Segui @OpzioneZero Gli aggiornamenti principali anche su Facebook e Twitter. Clicca su "Mi piace" o "Segui".

Questo sito utilizza cookie di profilazione, propri o di terze parti per rendere migliore l'esperienza d'uso degli utenti. Continuando la navigazione acconsenti all'uso dei cookie. Per maggiori informazioni cliccare qui



Sostieni la battaglia contro l'inceneritore di Fusina, contribuisci alle spese legali per il ricorso al Consiglio di Stato. Versamento su cc intestato a Opzione Zero IBAN IT12C0501812101000017280280 causale "Sottoscrizione per ricorso Consiglio di Stato contro inceneritore Fusina" Per maggiori informazioni cliccare qui

QUARTO D’ALTINO «Il perdurare dei disservizi è oramai intollerabile». Il sindaco Silvia Conte elenca aspettative e richieste alla Regione che verranno presentate all’incontro sull’orario cadenzato in programma oggi a palazzo Linetti. «Confidiamo», spiega, «in un confronto concreto tra tutte le parti interessate, amministrazioni pubbliche, rappresentanti dei pendolari e Trenitalia S.p.A., affinché possano essere valutate possibili soluzioni alle problematiche del trasporto pubblico locale. Risulta ormai intollerabile il perdurare di disservizi nei collegamenti ferroviari quali guasti, soppressione di corse, ritardi o addirittura anticipi sull’orario, problemi vissuti quotidianamente da coloro che si avvalgono del trasporto pubblico per i loro spostamenti e che disincentivano l’uso del mezzo publico». E ancora: «Il trasporto ferroviario non è competenza dei Comuni, ma come rappresentanti della comunità continueremo a pungolare la Regione affinché si impegni a favore della pianificazione di un sistema di trasporto pubblico più efficiente, efficace ed integrato. Vista la recente delega all’assessore Elena Donazzan della materia dei trasporti, auspichiamo possa essere accolta la richiesta della presenza di un interlocutore politico al tavolo programmato». Conclude il sindaco di Quarto d’Altino: «Tra le richieste che sindaci e rappresentati dei pendolari avanzeranno, c’è la disponibilità dei dati delle frequentazioni prima e dopo l’entrata in vigore del nuovo orario e riscontro alla proposta di orario ferroviario trasmessa all’attenzione dell’allora assessore alla Mobilità ed alle Infrastrutture in data 6 agosto 2013 come base per avviare una verifica di modelli di esercizio alternativi e più efficienti».

(m.a.)

 

Gazzettino – Treni. Orario cadenzato, sindaci in Regione.

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

31

ott

2014

TRASPORTI – Incontro con Trenitalia sui problemi della tratta Venezia-Portogruaro

Orario cadenzato, si torna a trattare. Riparte oggi a palazzo Linetti il tavolo tecnico sull’orario ferroviario con l’incontro tra Regione, Trenitalia e gli amministratori dei Comuni serviti dalla tratta Venezia-Portogruaro. A quasi un anno dall’avvio del nuovo sistema cadenzato, si torna quindi ad affrontare le «problematiche» segnalate giorno dopo giorno dai comitati dei pendolari. I sindaci chiederanno ancora una volta la pubblicazione dei dati sulle frequentazioni delle corse sulla tratta prima e dopo l’entrata in vigore del nuovo orario, porteranno l’elenco dei disservizi, con le cancellazioni e i ritardi e le proposte dei comitati, anche in vista della gara per l’affidamento del trasporto pubblico locale per i prossimi anni.

Con molta probabilità chiederanno risposte sul problema dei «buchi» in alcuni orari, che non rendono realmente cadenzato il servizio, e sui tagli delle corse nei fine settimana e nei mesi estivi. «Siamo fiduciosi che l’incontro fissato in Regione – spiega la sindaca di Quarto d’Altino, Silvia Conte – possa dar luogo ad un confronto concreto tra tutte le parti interessate, affinché possano essere valutate possibili soluzioni alle problematiche del trasporto pubblico locale. Risulta ormai intollerabile il perdurare di disservizi nei collegamenti ferroviari quali guasti, soppressione di corse, ritardi o addirittura anticipi sull’orario, problemi vissuti quotidianamente da coloro che si avvalgono del trasporto pubblico per i loro spostamenti e che disincentivano altri ad abbandonare l’auto per orientarsi verso una tipologia di trasporto più sostenibile ma ancora troppo inefficiente. Vista la recente delega all’assessora Elena Donazzan della materia dei trasporti, programmazione dei trasporti, trasporto pubblico locale, navigazione interna e portuale, auspichiamo possa essere accolta la richiesta della presenza di un interlocutore politico al tavolo». Il Comune di Quarto presenterà anche i risultati di un’indagine sull’orario cadenzato condotta sul proprio territorio.

(m.fus.)

 

Trasporti

TRENI SOPPRESSI DISAGI AI PENDOLARI

Offrire un servizio a pagamento dovrebbe significare prendere un impegno, non solo perché si è pagati, ma anche perché una moltitudine di altre persone fanno riferimento – dietro pagamento di biglietto/abbonamento od eventuale multa per mancanza di biglietto – per organizzare i propri spostamenti, soprattutto per motivi di lavoro. Questa mattina (30 ottobre) mi reco alla stazione di Maerne per prendere il treno delle 9.08 diretto a Venezia SL, ma..treno soppresso. Come, anche oggi?! Pomeriggio dello stesso giorno, stazione di Venezia SL ore 16.56 treno per Bassano del Grappa soppresso. Ce l’hanno con me? Salgo sul primo treno disponibile per prendere la navetta delle 17.22 a Mestre: treno per Ferrara delle 16.48, poi annunciato in partenza con 15′ di ritardo. Alle 17.10 ancora immobile, senza alcuna spiegazione, sul binario. Addio navetta. Partenza direzione casa con treno per Castelfranco V.to alle 17.26, ossia un’ora dopo. Spero sia l’ultima volta che accade, poiché non è la prima. Gli inutili annunci sul divieto di aprire le porte in corsa, come se non fossero bloccate, si susseguono assieme ad altrettanto inutili annunci in cui Trenitalia si scusa per il disagio. Si scusa nel senso che si autoassolve?

Donatella Vechiet – Martellago

 

Gazzettino – La “cricca” delle bonifiche

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

30

ott

2014

LA RETE – Un sistema in grado di condizionare le bonifiche, da Grado e Marano a Porto Marghera. Al vertice il direttore generale del ministero dell’Ambiente: 26 gli indagati.

L’INCHIESTA – Partite da Udine, le indagini sono state poi portate avanti dalla Procura di Roma. Coinvolti il Consorzio Venezia Nuova e due ex assessori friulani.

PORDENONE – Dieci indagati al Cellina Meduna

Consorzio bonifica, appalti sotto la lente della Procura

IL CASO Indagini tra Roma e Udine. Sotto inchiesta Mazzacurati, due ex assessori friulani, il vertice dell’Ambiente

Da Grado a Porto Marghera, le mani su un business miliardario: 26 indagati, coinvolti ministero e Cvn

IL PROBLEMA «Con la fine del Mose, il Consorzio doveva trovare qualcosa da fare»

L’INTERROGATORIO Il manager da imputato a “gola profonda”

Baita: «Tangenti? Non è escluso Mascazzini veniva accontentato»

VENEZIA – L’inchiesta romana è nata dall’inchiesta udinese. E su questo secondo fascicolo, aperto più di due anni fa dal pm Viviana Del Tedesco, avevano messo gli occhi anche gli uomini del Consorzio Venezia Nuova, che avrebbero voluto saperne di più, soprattutto dopo che l’ingegnere Giovanni Mazzacurati era stato indagato nel 2012. Adesso si capisce perchè il sistema del CVN era interessato a carpire notizie su quell’inchiesta scottante, al punto da pagare lautamente alcuni personaggi che si erano spacciati per un magistrato degli uffici giudiziari di Udine, lo “zio Otto”. Infatti i Pm di Venezia hanno contestato il millantato credito ad alcuni faccendieri finiti in carcere.
L’inchiesta friulana sulla bonifica di Grado e Marano rischiava di saldarsi con quella aperta a Venezia per il Mose, scoprendo una convergenza di interessi. Adesso si capisce perché. Ne ha parlato Piergiorgio Baita in un interrogatorio dello scorso giugno con i Pm di Roma. «Il Consorzio Venezia Nuova ha un problema, che col Mose finisce. Quindi ha bisogno di qualcosaltro per continuare… il problema è: chi lo esportava? Cioè, di chi era il copyright del modello Marghera? Mascazzini era convinto che fosse un suo copyright e che quindi potesse organizzare, scegliere i soggetti. Thetis era convinto della stessa cosa ma a Porto Marghera c’era un concessionario individuato che poteva operare senza gara… la gara hanno provato a evitarla in tutti i modi, non sono riusciti in nessun Sin».
È il sistema delle transazioni ambientali, lavori di risanamento per centinaia di milioni di euro. Mazzacurati ha pagato Mascazzini per i soldi delle bonifiche che il Consorzio riceveva? «No, non ha corrisposto somme improprie, ha sempre corrisposto alle indicazioni di affidamento di incarichi probabilmente al dottor Mascazzini… sostanzialmente le attività tecniche allo Studio Altieri, le attività di sicurezza alla società Hmr e il monitoraggio delle attività lagunari all’Icram… Io tante volte parlo di Consorzio e Thetis perchè c’è un’assoluta identità di comportamenti». Perchè si accettavano i diktat di Mascazzini? «Uno che ha portato al Consorzio un miliardo di lavori aggiuntivi potenziali credo che qualche debito di riconoscenza ce l’abbia senza esercitare ulteriori pressioni».
Al Pm che insisteva su possibili tangenti, Baita ha risposto: «Io non ne sono a conoscenza. Non posso escluderlo… dico che sicuramente Mascazzini veniva accontentato nelle sue indicazioni». (G.P)

 

VENEZIA «Così i fondi andavano al Consorzio»

Il pm lo chiama il “sistema Venezia” ed è una delle parti più esplosive dell’inchiesta romana.
Perché si collega direttamente al Consorzio Venezia Nuova di Giovanni Mazzacurati (con una decisiva testimonianza di Piergiorgio Baita) e perchè mette il dito su un colossale giro di denaro, oltre 500 milioni di euro pagate da aziende per le “transazioni ambientali” in laguna. Il sospetto parla di una vera e propria concussione, un metodo per far pagare soldi ai privati, soldi poi finiti al ministero e di lì al Consorzio, minacciando ispezioni e denunce.
La “transazione ambientale” è un accordo economico con il ministero che vede il proprietario di un terreno liberato dall’onere delle bonifiche su aree inquinate. Secondo l’inchiesta romana, molti privati vennero costretti ad aderire ai pagamenti a seguito delle minacce subite da Gianfranco Mascazzini, che altrimenti avrebbe sguinzagliato i suoi ispettori e avviato azioni legali, vincolando quei terreni per anni, anche perché non avrebbe mai approvato i piani di risanamento (meno costosi) che avrebbero presentato. In questo capitolo spunta anche l’avvocato dello Stato Gianpaolo Schiesaro, nominato consulente dal Ministero, che è riuscito a far incamerare centinaia di milioni di euro.
In totale le transazioni a Venezia furono 43, per un totale di 535 milioni di euro. In apparenza un sistema virtuoso, secondo il Pm romano solo un mezzo per far incamerare denaro, poi girato al CVN, senza che i terreni venissero per davvero risanati, ove ve ne fosse la necessità.
A scoperchiare per primo il pentolone è stato come testimone, l’allora sindaco di Venezia Giorgio Orsoni. L’8 maggio scorso è stato interrogato dagli inquirenti. Orsoni ha spiegato di aver dato ordine di non effettuare transazioni per i terreni comunali, ritenendo che «tali proposte potessero costituire un abuso… una pura dazione di denaro che affluiva alle casse del Ministero dell’Ambiente fatta eccezione per la quota destinata al marginamento della laguna».
Molti proprietari di terreni invece pagarono. La società Intermodale versò 4 milioni di euro nel dicembre 2005, Fincantieri 6 milioni nel 2008, Vega Parco Scientifico 2 milioni 492 mila nel 2010. San Marco Petroli 3 milioni gennaio 2011. Queste le cifre nel capo d’accusa. Il Pm romano è lapidario: «L’affare transazioni ambientali ha rappresentato una fonte di primaria importanza per consolidare il potere di Mascazzini che, come riferito da una serie di imprenditori veneziani, attraverso minacce di controlli di polizia e da parte di enti ministeriali (Ispra e Apat), nonchè di denunce varie all’autorità giudiziaria, induceva le società inserite in area Sin a versare cospicue somme di denaro…». Queste somme «venivano poi girate attraverso il Magistrato alle Acque di Venezia al Consorzio Venezia Nuova e da questo alle società Thetis e Studio Altieri, individuate e imposte da Mascazzini, quali commesse per attività progettuali, e all’Icram, per alimentare e sostenere i soggetti inseriti in tale struttura».
I controlli del Ministero? «Uno strumento di pressione». Gli attori? Alcuni funzionari ministeriali «la cui “mission” era quella di individuare ad ogni costo “i punti deboli” delle società interessate affinché li si potesse utilizzare per indurle a non opporre resistenza alle richieste del Ministero».
Qualche esempio. Mascazzini, al telefono con l’avvocato Schiesaro, che raffigura la trattativa con Montefibre: «Ci devono dare i soldi fino all’ultimo centesimo, se no stanno ad aspettare e non venderanno mai, mai, non incasseranno mai i 500 milioni che devono insaccare… aspetteranno 16 mesi… tu dici Mascazzini vuole tutti i soldi, l’uno sull’altro». Schiesaro replica: «Ma io non posso dire una cosa del genere». Mascazzini: «Io non cambio una virgola, non voglio un centesimo di meno, non firmerò mai, mai!». Schiesaro: «L’ho capito, ma io devo trovare un modo intelligente per non firmare».
Secondo il Pm è un vero e proprio sistema. Mascazzini si consiglia anche con l’ingegnere Guido Zanovello dello Studio Altieri. E il Pm annota: «Mascazzini dice che ha un problema di motivare la richiesta che fa ai privati… Bisogna ragionare e inventare qualcosa per non permettere ai privati di rifiutarsi di transare. Dal momento che la Fincantieri non sembra disposta a transare, la cifra richiesta dal Ministero si aggira sui 20 milioni di euro, ecco che partono le ispezioni».
Un collaboratore di Mascazzini cerca «la trippa» per possibili contestazioni. E il direttore generale: «Vedi, vale 20 milioni questa cosetta qui della trippa… quello è il gustoso, bravissimi, forza ragazzi… valete 20 milioni». Mascazzini esemplifica: «Se uno transa con noi e ci presenta il progetto di bonifica, poi può andare in Comune contemporaneamente, noi glielo approviamo direttamente, può andare in Comune con il decreto e si fa dare la concessione edilizia».
Secondo il Pm interessano i soldi, non l’inquinamento: «A nessuno degli interlocutori importa accertare se i terreni sono inquinati, né tantomeno bonificare. Anzi, l’importante è fare le transazioni prima che si scopra se il danno ambientale c’è davvero». Mascazzini dice al telefono a Zanovello: «Ti faccio fare da Schiesaro la carta con tutti i lotti per i quali si fa questo mestiere… i lotto bianchi… quelli che non hanno ancora pagatoooo!!». Zanovello: «Perchè questo signore poichè vuole costruire è nella condizione di transare». Mascazzini: «Alla perfezione… come vedi apriamo un meccanismo forse nuovo… arcaico… non di cartolarizzazione sofisticata, qualcuno trasferisce il debito». Zanovello: «…diciamo uno scambio in natura…». Mascazzini: «… è la cartolarizzazione degli etruschi».
Conclude il Pm riferito a Mascazzini e ai suoi ispettori: «Agiscono con la spregiudicatezza di consumati malfatttori, concentrando la loro attività su un solo bersaglio: prendere quanti più soldi possibile dalle transazioni».

Giuseppe Pietrobelli

 

La “cricca” delle bonifiche da Grado a Marghera

Inchiesta su un business miliardario: finanziamenti per interventi mai effettuati

Ventisei indagati, tra i quali vertici del ministero ed ex assessori. Coinvolto il Cvn

La “cricca” delle bonifiche stava al Ministero, secondo i Pm, dell’Ambiente. Per anni ha agito drenando denaro pubblico. Ha inventato bonifiche – a partire da quella della laguna di Grado e Marano – per orchestrare i finanziamenti. Ha gestito una rete clientelare di assunzioni e affari nel territorio, a cominciare dalla laguna di Venezia. Ha costruito un sistema di potere che da Roma si diramava in tutta Italia, in particolare nei 57 Siti di interesse nazionale. Ha lucrato sulle “transazioni ambientali” a Porto Marghera (500 milioni di euro), con vessazioni ministeriali nei confronti di imprenditori, tali da configurare una vera e propria concussione. Ha costruito un meccanismo che era collegato in Veneto al Consorzio Venezia Nuova (i soldi delle transazioni tornavano al CVN) e al suo ex presidente Giovanni Mazzacurati, nel resto del paese a Sogesid, società costituita dal Ministero.
Due anni dopo, l’inchiesta avviata a Udine dal pm Viviana Del Tedesco, riemerge a Roma sotto forma di un corposissimo invito a rendere interrogatorio notificato ieri ad almeno 26 persone. Tutte indagate, a diverso titolo, per una serie di reati che la dicono lunga su quale sia lo spreco di risorse da parte dei ministeri, sotto la regìa delle direzioni generali. È un pozzo senza fondo l’indagine coordinata dal sostituto Alberto Galanti e condotta da carabinieri e Guardia di finanza. All’inizio dell’anno il procuratore Pignatone aveva chiesto gli atti dell’inchiesta friulana, meritevole di aver scoperto l’asserito bluff della bonifica della laguna di Grado e Marano. Dopo aver acquisito alcuni rapporti di polizia giudiziaria e interrogato decine di testimoni, ora i risultati sono condensati in un atto di un centinaio di pagine. È il romanzo delle bonifiche, delle clientele politiche e dei trucchi messi in atto da strutture tecniche ministeriali.
GLI INDAGATI – Il deus ex machina viene individuato in Gianfranco Mascazzini, direttore generale del Ministero fino al 2009, poi consulente Sogesid e presidente del Comitato tecnico-scientifico della Bonifica friulana. Ci sono poi i vertici di Sogesid, società operativa del Ministero, il presidente Vincenzo Assenza, l’amministratore delegato Fausto Melli e il commissario Franco Pasquino. Troviamo anche i tre commissari della bonifica a Marano (dal 2002 al 2012), gli ex assessori regionali friulani Paolo Ciani e Gianfranco Moretton, nonchè il professore Gianni Menchini. Sono indagati anche dirigenti e ricercatori di Icram (ora Ispra) che si occupava di ricerca scientifica applicata al mare. Un capitolo importante è occupato dai vertici del Consorzio Venezia Nuova e Thetis, ovvero Giovanni Mazzacurati e Maria Teresa Brotto (già indagati per lo scandalo Mose), nonchè il dirigente di Thetis Andrea Barbanti. Nel capitolo veneziano è coinvolto anche Giampaolo Schiesaro, avvocato dello Stato e consulente del Ministero per le transazioni ambientali. Tra gli imprenditori spicca il padovano Guido Zanovello, dello Studio Altieri di Thiene.
LA “RETE” – I reati vanno dall’associazione per delinquere (in parte prescritta) alla truffa, dalla tentata corruzione all’abuso d’ufficio e alla concussione. Il reato associativo si riferisce a un presunto accordo (coinvolti tra gli altri Mascazzini e Mazzacurati) per creare da una parte la bonifica “fantasma” di Grado e Marano, basata su dati scientifici (inquinamento da mercurio industriale) mai verificati, dall’altra per fare pressioni su imprenditori di Porto Marghera, così da ottenere “transazioni ambientali” per milioni di euro, altrimenti le aree non sarebbero state svincolate. La truffa riguarda, invece, il denaro che per undici anni ha finanziato la struttura del commissario delegato all’emergenza di Grado e Marano.
UN FIUME DI DENARO – L’accusa sostiene che la bonifica friulana era in gran parte inventata, perché l’inquinamento riguardava solo l’area industriale Caffaro, ma il Sin era stato esteso a 4mila ettari di terra e 1600 ettari di laguna. Non fu bonificato nulla, ma ci si limitò a studi e dragaggio dei canali, con spese esorbitanti. In questo modo all’epoca di Ciani vengono addebitati 25 milioni di euro (in cinque anni), a quella di Moretton 26 milioni (in due), a quello di Menchini 29 milioni di euro (nel 2009). Nella rete dei sospetti anche funzionari che hanno beneficiato di stipendi e tecnici che avrebbero avvalorato un’emergenza ambientale che non c’era.
PROGETTO FARAONICO – Il Sin friulano era una gallina dalle uova d’oro. Secondo il Pm, Mascazzini d’accordo con Menchini avrebbe tentato di imporre un piano di risanamento della laguna da 230 milioni di euro, assolutamente ingiustificato e insostenibile, anche a detta del Tar. Ma si trovò a sbarrargli la strada il commissario giudiziale della Caffaro, l’avvocato veneziano Marco Cappelletto, che non si piegò alle pressioni ministeriali, preoccupato com’era di salvaguardare l’occupazione e il futuro dell’azienda di Torviscosa. Per questo un’ipotesi di tentata corruzione a carico di Mascazzini. Secondo il Pm quel progetto serviva solo a finanziare il lavoro di Sogesid (la società ricevette 2 milioni 200 mila euro) e di due società venete di progettazione, Thetis del Consorzio Venezia Nuova e Studio Altieri di Thiene (pagate con un milione 297 mila euro).
ASSUNZIONI E POTERE – La rete costruita da Mascazzini sarebbe stata molto sofisticata, sia quando dirigeva una sezione del ministero, sia quando andò in pensione. Otteneva – secondo il Pm – assunzioni di personale, rispondendo anche a sollecitazioni politiche. Incamerava soldi per Sogesid, vero braccio operativo delle bonifiche, che poi subappaltava (ad Altieri e Thetis). «Sogesid è un vero e proprio “carrozzone”, in cui vengono assunti i soggetti graditi a Mascazzini, che a sua volta si fa interprete anche dei superiori voleri di alcuni politici di riferimento».
TRANSAZIONI & CONCUSSIONI – Un capitolo inedito ed esplosivo è quello delle transazioni ambientali a Porto Marghera sottoscritte alcuni anni fa. Secondo l’accusa, con la complicità del Consorzio Venezia Nuova, Mascazzini costringeva (minacciando denunce, ispezioni, azioni legali) «numerosi imprenditori i cui immobili insistevano all’interno del sito di interesse nazionale di Porto Marghera, ad aderire alle transazioni (la cui stipula è una libera scelta del proprietario dell’area da bonificare) per effetto della stipula delle quali venivano versate ingenti somme al Ministero dell’ambiente che a sua volta le riversava al Consorzio Venezia Nuova per alimentare la struttura». Per effetto degli accordi lautamente pagati, «l’obbligo di bonifica si trasferiva sul Ministero dell’ambiente che sistematicamente non vi provvedeva, così determinando un perdurare del danno ambientale ivi esistente». Alle aziende venivano prospettati inquinamenti che in realtà non erano accertati. Così pagavano, anche per poter avere la libertà di valorizzare i terreni.

 

LE ACCUSE – Associazione per delinquere abuso d’ufficio e concussione

LA RETE – Pressioni sulle imprese per incassare milioni di euro

A ROMA – Al centro del sistema di potere il direttore generale dell’Ambiente

Coinvolto anche l’avvocato dello Stato Schiesaro

L’EX SINDACO – Orsoni si oppose alle richieste di Roma: «Quelle proposte erano un abuso»

IL DIRETTORE «Vale 20 milioni questa cosetta qui della “trippa”, quello è il gustoso…»

LE CARTE – La ricostruzione del pm «Minacce per costringere le aziende a pagare»

LE PRESSIONI «Ci devono dare fino all’ultimo centesimo, o non venderanno mai»

Al centro le “transazioni ambientali” per Marghera e le pretese del ministero per bonificare aree inquinate

«Così si consolidava il potere di Mascazzini»

«Con il sistema Venezia milioni girati al Consorzio»

PREOCCUPATO «Tutto ciò comporterà un ritardo nei lavori e nella conclusione dell’opera»

IL PRESIDENTE «Avevamo messo in conto questa possibilità. Faremo ciò che chiede il Governo»

IL FUTURO – Fabris: «Non so cosa potrà accadere»

E adesso che succede? Mauro Fabris, presidente del Consorzio Venezia Nuova ammette: «Non ne ho la più pallida idea – dice – Di certo seguiremo quello che ci dirà il Governo. Di più non possiamo fare. Attendiamo». Una matassa non da poco, comunque, soprattutto per tutte le questioni amministrative, procedurali e burocratiche legate all’atto messo a segno dall’Autorità nazionale anticorruzione. Una situazione che si va sviluppando di ora in ora, anche nell’attesa dei passi che dovrà, o potrà compiere il prefetto di Roma di fronte alla richiesta dell’Anac. «Al momento non ho risposte da dare – avverte ancora Fabris – Esiste il nodo dei finanziamenti e su questi vedremo quello che accadrà. Dobbiamo conoscere i tempi dell’iter stabilito dal commissariamento e allo stesso tempo capire in quale direzione si pone l’Autorità anticorruzione». Insomma, prima di tutto c’è da digerire la “scoppola” giunta da Roma. Poi si vedrà. «Vogliamo solo che si faccia presto, che non si perda tempo prezioso per la conclusione delle opere alle bocche di porto».

 

L’INCHIESTA – Parlano le vittime della “cricca”

Bonifiche, le imprese: «Costrette a pagare»

Ora gli imprenditori parlano e accusano la “cricca” delle bonifiche di Porto Marghera: «Costretti a pagare altrimenti ci saremmo trovati di fronte ad un muro invalicabile di burocrazia». Tra gli accusatori eccellenti dei funzionari dell’Ambiente ci sono Vega e Fincantieri. Le richieste, secondo le testimonianze, sarebbero state di due milioni e mezzo e sei milioni. L’ex sindaco Giorgio Orsoni aveva vietato al Comune le transazioni imposte dal Ministero, ritenendole un abuso.

 

BONIFICHE D’ORO – I risvolti veneziani delle indagini partite dalla laguna di Marano

Nei verbali le accuse ai rappresentanti del Ministero dell’Ambiente «Minacciavano di bloccarci le concessioni edilizie se ci opponevamo»

Le imprese di Marghera «Costrette a pagare in cambio dei permessi»

Gli imprenditori presi per il collo. Se non accettavano le transazioni ambientali a Porto Marghera proposte dal Ministero dell’Ambiente, si sarebbero trovati di fronte a un muro invalicabile di burocrazia. E non avrebbero mai potuto svincolare i terreni, anche se non c’era la prova di inquinamento. Ecco i verbali che accusano.
IL VEGA – Giuseppe Rizzi, amministratore delegato di Vega Parco Scientifico, ha spiegato che sulle aree “Ex Ceneri” e “Ex Agip”, erano state fatte le bonifiche, approvate dalla Provincia di Venezia. C’era solo qualche valore eccedente. Era in corso la trattativa per vendere il comparto Vega2. Ma una condizione essenziale era la liberatoria da oneri e vincoli ambientali. «L’inquinamento era presunto e tutto da dimostrare – ha detto Rizzi – l’orientamento era di resistere alla richiesta di 8 milioni di euro del Ministero». Poi l’incontro con Mascazzini e Schiesaro, avvocato dello Stato. «La richiesta fu quantificata in circa 2 milioni 200 mila euro. L’atttegiamento del dott. Mascazzini era piuttosto aggressivo e fondato sulla minaccia di annullare e contestare gli esiti delle certificazioni in nostro possesso che attestavano l’avvenuta bonifica. (…) Ci faceva presente che tutte le concessioni edilizie non sarebbero mai state concesse in caso di mancata adesione alla proposta transattiva, un atteggiamento chiaramente concussorio. Noi ci trovavamo in una posizione di debolezza in quanto avevamo la spada di Damocle dell’avvenuta vendita di parte dell’area». Saputo il prezzo che era in ballo, Mascazzini aveva poi aumentato la richiesta a 3 milioni e mezzo. Quando cedettero, pagando quasi 2 milioni e mezzo, il progetto di risanamento fu subito approvato. Rizzi ha spiegato: «Non abbiamo mai avuto la libertà di poter scegliere la strada da noi ritenuta più idonea. Ci è stato detto chiaramente che mai e poi mai ci sarebbero state rilasdciate le concessioni edilizie e Mascazzini si è spinto a minacciare di inviare controlli da parte dei carabinieri del Noe e denunce penali». I lavori successivi di bonifica? «I marginamenti, non del tutto completati, furono eseguiti dal Consorzio Venezia Nuova anche se materilamente sono stati realizzati dal Gruppo Mantovani, presieduto dal dott. Baita».
FINCANTIERI – Anche la Fincantieri fu vessata. Così sostiene l’ex responsabile dell’ufficio legale, Paolo Luigi Maschio. Fu firmato un accordo di programma pari a 6 milioni di euro. Eppure l’analisi delle acque di falda non aveva evidenziato criticità. La società, infatti, non voleva aderire ad alcuna transazione. Maschio ha messo a verbale: «Il dott. Mascazzini, con il suo tono aggressivo, contestò, senza una ragione valida l’esito dlele analisi, affermando che comunque noi inquinavamo ugualmente. La richiesta iniziale fu di 12-13 milioni di euro a titolo transattivo. Era evidente che la somma appariva esosa. Il dott. Mascazzini, adirato, ci minacciava di denunce penali per non so quali violazioni. Minacciava di procedere lui stesso a dlele caratterizzazioni che avrebbero dimostrato la nostra colpevolezza». Ma perchè tanta insistenza? «La nostra impressione è che Mascazzini attraverso tali transazioni volesse raccogliere soldi per poi essere lui stesso il “dominus” influenzando la scelta del Magistrato alle Acque edel suo concessionario, il Consorzio Venezi Nuova che aveva l’esclusiva di progettazione e lavori. Il tutto secondo il noto meccanismo veneziano di cui il Mascazzini era parte integrante». Ci fu anche un incontro all’Avvocatura dello Stato di Venezia: «Era presente anche l’avv. Schiesaro. Rifiutammo per l’ennesima volta di transare per la somma richiesta e di firmare l’accordo di programma. Le minacce ci sono state reiterate e la riunione si è conclusa. Alle minacce sono seguiti i fatti. Abbiamo subito dei controlli finalizzati proprio a campionare le nostre acque di scolo». Tra i collaboratori di Mascazzini c’erano anche alcuni ex ufficiali dei carabinieri del Noe. Conclusione: «Alla fine abbiamo dovuto sottometterci».
SAN MARCO PETROLI – Pierpaolo Perale è amministratore delegato della San Marco Petroli. «Fin da subito mi si è cercato di imporre una transazione ambientale fondata su una presunta responsabilità ambientale che la società. Tale impoisizione era accompagnata da palesi minacce di denunce per non ben precisati motivi, nonchè di controlli». Pagarono 3 milioni di euro. «È stato chiaro subito che la transazione era la sola strada… le conferenze di servizi si concludevano inesorabilmente con rinvii e prescrizioni nuove da parte del dott. Mascazzini. Quando minacciato si è avverato: abbiamo avuto un controllo da parte di alcuni funzionari ministeriali, uno si era qualificato quale ufficiale o ex ufficiale del Noe. L’atteggiamento vessatorio del Ministero era palese. Anche quel controllo ne era la dimostrazione».
SOCIETÀ INTERMODALE – Il quarto caso è quello della società Intermodale Marghera. L’amministratore delegato Marco Salmini ha raccontato che tutto iniziò da una citazione per danni. Poi pagarono 4 milioni di euro. «Avevamo presentato un progetto, ma non era ancora stato portato alla conferenza dei servizi. L’accordo transattivo era facoltativo, ma la spada di Damocle dell’ipoteca ci ha spinto all’accordo. Il nostro timore era quello di svalorizzare l’area. La transazione ci liberava da ogni responsabilità presente e futura con riferimento alle acque di falda». Il Ministero bonificò dopo il pagamento? «Ad oggi, a parte i marginamenti, anche quelli parziali, nessun intervento di messa in sicurezza è stato effettuato».

Giuseppe Pietrobelli

 

L’ACCUSA «Agivano con la spregiudicatezza di consumati malfattori»

IL “NO” DELL’EX SINDACO – Il Comune si rifiutò di stipulare le transazioni imposte dal Ministero

VELENI CON IL CONSORZIO – Dagli atti un’ulteriore conferma dei rapporti con l’ex presidente

Orsoni, il grande accusatore

L’avvocato Grasso: «Anche in questo caso Giorgio si era messo di traverso a Mazzacurati»

Quelle transazioni ambientali imposte dal Ministero, all’allora sindaco di Venezia Giorgio Orsoni erano sembrate un «abuso», tanto da vietarne la stipula da parte del Comune. Considerazioni che Orsoni, convocato in Procura a Udine, come testimone, aveva messo a verbale l’8 maggio scorso, meno di un mese prima di essere arrestato nell’inchiesta veneziana sul sistema Mose. Insomma, l’ex sindaco che a Venezia dovrà difendersi dall’imputazione di finanziamento illecito, chiamato in causa da Giovanni Mazzacurati, in questa nuova inchiesta si ritrova tra i testimoni dell’accusa per una vicenda che coinvolge anche l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova. Una circostanza che farà discutere. E il primo commento arriva dal difensore di Orsoni, l’avvocato Daniele Grasso: «Orsoni, anche in questo caso, si era messo di traverso a Mazzacurati. Quando è stato interrogato dopo l’arresto, aveva detto di non essersi meravigliato delle accuse che gli muoveva Mazzacurati, perché lo conosceva come un tipo vendicativo. Alludeva a fatti come questo. L’allora sindaco aveva osteggiato in modo determinato questi meccanismi deviati di gestione dei Siti di interesse nazionale, forte anche delle sua esperienza professionale. E sono convinto che più si andrà avanti, più emergeranno nuove chiavi di lettura di tutta questa vicenda».
Agli inquirenti udinesi Orsoni aveva riferito di una sorta di imposizione da parte del Ministero, attraverso Mascazzini. «Posso dire che a fronte di questi accordi transattivi non vi erano obblighi di bonifica che il Ministero pretendesse – aveva fatto mettere a verbale l’allora sindaco -, anzi le proposte del Ministero avevano proprio la funzione di superare tutti gli ostacoli che il Ministero avrebbe potuto porre per la bonifica e che derivavano dal vincolo del Sin, gli unici obblighi che venivano recepiti erano quelli del marginamento…». Orsoni aveva aggiunto anche ulteriori dettagli, a conferma di questo meccanismo di sblocco delle concessioni edilizie nelle aree Sin, solo dopo il versamento del denaro, indipendentemente dalle bonifiche. «Il Ministero aveva preventivamente acquisito dal Comune tutte le richieste di concessioni edilizie relative alle aree appartenenti al Sin – aveva proseguito Orsoni -. In questo modo il Ministero aveva la possibilità di sapere chi aveva l’interesse di ottenerle. In questo modo raggiungeva i destinatari con delle proposte…». L’ex sindaco aveva poi riferito di aver vietato la stipula di transazioni di questo tipo fin dall’inizio del suo mandato. Ciononostante Vega, società controllata dal Comune, l’aveva siglata lo stesso, proprio perché il terreno in questione era oggetto di un preliminare di compravendita che non si sarebbe potuto perfezionare se non fosse stata stipulata la transazione. Agli inquirenti l’allora sindaco aveva ribadito di aver vietato lo stipula di queste transazione proprio in considerazioni che «tali proposte potessero costituire un abuso… una pura dazione di denaro che affluiva alle casse del Ministero dell’ambiente, fatta eccezione per la quota destinata al marginamento della laguna».

(r. br.)

 

GLI INDAGATI VENEZIANI – Con Mazzacurati, Baita, Brotto e Barbanti è uno dei big finiti nell’inchiesta

«Schiesaro, il consigliere della cricca»

Per la Procura l’Avvocato dello Stato aveva un ruolo di «mente giuridica»

Un paio di ritorni. E due nuovi ingressi. I “veneziani” coinvolti in questa nuova inchiesta che scoperchia l’affare bonifiche, sono quattro: da un lato, Giovanni Mazzacurati e Maria Teresa Brotto, chiamati in causa rispettivamente come ex presidente del Consorzio Venezia Nuova e di Thetis, il primo, ex amministratore delegato di Thetis, la seconda; dall’altro, Andrea Barbanti, che di Thetis è stato responsabile della divisione ingegneria dell’ambiente, e Giampaolo Schiesaro, già avvocato dello Stato a Venezia. E il nome che più sorprende, forse, è proprio quest’ultimo, conosciutissimo in città per aver essere stato tra le parti civile nel processo per le morti al Petrolchimico. A fianco dell’allora pubblico ministero Felice Casson, si era battuto per ottenere maxi risarcimenti.
Il coinvolgimento di Mazzacurati in questa vicenda non è una novità. Il “padre” del Consorzio Venezia Nuova – arrestato nel 2013, che con le sue successive confessioni ha contribuito all’inchiesta veneziana sul sistema Mose – stavolta è accusato, con il direttore generale del Ministero dell’ambiente Mascazzini & compagni, di associazione a delinquere finalizzata al falso e alla truffa ai danni dello stato per le vicende legate alle lagune di Grado e Marano, ma anche alla concussione per le pressioni fatte a vari imprenditori di Marghera perché sottoscrivessero le cosiddette transazioni ambientali. Nella prima vicenda, legata al Sito di interesse nazionale friulano, é coinvolta anche l’ingner Brotto. L’ex ad di Thetis, arrestata a giugno per lo scandalo Mose, solo due settimane aveva patteggiato 2 anni e 600mila euro per uscire di scena da quell’inchiesta. Ma ora si apre questo nuovo fronte giudiziario. Secondo gli inquirenti udinesi e romani, Mascazzini e il suo gruppo aveva messo in piedi un sistema volto a «ingigantire le emergenze ambientali» per tenere in piedi l’apparato e dare lavoro ai gruppi amici. Con questo sistema anche Thetis aveva lavorato, insieme ad altre società, alla bonifica dell’area ex Caffaro, mentre attraverso il Magistrato alle acque aveva partecipato alla realizzazione delle casse di colmata di Lignano Sabbiadoro. Stesso fine anche dietro alle transazioni ambientali imposte dal Ministero alle società di Porto Marghera per incassare soldi che poi venivano riversati al Consorzio Venezia Nuova. In questo caso l’accusa è di concussione e, oltre a Mazzacurati, sono coinvolti Barbanti, attuale socio amministratore della società InTea srl di Venezia, e Schiesaro. Nella ricostruzione dei magistrati, il «regista incontrastato dell’operazione» resta Mascazzini, ma anche Schiesaro ha un ruolo importante, di «mente giuridica», che emerge dalle intercettazioni in cui immagina vari sistemi per costringere le aziende a pagare. Barbanti, invece, è uno degli «addetti a trovare assolutamente qualche appiglio per poter sostenere che, pur essendo estranee all’inquinamento, le aziende da costringere a transare erano sporche». E tutti «agiscono con la spregiudicatezza di consumati malfattori – scrive la Procura – concentrando la loro attività su un solo bersaglio: prendere quanti più soldi possibile dalle transazioni».

 

L’ACCUSA «Le procedure si prestavano ad interpretazioni e arbitri»

IL MINISTERO «Voleva “estendere” l’area dei siti inquinati»

Quattro anni di inchieste contro la corruzione

Quattro anni all’insegna della lotta alla corruzione nella pubblica amministrazione. La Procura di Venezia ha iniziato nel 2011, con gli arresti chiesti e ottenuti dal pm Stefano Ancilotto per le tangenti pagate a due funzionari della Provincia di Venezia da parte di numerosi imprenditori impegnati in lavori su scuole e uffici. Un anno più tardi, è il gip Antonio Liguori, sempre su richiesta del pm Ancilotot, ad imporre i domiciliari per corruzione all’ex amministratore della Venezia-Padova, Lino Brentan, in relazione a presunte “mazzette” pretese da varie aziende per poter entrare nel giro degli appalti autostradali. Il primo vero colpo grosso viene messo a segno dagli investigatori il 28 febbraio del 2013: il pm Ancilotto, chiede e ottiene l’arresto di Piergiorgio Baita, l’amministratore delegato della Mantovani spa, una delle principali imprese di costruzioni italiane e di altre persone, tra cui Claudia Minutillo, ex segretaria del presidente della Regione Veneto, Giancarlo Galan: per tutti l’accusa è di false fatture milionarie. È la chiave di volta per arrivare a scoprire il “sistema Mose”, basato sulla creazione di fondi neri milionari per corrompere politici, amministratori e controllori. Nel luglio del 2013, su richiesta del pm Paola Tonini, finisce ai domiciliari l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, che subito inizia a collaborare, così come avevano fatto già Baita e Minutillo. Si arriva così ai 34 arresti del 4 giugno del 2014, con il coinvolgimento di Giancarlo Galan e dell’ex assessore alle Infrastrutture, Renato Chisso che, lo scorso 16 ottobre, hanno patteggiato la pena per corruzione, assieme ad altri 18 imputati.

 

L’EX ASSESSORE «Ecco perchè non volevano la presenza del Comune»

Bettin: «Le truffe ambientali, la parte più infame del Mose»

«Le truffe sulle bonifiche dei siti inquinati sono la parte più infame dello scandalo Mose. Il troncone di inchiesta che parte dalla Laguna di Grado e Marano ma che incrocia anche quelli nostrani sul Mose e sulle bonifiche di Porto Marghera lo conferma». Gianfranco Bettin, assessore all’ambiente dell’ultima amministrazione comunale di Venezia, è uno dei nomi storici della lotta all’inquinamento e al malaffare a Porto Marghera. Cosa ci racconta questa nuova inchiesta che si sviluppa tra Roma, il ministero dell’Ambiente, il Friuli Venezia Giulia, e Venezia? «Ci racconta che, se le indagini dicono il vero, uno dei covi del sistema corrotto e vorace è a Roma, in alcuni Ministeri, in quello dell’Ambiente in particolare, e che le vie per fare affari illeciti sono a volte opposte. A Grado si dichiara una falsa emergenza ambientale o la si fa molto più grande di quello che è, per ottenere risorse e mantenere un apparato. A Marghera si lucra su una vera emergenza, come dimostra tra l’altro l’inchiesta che coinvolge l’ex ministro di Alleanza Nazionale e Pdl Altero Matteoli, dove ci si sarebbe addirittura appropriati delle risorse ottenute con le transazioni delle aziende per i guasti ambientali e per i danni alla salute. Il tutto grazie a meccanismi insieme kafkiani e autoritari.» Ad esempio? «Ad esempio, che le procedure per le bonifiche fossero così labirintiche e vischiose serviva ad assicurare il massimo arbitrio a politici e dirigenti, soprattutto romani. E che non volessero ai tavoli decisori le rappresentanze del Comune, dell’impresa e dei sindacati del territorio serviva a tenere lontani occhi indiscreti, oltre che i veri conoscitori della realtà ambientale e produttiva locale.» Ma qualche innovazione siete riusciti a introdurla in questi anni, no? «Si, ma solo parziale. Abbiamo semplificato le procedure, con un grande lavoro soprattutto del Comune e d’intesa con la Regione. Al contrario che a Grado, dove volevano ampliarlo, qui abbiamo ridotto il S.I.N. (Sito di Interesse Nazionale) alla parte più gravemente inquinata, tra l’altro restituendo aree preziose alla pesca. Ma ci siamo trovati davanti un muro quando abbiamo proposto di semplificare ancor più le procedure. E poi il punto vero in discussione era la partecipazione degli Enti locali. Noi volevamo che i procedimenti fossero incardinati a Venezia e non a Roma. L’ex sindaco Orsoni si è scontrato frontalmente proprio su questo punto. Ed ha contrastato duramente il Consorzio Venezia Nuova.» Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, ha avviato la procedura di commissariamento del Consorzio Venezia Nuova. «E’ sacrosanto! Tagliare la testa del drago che ha avvelenato e stretto nelle sue spire economia e politica tra Venezia e Roma è un passo necessario per far pulizia e cambiare davvero». (Il Gazzettino ha cercato anche l’avv. Giampaolo Schiesaro, che ha buttato giù il telefono, mentre il sen. Felice Casson, impegnato in Parlamento, non aveva ancora avuto il tempo di leggere i giornali.)

Maurizio Dianese

 

PORTO MARGHERA – Si discute in Senato l’autorizzazione a procedere

Tangenti per le bonifiche all’ex ministro Matteoli

La prima inchiesta ad arrivare a conclusione su presunti illeciti nelle attività di bonifica di Porto Marghera è quella che riguarda l’ex ministro dell’Ambiente, Altero Matteoli, tra i fondatori di Alleanza nazionale, attuale senatore di Forza Italia. Alla fine di settembre il Tribunale dei ministri di Venezia ha terminato gli accertamenti chiedendo alla Procura di trasmettere gli atti al Senato al fine di ottenere l’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteoli e delle altre persone indagate assieme a lui per il reato di corruzione. Il Tribunale dei ministri si è convinto, infatti, che furono pagate mazzette in cambio dell’assegnazione dei lavori di bonifica di Porto Marghera: «É dimostrato un asservimento alle politiche del Consorzio Venezia Nuova del politico Altero Matteoli nella sua veste non solo di ministro dell’Ambiente, ma anche di ministro delle Infrattruture», su legge nel provvedimento conclusivo dei giudici veneziani, sulla base del quale la Giunta della autorizzazioni a procedere ha già incardinato il caso, lasciando dieci giorni di tempo agli indagati per depositare memorie difensive.
La vicenda è piuttosto complessa e ruota attorno ai 271 milioni di euro che, nel 2001, Montedison si impegnò a versare al ministero dell’Ambiente, a conclusione di una transazione, per contribuire alle bonifiche necessarie a Porto Marghera, dopo anni di inquinamento industriale. Matteoli affidò i lavori direttamente al Consorzio Venezia Nuova, senza passare per alcuna gara pubblica: in cambio di questo “regalo”, l’allora ministro avrebbe ricevuto da Mazzacurati e Baita somme di denaro (rispettivamente di 400mila e 150 mila euro), ma anche e soprattutto l’affidamento di opere alla società Socostramo, dell’amico imprenditore Erasmo Cinque. Con un investimento di soli 25mila euro (necessari per acquisire lo 0,006 del Cvn) la Socostramo avrebbe beneficiato di un utile complessivo, al lordo delle imposte, di 48 milioni di euro.

 

Nuova Venezia – Mose, commissariato il Consorzio

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

30

ott

2014

Iter già avviato dall’Anticorruzione. Cacciari: chi pagherà la manutenzione?

L’inchiesta – Svolta dopo gli arresti di giugno. La gestione potrebbe passare a Roma

L’Autorità Anticorruzione apre procedura per «congelare» il Consorzio Venezia Nuova
Commissariato il Mose

Adesso salvaguardia e dighe mobili potrebbero essere gestite da Roma

VENEZIA L’Autorità anticorruzione ha avviato l’iter per il commissariamento del Consorzio Venezia Nuova. La bufera giudiziaria coinvolge adesso la governance del più importante pool di imprese italiano, dal 1984 titolare della concessione unica per la realizzazione del Mose. L’annuncio del commissariamento è stato notificato ieri mattina al presidente del Consorzio Mauro Fabris via Posta certificata, firmata dal presidente dell’Anac Raffaele Cantone. Corposa la documentazione allegata, tra cui interi fascicoli dell’inchiesta della Procura veneziana sulle tangenti culminata negli arresti di giugno. Un provvedimento clamoroso, preso in base alla nuova legge sull’anticorruzione (l’articolo 32 del decreto legge 90) che adesso potrebbe portare alla sostituzione dei vertici del Consorzio (presidente e Cda) o al loro «affiancamento». Come previsto dall’articolo 37 dello stesso decreto anche se «limitatamente alla completa esecuzione del contratto». Al Consorzio sono stati dati tre giorni di tempo per produrre memorie e osservazioni. Poi, entro una settimana, la richiesta di commissariamento sarà presentata al prefetto di Roma, competente per territorio (le convenzioni tra ministero e Consorzio sono state firmate al ministero) che dovrà emettere il provvedimento. È il secondo caso in Italia, dopo il commissariamento di un ramo di impresa della Maltauro, coinvolta nell’inchiesta milanese per gli appalti dell’Expo. In realtà si tratta del primo caso in cui a essere commissariata non è un’impresa o una parte di essa, come successo per la Maltauro, ma un Consorzio di imprese. In questo caso infatti non sarebbe toccata la governance delle aziende che fanno parte del Consorzio, a cominciare dalla maggiore azionista Mantovani e poi Condotte, Mazzi, Coveco né i loro utili. Anzi, in qualche modo il provvedimento potrebbe anche tranquillizzare le imprese. Perché con l’azzeramento dei vertici del Consorzio, i finanziamenti potrebbero ricominciare ad arrivare con una certa regolarità e senza troppe polemiche. Quasi sei miliardi costerà il Mose, ma c’è in ballo adesso il business della manutenzione, almeno 40 milioni ogni anno a partire dal 2016. Dal punto di vista mediatico il passo deciso dall’Autorità – e dunque dal governo – potrebbe anche avere il fine di «giustificare» la concessione di nuovi finanziamenti da parte del Cipe per completare l’opera. Che continuano a slittare da mesi, pur se già formalmente assegnati al Mose. Altra anomalìa è quella che il Consorzio, a differenza della Maltauro, non si occupa di appalti. I soldi per la grande opera arrivano dallo Stato e grazie alla concessione unica vengono affidati direttamente alle imprese, con poche eccezioni – come la realizzazione delle paratoie e di altre parti del sistema senza appalti. Il Consorzio si tiene il 12 per cento pergli «oneri del concessonario». «Era ora, bisogna vigilare attentamente sui comportamenti e sulle responsabilità», dice il senatore del Pd Felice Casson. «Tagliare la testa al drago è l’unico modo per cambiare davvero», gli fa eco Gianfranco Bettin. Cosa succederà adesso? Ieri pomeriggio nella sede del Consorzio all’Arsenale lunga riunione tra il presidente Fabris, i dirigenti e gli avvocati. Dal punto di vista legale qualche appiglio ci sarebbe. La convenzione firmata con lo Stato ha valore legale. E già dieci anni fa ci furono le ventilate minacce di «chiedere i danni» se quei contratti fossero stati stracciati per modificare l’opera. Ma è facile prevedere che il Consorzio non si opporrà alla richiesta. «Siamo pronti a collaborare, come sempre», dice il presidente Mauro Fabris. Al suo arrivo aveva avviato una sorta di «nuovo corso» che evidentemente non è bastato all’Autorità per far rientrare la decisione, annunciata da qualche mese. Del resto è difficile pensare a una causa dei rappresentanti delle imprese contro chi (lo Stato) garantisce i finanziamenti. E negli ultimi tempi, a tutti i livelli, da Roma si è chiesto di far luce sulle irregolarità annunciando però – premier Renzi e ministro Lupi in testa – che «il Mose deve essere concluso». All’indomani dell’inchiesta il Presidente del Consiglio aveva annunciato lo scioglimento del Magistrato alle Acque, che ha visto coinvolti nell’inchiesta due suoi presidenti (Maria Giovanna Piva e Patrizio Cuccioletta), accusato di non aver «controllato» adeguatamente i lavori. Da tre mesi il Magistrato alle Acque, storico ufficio della Serenissima Repubblica per la protezione della laguna (fondato nel Cinquecento, poi riaperto nel 1907) non esiste più. Si chiama adesso «Provveditorato alle Opere pubbliche del Veneto» e la struttura è rimasta intatta. Ieri pomeriggio il presidente Roberto Daniele, ha saputo solo dall’Ansa del commissariamento del suo concessionario. Adesso la salvaguardia (e il Mose) potrebbero essere gestiti da Roma.

 

I comitati: «Bene, ma ora si faccia chiarezza sulla validità del progetto»

«Bene che il Consorzio sia stato finalmente commissariato, lo chiedevamo da tempo. Ma adesso bisogna andare a vedere nel merito che decisioni sono state prese sulla spinta delle tangenti. E se il meccanismo funzionerà davvero oppure no». Si dicono «soddisfatti a metà» i comitati No Mose e Ambiente Venezia che per anni, ben prima della deflagrazione dello scandalo per via giudiziaria, hanno combattuto il Mose. Luciano Mazzolin annuncia nuove iniziative. «Chiederemo al governo che dopo questo primo passo importante si faccia completa luce anche su tutto il resto», dice, «non si può andare avanti come prima, ignorando le denunce che noi facevamo da anni e che si sono rivelate fondate». «Lo scandalo del Mose non ha soltanto i sacrosanti aspetti giudiziari, del commissariamento o di nuove regole per gli appalti», dice Armando Danella, portavoce del comitato, per anni dirigente dell’Ufficio Legge Speciale del Comune di Venezia, «ma bisogna dire che si tratta di un progetto per molti aspetti sbagliato. Ci sono criticità dimostrate da scienziati indipendenti a cui ancora non hanno dato risposta, come le difficoltà di funzionamento della schiera delle paratoie in caso di mare agitato, la risonanza. Oppure cosa succederà con l’innalzamento del livello dei mari, perché fra vent’anni il Mose potrebbe già essere obsoleto. E infine sui costi della manutenzione: almeno 40-50 milioni di euro l’anno che dovremo finanziare per i prossimi cento anni». Adesso la prima richiesta da fare al commissario è quella, secondo i comitati, di pensare anche a una modifica del progetto. «La filosofia prevista dalla legge era quella della gradualità, sperimentalità e reversibilità», dice Danella, «nella prima fase difendiamoci rialzando i fondali e con sbarramenti mobili provvisori. Poi, verificata l’efficacia delle paratoie, vedremo se utilizzarle. Nel caso riciclando le opere già fatte».

(a.v.)

 

I due precedenti di Maltauro all’Expo

VICENZA. In due diversi casi si è già applicata la norma del commissariamento per un’azienda veneta: si tratta della vicentina Maltauro, vincitrice di due importanti appalti all’Expo di Milano. Tecnicamente si tratta di un provvedimento che l’Autorità anticorruzione richiede al prefetto competente (in questo caso Milano): la richiesta riguarda la « straordinaria e temporanea gestione dell’appalto» per evidenti motivi di illegalità. Il primo commissariamento, ai primi di luglio, riguarda le architetture di servizio del sito di Expo 2015; il secondo, in corso di perfezionamento in questi giorni, riguarda l’appalto per le Vie d’Acqua sempre in corso di realizzazione da parte di Maltauro. Anche in questo caso il provvedimento riguarda il singolo appalto e non l’impresa.

 

L’ex sindaco di Venezia è da sempre oppositore del progetto delle dighe mobili

«Si svelino gli interessi e ciò che è successo, anche se ormai è troppo tardi»

Cacciari: per vedere le carte farei anche il commissario

VENEZIA «Se farei il commissario del Consorzio? Volentieri: così potrei finalmente vedere le carte e capire dall’interno tutto quello che è successo in questi anni». L’ex sindaco Massimo Cacciari accoglie con soddisfazione la notizia del commissariamento del Consorzio Venezia Nuova. E rilancia: «Speriamo sia l’occasione anche per dare un occhio a quello che è successo negli ultimi vent’anni. Anche se non credo che succederà, non interessa più a nessuno». Cacciari, è un fatto positivo che l’Autorità anticorruzione abbia deciso di commissariare il Mose? «Certo che è positivo, anche se bisogna vedere ora quali effetti provocherà. Non vorrei che senza vertici e senza finanziamenti i lavori rischiassero di non finire mai. Oltre al danno avremmo la beffa di non poter dire che avevamo ragione»: Potrebbe succedere il contrario: il commissario in genere velocizza le procedure. «Lo spero, davvero. A Milano anche se la vicenda era molto diversa, non è andata così». Dunque cosa si aspetta dal commissario? «Che metta il naso nel merito di questa vicenda. Le indagini finora hanno messo in luce solo l’aspetto dei ladrocini, il resto è rimasto sullo sfondo». Cos’è il resto? «Le procedure e le decisioni che hanno portato a spingere un’opera per cui c’erano moltissime perplessità, che avevamo tentato di spiegare e di illustrare al governo senza venire minimamente ascoltati. È tutto sul sito web, se Renzi vuole può guardare». Una denuncia ante litteram… «Eh certo! Anche se io non faccio il poliziotto, ho sempre parlato di responsabilità politiche». Far luce sui passaggi cruciali del Mose. Succederà? «Ma no… non hanno alcuna intenzione di farlo. Diranno che ormai è andata così e l’opera va conclusa». Lo dice anche lei. «Perché ci terrei a vedere con i miei occhi come finisce, voglio che siano chiare le responsabilità di fronte al mondo. Io spero che funzioni. Ma se non va, c’è chi se ne dovrà assumere la responsabilità». Il Comune nel 2006 votò contro il Mose. «Avevamo sentito esperti e scienziati che avevano elaborato progetti altermativi meno impattanti e meno costosi. E ci avevano spiegato perché quell’opera non andava bene. Tra qualche giorno uscirà il libro dell’ ingegner Di Tella, dove si spiega tutto quello che è successo». Ma adesso il Mose è all’85 per cento e il Consorzio è stato commissariato. Cosa dovrà fare il commissario e cosa dovrà fare il governo? «Se serve anche per far presto va bene. Ma al governo voglio chiedere se sia al corrente che quella grande opera ha bisogno almeno di 40 milioni l’anno per la sua manutenzione. E poi se pensano di garantire quei soldi per i prossimi decenni. O invece di farli pesare sul Comune che già adesso non ne ha. Sono cose che i cittadini vogliono sapere in anticipo. A meno che il governo non intenda recuperare quei soldi con le visite guidate, facendo del Mose un grande museo subacqueo in laguna». Si è ancora in tempo a modificare il progetto? «Non credo proprio. Ripeto, c’erano delle proposte alternative e proposte di modifiche che il Comune aveva presentato. Ma il governo, sia con Berlusconi che con Prodi, non ne ha voluto sapere e ha deciso di andare avanti lo stesso. Adesso è tardi». Dunque partita persa? «Beh, certo l’arrivo di questo commissario sarà l’occasione per dare un occhio e ficcare finalmente il naso su quello che il Consorzio ha fatto negli ultimi anni. Soprattutto nelle decisioni prese per far andare avanti il Mose. Ma l’opera a questo punto non si può interrompere». Decine di arresti e adesso, dopo quasi cinque mesi, una raffica di patteggiamenti. Secondo lei i responsabili hanno pagato abbastanza? «Non lo so. per fare un conto bisognerebbe prima sapere se hanno rubato, e quanto hanno rubato veramente». Viene commissariato il Consorzio ma le imprese restano.. «È successo così anche a Milano. Le imprese non si toccano perché hanno i contratti e potrebbero aprire un contenzioso miliardario».

Alberto Vitucci

 

COS’É – Il sistema Mose, acronimo diModulo Sperimentale Elettromeccanico è un progetto di ingegneria civile e ambientale destinato a proteggere Venezia dall’acqua alta. Il sistema prevede la posa di paratoie mobili a scomparsa poste alle cosiddette bocche di porto di Lido, di Malamocco e di Chioggia, in grado di isolare temporaneamente la laguna di Venezia dal mare durante gli eventi di alta marea.

 

L’inchiesta – Da una banale indagine fiscale a carico di una piccola cooperativa di Chioggia nasce la più grande inchiesta giudiziaria del Veneto. Nel febbraio 2013 viene arrestato Piergiorgio Baita (nella foto), presidente di Mantovani, tra i principali realizzatori del Mose. Si scopre che quasi tutto il sistema di controlli, dalla Regione allo Stato, era di fatto a libro paga del Consorzio Venezia Nuova.

 

I COSTI – L’opera del Mose, attualmente al 98 % della sua realizzazione, è costata complessivamente 5,4 miliardi di euro. Si tratta di una concessione del Ministero delle Infrastrutture che ha individuato nel Consorzio Venezia Nuova l’interlocutore operativo. Del Consorzio fanno parte Mantovani, Mazzi, Condotte e il sistema delle coop rosse venete ed emiliane. Tutte, a vario titolo, coinvolte nell’inchiesta.

 

LA CITTÀ DEPREDATA NELL’ANIMA

Mezzo secolo dopo, quei versi diventano un requiem. «Que c’est triste Venise», com’è triste Venezia, cantava Charles Aznavour nel 1964, giusto cinquant’anni fa. Allora, la città aveva 121 mila abitanti, poco più di metà di quelli della sua epoca d’oro, agli inizi del Quattrocento. Oggi ne ha meno di metà della metà: il funebre contatore installato nella vetrina della farmacia Morelli, in campo San Bartolomio, ne annovera 56.684; ed è una cifra in costante discesa. È diventata un cimitero di case vuote, l’area compresa tra i sestieri e la Giudecca. Se continua così, nel 2030 non resterà un solo veneziano; già oggi a Torcello, antica sede patriarcale, popolata ben prima di Rialto e San Marco, sono rimasti in dieci appena. Sul ponte sventola bandiera bianca, scriveva Arnaldo Fusinato alla notizia della resa alle truppe austriache, nell’agosto 1849. Oggi quel mesto vessillo è simbolicamente issato su tutti i 417 ponti che collegano le 116 isole di Venezia: travolti dalle mefitiche acque alte di un Mose impastato nella corruzione diffusa. Non è una sorpresa la notizia di ieri dell’avvio della procedura per commissariare il suo discusso gestore, il Consorzio Venezia Nuova: l’aveva anticipata già nel luglio scorso Raffaele Cantone, responsabile dell’autorità competente. E in fondo non è una sorpresa neppure l’inesorabile progressivo degrado della città: che viene da lontano, anche se oggi una duplice paralisi istituzionale grava sul Comune e sull’organismo incaricato di garantirne la salvezza. Un filo rosso davvero, ma rosso di vergogna, unisce le vicende dei loro vertici, il sindaco Orsoni e il presidente Mazzacurati, entrambi diventati troppo tardi due ex. E dietro le quali sta una pletora di piccoli e grandi lestofanti – politici di razza e di scarto, tronfi generali, magistrati di rango, alti e bassi funzionari, segretari furbastri, semplici impiegati – che hanno abusato delle pubbliche risorse, mettendo in conto alla collettività perfino le notti allegre consumate tra calli e campielli. Qualcuno di loro forse pagherà, comunque troppo poco. Non ci sarà invece neppure il più piccolo sconto per una città depredata nei mezzi, ma soprattutto nell’anima. Com’è triste sul serio Venezia, e da tempo. «Indebolita di stati, di uomini e di consiglio», la dipingeva già nel Settecento, mezzo secolo prima della sua caduta, Piero Garzoni, savio del Consiglio. La sua storia più recente ricalca tristemente il medesimo copione: una città incapace di decidere, priva di progetto, paralizzata dai veti incrociati comunque ispirati alla logica del non lasciar fare; e così finita ostaggio di un ceto trasversale saldamente insediato nella gestione della cosa pubblica in tutti i suoi gangli. Bottegai del potere, molto più avidi di quelli che tra banchetti e negozi spennano gli incauti turisti. A ripercorrere le vicende veneziane degli ultimi decenni, viene da pensare a un singolare parallelo con quelle della Vienna a cavallo tra fine Ottocento e primo Novecento, non a caso quella di Freud e della nascita della psicoanalisi: una realtà permeata da una sorta di cupio dissolvi incarnatosi nel crollo del plurisecolare impero degli Asburgo. Venezia di cristallo e crepuscolo, la chiamava Jorge Luis Borges, aggiungendo che «crepuscolo e Venezia sono per me due parole quasi sinonime». Oggi una città commissariata nello spirito oltre che nelle istituzioni, pubbliche o private che siano, è lo specchio infranto di una realtà che ha tradito lo stesso Dna della Serenissima di cui si proclama erede. Perché ha lasciato che l’interesse generale venisse sommerso dal peso di quello di parte, di tante piccole parti voraci quanto inette. Ed è per questo, non per le acque alte, che Venezia finirà per affondare davvero.

FRANCESCO JORI

 

L’avvocato dello Stato Schiesaro e il direttore del ministero Mascazzini indagati insieme a Mazzacurati, Brotto e Altieri

Falsi inquinamenti, imprese taglieggiate

VENEZIA – Da dove iniziare a raccontare l’ennesima inchiesta giudiziaria tra affari (molti) e ambiente (poco)? Dall’accusa di essersi inventati un inquinamento inesistente per finanziare l’inutile bonifica con soldi pubblici finiti nelle tasche di imprese “amiche”, come nel caso del fantomatico inquinamento da mercurio della laguna di Marano e Grado? Oppure dall’essere riusciti a trasformare in un affare sporco – dove a guadagnarci sono sempre gli “amici” – un’idea pulita come quella di far pagare alle aziende di Porto Marghera la bonifica delle aree inquinate? È l’ultima frontiera dello scandalo giudiziario-ambientale arriva dalla procura di Roma, su segnalazione della procura di Udine, convinta di aver scoperto un’associazione per delinquere finalizzata a una truffa gigantesca ai danni dello Stato, tentata concussione e corruzione, abuso d’ufficio: un’indagine che dai vertici del ministero dell’Ambiente arriva fino a Venezia, coinvolgendo come “genius” il direttore generale del ministero dell’Ambiente Gianfranco Mascazzini e – tra i 26 indagati – anche i soliti noti: Giovanni Mazzacurati come ex presidente del Consorzio Venezia Nuova e Thetis, all’ad di Thetis Maria Teresa Brotto (arrestata nell’inchiesta Mose e tra i 19 patteggiamenti), arrivando a indagati eccellenti e insospettabili come l’avvocato di Stato Giampaolo Schiesaro (parte civile per lo stato in processi celebri come quello contro l’Enichem). Va ricordato: si è ancora nella fase delle indagini e degli avvisi di garanzia. Porto Marghera. In ballo, un affare da un miliardo di euro, 573 dei quali provenienti dai privati, che gira attorno al meccanismo delle “transazioni ambientali”, coordinato dallo stesso Mascazzini: il ministero fissa una cifra dovuta dalle industrie per finanziare il piano di bonifica. Chi paga la bonifica, poi può rivendersi le aree e valorizzarle. Tutto lecito? Non per il pm romano Alberto Galanti, perché chi non paga subisce la minaccia di verifiche, sanzioni, blocco di qualsiasi progetto. Il che avrebbe quasi un senso – ai fini ambientali – non fosse che il quadro accusatorio è diverso: «A gestire il tutto», scrive la Procura,«il direttore generale del ministero dell’ambiente Mascazzini, che appare utilizzare il potere che gli deriva dal suo ruolo per pilotare i cospicui finanziamenti del ministero, verso la società Sogesid, l’Icram attuale Ispra, il Consorzio Venezia Nuova, lo studio Altieri (con indagati Alberto e Everardo Altieri, ndr) e Thetis». E ancora: «Le transazioni ambientali sono lo strumento per raccogliere fondi dalle imprese che intendano costruire sulle aree: sconcerta il modo in cui si spinge le aziende a transare, con le ispezioni ministeriale che paiono s lo strumento di pressione». E come strumento di pressione la Procura individua l’avvocato Schiesaro, il cui vantaggio – secondo l’accusa – sarebbe nello 0,3% di parcella sull’ammontare delle transazioni incassate dal ministero, per 408 mila euro in quattro anni. Le laguna “inquinata”. La seconda accusa mossa dalla procura romana a Mascazzini e una serie di funzionari e imprenditori, è di essersi sostanzialmente “inventati” l’inquinamento da mercurio della laguna di Marano e Grado – «confondendo i concetti di mercurio neurotossico con quello di solfuro di mercurio, innocuo e presente da centinaia di anni in buona parte dell’Adriatico», con relativi finanziamenti per centinaia di milioni in opere di bonifica e di contenimento, come quelle affidate a Thetis e Studio Altieri per smaltire i fanghi all’isola delle Tresse e a Venezia, pagandone il trattamento come fanghi classificati C quando invece erano sostanzialmente puliti (110 euro in più per ognuno dei 35 mila metri cubi). Punto debole? Mancano le mazzette. Mascazzini si sarebbe dannato per dirottare i fondi in cambio «dell’assunzione di personale segnalato da onorevoli, assessori o ministri di turno, di incarichi di progettazione da destinare ai soliti “amici” (…) in assenza delle quali i fondi vengono bloccati o assegnati ad altri».

Roberta De Rossi

 

LE TRANSAZIONI CON IL DICASTERO DELL’AMBIENTE

Soldi al ministero: Orsoni era contrario

VENEZIA L’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni aveva dato ordine alle società comunali di non transare con il ministero dell’Ambiente, perché – ha raccontato a maggio al pm romano Galanti, come teste- gli pareva «che tali proposte potessero costituire un abuso…una pura dazione di danaro che affluiva alle casse del ministero dell’Ambiente, fatta eccezione per la quota destinata al marginamento delle laguna». Alla fine Vega Parco Scientifico aveva però pagato, 2,490 milioni. «Ci era stato detto chiaramente da Mascazzini», dice l’ad di Vega, Giuseppe Rizzi, «che se non aderivamo non solo mai e poi mai ci sarebbero state rilasciate le concessioni edilizie, ma si è spinto anche a minacciare di inviare controlli da parte dei carabinieri del Noe e denunce penali». Così Fincantieri paga 6 milioni, San Marco Petroli 3, Intermodale Marghera 4 e tutti denunciano pressioni. In un’intercettazione, Mascazzini chiarisce: «…se uno transa con noi e ci pesenta il progetto di bonifica poi può andarte in Comune (…) e si fa dare la concessione edilizia (…..) perché sai come faccio a fotterli…dico che devi portare in Comune il decreto di approvazione del tuo progetto di bonifica». Per la Procura l’obiettivo non è il bene pubblico, ma incassare soldi per far lavorare le imprese amiche e creare «una corte di fiducia (per)consentirgli una gestione incontrastata del territorio». Piergiorgio Baita – uomo chiave dell’inchiesta Mose – come teste spiega al pm: «Dottore, se lei fa il progettino della casa nel Comune e le viene consigliato di andare da un architetto e va da un altro, scommetto che ci mette più tempo ad avere l’approvazione». E su Mascazzini aggiunge, negando di aver mai visto tangenti: «…uno che ha portato al Consorzio un miliardo di lavori aggiuntivi potenziali credo che qualche debito di riconoscenza ce l’abbia senza esercitare pressioni».

(r.d.r.)

 

L’INTERVISTA all’azionista

Chiarotto: «Redi o Zanda spero sarà uno che sa»

PADOVA Romeo Chiarotto, proprietario della Mantovani, apprende del commissariamento del Consorzio Venezia Nuova dalle agenzie di stampa, poco dopo pranzo. Cosa pensa? «Cosa vuole che dica? Non è una bella cosa. Ma vediamo che tipo di commissariamento sarà». In che senso? «Nel senso che il governo ha deciso di procedere lungo questa direzione. Ma se il commissario sarà una persona che conosce l’infrastruttura, allora sarà possibile proseguire nei tempi previsti e concludere l’opera nel 2016. Diversamente sarà più difficile». Lei cosa auspica? «Spero che venga nominata una persona che conosce l’opera. Che so, se fosse l’attuale direttore Redi, oppure una persona che in passato ha ricoperto la presidenza, tipo Zanda, potrebbe essere una soluzione; oppure uno del Magistrato delle Acque, naturalmente non coinvolto dalle disavventure giudiziarie» Non le piace il presidente Fabris? «Anche Fabris, certamente. Ma chi è più operativo è il direttore Redi». E se il governo decide di nominare un commissario romano? «Ripeto, se viene qualcuno che conosce l’opera va benissimo. Se sarà persona diversa si allungheranno i tempi, per forza». Pensate di ricorrere? «Veramente non so nemmeno se sia possibile: ora vedremo, il presidente riunirà il consiglio di amministrazione e vedremo». Ma il governo vuole concludere il Mose? «Io credo che la volontà sia quella di concludere l’infrastruttura nei tempi previsti: ci sono dei soldi anche nella Legge di stabilità. Sarebbe un delitto ora che siamo quasi alla fine interrompere i lavori». Lei è il principale azionista del consorzio e… «Tutte balle: dicono che sono l’azionista di riferimento, in verità Mantovani ha meno del 30% delle quote. Mazzi, per dire, ne ha di più. Poi c’è Condotte con il 20% circa e le cooperative». …quali sono i rapporti con le altre imprese: dicono stiano volando parole grosse tra i voi. E’ vero? «Ma no, credo sia normale tra imprenditori che ognuno cerchi di tirare acqua alla propria impresa. E’ una normale dialettica. Poi c’è qualcuno che critica il passato più di altri, ma se c’è uno statuto si applica quello e basta».

Daniele Ferrazza

 

Il presidente della Provincia Zaccariotto: non basta voltare pagina, bisogna buttare via il libro

«Errori nel Mose, ma la politica ha fallito»

VENEZIA «Venezia è ormai la città dei commissari, anche per colpa della politica che, avendo fallito, affida vigliaccamente le sue responsabilità ai tecnici». È duro il giudizio del presidente della Provincia di Venezia Francesca Zaccariotto alla decisione del responsabile dell’Autorità Nazionale Anticorruzione Raffaele Cantone di commissariare il Consorzio Venezia Nuova, ma non come critica al provvedimento, quanto al fallimento di una classe politica e imprenditoriale veneta e veneziana che essa, in qualche modo certifica. «Se è stato necessario prendere questa decisione – commenta ancora Zaccariotto – e se essa ha anche lo scopo di concludere nel modo migliore e nel più breve tempo possibile la realizzazione del Mose, ne prendo atto. È evidente che ci sono stati errori e responsabilità anche nella gestione della sua realizzazione, ma è il totale fallimento della politica che più mi colpisce, in una Provincia e un Comune già paralizzati da quasi un anno e che vanno avanti, appunto, a colpi di commissari per l’inadeguatezza di chi ha amministrato, anche se escludo la Provincia, perché in questo caso la decisione di commissariarla è tutta politica. Non c’è dubbio che la decisione di Cantone per il territorio veneziano è comunque una nuova sconfitta, anche se l’obiettivo primario oggi è concludere nel modo migliore un’opera del costo e dell’importanza del Mose, che avrà poi costi di gestione altrettanto impegnativi». Il presidente della Provincia mette comunque sotto accusa un’intera classe politica anche con questo ulteriore sviluppo della vicenda Mose. «Ci deve far riflettere – conclude – perché qui non occorre voltare pagina, ma buttare addirittura via il libro e ricominciare tutto da capo, per essere nuovamente credibili agli occhi della gente».

(e.t.)

 

Casson (Pd): «Cantone è una persona seria».

Bettin: «Tagliare la testa al drago».

Boraso: «Confindustria intervenga»

«Un segnale grave, bisogna cambiare»

VENEZIA «È un segnale grave. Anche perché conosciamo la professionalità e lo scrupolo con cui lavora il dottor Cantone. Evidentemente ha raccolto nuovi elementi su cui far luce». Il senatore del Pd Felice Casson è un ex magistrato. Conosce bene il presidente dell’Autorità contro la corruzione. E meno di un mese fa aveva partecipato con lui a un dibattito sull’argomento a Marghera. «Ne avevamo parlato a lungo, poi lui aveva visitato la sede del Consorzio Venezia Nuova e fatto visita alla Procura. Evidentemente ha acquisito dati e notizie importanti che lo hanno portato a questa decisione». Un atto importante, che cambia il corso della politica della salvaguardia. Anche se l’Ufficio dell’Autorità ha precisato in serata che «il commissariamento non significa bloccare i lavori dell’opera e che anzi, il commissario è tenuuto ad assicurarne il completamento». «È la prima volta che si prende un prvvedimento del genere», continua Casson, «e adesso una volta di più è dimostrato che bisogna cambiare totalmente, anche gli uomini. E continuare la verifica avviata dalla magistratura negli ambienti politici e parapolitici». «Bene, bene, sono molto soddisfatto», commenta il segretario provinciale del Pd Marco Stradiotto, «c’era bisogno di una svolta su questa vicenda, come c’è bisogno di rinnovamento». «La richiesta di scioglimento del Consorzio Venezia Nuova», dice il sottosegretario all’Economia Pierpaolo Baretta, «è la comprensibile conclusione di una incredibile quanto dolorosa vicenda. L’importante è adesso che l’opera sia conclusa e che si decida al più presto come sarà gestita e da chi». «Finalmente», commenta Gianfranco Bettin, «il Consorzio Venezia Nuova e il suo sistema di potere è esso stesso lo scandalo. Che non nasce da qualche mela marciama da procedure particolari, da posizioni di privilegio e di esclusiva, da risorse enormi e fuori controllo, da un predominio che si è giovato di politici, manager, imprenditori, opinion makers. Tagliare la testa del drago che ha stretto le sue spire e avvelentao con i suoi morsi politica, economia e società è un nuovo importante passo per cominciare a far pulizia e cambiare davvero». «Un segnale forte e molto eloquente», commenta Renato Boraso, ex consigliere comunale e ora candidato sindaco per la lista civica, «sappiamo che il Consorzio è formato solo da alcune imprese che hanno fatto il bvello e il cattivo tempo nella nostra provincia e nella nostra regione non solo conil Mose ma anche con le strade, i depuratori, gli ospedali, il tram. Quella sera a Marghera ho detto a Cantone che era ora di applicare il Daspo a questi soggetti. L’ha fatto, e speriamo che non sia solo grazie alle inchieste giornalistiche». E adesso è la volta degli industriali. «Chiederò a Condindustria», continua Boraso, di espellere tutte quelle imprese che negli ultimi anni hanno partecipato al banchetto, e hanno concorso a creare una vera voragine morale. Adesso è ora di andare fino in fondo».

Alberto Vitucci

 

Il presidente della Provincia Zaccariotto: non basta voltare pagina, bisogna buttare via il libro

«Errori nel Mose, ma la politica ha fallito»

VENEZIA «Venezia è ormai la città dei commissari, anche per colpa della politica che, avendo fallito, affida vigliaccamente le sue responsabilità ai tecnici». È duro il giudizio del presidente della Provincia di Venezia Francesca Zaccariotto alla decisione del responsabile dell’Autorità Nazionale Anticorruzione Raffaele Cantone di commissariare il Consorzio Venezia Nuova, ma non come critica al provvedimento, quanto al fallimento di una classe politica e imprenditoriale veneta e veneziana che essa, in qualche modo certifica. «Se è stato necessario prendere questa decisione – commenta ancora Zaccariotto – e se essa ha anche lo scopo di concludere nel modo migliore e nel più breve tempo possibile la realizzazione del Mose, ne prendo atto. È evidente che ci sono stati errori e responsabilità anche nella gestione della sua realizzazione, ma è il totale fallimento della politica che più mi colpisce, in una Provincia e un Comune già paralizzati da quasi un anno e che vanno avanti, appunto, a colpi di commissari per l’inadeguatezza di chi ha amministrato, anche se escludo la Provincia, perché in questo caso la decisione di commissariarla è tutta politica. Non c’è dubbio che la decisione di Cantone per il territorio veneziano è comunque una nuova sconfitta, anche se l’obiettivo primario oggi è concludere nel modo migliore un’opera del costo e dell’importanza del Mose, che avrà poi costi di gestione altrettanto impegnativi». Il presidente della Provincia mette comunque sotto accusa un’intera classe politica anche con questo ulteriore sviluppo della vicenda Mose. «Ci deve far riflettere – conclude – perché qui non occorre voltare pagina, ma buttare addirittura via il libro e ricominciare tutto da capo, per essere nuovamente credibili agli occhi della gente».

(e.t.)

 

«Perplesso» l’esponente di Forza Italia Zuin. Locatelli: «Decisione tardiva»

I grillini: «Una buona notizia»

VENEZIA «Sono francamente perplesso rispetto a questa decisione del commissario anticorruzione di commissariare il Consorzio Venezia Nuova, anche se in Consiglio comunale era già stata approvata una mozione che chiedeva anche questo provvedimento. L’intero management del Consorzio era stato infatti sostituito rispetto a quello che operava durante i comportamenti illegali accertati dalla magistratura». È l’opinione sulla vicenda del commissariamento del Consorzio Venezia Nuova di Michele Zuin, fino a pochi mesi fa capogruppo in Consiglio comunale di Forza Italia. «Siamo comunque diventati la città dei commissari – prosegue Zuin – e questo non è un buon segno per lo stato di salute della politica. In ogni caso, ciò che ciascuno deve augurarsi, a questo punto, è che il Mose sia concluso il più rapidamente possibile e messo in funzione e se il commissariamento decretato da Cantone andrà in questa direzione, ben venga». Plaude al commissariamento del Consorzio Venezia Nuova per il Movimento Cinque Stelle Davide Scano, uno dei possibili candidati sindaco del movimento di Beppe Grillo. «È certamente una buona notizia – commenta – perché, nonostante l’inchiesta della magistratura in corso, restano ancora parecchie ombre sull’attività del Consorzio Venezia Nuova e sul regime della concessione unica dei lavori, che dovrebbe essere, di fatto, superata. Ma servono garanzie anche sul fatto che i lavori siano conclusi nel modo migliore e che il sistema funzioni e l’arrivo del commissario, in questo senso, può favorire una maggiore trasparenza». Sulla stessa linea anche Marta Locatelli, già consigliera comunale del Gruppo Misto e ora impegnata per le prossime elezioni con la lista Civica 2015. «Il commissariamento del Consorzio Venezia Nuova – commenta – non è solo opportuno, ma addirittura un po’ tardivo. Come è avvenuto per il commissariamento all’Expo 2015, infatti, consentirà anche di usare una lente di ingrandimento anche sugli appalti in corso per il Mose e sulla loro congruità, prima che i lavori si concludano».

(e.t.)

 

Gazzettino – Mose, commissario in arrivo

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

30

ott

2014

L’ anticorruzione ha ritenuto insufficienti le modifiche ai vertici del Consorzio

CACCIARI «Non vedremo mai l’opera finita»

Lo “sberlone” del Governo all’ora di pranzo. E di sicuro il cibo è andato di traverso a qualcuno. A distanza di quattro mesi dal blitz sul sistema Mose, un’altra pesante tegola si abbatte sul Consorzio Venezia Nuova. L’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) ha annunciato ieri, al termine di un’istruttoria durata circa due mesi, di aver avviato l’iter per il commissariamento dell’ente concessionario per i lavori del Mose con una procedura ad hoc richiesta al prefetto di Roma, titolare per competenza territoriale in quanto la concessione dei lavori al Cvn è stata firmata al ministero dei Trasporti. Insomma, un altro colpo durissimo alla “madre di tutte le battaglie” con l’Anac che ha ritenuto insufficienti le moficihe alla governance del Consorzio. Un fulmine a ciel sereno almeno nelle stanze del Cvn nella sede dell’Arsenale di Venezia, anche di fronte a quella tenue assicurazione che il presidente dell’Anac, Raffaele Cantone aveva fatto balenare nella sua visita al Consorzio Venezia Nuova un mese dopo la “grande retata”. E sia pure usando parole pesantissime (“Venezia è peggio di Milano. Qui la corruzione è a 360 gradi”), Cantone aveva mantenuto il “basso profilo” ipotizzando il commissariamento dell’ente concessionario, ma facendo intendere anche che il Cvn era sì sotto osservazione, ma che le azioni messe in cantiere dal nuovo staff guidato dal nuovo presidente Mauro Fabris stavano facendo fare passi avanti nella trasparenza degli atti. L’Anac avrebbe adottato il provvedimento di commissariamento ai sensi dell’articolo 32 del decreto legge 90 dello scorso giugno sui nuovi poteri dell’Autorità anticorruzione.
«A poco a poco l’ipotesi commissariamento l’avevamo messa in conto – sottolinea Fabris – Possiamo anche non essere stupiti più di tanto. Ne prendiamo atto. L’iter di avvio della procedura prevede che come Consorzio si possa avere non solo l’accesso agli atti, ma anche elaborare una risposta all’Anac. É una questione che i nostri avvocati stanno valutando. Di certo, come abbiamo sempre detto, faremo quello che ci chiede il Governo». Insomma, al di là di tutto l’imbarazzo non manca, anche perchè in questi mesi il Consorzio Venezia Nuova non solo ha cambiato la propria dirigenza, ma ha proseguito con rapidità nel progetto Mose con la posa dei cassoni e delle prime paratie mobili alle bocche di porto.
Ed è proprio sul piano programma che Fabris esprime le proprie preoccupazioni, anche in presenza di un “taglio” fatto da Palazzo Chigi nella Legge di stabilità 2014 per 137 milioni, parte di quei 401 annunciati proprio dal Governo, messi in agenda dal Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica), ma ancora non concessi. «Di certo – taglia corto Fabris – tutto ciò non potrà che comportare un ritardo nei lavori e nella conclusione dell’opera». Un timore smentito in serata dalla stessa Anac: «Se dovesse arrivare un commissario – ha avvertito l’Autorità – non vi sarà alcuno stop ai lavori. Il commissario sarà tenuto ad assicurarne il completamento». Immediate le reazioni del mondo politico. La più dura è quella dell’ex sindaco Massimo Cacciari: «Ok al commissariamento – ha detto – perchè ci sta tutto. Resta il rammarico perchè senza vertici e con i soldi che vengono via via meno non vedremo mai l’opera finita. Saranno soddisfatti tutti coloro che ci hanno lucrato perchè così non si vedranno le loro colpe visto che con il commissariamento il Mose resterà incompiuto». Dal canto suo, il sottosegretario PierPaolo Baretta (Pd) aggiunge: «É la comprensibile conclusione di un’incredibile quanto dolorosa vicenda. L’importante è che si concluda l’opera». L’altro sottosegretario veneziano, Enrico Zanetti (Sc) è duro: «Se l’Anac ha agito così – dice – vuol dire che ce n’erano i presupposti. E dirò di più non mi sembra strano, con tutto il rispetto per la “governance” attuale, ma nel complesso vi è un ambiente che va bonificato. Il cambiamento è stato nelle apicalità, ma la trasparenza deve essere a tutti i livelli».

 

MOSE – L’Anticorruzione avvia il commissariamento del Consorzio. Fabris: «Il cantiere vada avanti»

Venezia Nuova, si cambia

COMMISSARIAMENTO – Il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, ha avviato l’iter per il commissariamento del Consorzio

Venezia Nuova. Un fulmine a ciel sereno per il Consorzio che, dopo la bufera che dura da più di un anno, aveva ritrovato una certa serenità.

FINIRE IL MOSE – Il presidente del Consorzio, Mauro Fabris non si scompone più di tanto, dicendo che farà quel che il Governo gli chiederà di fare. «Una cosa va detta – dice il presidente – è indispensabile finire il Mose. Il Governo ci ha tolto 137 milioni già stanziati dal Cipe e questo potrebbe far slittare il termine dei lavori oltre i tempi previsti».

LE MOTIVAZIONI – L’Autorità nazionale non è soddisfatta del nuovo assetto di governo della società

NUOVA BUFERA – L’Anticorruzione avvia il commissariamento del Consorzio Venezia Nuova

Il presidente: «Rispetteremo le indicazioni che arrivano da Roma, era un’ipotesi che avevamo immaginato»

TEMPI E SOLDI «Palazzo Chigi ci ha tolto 137 milioni: questo potrebbe portare a ritardi, ma non si fermi il cantiere»

Fabris: «Il Mose va finito»

La “scoppola” è arrivata a metà giornata. Uno “schiaffone” doloroso e una parola sola: commissariamento. Dopo lo “bufera” della grande retata del 4 giugno scorso, un’altra tegola si è abbattuta ieri sul Consorzio Venezia Nuova. L’Autorità nazionale anticorruzione ha deciso di avviare l’iter in materia notificando un provvedimento ad hoc al prefetto di Roma perchè la concessione dei lavori del Mose è stata siglata nella Capitale, al ministero dei Trasporti. In questo modo, il presidente dell’Anac, Raffaele Cantone ha deciso di entrare a gamba tesa nella vicenda, a distanza di un paio di mesi dalla sua visita al Consorzio Venezia Nuova e al Mose giudicando insufficienti le modifiche apportate all’assetto dell’ente. Già in quell’occasione, al di là delle rassicurazioni, era balenata l’idea del commissariamento. Ora il presidente del Cvn, Mauro Fabris avrà tre giorni di tempo per rispondere all’Anac presentando memorie e osservazioni.
Presidente Fabris, altro brutto colpo.
«Questa ipotesi l’avevamo messa nel novero delle cose possibili. Insomma, possiamo anche essere stupiti, ma neanche più di tanto».
E ora che succederà?
«Lo ammetto. Non lo so. Ci troviamo davanti ad una procedura nuova, perchè nuovo è il provvedimento di legge in questione (articolo 32 del decreto legge 90 del 2014 ndr). Abbiamo tre giorni di tempo per rispondere all’Autorità nazionale anticorruzione».
Avete già messo in cantiere una sorta di “difesa”?
«Se ne stanno già occupando i nostri avvocati. In ogni modo non ci sono molte risposte da dare. Non possiamo che prender atto di quanto è avvenuto».
E quindi?
«Faremo quello che ci dirà di fare il Governo. Ma una cosa va detta su tutte»
Ovvero?
«Che è indispensabile finire l’opera. In questi mesi Palazzo Chigi ci ha “tolto” 137 milioni di euro dei 401 che erano stati annunciati negli scorsi mesi per il completamento del sistema Mose. Il Cipe, il Comitato interministeriale per la programmazione economica, li aveva già messi all’ordine del giorno di una sua prossima riunione…».
Ma…
«C’è una meccanismo amministrativo e finanziario legato alla Legge di stabilità del 2014 e quella del 2015, che potrebbe rischiare di mettere a repentaglio la conclusione del Mose nei tempi previsti».
Pare ormai certo che si rischi di slittare al 2017…
«I punti fermi rimangono. Di certo non sono momenti in cui è facile programmare. Ma un ulteriore slittamento potrebbe portare ad una dilazione dei tempi, anche perchè in alcuni il rischio potrebbe essere quello di dover metter mano alle concessioni e quindi agire non solo sul piano finanziario e/o amministrativo. Questo allungherebbe ancor più i tempi».
L’ex sindaco Massimo Cacciari dice che ormai il Mose non si completerà più. L’ex assessore Gianfranco Bettin dice che “bisogna tagliare la testa del drago per cambiare davvero”.
«Non spetta a me commentare nè quello che dice Cacciari nè quello che afferma Bettin. Noi, a questo punto non possiamo che aspettare quello che ci verrà chiesto dall’Anac e per suo tramite da Palazzo Chigi».

 

Un’insolita alleanza nella grande industria

La costituzione risale al 25 maggio 1982: un ventennio di lotte per ottenere il via libera alle dighe mobili

Parlare di Consorzio Venezia Nuova significa innanzitutto parlare di Mose. Chi non ricorda quella sorta di ponteggio che girava per la laguna negli anni Ottanta? Allora si chiamava “modulo sperimentale elettromeccanico” e la gente si chiedeva come quell’aggeggio avrebbe potuto salvare la città dalle acque alte. Alla perplessità della gente comune si aggiungeva lo scetticismo degli ambientalisti, che fin dall’inizio coniarono lo slogan “Il Mose serve solo a chi lo fa” riferendosi proprio al Consorzio, che rappresentava un’alleanza tra le grandi industrie italiane.
La data di nascita del Consorzio è il 25 maggio 1982 e da quel giorno il suo ruolo in città non ha fatto che crescere, con imponenti (alcuni dei quali discussi) lavori in tutta la laguna. Era stata l’acqua alta del 23 dicembre 1979 (1 metro e 66 centimetri) a riportare in auge un tema, quello della salvaguardia di Venezia, rimasto sopito per sei anni dopo l’approvazione della Legge speciale. Con la nuova Legge speciale, quella del 1984, il Consorzio ha assunto quel ruolo di concessionario unico che tuttora detiene. In 34 anni di storia e attività, il Consorzio ha avuto sei presidenti: Matteo Costantino, Luigi Zanda, Franco Carraro, Paolo Savona, Giovanni Mazzacurati e Mauro Fabris. Mazzacurati, in particolare, ha gestito come direttore il Consorzio praticamente dalle sue origini, essendo stato designato nel 1983.
Il progetto del Mose ha avuto una gestazione lunghissima. Dopo la sperimentazione in laguna, il progetto di massima arriva all’approvazione in Comitato tecnico di Magistratura nel 1992. Due anni dopo è stata la volta del via libera da parte del Consiglio superiore dei Lavori pubblici. Poi tutto resta fermo soprattutto per la valutazione d’impatto ambientale, che nel 1998 si pronuncia così: pericolo di danni rilevanti e irreversibili. L’anno successivo il Consiglio superiore dei Lavori pubblici però lo promuove e il Comitatone dà il via libera condizionato all’esecuzione di altre opere. A fine 2001 il Comitatone approva la progettazione esecutiva. Nel 2003, il 3 aprile, il Comitatone delibera l’avvio della costruzione.
Oggi è facile e automatico associare il nome del Consorzio all’impresa Mantovani, ma non è sempre stato così. Anzi, la Mantovani è stata in un certo senso, l’ultimo entrato, ma molto di peso. All’inizio la compagine era composta da Iri, Italstat, Condotte, Italstrade, Mantelli, Impregilo, Fiat, Girola, Lodigiani, il consorzio Cogefar Recchi, la Grandi Lavori Fincosit, la Mazzi, la Coveco, la Covela, la Saipem, il Consorzio San Marco. Proprio il gruppo Fiat, attraverso Impregilo, è stato per anni il “socio” di maggioranza nel Consorzio, tanto che diversi presidenti consortili ricoprivano la stessa carica all’interno della società. Lo stesso Cesare Romiti, storico amministratore delegato della Fiat, è stato per anni nel direttivo. Poi, all’inizio del secolo nuovo, Impregilo ha ridotto le sue quote dal 38 per cento all’uno per cento e Mantovani è diventata la nuova capocordata.

 

Vicentino ed ex senatore è stato più volte nel Governo

Vicentino di 58 anni, Mauro Fabris ha alle spalle una lunga militanza politica nel mondo d’ispirazione cattolica. Inizia nel 1990 come segretario provinciale della Dc a Vicenza. Nel 1996 è eletto alla Camera con il Ccd-Cdu nel ticket con Forza Italia per poi confluire nel 1999 nell’Udeur. Tra il 1998 e il 2001 è sottosegretario ai lavori pubblici, alle finanze, all’industria, con delega al commercio estero e turismo. Nel 2009 è nominato da palazzo Chigi commissario straordinario per le Opere di accesso Tunnel del Brennero.

 

ZANETTI «Se è stato deciso questo atto ce n’erano i presupposti»

LE REAZIONI – Cacciari: «Una beffa se l’opera non si completa»

L’ex sindaco giudica positivamente la decisione dell’Anac

Baretta: «Comprensibile conclusione di una vicenda dolorosa»

Il più duro è stato l’ex sindaco Massimo Cacciari: «Il commissariamento mi sta bene perché ci sta tutto, resta il rammarico perché senza vertici e con i soldi che vengono meno non vedremo mai quell’opera, che tanto ho avversato, per vedere se effettivamente sta in piedi. E a questo proposito, Cacciari ricorda come il suo «sì» al Mose venne dato solo per sfida «a quella che in tempi non sospetti definivo una cricca che si avvaleva di consulenze, pareri e indagini di esperti del tutto incapaci ma comprati per avere pareri compiacenti. Credo che saranno soddisfatti anche i tanti che lo hanno voluto per lucrarci, perché così non si vedranno le loro colpe visto che con il commissariamento il Mose resterà incompiuto. Come dire, oltre il danno, ora ci ritroviamo anche la beffa». Dal punto di vista pratico, Cacciari dice di credere, dopo quanto accaduto in sede giudiziaria, che «il commissariamento se lo aspettassero e lo desiderassero tutti».
Sulla vicenda interviene anche il sottosegretario all’Economia, PierPaolo Baretta (Pd): «La richiesta di commissariamento del Consorzio Venezia Nuova – sottolinea – è la comprensibile conclusione di un’incredibile quanto dolorosa vicenda. L’importante, però, è che l’opera ora venga portata a conclusione». Dall’altro lato, anche il “collega” Enrico Zanetti (Sc) sottolinea: «Se l’Anac ha deciso in proposito – sottolinea – vuol dire che ce n’erano tutti i presupposti. E dico di più: non mi sembra strano. Quello che è sostanzialmente sotto osservazione non è la nuova governance attuale, sulla quale non ho nulla da dire, ma sull’ambiente che circonda il Consorzio nel suo insieme. La mia è una valutazione di istinto».
Felice Casson, senatore Pd, non nasconde la “novità” della decisione presa dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone che come si ricorderà nel luglio scorso “dialogò” in un incontro pubblico a Marghera proprio sulle trame del sistema Mose a Venezia. «Mi sembra un ottimo intervento dell’Anac, e una novità assoluta. Bisognerà leggere attentamente il provvedimento. Cantone ha avuto modo di conoscere molto bene la situazione dopo il suo sopralluogo all’Arsenale, ma anche nei mesi successivi. Ora è possibile cambiare passo. É la prima volta che accade una cosa di questo genere per un ente concessionario dello Stato. E quindi bisognerà capire l’evolversi della situazione. In questo modo, ancor di più, lo Stato si assume l’onere e l’onore della ricerca della trasparenza».
Punta tutto su quanto accadrà in futuro il parlamentare del Movimento Cinque Stelle, Marco Da Villa: «Ora la parte più importante – dice – sarà capire chi sarà e cosa farà il futuro commissario. E non solo questo. Molte volte, in questi anni, per quanto riguarda le scelte dei “commissari”, siamo passati dalla padella alla brace. Ma tutto non si risolve se non si mette mano alla Legge speciale e alle sue incongruenze». É intervenuta anche Simonetta Rubinato, parlamentare Pd: «Ogni provvedimento necessario a debellare il sistema di corruttela venuto a galla in Veneto grazie alle indagini sul Mose della magistratura non può che essere accolto con favore dai tanti veneti onesti che chiedono il ripristino della legalità e dagli imprenditori che vogliono una sana concorrenza».
E sulla vicenda è intervenuto anche l’ex assessore all’Ambiente e leader ambientalista, Gianfranco Bettin: «É sacrosanta, inderogabile la richiesta dell’Anac – sottolinea – di commissariare il Cvn. Lo chiedevamo da tempo, da ancora prima che scoppiasse lo scandalo. Il Consorzio Venezia Nuova, il suo sistema di potere è esso stesso lo “scandalo” che non nasce da qualche “mela marcia”, ma da procedure particolari, da posizioni di privilegio e di esclusiva. Tagliare la testa del drago è un passo importante per cominciare a far pulizia e a cambiare dsvvero».

P.N.D.

 

QUARTO D’ALTINO – È stato fissato domani alle 9.30 in Regione (palazzo Linetti), l’incontro dei sindaci della linea Mestre-Portogruaro, per discutere dei problemi legati all’orario cadenzato. La convocazione è stata spedita a tutti i primi cittadini, tra cui il sindaco di Quarto, Silvia Conte, che in queste settimane e mesi ha pressato il presidente regionale Luca Zaia, per poter discutere i problemi sollevati dai pendolari. All’incontro infatti saranno presenti i sindaci, che hanno esteso l’invito anche ad una rappresentanza dei pendolari. La speranza è che non sia solo un incontro tecnico, ma sia presente anche un interlocutore politico, data l’importanza della materia. «Abbiamo scritto alla Regione», dice il sindaco Conte, «proprio in questo senso e contiamo che partecipi l’assessore regionale Donazzan, visto che ha ricevuto da Zaia la delega ai Trasporti. Le osservazioni da noi avanzate finora sono fattibili, quello che è mancato è stata la volontà politica di metterle in atto, politica che deve farsi carico di priorità e scelte. Spero ci sia una forte discontinuità rispetto a quanto fatto finora dalla giunta Zaia con l’assessore Chisso, ma temo che il cambiamento sia rinviato a dopo le elezioni».

(m.a.)

 

Grandi opere

JESOLO – Stop all’Autostrada del Mare. Un appello al governatore Zaia perchè sia bloccata la gara per l’aggiudicazione della superstrada a pagamento “Via del Mare”. La deputata del Movimento 5 Stelle Arianna Spessotto si è mossa prima dell’imminente nomina dei componenti della commissione di gara che valuterà l’offerta in project financing di Adria Infrastrutture. Spessotto spiega che «Tutti i Comuni direttamente attraversati dalla nuova superstrada, eccetto Jesolo, hanno espresso la loro contrarietà alla realizzazione della nuova arteria a pagamento e hanno chiesto espressamente a Zaia di rivedere il progetto. Quanto emerso dalle indagini sul Mose a proposito della società Adria Infrastrutture, citata dal gip di Venezia come esempio di “sistema corruttivo diffuso e ramificato”, indagini che hanno portato all’arresto, tra gli altri, dell’amministratore della società Claudia Minutillo, dovrebbero farci riflettere sull’esigenza di procedere con una verifica immediata di legalità delle condizioni di aggiudicazione della gara. Il Ministero dell’Economia non ha ancora rilasciato il nulla osta per la verifica sugli effetti di finanza pubblica della delibera, necessaria per il controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti».

(g.ca.)

 

Gazzettino – “Stop alla gara per la Via del mare”

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

30

ott

2014

GRANDI OPERE – Il Movimento 5 Stelle lancia un appello a Luca Zaia

ARIANNA SPESSOTTO «Inaccettabile l’offerta di Adria Infrastrutture»

CONTRARI «Tutti i Comuni sono contrari a quest’ opera» ricorda Arianna Spessotto

MEOLO – «Fermare l’iter del bando di gara della “Via del mare”».
Arianna Spessotto, parlamentare e portavoce veneta del Movimento 5 Stelle, torna a lanciare un appello al governatore della Regione Veneto Luca Zaia per fermare la gara per l’aggiudicazione della superstrada a pagamento “Via del mare”, dopo la notizia dell’imminente nomina dei componenti della commissione di gara che valuterà l’offerta in project financing di Adria Infrastrutture.

«Ricordo al Governatore Zaia che tutti i Comuni veneti direttamente attraversati dalla nuova superstrada, ad eccezione di Jesolo, hanno espresso la loro contrarietà alla realizzazione di una nuova arteria a pagamento e hanno chiesto espressamente di rivedere il progetto – afferma Arianna Spessotto -. Quanto emerso dalle indagini sul Mose a proposito della società Adria Infrastrutture, citata dal Gip di Venezia come esempio di “sistema corruttivo diffuso e ramificato” con l’arresto, tra gli altri, dell’amministratore della società Claudia Minutillo, dovrebbero farci riflettere sull’esigenza di procedere con una verifica immediata di legalità delle condizioni di aggiudicazione della gara».

La portavoce dei 5 Stelle sottolinea poi come, “ad oltre sei mesi dall’espressione del parere da parte del Cipe sullo schema di delibera relativa alla “Via del mare”, il Ministero dell’Economia e delle Finanze non abbia ancora rilasciato il proprio nulla osta per la verifica sugli effetti di finanza pubblica della medesima delibera, necessaria per il controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti”. «Questa situazione di stallo – conclude Spessotto – giustifica ancor di più la richiesta di sospendere la procedura di gara avviata dalla Regione: non possiamo continuare a far finta di niente, ignorando deliberatamente il sistema corruttivo alla base dell’aggiudicazione degli appalti in Veneto, di cui era parte integrante Adria infrastrutture».

 

Gazzettino – Marghera, il grande affare delle bonifiche

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

29

ott

2014

QUELLE SOSPETTE “TRANSAZIONI AMBIENTALI”

Anche Orsoni sentito dai magistrati: così ho respinto minacce e pressioni

OLTRE IL MOSE – A giugno interrogatorio segreto a Roma di Baita. Un business da 500 milioni

Marghera, il grande affare delle bonifiche

Nuovo filone d’indagine. Nel mirino il ruolo del ministero dell’Ambiente e quello del Cvn

PORTO MAGHERA – Bonifiche nell’area industriale e l’ingegner Piergiorgio Baita

«Contatti con il mondo politico imprenditoriale e bancario»

MILANO Azienda controllata dal clan Galati aveva ottenuto due subappalti. «Controlli insufficienti»

Si è aperto un nuovo filone nelle inchieste riguardanti il Consorzio Venezia Nuova, la costruzione del Mose e, soprattutto, le bonifiche a Porto Marghera. Non si tratta degli interventi di risanamento ambientale che hanno fatto finire nei guai l’ex ministro Altiero Matteoli, indagato per corruzione e nei cui confronti il Tribunale dei ministri ha inviato richiesta di autorizzazione a procedere alla Camera dei Deputati. È un capitolo del tutto inedito, che punta al cuore del Ministero. Se ne sta interessando l’autorità giudiziaria della capitale che mesi fa ha interrogato Piergiorgio Baita, ex presidente della Mantovani Costruzioni, grande accusatore dei politici per i soldi pagati dal Consorzio. Le sue dichiarazioni hanno già contribuito a far finire in carcere l’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan e l’ex assessore Renato Chisso. Ora aprono uno squarcio sul ruolo che il consorzio Venezia Nuova, con il presidente Giovanni Mazzacurati, ha avuto nella gestione dell’immenso capitolo delle bonifiche nella Laguna di Venezia.
Dal 2006 in poi, il Ministero dell’Ambiente ha incassato quasi una cinquantina di “transazioni ambientali” con i proprietari (in particolare aziende) di terreni di Porto Marghera. Complessivamente sono state raggiunte cifre imponenti, che superano i 500 milioni di euro. Ma proprio di quelle operazioni, in apparenza virtuose, avrebbero parlato due personaggi entrambi coinvolti nell’inchiesta Mose. Uno è Baita, l’altro l’ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni.
In gran segreto Baita è stato convocato a Palazzo Clodio a giugno, dopo che era scattato il blitz in Veneto con una trentina di arresti. A marzo il procuratore di Roma Pignatone aveva richiesto al pm di Udine, Viviana Del Tedesco, gli atti riguardanti la bonifica della Laguna di Grado e Marano, nell’ipotesi che si trattasse di un grande bluff per portare in Friuli decine di milioni di euro. Ma c’è di più. Roma ha acceso un faro sulla gestione del Ministero dell’Ambiente all’epoca in cui uno dei direttore generali era Gianfranco Mascazzini, indagato proprio a Roma assieme all’ex commissario straordinario della bonifica di Marano, Gianni Menchini e ad almeno un’altra quindicina di persone.
Perché il pm Alberto Galanti ha interrogato Baita? Per saperne di più sulla gestione delle bonifiche a Porto Marghera da parte del CVN. Il nome di Mazzacurati, padre-padrone del Mose, era infatti comparso anche nell’inchiesta friulana, ma la sua posizione è stata archiviata qualche mese fa. L’interesse di Mazzacurati alla bonifica friulana sembrava in qualche modo richiamare il ruolo che il Consorzio ha avuto nelle bonifiche a Marghera, uno dei 57 Siti di Interesse Nazionale (Sin) analogo a quello di Grado-Marano.
Per le bonifiche a Venezia sono arrivati molti soldi, provenienti dalle transazioni ambientali e finiti al Ministero dell’Ambiente. A gestirne una buona parte è stato il Consorzio in quanto soggetto attuatore. Baita avrebbe spiegato che per le bonifiche il ruolo del CVN è identico a quello rivestito per il Mose. Un potere assoluto nella gestione degli appalti. Baita avrebbe spiegato come funzionava – concretamente – il meccanismo delle “compensazioni ambientali” che sarebbe all’origine della disponibilità finanziaria per il Consorzio e per il sistema delle imprese che vi fanno parte.
Baita avrebbe anche aggiunto che qualche azienda non avrebbe voluto perseguire la via della compensazione con il Ministero, perché significava sborsare milioni di euro, in cambio del libero utilizzo delle aree, anche a fini di compravendita. Alle conferenze di servizi, deputate a esaminare i piani di risanamento, si trovava puntualmente proprio Mascazzini. I verbali di Baita racconterebbero, quindi, del ruolo dominante del potente direttore generale del Ministero a Marghera, ma anche dell’interessamento del Consorzio alla bonifica della Laguna di Grado e Marano.
Giorgio Orsoni, sindaco di Venezia, invece era stato interrogato prima di finire in carcere per i finanziamenti ricevuti da Mazzacurati. E avrebbe delineato un quadro a tinte fosche del ruolo che il Ministero avrebbe avuto nel perseguire le “transazioni ambientali”, ricorrendo a forme più o meno velate di pressione. Il Comune di Venezia si sarebbe rifiutato di accondiscendere ai diktat di Mascazzini. Anche perché non sempre era provata l’esistenza di un inquinamento tale da indurre enti pubblici o imprese private a pagare milioni di euro per ottenere il via libera del Ministero.

Giuseppe Pietrobelli

 

GIUSTIZIA E SOCIETA’

di Ennio Fortuna

Condanna senza colpa? Lo scandalo Mose e i patteggiamenti

Molti lettori mi invitano a spiegare nel modo più semplice possibile le caratteristiche del patteggiamento. Secondo alcuni di essi in questi ultimi giorni gli interventi e le interviste di illustri magistrati, di autorevoli docenti e di famosi avvocati, spesso in contrasto l’una con l’altra, avrebbero reso ancora più oscuro il senso di quest’istituto nato con il nuovo codice con lo scopo di accelerare il corso della giustizia. Alcuni lettori ironizzano sul fatto che i difensori degli imputati (quasi tutti) avrebbero sostenuto addirittura che il patteggiamento richiesto dai clienti miri a favorire la giustizia, quasi che il conto sia per loro esclusivamente in perdita. I clienti sarebbero innocenti e comunque mancherebbe la prova del reato, e il patteggiamento, a questo punto, sarebbe un atto di pura generosità. Naturalmente gli avvocati fanno il loro mestiere e di norma lo fanno assai bene, e ovviamente anche nell’occasione in discorso mettono in luce gli aspetti di maggiore convenienza per i loro difesi. Ma questo non deve precludere la possibilità di capire il più e il meglio possibile il senso del ricorso al patteggiamento.
Certo, l’istituto è per sua natura ambiguo, al confine tra la condanna e l’oblazione volontaria, e già questo spiega le difficoltà.Ma quale è la differenza più importante tra la pena concordata con il Pm e la condanna vera e propria? A prima vista deve dirsi che la condanna presuppone l’accertamento della colpevolezza mentre il patteggiamento ne prescinde. Il codice sul punto è inequivocabile. Nel giudizio il giudice pronuncia la condanna per il reato contestato se l’imputato risulta colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio, nel patteggiamento invece la pena è applicata esclusivamente sulla base dell’accordo con l’accusa, sempre però che il giudice lo ritenga corretto e adeguato, altrimenti l’operazione è bocciata. Nel primo caso c’è l’accertamento della colpevolezza, nell’altro non si accerta nulla perché di norma non c’è il giudizio. E’ ovvio però che l’accusato, in generale, patteggia solo o soprattutto se sa che nell’eventuale giudizio sarebbe condannato o rischierebbe la condanna. Non a caso anche qui il codice è lapidario. Salva diversa disposizione, la sentenza di patteggiamento è equiparata alla condanna, così si esprime l’art.445 del codice di rito. In altri termini chi patteggia è condannato. Il codice però non dice che il patteggiante è colpevole, e non può dirlo proprio perché il patteggiamento prescinde dal giudizio e quindi dall’accertamento della colpa. In pratica l’istituto realizza una finalità importante, tenacemente perseguita dal codice: esclude il giudizio, almeno di norma, prescinde dalla colpa e dal suo accertamento, ma garantisce una condanna attenuata e sollecita. I vantaggi, inequivocabili, sono del patteggiante (che esce dal processo con una condanna mitigata dall’attenuante speciale) ma anche dell’accusa che realizza il suo scopo di ottenere subito la condanna dell’accusato senza passare per un dibattimento faticoso, con il rischio della prescrizione.
Ci sono ancora due riflessioni: il patteggiamento è precluso se l’imputato è manifestamente innocente. In tal caso il giudice deve assolvere nel merito, ancorché vi sia richiesta concordata di applicazione della pena. Infine, e il rilievo si riferisce soprattutto al caso di Venezia, la condanna patteggiata può escludere l’applicazione delle pene accessorie e delle misure di sicurezza, ma non la confisca. Il delitto di corruzione non prevede pene pecuniarie, l’unica sanzione irrogabile è la reclusione, anche se concordata. L’accordo tra accusa e difesa per il pagamento e la confisca di rilevanti somme di denaro presuppone perciò logicamente che un reato sia stato commesso perché la confisca è possibile o obbligata solo per le cose che ne sono il mezzo, il prodotto, il profitto o il prezzo. In definitiva chi patteggia la condanna non può essere palesemente innocente, ha interesse diretto all’accordo con l’accusa, e se concorda anche la confisca, tanto più se è contestato un illecito che prevede solo sanzioni detentive, finisce con il riconoscere o quanto meno non nega la sussistenza del reato che ne ammette o impone l’applicazione.

 

L’ex assessore Renato Chisso tornato a casa dall’ospedale

VENEZIA – Renato Chisso è tornato a casa dall’ospedale dove era stato ricoverato il 17 ottobre. Lo rende noto il suo legale di fiducia Antonio Forza che sottolinea come Chisso sia ancora notevolmente provato per la vicenda, per la sua cardiopatia e per il periodo di detenzione a Pisa iniziato il 4 giugno scorso quando è scattata l’operazione della Guardia di Finanza coordinata dalla Procura di Venezia che ha portato all’arresto di 34 persone.
L’ex assessore regionale alle Infrastrutture era tornato a casa, a Favaro, il 13 ottobre, in seguito all’accordo per il patteggiamento a 2 anni e 6 mesi tra Procura e Difesa. Quello stesso giorno il Gip Roberta Marchiori avrebbe dovuto decidere sulla richiesta di scarcerazione per motivi di salute, decisione che è stata anticipata dal patteggiamento e che comunque sarebbe stata negativa. I periti del Gip infatti avevano scritto nella loro relazione che il carcere di Pisa era perfettamente attrezzato per curare Renato Chisso, il quale, dunque, poteva restare in carcere. Dopo 4 giorni passati a casa, ecco il ricovero all’Angelo e ora il ritorno nella sua abitazione di Favaro dove continuerà la terapia farmacologica. Intanto Chisso attende che si fissi la data dell’udienza per il patteggiamento. Il Gip Massimo Vicinanza, non ha ancora fissato l’udienza dove accetterà o meno il patteggiamento tra Chisso e la Procura e quello del segretario di Chisso, Enzo Casarin.

 

Il patron: «Tutti ci guardano con sospetto, costretti a cercare lavori all’estero»

Carmine Damiano: il danno all’ immagine dell’azienda è stato molto rilevante

PADOVA – La Mantovani, dopo aver girato pagina, presenta i conti a Piergiorgio Baita, l’ex ad che con le sue confessioni sui fondi neri creati a San Marino ha fatto scattare l’inchiesta Mose. Gli avvocati dell’azienda della famiglia Chiarotto hanno depositato nella sezione civile del tribunale di Venezia una richiesta di risarcimento esorbitante: 37 milioni di euro.

«Non so se Baita abbia tutti questi soldi, non mi pare così ricco e mi sono sorpreso quando ho visto la citazione, i conti li fanno gli avvocati e le sentenze le scrivono i giudici. E’ un atto dovuto» spiega Romeo Chiarotto «nei confronti di un manager infedele, che ha gravemente danneggiato l’immagine della Mantovani. A me interessa salvare i 1300 posti di lavoro, purtroppo quando partecipiamo ad una gara non ci vedono bene. Il settore delle grandi opere è in crisi, all’Expo di Milano stiamo costruendo la piastra che sarà la base su cui sorgeranno i 90 padiglioni: il cantiere ci è stato consegnato con un anno di ritardo e per rispettare la tabella di marcia si lavora giorno e notte, sabato e domenica. Ce la faremo».

Ma quei 37 milioni di risarcimento per i danni d’immagine e la «perdita di chance» come sono stati calcolati? Carmine Damiano, chairman della Mantovani, ripercorre tutte le tappe del nuovo corso: l’azione di responsabilità civile nei confronti di Baita è stata approvata dal Cda e dall’assemblea dei soci nel 2013 e conclude un percorso all’insegna della trasparenza. Prima tappa: l’acquisizione del 5% delle quote detenute dall’ex ad Baita, poi il nuovo Cda con il cambio della guardia e l’ingresso di Carmine Damiano, infine l’avvio dell’azione di responsabilità civile per ottenere il risarcimento per la pubblicità negativa e per gli appalti persi dalla Mantovani. Su quei 36,9 milioni di euro chiesti a Baita ci sono anche i 6 milioni di euro che l’azienda ha dovuto versare all’Agenzia delle entrate, dopo l’accertamento di evasione fiscale scoperto dalla Gdf. «Questa vicenda dei fondi neri creati da Baita a San Marino non mi va giù, gli azionisti non ne sapevano nulla, io firmavo i bilanci e basta. Cosa ne penso dello scandalo del Mose? Hanno infangato l’opera di ingegneria idraulica più importante del mondo. Noi non abbiamo corrotto nessuno né pagato tangenti, siamo vittime della spregiudicatezza di Baita, un eccellente manager, che ha fatto diventare grande la nostra azienda: lui ha fatto tutto di testa sua e sapeva che la Gdf ogni 3-4 anni controllava i nostri bilanci con un lavoro certosino perché restavano in azienda 2-3 mesi», spiega Romeo Chiarotto. E lo scandalo Mose? «Rispetto le sentenze, noi siamo entrati nel Consorzio Venezia Nuova nel 2003 con una piccola quota rilevata da Impregilo: noi e la Mazzi. Insomma, vent’anni dopo l’avvio della grande opera uscita dalla mente geniale di Giovanni Mazzacurati. Lo dico con orgoglio: i cassoni della bocca di porto di Treporti sono stati posati sul fondale alla perfezione, con una tolleranza di 3 mm. Tutti restano a bocca aperta, ci sono missioni ed esperti che arrivano da Cina, Indonesia, Kuwait in visita e non tollero che si «sputtani» un capolavoro di altissima tecnologia idraulica», dice Chiarotto. Il Mose tra un paio d’anni finirà, l’Expo di Milano pure: quali sono le prospettive della Mantovani? «Stiamo lavorando molto con l’estero, negli Emirati Arabi e nei paesi ad alto rischio sismico: le nostre tecnologie sono tra le migliori al mondo. E in Turchia, Cina, Corea, Venezuela, Portogallo e Grecia abbiamo ottime chance. A me preme una cosa sola: salvare i 1300 posti di lavoro e le loro famiglie e chiudere con l’incubo Baita».

Albino Salmaso

 

Copyrights © 2012-2015 by Opzione Zero

Per leggere la Privacy policy cliccare qui