivamente per committenti pubblici (spesso negli interventi in accordo di programma tra Magistrato alle acque e Comune) e collabora con numerosi dipartimenti universitari. La cooperativa San Martino, nata nel ’66 dopo l’alluvione che mise in ginocchio Venezia e Chioggia, si è specializzata nella realizzazione di opere edili marittime proprio per dare un contributo alla salvaguardia della laguna. Tra i cantieri più importanti dell’ultimo periodo è proprio quello del Mose di cui sta realizzando le paratie mobili alla bocca di porto di Chioggia. La Dragaggi, nata nel 1870, opera nel settore delle costruzioni marittime, delle costruzioni idrauliche, della movimentazione a terra e negli sterri e spianamenti. Ha sede a Marghera ma l’amministratore unico, Luciano Boscolo Cucco, è di Sottomarina. La Somit (Società opere marittime idrauliche Tiozzo) è specializzata nelle opere marittime e idrauliche. Tra i lavori eseguiti a Chioggia, per conto del Magistrato alle acque, la sistemazione dei corpi arginali dalla foce sinistra del canale Novissimo fino all’idrovora del Vernio a Valli e il restauro dei ponti Scarpa e della Pescheria su canal Vena. Tutte le ditte hanno ottenuto le certificazioni internazionali su qualità dei lavori e sicurezza.

Elisabetta B. Anzoletti

 

Luciano Boscolo Cucco fu premio della bontà

Attivo nel mondo della cultura, è stato lui a far sfilare il bragozzo in Quinta strada a New York

CHIOGGIA – Forse il più conosciuto in città, per le numerose iniziative benefiche e per l’attivismo nel mecenatismo culturale, tra i nomi degli imprenditori raggiunti dai provvedimenti cautelari è quello di Luciano Boscolo Cucco, 62 anni, amministratore unico della Dragaggi. Cucco ha legato il suo nome negli anni a moltissime iniziative sociali e culturali. Tra le sue imprese più famose l’aver portato a sfilare nella Quinta Strada di New York il bragozzo “Teresina” in occasione del Columbus Day del 2006. Cucco è infatti noto anche nella Grande Mela grazie alla sua presenza nel consiglio di amministrazione di Ilica (Italian language inter cultural alliance) e come vicedirettore della International Columbia association. Tra i riconoscimenti che ha ottenuto negli ultimi anni il Premio della bontà, il Barbotin d’oro nel 2009, il “Leone marciano”, il “Mecenate dell’anno”. È stata sua l’idea del gemellaggio marinaro tra Chioggia e Saint Tropez con le vele al terzo e il gemellaggio con Cervia per la rotta del sale, che si concretizza ogni anno con una manifestazione all’interno della Sagra del pesce. Cucco è console della Mariegola delle Romagne in Veneto, cavaliere di San Marco, membro del Vero Cuore, membro del Comitato della Croce e cavaliere crociato. È attivo come mecenate nel mondo della cultura e della pittura. Finanzia borse di studio, pubblicazioni di libri, organizzazione di mostre e produzioni di tele e acquarelli. Fa parte dell’associazione “Ignazio Silone”. Ha portato la sua collezione privata di tolele (tavolette ex voto) in mostra in numerose località per tenere viva la cultura marinaresca e far conoscere Chioggia in tutto il mondo. (e.b.a.)

 

IL SINDACO CASSON  «Vanno chiarite tutte le posizioni»

Sconcerto generale, il Consorzio Chioggia Nuova: situazione delicata

CHIOGGIA – La notizia dell’indagine delle Fiamme Gialle in cui sono finiti anche nomi di importanti imprenditori chioggiotti ha fatto ieri rapidamente il giro della città, suscitando sorpresa, incredulità e molta curiosità. In pochi vogliono commentare la vicenda, ma la notorietà delle persone coinvolte non ha lasciato indifferente nessuno. Il mondo delle opere marittime non è nuovo alle indagini, in qualche caso finite anche con condanne, ma il numero dei provvedimenti eseguiti a Chioggia nell’ambito dell’indagine sui cantieri del Mose è notevole. «È senz’altro un fatto importante che merita la massima attenzione», commenta il sindaco, Giuseppe Casson, «ovviamente non posso e non ho elementi per entrare nel merito della vicenda, ma confido nel lavoro della Magistratura perché si faccia chiarezza quanto prima. Dobbiamo attendere l’esito delle indagini che sono al momento in una fase preliminare e quindi esistono tutti gli spazi perché gli indagati possano difendersi e chiarire la loro posizione». C’è anche chi pensa ai riflessi occupazionali perché si tratta di aziende importanti, anche con centinaia di dipendenti nei casi delle società più grosse. «Sono questioni delicate», commenta Ivano Boscolo Bielo, presidente del Consorzio Chioggia Nuova che raggruppa molte imprese marittime della città, «spetterà alla Magistratura fare tutte le verifiche del caso. Speriamo che tutto si risolva per il meglio». Alcune delle ditte coinvolte nelle indagini hanno eseguito anche molti cantieri pubblici in città attraverso gli appalti affidati dal Consorzio Venezia Nuova, soggetto attuatore dei lavori previsti in accordo di programma tra Magistrato alle acque e Comune per portare in quota di salvaguardia il centro storico. Nell’accordo di programma il rialzo delle rive e delle calli, il restauro dei ponti su canal Vena, la ristrutturazione della porta di Santa Maria, la realizzazione del Baby Mose per fermare l’acqua alta e più di recente il maxi intervento per la riapertura del canale Perotolo e la realizzazione della nuova piazza con i tre ponti. (e.b.a.)

 

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