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FERROVIE – La Venezia-Portogruaro al 5. posto della classifica nazionale delle peggiori linee

Aumentati i treni mattutini, ma tagliati quelli serali e notturni e dei giorni festivi

LINEA DA TERZO MONDO – Molte critiche sul collegamento con Treviso

Bocciato anche il collegamento con Treviso tanto che molti studenti preferiscono utilizzare l’automobile.

Per l’orario cadenzato una bocciatura senza appello. Legambiente ha presentato ieri, in municipio, il Rapporto Pendolaria 2014 e il dossier sul sistema ferroviario regionale veneto ad un anno dall’introduzione dell’orario cadenzato, che ha portato ad inserire al 5. posto della classifica nazionale delle peggiori linee italiane la Venezia-Portogruaro. Una tratta che è diventata simbolo non solo di tutti i problemi che affiggono il trasporto ferroviario regionale ma anche della mancanza di dialogo tra Veneto e Friuli Venezia Giulia nella programmazione del servizio.

Ne è un esempio il treno che arriva da Venezia a Portoguaro alle 14.23. La coincidenza per Casarsa non c’è perché il convoglio è partito alle 14.22 e quello dopo è alle 14.54. «Il rapporto di Legambiente – spiega Nicola Nucera, del Comitato pendolari – conferma che più si investe sul trasporto ferroviario più aumenta l’utenza. Nel 2014, il Veneto ha invece destinato a questo servizio solo lo 0,13 per cento del bilancio. Praticamente nulla. Con l’orario cadenzato sono stati risolti alcuni piccoli problemi ma ne sono stati creati altri più gravi: è stata aumentata l’offerta di treni nella fascia oraria tra le 7 e le 9 ma sono stati tagliati i treni serali e notturni e dei giorni festivi».

Alcuni numeri. Sulla Venezia-Portogruaro circolano 56 treni nei giorni lavorativi, 28 al sabato e solo 16 nei festivi. Con il nuovo orario cadenzato, il primo treno che giunge a Venezia il sabato arriva alle 6.50 e nei festivi alle 7.20. Ciò significa che le 200 persone che per lavoro usufruivano dei quattro treni che partivano prima, ora usano l’auto. Da terzo mondo anche la situazione della Portogruaro-Treviso, che nei giorni festivi presenta solo 4 corse ferroviarie a direzione e che è stata abbandonata da gran parte degli studenti che, per evitare lunghe attese prima e dopo la scuola, hanno preferito l’autobus.

Altra questione, i collegamenti tra pianura e montagna, ridotti nei sabati e festivi e, la sera, anticipati di parecchie ore rispetto ai giorni lavorativi.

In più, manca ancora l’integrazione tra il treno e la bici, limitando di fatto lo sviluppo del cicloturismo.

«L’orario cadenzato – commenta Maurizio Billotto di Legambiente Veneto Orientale – è stata un’operazione politica che non ha migliorato il servizio. Si è scelto di potenziare dove ci sono i grandi numeri, tagliando i servizi a tutti quei pendolari che si muovevano in fasce meno frequentate e che oggi sono costretti ad utilizzare l’auto. La qualità di un servizio ferroviario, tanto più su un’area metropolitana come lo diventerà la Provincia di Venezia, non va misurata sui grandi numeri ma va garantita a tutti, 7 giorni su 7».

Teresa Infanti

 

DISAGI – Pendolari bloccati in stazione a San Donà per un guasto

Altri ritardi e cancellazioni

Al lavoro con un’ora di ritardo. È quanto accaduto ieri a Silvia Lasfanti, dipendente dell’Università Ca’ Foscari e capogruppo di «Città Insieme» in Consiglio a San Donà. Il treno da Trieste delle 6.41 è stato fermato a San Donà, per tutti i pendolari diretti a Venezia il primo treno disponibile è partito alle 8. Difficoltà si sono verificate anche in direzione opposta, il treno delle 7,41 da Venezia è stato cancellato, quello delle 8,11 per Portogruaro viaggiava con oltre 50 minuti di ritardo, costringendo parecchi pendolari a utilizzare il bus per raggiungere il Veneto Orientale. In totale due treni soppressi in direzione San Donà-Venezia, uno Venezia-San Donà e ritardi fino a 68 minuti sulle altre corse.

«A San Donà il marciapiede sembrava un formicaio e il treno era pienissimo – continua Lasfanti – Al solito, poche informazioni da Trenitalia. Tutti erano arrabbiati e incollati al telefono per informare colleghi, superiori, datori di lavoro». «È indispensabile che tutti facciano un reclamo sul sito di Trenitalia – continua Lasfanti – Solo così l’azienda e la Regione Veneto avranno percezione chiara del problema. Purtroppo la Regione continua a dimostrarsi sorda alle richieste di Comuni e Comitati dei Pendolari. Spero che qualcuno si unisca a loro, bisogna unire le forze». Trenitalia spiega che ritardi e cancellazioni si sono verificati a causa di un guasto al sistema di controllo definito «marcia-treno», verificatosi dalle 6,15 alle 7,18, con disagi che si sono ripercossi in entrambe le direzioni.

 

Da Villa (m5s) interroga lupi

VENEZIA. Il deputato veneziano del Movimento 5 stelle, Marco Da Villa è il primo firmatario di un’interrogazione urgente sul caso, per chiedere al ministro per le infrastrutture Maurizio Lupi «per chiedere chiarimenti rispetto al possibile interessamento della “cricca” del sistema Mose alla costruzione del nuovo canale Contorta-Sant’Angelo».

«Il ministro Lupi, alla luce di queste ulteriori vergognose circostanze», si legge nell’interrogazione, «smetta di promettere la realizzazione del nuovo canale navigabile (dannoso per l’assetto morfologico della laguna) e avvii – come chiesto dal sottoscritto in numerosi atti ispettivi e nell’ordine del giorno del Senato, votato quasi all’unanimità, del 6 febbraio scorso – una comparazione reale, trasparente e partecipata delle diverse soluzioni in campo».

Nel merito, i parlamentari del gruppo M5s giudicano «non accettabile che non si tengano in minima considerazione i progetti che attestano le navi fuori dalle bocche di Porto del Lido e che, prevedono, in alcuni casi, minori costi più bassi e un impatto ambientale molto inferiore e rispettoso dei tre principi di gradualità, reversibilità e sperimentalità fissati dalla Legge Speciale». In questi giorni, si sta attendendo il parere della commissione di valutazione impatto ambientale al progetto di scavo del Contorta dell’Angelo.

 

i pm del mose

«Confidustria deve espellere chi si macchia di corruzione»

VENEZIA «Confindustria e Confcommercio devono espellere chi si macchia di reati corruttivi ed evasione fiscale, che oggi non è percepita come disdicevole». Così il pm Stefano Ancillotto – che ha firmato l’inchiesta Tangenti Mose con i colleghi Stefano Buccini e Paola Tonini – ieri, alla presentazione del libro “La Retata Storica” dei giornalisti del Gazzettino Gianluca Amadori, Monica Andolfatto e Maurizio Dianese, che ricostruisce l’indagine che ha scardinato il sistema di tangenti alimentato per anni dai fondi neri del Consorzio Venezia Nuova e delle sue aziende: mazzette illegali e prebende legali distribuite a pioggia sulla città.

«Il taglio della mano in pubblico placherebbe forse la fame di sangue, ma non sconfiggerebbe la corruzione: esiste da sempre e neppure l’ergastolo – come dimostra la Cina – la ferma», ha osservato il procuratore aggiunto Carlo Nordio, rispondendo alle polemiche sui patteggiamenti dei molti imputati: «Non serve aumentare le pene: la corruzione si alimenta della legislatura bizantina attuale che sconfina nell’arbitrio e perciò si deve battere prima dei processi, diminuendo le leggi, rendendole più chiare e individuando le persone responsabili o è inevitabile che ci sia chi paghi per non vedere rallentato un proprio diritto».

«La cosa che più mi ha colpito», ha osservato il pm Buccini, «è che a Venezia si era affermato un sistema per cui non si metteva il pubblico ufficiale in imbarazzo facendogli avanzare una richiesta di danaro. No, si offriva l’incarico – una consulenza, una nomina in uffici pubblici strategici – e anche la tangente: stipendio e tfr».

«C’era un sistema politico dai costi enormi che chiedeva di essere mantenuto», ha concluso Ancillotto, «finanziamento illecito e corruzione sono vicinissimi e alla fine l’imprenditore chiede qualcosa anche se dà fondi trasparenti. Serve un cambio nella cultura della legalità: l’episodio che mi ha scandalizzato di più è stato scoprire che un assessore regionale (Chisso, ndr) aveva nominato come segretario e messo a capo di un dipartimento un uomo con una sentenza definitiva per reati corruttivi (Enzo Casarin, ndr), senza alcuna levata di scudi».

(r.d.r.)

 

Gazzettino – La “retata storica”, Lezione per il futuro

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18

dic

2014

IL LIBRO – A palazzo Prigioni la presentazione del volume dei cronisti del Gazzettino

Riconsiderare il costo della politica e i finanziamenti ai partiti, inasprire le pene per la corruzione, semplificare le procedure burocratiche, ribaltare completamente il contesto culturale. Sono solo alcune degli argomenti e delle proposte emersi ieri pomeriggio durante la presentazione del volume “Mose la retata storica” al Palazzo delle Prigioni, meta che non poteva essere più azzeccata in laguna per parlare dello scandalo che ha travolto Venezia.

Il volume, scritto dai giornalisti de “Il Gazzettino” Gianluca Amadori, Monica Andolfatto e Maurizio Dianese, è stato letto in alcune parti da tre studenti del liceo Marco Polo, che agli stessi giornalisti e ai magistrati presenti hanno poi rivolto domande e dubbi per un futuro diverso. Perché oggi il “sistema Mose” è diventato un precedente, metro di paragone per l’illegalità e la corruzione “sistematica” dove le mazzette, con il tempo, erano diventate veri e propri “stipendi” e anche “Tfr” per i soggetti coinvolti.

Al tavolo i magistrati che hanno guidato l’inchiesta coordinata dalla Guardia di Finanza, il procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio e i pm Stefano Ancilotto e Stefano Buccini. «Occorre una rivoluzione culturale – ha detto Nordio – che comprenda un vasto programma di sistemi d’approccio alla corruzione: considerare le cause (costi della politica e avidità umana), migliorare ed estendere i reati antimafia, capire gli strumenti attraverso i quali la corruzione agisce e semplificare la normativa».

Al ruolo della magistratura si aggiunge quei giornalisti: «L’importanza dell’informazione è fondamentale – ha detto Amadori – oggi la carta è spesso sostitita da Internet ma occorre andare oltre le informazioni “spot” per approfondire le tematiche».

Tra i relatori anche il direttore de “Il Gazzettino” Roberto Papetti che ha ricostruito i passaggi fondamentali dell’inchiesta, esprimendo soddisfazione per il lavoro svolto dai giornalisti che l’hanno seguita in modo esauriente ed esaustivo, anticipando le altre testate.

A denunciare la corruzione dilagante anche il sociologo ed ex assessore Gianfranco Bettin il quale ha fatto riferimento al tema delle bonifiche di Porto Marghera e al business del turismo veneziano legato all’illegalità, ricordando la vicenda di Tronchetto: «Mai come oggi c’è estremo bisogno di garanti della legittimità», ha dichiarato.

 

Nuova Venezia – La cricca del Mose voleva il Contorta

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17

dic

2014

Mose, Mazzacurati libero dopo l’arresto incontrò Costa

La cricca voleva il Contorta

Intercettazioni svelano i maneggi di Baita e Adami con Mazzacurati e un incontro tra l’ex capo del Cvn e Paolo Costa

VENEZIA – Erano stati scarcerati, dopo essere rimasti in una cella o nella propria casa agli arresti domiciliari, Piergiorgio Baita il 21 settembre 2013 e Giovanni Mazzacurati poco prima, l’8 agosto. Entrambi avevano deciso di raccontare quello che sapevano dei fondi neri, della corruzione ai vari livelli, eppure nel marzo 2014, quando entrambi si erano dimessi dal consiglio d’amministrazione della «Mantovani» il primo e dalla presidente del Consorzio Venezia Nuova il secondo, continuavano a tenere le fila degli affari.

Al centro del loro interesse c’era lo scavo del canale Contorta Sant’Angelo, quello per far passare in laguna le grandi navi da crociera. Si muovono per convincere Paolo Costa, il presidente dell’autorità portuale ad affidare al Consorzio, alla Mantovani quell’intervento da 200 o 300 milioni di euro. E con loro c’è il padovano Attilio Adami, presidente della società di ingegneria «Protecno srl» di Noventa Padovana.

C’è una relazione degli investigatori della Guardia di finanza di Venezia, quelli che hanno arrestato Mazzacurati nell’ambito dell’indagine del pm lagunare Paola Tonini per la turbativa d’asta della gara dell’Autorità portuale. Una delle innumerevoli relazioni, scritta sulla base di intercettazioni, accertamenti e studio della documentazione. Relazione che è finita anche sul tavolo del pubblico ministero di Padova Giorgio Falcone.

Si legge che nel marzo 2014 Baita e Adami chiedono a Mazzacurati di usare la sua influenza, evidentemente ancora intatta o quasi nonostante l’arresto e le confessioni, e di fare in modo che se il canale Contorta si dovesse fare il lavoro spetterà loro. E Mazzacurati si muove, tanto che poco prima della sua partenza per la California, dove è tuttora, lo va a trovare Paolo Costa. Concluso l’incontro, l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova rassicura Baita, spiegandogli che il presidente dell’Autorità portuale sembra davvero disponibile ad accogliere i suoi suggerimenti.

Non si tratta di una totale sorpresa, visto che quattro mesi prima, il 10 novembre 2013, il consigliere comunale Beppe Caccia con un’interrogazione al sindaco Giorgio Orsoni chiedeva: «Anche il canale Contorta Sant’Angelo sarà affidato al Consorzio Venezia Nuova, grazie al regime di concessione unica, nonostante le inchieste penali in corso sul condizionamento esercitato da una potente lobby sulla vita produttiva e politico amministrativa in laguna?».

E l’interrogazione ricordava che «all’attività di studio e progettazione del canale Contorta Sant’Angelo sarebbe stata affidata dall’Autorità portuale e dal Magistrato alle Acque alla «Protecno srl» con il coinvolgimento dell’ingegnere veneziano Daniele Rinaldo, già direttore di cantieri del Consorzio Venezia Nuova, e marito di Maria Teresa Brotto, ex dirigente dello stesso Consorzio Venezia Nuova e della società Thetis» (arrestata e uscita dall’inchiesta Mose con un patteggiamento).

Ma Caccia, questa volta assieme ad un altro ex amministratore comunale, Gianfranco Bettin non ha mollato l’osso e ieri hanno dichiarato essere inaccettabili le pressioni del ministo Maurizio Lupi e del governatore Luca Zaia per lo scavo del Contorta. «Inaccettabile è la riproposizione, da parte di Governo e Regione, della stessa logica di scavalcamento e forzatura delle procedure che abbiamo visto nei vent’anni del “sistema Mose”. E abbiamo tutti visto quali danni questa logica abbia portato e quali illegittimi interessi corruttivi si siano, nelle sue pieghe, imposti».

Giorgio Cecchetti

 

Un canale lungo 5 chilometri, largo 120 metri e profondo 10,5. Dai fanghi 400 ettari di barene

Una partita che vale 150 milioni di euro

VENEZIA – I numeri del progetto sono da capogiro, non per nulla avevano fatto venir fame ai “lupi dell’appalto” del Consorzio Venezia Nuova: la proposta dell’Autorità portuale prevede, infatti, di scavare un nuovo canale in laguna profondo dieci metri e mezzo e largo 120, lungo quasi cinque chilometri con sei milioni e mezzo di metri cubi di fanghi da togliere, per portare i fondali dall’attuale profondità di 2 metri a meno 10 e per permettere così il passaggio di grandi navi anche oltre le 130 mila tonnellate. Fanghi con i quali il Porto annuncia di voler ricostruire 400 ettari di barene, come opere di mitigazione all’impatto del nuovo possente corso d’acqua.

I tempi di realizzazione stimati sono di 19 mesi dal via ai lavori. I costi – sui quali si erano concentrati gli appetiti dei “soliti noti” – 148 milioni di euro. Sono questi i numeri del progetto elaborato dall’Autorità Portuale per portare le navi transoceaniche allo scalo passeggeri in Marittima, senza più passare dal Bacino di San Marco: ingresso per la bocca di porto di Malamocco (e non più del Lido), Canale dei Petroli in coabitazione con le navi merci dello scalo commerciale (con un senso unico alternato da regolamentare) e, quindi, all’altezza dell’isola di Sant’Angelo delle Polveri lo scavo di un nuovo, profondo canale diretto in Marittima, sul tracciato di quello piccolo esistente.

Numeri che fanno gridare gli ambientalisti all’attentato alla salvaguardia della laguna, perché la bocca di porto di Malamocco è già oggi interessata da volumi di marea di circa 10 mila metri cubi al secondo, mentre si calcola che la laguna perda circa un milione di metri cubi l’anno di sedimenti, a causa dell’erosione, del moto ondoso e dello scavo dei canali. Il presidente Costa ha detto più volte che il Contorta dell’Angelo è – per il porto – l’unico progetto percorribile per togliere le navi dal Bacino San Marco in tempi ragionevoli. Ieri, intanto, il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro è andato in visita alla “control room” del Mose all’Arsenale: è lui ad aver firmato la nomina dei due commissari del Consorzio Venezia Nuova – Luigi Magistro e Francesco Ossola – e ora ha voluto vedere da vicino di che si trattava.

Roberta De Rossi

 

Dal 4 giugno 2014 il Mose non è più sinonimo di dighe mobili che salvano Venezia dall’acqua alta, ma il nome-simbolo del malaffare e della corruzione. Uno scandalo che ha travolto la Serenissima, in mezzo tra l’Expo di Milano e quello di Mafia Capitale, resta il più grande di tutti i tempi. Basti pensare che la mega tangente dell’Eni che nel ’92 azzerò la classe politica italiana era di 140 miliardi di lire, 70 milioni di euro, mentre per il Mose si parla di 1 miliardo di euro ovvero mille miliardi di vecchie lire.

A raccontare nel dettaglio e in presa diretta l’inchiesta, con documenti esclusivi, verbali di interrogatorio e mememorie di imputati eccellenti, è il volume, da pochi giorni in libreria, “Mose, la Retata Storica” (Edizioni Nuova Dimensione) con prefazione del direttore del Gazzettino Roberto Papetti. Il libro scritto da tre giornalisti del Gazzettino – Gianluca Amadori, Monica Andolfatto e Maurizio Dianese – contiene sia lo sviluppo delle indagini che una mole considerevole di documenti esclusivi e inediti sull’inchiesta Mose, iniziata ben sei anni prima con una verifica fiscale effettuata dalla Guardia di Finanza nella sede di una cooperativa di Chioggia che lavorava per il Mose. Da lì gli autori ricostruiscono il filo della corruzione che avviluppa la storia recente di Venezia e del Veneto, attorno al Consorzio Venezia Nuova e ai suoi vertici e alle sue imprese.

Oggi alle 17.30 nel Palazzo delle Prigioni, in Riva degli Schiavoni, sarà lo stesso Papetti con Gianfranco Bettin a presentare il libro, sollecitato dai liceali del Marco Polo, con la partecipazione di Carlo Nordio, procuratore aggiunto di Venezia. Il blitz della Guardia di Finanza coordinato dai pm Paola Tonini, Stefano Buccini e Stefano Ancilotto, scatta alle 4 del mattino e ammanetta 34 persone: così il 4 giugno diventa dunque la data spartiacque, la data che segna l’inizio della fine per un sistema che si è dedicato al saccheggio dei soldi pubblici per oltre un decennio, utilizzando vari sistemi. È un terremoto per la vita della città, che si scopre ferita a morte. Ma anche in Regione Veneto scoppia il finimondo.

 

Gazzettino – Mose. “Chisso, collettore di tangenti”

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16

dic

2014

MOSE – Le motivazioni del gup sul patteggiamento (2 anni e mezzo) all’ex assessore regionale

«Chisso, collettore di tangenti»

«Per nove anni ha ricevuto uno “stipendio annuale” e dazioni una tantum dal sistema del Consorzio»

Dall’inchiesta sul sistema Mose risulta che l’ex assessore regionale alle Infrastrutture, Renato Chisso, era il «collettore del denaro prezzo della corruzione».

Lo scrive il giudice per l’udienza preliminare di Venezia, Massimo Vicinanza, nelle motivazioni, depositate ieri, della sentenza di pattegiamento con cui, lo scorso 28 novembre, ha applicato all’esponente politico di Forza Italia la pena di due anni, sei mesi e 20 giorni di reclusione, sulla base dell’accordo raggiunto con i pm Stefano Ancilotto, Stefano Buccini e Paola Tonini.

Nella sentenza vengono citate la vicenda del 7 febbraio 2013 «seguita passo passo dagli investigatori grazie all’attività di intercettazione telefonica, che ha portato ad individuare la consegna di denaro» all’ex assessore, nonché le dichiarazioni rese da Claudia Minutillo, responsabile di Adria Infrastrutture, uno dei soggetti giudici che avevano interesse ad ottenere l’adozione di atti pubblici favorevoli, Giovanni Mazzacurati, presidente del Consorzio Venezia Nuova (Cvn) al quale era stata affidata la realizzazione dell’opera denominata Mose, Piergiorgio Baita, Nirco Voltazza, «tutte convergenti» contro Chisso. Insomma, secondo gil gup «non vi sono elementi in forza dei quali fondare il proscioglimento» richiesto dalla difesa.

Il giudice sottolinea che la condotta illecita di Chisso si è protratta per 9 anni, a partire dalla sua nomina ad assessore nel 2005, e scrive che è corretta la qualificazione giuridica del reato di corruzione operata dalla Procura e poi confermata dalla Cassazione, «visto che l’impegno del pubblico amministratore, retribuito con uno “stipendio annuale” e con dazioni una tantum, di adottare in senso favorevole al Consorzio tutti i provvedimenti previsti dalla legge, anche quelli contrari ai doveri d’ufficio, integra la violazione dell’articolo 319 cp».

La sentenza entra anche nel merito del reato di abuso d’ufficio contestato a Chisso in concorso con il dirigente regionale Fabio Fior in relazione all’affidamento al Cvn del Servizio Informativo per il monitoraggio delle discariche abusive e incontrollate del Veneto. Affidamento ritenuto illecito e reso possibile «proprio grazie alla copertura politica del Chisso… in chiara violazione della disciplina generale in materia di appalti di pubblici servizi». Quel progetto fu finanziato con oltre 4 milioni di euro, somma che Baita ha definito uno «sperpero totale di soldi dello Stato a beneficio di nessuno», anche perché il Servizio Informativo affidava gli incarichi «senza nessun tipo di gara, a parenti, amici, cose del Consorzio».

Quanto alla pena inflitta a Chisso, il giudice la definisce «congrua e correttamente determinata… L’imputato pare meritevole delle attenuanti generiche, se non altro perché in tal modo si adegua la pena all’effettivo ruolo avuto nella vicenda, tenuto conto delle sanzioni già applicate ad altri protagonisti della vicenda, tra cui il presidente della Regione Veneto Galan».

Infine la confisca, disposta per l’ammontare di 2 milioni di euro (a fronte di soli 1500 euro sequestrati all’ex assessore), somma quantificata «in via prudenziale» dal gup: «Deve ritenersi che nel corso degli anni, cioè dal 2005, Chisso per l’adozione di atti contrari ai doveri d’ufficio è stato retribuito stabilmente con somme non inferiori, se si tiene conto delle indicazioni forniute da Mintuillo e Mazzacurati, a 200mila euro per anno, oltre a dazioni ugualmente significative, anche prossime al milione di euro (dichiarazioni di Baita), ovvero cessioni o acquisti in plusvalenza di quote di società… La condotta, si è detto, si è protratta per nove anni».

 

 

LETTERE AL DIRETTORE – Con il “premio”a chi confessa si può combattere la corruzione

Caro direttore,
mentre la corruzione dilaga, il governo disegna. Mi riferisco al disegno di legge anticorruzione che, diversamente dal decreto legge, richiederà i tempi parlamentari per diventare legge. Ma voglio aggiungere un aspetto interessante. Venerdì scorso alle 18, un’ora prima che si riunisse il Consiglio dei ministri, circolava una bozza di questo Ddl in cui, all’articolo 1, era presente un comma che istituiva per i pentiti in questioni di corruzione la stessa norma premiale già istituita contro mafia e terrorismo, con sconti di pena da un terzo fino a metà, secondo l’aiuto offerto. Alle 20, al termine del Consiglio dei ministri, nel Ddl di questa norma non c’era più traccia. Cosa dobbiamo pensare? Forse ha ragione Massimo Fini. Le parole gridate ai quattro venti dai nostri governanti contro i disonesti, sono solo fumo negli occhi. Le reali intenzioni viaggiano su un altro binario.
Giovanni Moccia

Venezia

——
Caro lettore,
il tema è complesso ed eviterei quindi semplificazioni eccessive. Personalmente, come ho avuto modo di scrivere anche nella prefazione del libro “Retata storica” uscito in questi giorni e dedicato allo scandalo Mose, ritengo che il fenomeno corruttivo abbia raggiunto nel nostro Paese un livello di tale gravità ed estensione, da giustificare anche l’adozione di misure eccezionali, come appunto quella di prevedere sconti di pena significativi per i corrotti che confessano e forniscono un concreto aiuto ai magistrati nelle loro indagini. Del resto è altrimenti difficile spezzare la catena d’interesse che lega corrotti e corruttori. Naturalmente non mi sfuggono le riserve o le controindicazioni di natura etica e anche giuridica che una tale misura può generare: “premiare” chi ha commesso un reato può non trovare tutti d’accordo. Ma credo che, come accadde per il terrorismo negli anni di piombo, sia necessario anteporre a tutto l’interesse generale e la necessità di colpire in modo deciso la corruzione. E ritengo questa misura più efficace degli ipotizzati aumenti di pena che rischiano di restare sulla carta se non si danno ai magistrati strumenti efficaci per scoprire e colpire il malaffare.

 

VIVERE OGGI LA LEZIONE DI SAN PAOLO

Domenica San Paolo ci esorta: “Siate sempre lieti”; e ripetutamente nelle sue lettere: “State lieti… non preoccupatevi di nulla”. Dobbiamo perciò essere lieti e sereni anche quando restiamo senza soldi, anche il giorno che paghiamo le tasse. Ma c’è un modo per coltivare la letizia, la serenità? Vito Mancuso, col suo libro “Io amo”, suggerisce di cominciare dall’essere felici di sè, “dall’accettazione della propria condizione, amata per quella che è anche nei suoi limiti, ai quali si giunge a sorridere con quella leggerezza dell’autoironia che è una delle proprietà più belle dell’essere umano”. E poi allargare lo sguardo agli “altri”, poiché “ognuno di noi nasce dalle sue relazioni, vive nelle sue relazioni, è le sue relazioni. L’Io è costitutivamente relazione. Quando si vive per gli altri si sente il proprio Io espandersi”. Ecco, trovo questi concetti splendidamente sintetizzati dall’ossimoro di uno spot pubblicitario letto oggi sul Gazzettino: “Siate egoisti, fate del bene. Fare del bene è il miglior modo di sentirsi bene”. Cioè di essere lieti. Anche in vista del vicino Natale.

Domenico Ceoldo – Vigonza (Pd)

 

CORRUZIONE, I MAGISTRATI UNICO BALUARDO

L’ennesimo problema di corruzione, in questo Paese, dimostra come la politica è incapace di controllare chi si serve di essa e da molto tempo. Le compiacenze, i legami con il malaffare sono ormai il costume endemico di una società che è costretta a convivere, ma reagisce ancora stupendosi di tanto marcio che si annida in chi, nelle istituzioni come nel privato, gestisce il potere e. Purtroppo il danno d’immagine a questa povera Italia è diventato una voragine, esposta al pubblico ludibrio su tutto il Pianeta! Quando poi a essere coinvolta nella corruzione è pure la capitale di una nazione, che dovrebbe essere il riferimento per orgoglio, cultura, storia, autorità politica centrale, in una democrazia occidentale, tutto ciò che gravita e fa perno su organizzazioni malavitose di questa città, riflette inesorabilmente l’intera società malata. Ora bisogna provvedere al rimedio, con giustizia, senza alcuna indulgenza e con rigore cristallino almeno per tentare di recuperare un po’ di onore perso. Ma quante altre situazioni, analoghe a Roma, ci saranno da far scoperchiare? Ci sarebbe da azzerare un intero sistema politico-istituzionale, che non può certo definirsi garante di uno Stato di diritto! Esistono solo privilegi e furti, questi ultimi nei confronti dei cittadini contribuenti. Con l’amaro in bocca e tanta tristezza faccio davvero fatica a dire che questa Costituzione tuteli i cittadini. E come potrebbe, se padroneggia la piena libertà di approfittarsi della gestione pubblica, da dove invece dovrebbero uscire modelli di servizi eccellenti, mentre si assiste solo a buone intenzioni, per giunta riuscite a metà? L’unica speranza la ripongo nelle persone che hanno ancora vero senso dello Stato, come alcuni solitari magistrati, sorretti naturalmente dalle forze dell’ordine. Sono loro i veri garanti dei cittadini e dell’intera collettività nazionale.

Adalberto de’ Bartolomeis – Monselice (Pd)

 

Nuova Venezia – Appalto idrovia a gruppo dello scandalo Mose

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16

dic

2014

 

Progetto partecipato per valorizzare l’asta del fiume: in 700 per il rilancio del territorio

Firmato il patto per difendere il Brenta

VENEZIA – Un patto per rendere il fiume Brenta sostenibile e difenderlo da eventuali abusi o interventi dissennati. É stato firmato ieri mattina a Venezia il «Contratto di Fiume per il Brenta» alla presenza dell’assessore alla pesca Franco Manzato, delegato per l’assessore all’ambiente Maurizio Conte. Si tratta del primo processo partecipato a grande scala in Veneto che ha lo scopo di mettere in rete comuni, istituzioni e associazioni che vivono a contatto con il Brenta affinché si affrontino insieme i punti critici (per esempio il prosciugamento dell’acqua da parte di centrali idroelettriche o gli interventi per sistemare gli argini) e si uniscano le forze per progetti positivi (in particolare le associazioni sportive, ambientaliste, scientifiche, turistiche e le oltre 400 Ville Venete che rientrano nel bacino del Brenta).

Per adesso hanno firmato l’accordo le province di Padova, Venezia e Vicenza più Trento e Belluno come osservatrici, tre Consorzi di Bonifica (Brenta, Acque Risorgive e Bacchiglione), tre Unione Montane (Valbrenta, Sette Comuni, Grappa), tre Consigli di Bacino (Laguna di Venezia, Brenta e Bacchiglione), 33 Comuni rivieraschi (in previsione ce ne sono un totale di 100) e hanno preso contatto circa 700 realtà associative (info@contrattodifiumebrenta.com). La proposta è partita qualche anno fa da Rolando Lubian, presidente associazioni pescatori veneti dilettanti, e ora vede la partecipazione di tante associazioni come quelle di canottaggio e rafting, guidate dal campione olimpico Ivan Pontarollo.

(v.m.)

 

Le associazioni ambientaliste chiedono l’apertura di un confronto trasparente con i due rappresentanti inviati dal prefetto di Roma al Consorzio Venezia Nuova

VENEZIA «Un confronto trasparente sull’efficacia delle dighe mobili. Quello che l’ambiente criminoso con cui operava il sistema Mose ha sempre impedito». I comitati «No Mose» e l’associazione Ambiente Venezia tornano all’attacco contro la grande opera. Ieri hanno inviato ai nuovi commissari del Consorzio Venezia Nuova, nominati dal prefetto di Roma, un corposo dossier e una richiesta di incontro.

«Abbiamo inviato a Luigi Magistro e Francesco Ossola», spiegano i portavoce Armando Danella e Luciano Mazzolin, «la documentazione critica raccolta negli ultimi anni dal Comune e lo studio della società internazionale di off shore Principia».

Uno studio commissionato dalla giunta Cacciari nel 2008 e inviato al Magistrato alle Acque. Ma liquidato in poche righe, ricordano i comitati, dal Comitato tecnico di Magistratura, presieduto allora dall’ingegnere Mayerle.

«Non ci hanno mostrato studi né prove di calcolo o sperimentazioni», ricorda Danella, «hanno solo respinto le critiche al mittente autorizzando il progetto ad andare avanti».

Gli ingegneri franco-canadesi di Principia, società «leader mondiale nel campo della modellistica», avevano rilevato come in condizioni di mare agitato e di onde alte la paratoia manifesti «un comportamento di instabilità dinamica, estrema conseguenza della risonanza, con una amplificazione dell’angolo di oscillazione».

Significa che con onde di 2 metri e 20 e un picco di 8 secondi l’efficacia del sistema Mose viene messa in discussione. «Il confronto tecnico non si è mai fatto», ribadisce Mazzolin, «e allora il presidente del Magistrato alle Acque era Patrizio Cuccioletta, il presidente del Consorzio Mazzacurati, il sindaco nel 2010 era diventato Giorgio Orsoni. Occorre fare adesso quello che non si è fatto allora. Cioè confrontare pubblicamente studi e prove tecniche».

E verificare bene, come si sarebbe dovuto fare all’epoca, se era giusto proseguire». I comitati chiedono anche ai commissari che il collaudo dell’opera sia fatto in condizioni di mare critiche. E non con mare calmo. «Così si dimostra solo che il principio di Archimede è ancora valido», conclude la lettera, «e non certo che il sistema Mose funziona».

Una lettera già inviata in copia anche alla Procura e alla Corte dei Conti. «Chiediamo sia fatta piena luce sulla vicenda», concludono i comitati, «perché il sistema di corruzione ha spinto avanti l’opera soprattutto nei momenti critici in cui veniva messa in discussione. E grazie all’inchiesta adesso abbiamo scoperto come. Adesso occorre verificare il sistema dal punto di vista tecnico».

Alberto Vitucci

 

 

Quanto prendono i commissari? Sullo stipendio degli amministratori straordinari del Consorzio Venezia Nuova, al lavoro in laguna da qualche giorno, è mistero fitto. Il decreto del prefetto di Roma che li ha nominati rinvia a un apposito provvedimento del Consiglio dei ministri «in base alla legge del 2013».

In realtà la legge è del 2010, e prevedeva i tetti per gli stipendi pubblici. Ma la tabella applicativa non è mai stata fatta. Dunque, in attesa di quelle indicazioni, potrebbe essere il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone a indicare la cifra e il compenso dei nuovi amministratori, che sarà comunque a carico del Consorzio. In caso contrario lo stipendio di Luigi Magistro, ex direttore delle Dogane e dei Monopoli e dell’ingegner Francesco Ossola, docente al Politecnico di Torino, potrebbe essere calcolato sulla base delle tabelle dei loro Ordini di appartenenza. Cioè «in proporzione al valore dell’opera». Quasi sei miliardi di euro.

(a.v.)

 

L’INCHIESTA – Processo in salita per Orsoni: tutti contro l’ex sindaco

Il gip si oppose alla richiesta di patteggiare 4 mesi e multa

LA REPLICA – Contestate le affermazioni dei due deputati dem indagati

LE ELEZIONI «La gestione affidata a persone vicine al Pd»

LA DIFESA – Gli avvocati Arata e Grasso precisano che Orsoni non si è interessato all’organizzazione della campagna elettorale«Mai ricevuto soldi al di fuori della legge»

SISTEMA MOSE – Mancano i riscontri su Zoggia e Mognato: possibile archiviazione

VERSO IL PROCESSO – I pm proseguono con gli accertamenti sull’ex sindaco

Tutti contro Orsoni per i finanziamenti elettorali in nero

Tutti gli elementi raccolti finora dalla Procura sembrano puntare contro l’ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, in relazione al presunto finanziamento illecito di 450mila euro che l’allora presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, racconta di aver versato “in nero” nel 2010 per finanziare la campagna elettorale per le Comunali in laguna. Al momento non sarebbe emerso alcun riscontro sul possibile ruolo giocato dai due esponenti di spicco del Pd, gli attuali deputati Michele Mognato e Davide Zoggia, chiamati in causa dallo stesso Orsoni nell’interrogatorio da lui sostenuto il 9 giugno scorso, subito dopo essere finito ai domiciliari per violazione della legge sul finanziamento dei partiti. Nessuna delle persone ascoltate dagli investigatori ha dato indicazioni o conferme in merito al fatto che i due onorevoli abbiano gestito quel finanziamento, né che siano stati loro a spingere Orsoni a rivolgersi a Mazzacurati per chiedere contributi elettorali. Zoggia e Mognato, ascoltati come indagati martedì scorso, hanno negato di essersi mai occupati di finanziamenti per il candidato sindaco. Di conseguenza non è escluso che la posizione dei due deputati del Pd finisca presto in archivio come chiesto dai difensori, gli avvocati Guido Calvi, Gianluca Luongo, Marta De Manincor e Alfredo Zabeo. Le loro dichiarazioni potrebbero però essere utilizzate per sostenere l’accusa nei confronti di Orsoni, assieme a tutte le altre raccolte finora nel corso dell’inchiesta.

Quello del presunto finanziamento illecito per la campagna elettorale del 2010 al Comune di Venezia è uno degli episodi minori emersi nell’ambito dello scandalo del “sistema Mose”, e certamente non è di gravità paragonabile alle maxi tangenti contestate all’ex presidente della Regione, Giancarlo Galan, o all’ex assessore Renato Chisso, accusati di corruzione. Ma ha avuto il maggior impatto mediatico per il risalto della persona coinvolta – il sindaco di Venezia – poi costretto alle dimissioni. Orsoni ha sempre respinto ogni addebito, spiegando che di un primo contributo “in bianco” di 110mila euro, è certo della totale legittimità, in quanto regolarmente registrato dal suo mandatario elettorale (la Procura invece ritiene che sia illecito in quanto i soldi, ufficialmente provenienti da alcune società provenivano in realtà dal Cvn, provento di false fatturazioni). Quanto al secondo contributo – quantificato da Mazzacurati in circa 450mila euro – Orsoni ammette di averlo chiesto su sollecitazione dei “maggiorenti” del Pd, ma di non aver materialmente visto i soldi, per il versamento dei quali sostiene di aver fornito a Mazzacurati gli estremi del conto gestito dal suo mandatario elettorale. Versione che contrasta col racconto dell’ex presidente del Cvn, il quale parla di denaro consegnato a Orsoni personalmente, e in parte tramite il fedele collaboratore Federico Sutto. Di una parte del contributo – 50 mila euro – si sarebbe invece occupato il presidente della Mantovani, Piergiorgio Baita, sempre tramite Sutto.

Pur negando ogni responsabilità, lo scorso giugno Orsoni aveva concordato con la pubblica accusa il patteggiamento di 4 mesi di reclusione e 15mila euro di multa, ma il gip Massimo Vicinanza ha rigettato la proposta ritenendo la pena non congrua. L’ex sindaco ha quindi dichiarato di volersi difendere a processo per dimostrare la propria innocenza. La Procura si appresta a chiudere le indagini sull’ex sindaco, ma nel frattempo sta conducendo una serie di nuovi accertamenti: tra pochi giorni si saprà se sono stati raccolti altri elementi di prova contro di lui.

Gianluca Amadori

 

«Il professor Orsoni ha sempre dichiarato di non essersi mai interessato alla organizzazione e gestione della propria campagna elettorale che è stata seguita da altri soggetti ed in particolare da soggetti direttamente o indirettamente riferentisi al Pd. Tale è stato l’accordo intervenuto con i maggiori rappresentanti del Pd a livello locale al momento della accettazione della candidatura».

Lo precisano i legali dell’ex sindaco di Venezia, gli avvocati Francesco Arata e Daniele Grasso, in un comunicato diramato nella tarda serata di ieri, attraverso il quale replicano a quanto è trapelato dopo gli interrogatori degli onorevoli Michele Mognato e Davide Zoggia (indagati) e dell’ex assessore Alessandro Maggioni (semplice testimone), ascoltati nei giorni scorsi in Procura.

I difensori dell’ex sindaco spiegano che Orsoni, «su sollecitazione di vari esponenti politici ha occasionalmente avuto modo di invitare alcuni soggetti, imprenditori e non, da lui conosciuti, fra i quali l’ing. Mazzacurati, a contribuire nel pieno rispetto delle regole, al finanziamento della sua campagna elettorale», senza conoscere «l’entità delle somme pervenute al mandatario elettorale, né come esse fossero spese, se non parecchio tempo dopo la conclusione della campagna elettorale».

Nel comunicato si precisa che Orsoni «non ha mai ricevuto somme con modalità diverse da quelle consentite dalla legge, né è a conoscenza che altri ne abbiano ricevute per sostenere la sua campagna elettorale, al di fuori di quanto pervenuto al mandatario elettorale».

Per finire, i legali sottolineano che l’allora candidato sindaco «non ha mai avuto indicazioni di fabbisogni finanziari precisi per la campagna elettorale né a sua volta ha dato indicazioni di tale genere ad altri soggetti. Ogni affermazione difforme da quanto sopra precisato – concludono gli avvocati Grasso e Arata – è destituita di ogni fondamento e contraria alla realtà, frutto di pura fantasia, come risulta anche dal verbale di interrogatorio reso avanti l’Autorità Giudiziaria».

(gla)

 

MOSE Dopo l’iscrizione nel registro indagati

Su Mognato e Zoggia il Pd ora fa quadrato

Il Pd metropolitano e cittadino fa quadrato attorno ai deputati Davide Zoggia e Michele Mognato, recentemente indagati dalla magistratura per finanziamento illecito dei partiti. Il segretario metropolitano Marco Stradiotto precisa inoltre che il bilancio del partito non c’entra con la vicenda. Chi invece va all’attacco è l’ex consigliere comunale Jacopo Molina, il quale chiede al partito di “cambiare musica e musicisti” e agli indagati di non presentare istanza di patteggiamento.

 

LA BUFERA Le segreterie provinciale e cittadina smorzano i toni: «Avranno presto modo di chiarire»

Il Pd fa quadrato su Mognato e Zoggia

Stradiotto: «Non c’entrano con i bilanci». Ma Molina attacca: «Deficit di credibilità del partito»

Da tutti “massima fiducia nella magistratura, con l’auspicio che faccia chiarezza al più presto”. Ma al tempo stesso, in qualcuno, la richiesta che “il partito cambi musica e musicisti”.
Opinioni diversificate, nel Pd, per i deputati Michele Mognato e Davide Zoggia indagati in relazione ai contributi che Giovanni Mazzacurati (Consorzio Venezia Nuova) sostiene di aver versato nel 2010 pro campagna elettorale di Giorgio Orsoni.

Il segretario metropolitano Marco Stradiotto chiede di smorzare i toni e si dice convinto “che a breve entrambi avranno modo di chiarire”.

«Sui bilanci del partito siamo tranquilli – puntualizza – non mi risulta che Michele e Davide fossero coinvolti direttamente in quella campagna elettorale. La commissione finanziamenti presieduta da Gilberto Bellò? Conclusa senza rilievi di sorta. E con i risultati da un mese in rete, alla voce “trasparenza” del nostro sito. Dopo le dichiarazioni dell’ex Sindaco Orsoni l’iniziativa della Magistratura appare effettivamente quasi come un atto dovuto.Dopo i tristi fatti di Roma è evidente come un episodio come questo, che nulla ha a che vedere con quelle situazioni così gravi, venga accolto da un assoluto clamore mediatico. Da segretario metropolitano, dunque, invito tutti ad abbassare i toni, a non confondere situazioni molto diverse e a non scambiare un atto dovuto, come un avviso di garanzia, con una sentenza».
Anche il coordinatore cittadino ed ex consigliere comunale Emanuele Rosteghin manifesta fiducia sugli approfondimenti della magistratura e l’estraneità dei due parlamentari. Precisando che «l’attenzione del partito è rivolta alla preparazione delle primarie per il candidato alla carica del sindaco. Dove tutti saranno tenuti all’osservanza di un codice di autoregolamentazione all’insegna della sobrietà, sul quale stiamo lavorando».

Di tenore opposto la dichiarazione di Jacopo Molina: «Non scherziamo – tuona l’ex consigliere comunale e candidato alle primarie – Una questione morale coinvolgente in modo sempre più pesante anche il Pd c’è tutta. Su quanto a loro ascritto, invito Mognato e Zoggia a difendersi nelle sedi competenti, augurandomi che possano dimostrare la loro estraneità ai fatti. Rimane l’aspetto politico, reso ancor più grave dal deficit di credibilità del partito. Che, dopo lo tsunami, dovrebbe cambiare musica e musicisti».

Da Molina, anche la richiesta che gli indagati non scelgano la strada del patteggiamento: «Sarebbe un’ammissione di colpevolezza – conclude – Anzi, a questo livello ritengo opportuno un chiarimento della Segreteria nazionale, in analogia alla posizione assunta verso Orsoni e Marchese. Per ribadire in modo forte e chiaro che chi patteggia non è compatibile con il Partito democratico. E per far sì che per chiunque sia valido il principio della dimostrazione d’innocenza nella sede e in un modo consoni al proprio ruolo istituzionale e politico».

 

Fondi neri Mose, Moretti attacca. Orsoni: gestiti dal partito «Indagati Pd, fatevi da parte»

Il segretario veneto De Menech sollecita le dimissioni di Zoggia e Mognato

La candidata preasidente: «Onestà e merito i due criteri per le liste del 2015»

Moretti: «Gli indagati Pd facciano un passo indietro»

PADOVA «Onestà e merito saranno le mie parole d’ordine, il Pd deve essere al di sopra di ogni sospetto e gli indagati facciano un passo indietro»: Alessandra Moretti, dopo aver vinto le primarie, sperava in un debutto più tranquillo nella sua sfida a Zaia per la poltrona di governatore del Veneto. Ma lo scandalo Mose dopo aver travolto Giancarlo Galan, Renato Chisso, Giampiero Marchese, Giorgio Orsoni, Lia Sartori e l’ex ministro Altero Matteoli sta ora diventando un incubo anche per il Pd: le informazioni di garanzia nei confronti dei deputati veneziani Davide Zoggia e Michele Mognato rischiano di avvelenare la campagna elettorale 2015 per l’elezione del sindaco di Venezia e della giunta regionale. Ieri Davide Zoggia non si è presentato al dibattito a Padova con Bersani, Zanonato e la Moretti e il consigliere regionale Piero Ruzzante ha spiegato il forfait: «Abbiamo un codice etico preciso, invitiamo la magistratura a procedere rapidamente nell’inchiesta e siamo convinti che Davide e Michele sapranno dimostrare la loro estraneità alle accuse contestate». E Alessandra Moretti, prima di partecipare alla tavola rotonda moderata da Antonello Francica, vicedirettore del nostro giornale, ha detto chiaro e tondo che è arrivato il momento di girare pagina, di chiudere per sempre la nefasta stagione del consociativismo degli appalti del Mose, tanto per usare la frase coniata dal segretario regionale De Menech, che a giugno ha chiesto l’azzeramento della giunta Orsoni dopo il coinvolgimento dell’ex sindaco di Venezia nell’inchiesta. Da lì è partito lo tsunami che ha mandato in esilio giunta e consiglio comunale e spalancato le porte al commissario Vittorio Zappalorto e alle elezioni. Che ne pensa Alessandra Moretti dell’inchiesta a carico dei deputati Zoggia e Mognato? «Auguro a chi è coinvolto di chiarire in fretta la propria posizione e faccio un appello alla magistratura perché concluda in fretta le indagini. I partiti hanno il compito di selezionare la classe dirigente in base a due caratteristiche: onesta è merito. Chi è coinvolto oggi, faccia anche un passo indietro per difendersi meglio nelle sedi opportune: i corrotti vadano in carcere e gli innocenti non siano infangati. Il Pd sarà al di sopra di ogni sospetto», ripete l’eurodeputata in perfetta sintonia con il premier Renzi. Nel concreto che significa: Zoggia e Mognato si devono autospendere e dimettere dalle cariche che occupano? «C’è l’ esempio che riguarda il grande scandalo di mafia capitale. Molti indagati si sono dimessi: da lì noi dobbiamo partire». I parlamentari sono invece protetti dall’immunità, non sarà così semplice. «Lo so. La scelta attiene alla coscienza di ognuno, noi chiediamo di fare chiarezza. La questione morale investe la classe politica non solo a Roma. Se guardiamo al Veneto, lo scandalo del Mose non ha eguali: c’è l’ex presidente della Regione e poi un assessore dell’attuale giunta, noi vogliamo girare pagina e speriamo che anche gli altri partiti facciano altrettanto», ribatte Alessandra Moretti. Ma cosa ne pensa del ddl del governo Renzi che aumenterà le pene per la corruzione? «Chi ruba deve restituire fino all’ultimo centesimo: corrotti e corruttori vadano in carcere, con le misure adottate ieri si sta andando nella direzione giusta e se queste norme ci fossero già state Galan non avrebbe patteggiato e scontato la pena nella propria villa pagando una cifra irrisoria rispetto a quanto la magistratura sostiene abbia sottratto alle casse dei veneti onesti». Ultima battuta: le liste per le regionali 2015.Che accadrà? «Farò pulizia, con un ampio rinnovamento delle liste: voglio candidati meritevoli e onesti. Ognuno di noi può fare la propria parte per selezionare i futuri consiglieri. La politica deve avere il coraggio di fare scelte coraggiose» conclude la Moretti. Poi partecipa alla tavola rotonda sul Veneto che in Europa perde posizioni, arranca e viene bocciato sui fondi Ue. Bersani e Zanonato le fanno gli auguri per la sfida con Zaia mentre il segretario Roger De Menech detta la linea già tenuta con Orsoni: «Il Pd non fa sconti a nessuno. La magistratura fa il proprio dovere e le nostre regole sono ferree: chi sbaglia deve pagare e auspico una loro iniziativa autonoma». Insomma De Menech sollecita le dimissioni: Zoggia è nella direzione nazionale Pd, Mognato in quella veneta. E un «passo indietro» ai due parlamentari chiede anche Simonetta Rubinato. L’area Cuperlo rischia di affondare con il Mose: come finirà?

Albino Salmaso

 

Bersani:«Davide e Michele dimostrino la loro estraneità»

PADOVA Onorevole Pierluigi Bersani, l’inchiesta Mose torna a coinvolgere il Pd con due deputati indagati per finanziamento illecito: lei che ne pensa? «Sono convinto che sia Davide Zoggia che Michele Mognato sapranno difendersi e dimostrare la loro totale estraneità alle accuse. La magistratura fa bene a guardare, ma non accetto l’equazione indagato=colpevole». Cosa ne pensa del ddl del governo Renzi con il giro di vite per i corrotti? «Spero che i tempi non siano lunghi perché il ddl anticorrotti rientra nella rivisitazione del processo penale. Le norme da sole non bastano, credo invece si debba costruire un buon collettivo dove la gente si guarda in faccia e discute, solo così si salva l’anima riformista del Pd. Se ognuno fa una corsa solitaria e tira il suo piccolo gruppo-corrente allora si spalancano le porte alla degenerazione, come a Roma». Nella capitale la Procura ha portato a galla un’associazione a delinquere trasversale: dagli ex terroristi neofascisti alle coop di solidarietà, con politici e dirigenti del comune corrotti al loro servizio. «Siamo di fronte a delle accuse gravissime: il trasversalismo è sempre paludoso, bisogna evitarlo sia nei piani nobili che nei sottoscala della politica. Poi ci sono fatti criminali veri e propri che diventano uno spot negativo di proporzioni cosmiche per la capitale d’Italia. Queste ruberie coinvolgono le politiche nobili di difesa dei più deboli e dobbiamo tutelare quegli onesti operatori sociali che per quattro soldi aiutano immigrati, nomadi e disabili, coinvolti loro malgrado in questa storia». Renzi accusa lei e la minoranza di bloccare le riforme: è vero che remate contro? «Io dico: il governo governi con il sostegno leale di tutto il Pd, dopo di che la costituzione in tutte le democrazie è materia del parlamento». La prossima scadenza importante è l’elezione del presidente della Repubblica. «Al Quirinale, dopo Giorgio Napolitano, ci vuole una donna o un uomo che sappia tenere bene il volante. Ci saranno tante curve pericolose». E di Alessandra Moretti, sua ex portavoce, che dice? «Ognuno faccia la propria strada, io faccio fatica ad essere moderatamente bersaniano: abbiamo vinto anche a Treviso, ora tocca ad Alessandra Moretti conquistare la Regione».

Albino Salmaso

 

L’avvocato Calvi sollecita l’archiviazione: per l’ex primo cittadino invece si andrà in aula

«Mai istigato il sindaco a chiedere soldi al Cvn»

VENEZIA – Prima di chiudere le indagini preliminari – circostanza che dovrebbe verificarsi prima di Natale – non potevano non interrogare coloro che nel suo interrogatorio del 9 giugno l’ex sindaco Giorgio Orsoni aveva citato come suoi punti di riferimento nel Partito democratico e soprattutto come coloro che gli avevano spiegato che era necessario raccogliere altri fondi per la campagna elettorale, facendo anche il nome di Giovanni Mazzacurati a capo del Consorzio Venezia Nuova. Certo Orsoni poteva rifiutarsi di farlo, ma Mazzacurati era un amico ed era stato anche cliente del suo studio, quindi deve aver pensato che con lui forse sarebbe stato più facile. Insomma, Davide Zoggia e Michele Mognato avrebbero istigato l’allora candidato sindaco a chiedere finanziamenti per la campagna elettorale, che poi sono arrivati. Così sono stati interrogati e i pubblici ministeri Stefano Ancilotto e Stefano Buccini non potevano sentirli come persone informate sui fatti, visto la dichiarazione di Orsoni: ecco allora l’accusa di concorso in finanziamento illecito del partito. Naturalmente la Guardia di finanza veneziana sta compiendo gli ultimi accertamenti, ma è probabile che quest’accusa, quella di aver istigato il candidato a chiedere soldi «in nero», non sia sufficientemente provata da portare ad un processo. I due esponenti del Pd, difesi dall’avvocato Guido Calvi, tra l’altro hanno negato di aver istigato Orsoni a commettere illeciti e la loro parola vale quanto quella dell’ex sindaco. Non è difficile prevede, quindi, che si avveri quello che l’avvocato Calvi prevede, una richiesta di archiviazione da parte della Procura. Ben diverso, invece, il futuro di Orsoni, dell’ex europarlamentare del Pdl Lia Sartori, dell’ex presidente del Magistrato alle acque Maria Giovanna Piva, dell’ex ministro Altero Matteoli e di un’altra decina di indagati, per i quali i tre pm che hanno coordinato le indagini depositeranno gli atti in vista della richiesta di rinvio a giudizio.

(g.c.)

 

Orsoni si discolpa: «I fondi gestiti da mandatario e Pd»

VENEZIA – Se Davide Zoggia e Michele Mognato non aprono bocca, l’ex sindaco Giorgio Orsoni parla tramite i suoi legali, gli avvocati Francesco Arata e Daniele Grasso che hanno diffuso una nota molto chiara, in relazione ai recenti sviluppi dell’indagine che vede il prof Orsoni interessato per il preteso illegittimo finanziamento alla propria campagna elettorale del 2010. 1) «Il professor Orsoni ha sempre dichiarato di non essersi mai interessato alla organizzazione e gestione della propria campagna elettorale che è stata seguita da altri soggetti e in particolare da soggetti direttamente o indirettamente riferentisi al Pd; 2) Tale è stato l’accordo intervenuto con i maggiori rappresentanti del Pd a livello locale al momento della accettazione della candidatura; 3) Su sollecitazione di vari esponenti politici ha occasionalmente avuto modo di invitare alcuni soggetti, imprenditori e non, da lui conosciuti fra i quali l’ing. Mazzacurati, a contribuire nel pieno rispetto delle regole, al finanziamento della sua campagna elettorale; 4) Non ha mai conosciuto l’entità delle somme pervenute al mandatario elettorale, né come esse fossero spese, se non parecchio tempo dopo la conclusione della campagna elettorale; 5) Non ha mai ricevuto somme con modalità diverse da quelle consentite dalla legge,ne è a conoscenza che altri ne abbiano ricevute per sostenere la sua campagna elettorale,al di fuori di quanto pervenuto al mandatario elettorale; 6) Non ha mai avuto indicazioni di fabbisogni finanziari precisi per la campagna elettorale né a sua volta ha dato indicazioni di tale genere ad altri soggetti. Ogni affermazione è frutto di pura fantasia, come risulta anche dal verbale di interrogatorio reso avanti l’autorità giudiziaria», concludono gli avvocati Francesco Arata e Daniele Grasso. E i due parlamentari come ribattono? «Non parlo, non parlo. Certo sono molto amareggiato. Uno lavora una vita e poi….» Michele Mognato, ex vicesindaco ed ex segretario provinciale del Pd, oggi deputato, trattiene a stento le lacrime. Se lo aspettava, forse. Dopo le dichiarazioni rese a verbale dal sindaco Giorgio Orsoni ancora nel giugno scorso. Che aveva chiamato in causa Mognato e Davide Zoggia, allora responsabile enti locali del Pd nazionale. Sarebbero stati loro, dunque, secondo l’ipotesi accusatoria ad aver chiesto a Orsoni di garantire nuovi finanziamenti per la campagna elettorale. Non commenta, Mognato. E non parla nemmeno Zoggia, ieri chiuso in casa con familiari e amici. Sullo sfondo si sta preparando la campagna elettorale per le primarie e poi per le elezioni a Venezia, che si dovrebbero tenere in maggio. Il Pd rischia di essere il partito più esposto, pur non avendo suoi esponenti – a differenza dell’ex presidente della Regione Giancarlo Galan e del suo assessore Renato Chisso (Forza Italia) – accusati di corruzione. Quasi tutti i principali imputati hanno patteggiato e chiuso la loro posizione.

(a.v.)

 

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