Segui @OpzioneZero Gli aggiornamenti principali anche su Facebook e Twitter. Clicca su "Mi piace" o "Segui".

Questo sito utilizza cookie di profilazione, propri o di terze parti per rendere migliore l'esperienza d'uso degli utenti. Continuando la navigazione acconsenti all'uso dei cookie. Per maggiori informazioni cliccare qui



Sostieni la battaglia contro l'inceneritore di Fusina, contribuisci alle spese legali per il ricorso al Consiglio di Stato. Versamento su cc intestato a Opzione Zero IBAN IT12C0501812101000017280280 causale "Sottoscrizione per ricorso Consiglio di Stato contro inceneritore Fusina" Per maggiori informazioni cliccare qui

Deputato accusa

«Era di Galan la cava di pietre per il Mose»

Un deputato istriano accusa: «Ha guadagnato 50 milioni, corrompendo i funzionari». Proposta la revoca dell’onorificenza

«La cava di pietre per il Mose era di Galan»

POLA (Croazia) «Avere una casa a Rovigno era il sogno della mia gioventù. Mio padre ci portava me e mio fratello a pescare “riboni” sin da quando avevamo 8 o 9 anni. E io ho sempre detto che me la sarei presa, una casa a Rovigno, se ne avessi avuto la possibilità. Ce l’ho fatta nel 2000». A raccontarlo, tempo fa, confidando il suo legame speciale con l’Istria e l’intera Croazia, Giancarlo Galan. L’ex doge del Veneto travolto dallo scandalo del Mose e dal turbinio di mazzette in laguna. Ma quel legame speciale, che risale all’infanzia e che si è concretizzato nell’acquisto della casa a Rovigno ma anche di un appartamento a Lussino e (pare) di diversi terreni, ora rischia di rivelarsi un boomerang: l’ex doge che sta scontando nella villa di Cinto Euganeo gli arresti domiciliari, dopo il patteggiamento, viene pesantemente messo sotto accusa proprio nella sua amata Istria. Un deputato di peso, Damir Kajin, fondatore e leader dei Democratici istriani, muove un attacco ben più circostanziato spiegando che Galan ha ottenuto la concessione di una cava di pietra, quella di Castelnuovo (Rakalj), dal 2006 al 4 maggio 2011. La cava, che si trova sulla costa orientale dell’Istria, si è rivelata un affare d’oro: l’ex governatore del Veneto, aggiunge il deputato, vi ha estratto enormi quantità di pietra che ha fatto trasportare a Venezia proprio per il progetto Mose. Kajin fornisce addirittura i numeri. Numeri da capogiro: «3.800 navi sono salpate da Castelnuovo alla volta della laguna ciascuna con un carico di 3mila tonnellate di pietra». Subito dopo il deputato, un tempo membro di spicco della Dieta istriana, lancia la “bomba” e afferma che Galan avrebbe ottenuto la concessione in maniera illecita con la complicità di funzionari del Comune di Marzana e della Regione istriana. Non basta: Kajin aggiunge che, grazie allo sfruttamento della cava, l’ex governatore avrebbe messo in tasca «circa 50 milioni di euro». C’è poi un’altra cava sul mare, quella di Antenal a Cittanova, che avrebbe fornito altra pietra per il Mose. Il deputato istriano non teme smentite o querele tanto da invitare la magistratura croata a verificare le sue affermazioni che potrebbero compromettere i “complici” istriani di Galan. Una cinquantina di funzionari regionali e locali, sempre secondo Kajin, avrebbero infatti seguito il berlusconiano di ferro in speculazioni e magheggi, intascando ciascuno una media di due milioni di euro (affermazioni gravissime, tutte da dimostrare, che vanno prese per quelle che sono accuse di un deputato di un paese straniero, considerato che Galan, essendo in questo momento agli arresti non può comunicare con l’esterno e quindi non può nemmeno difendersi dalle accuse. Non si può escludere che Galan venga tirato in mezzo a logiche di scontro politico croato, ndr). I media croati, mentre rivelano che operava in Istria tramite la società Franica registrata proprio a Rovigno, ricordano che Galan vantava rapporti ai massimi livelli con il potere croato: era molto amico dell’ex premier Ivo Sanader e dell’ex presidente della Regione istriana Ivan Jakovcic. Non basta. I “rumors” si spingono oltre e sostengono che Galan, quando veniva in Istria, si dava alla bella vita: ricchi banchetti e festini “hard”. Voci tutte da dimostrare, ma voci, accuse, insinuazioni stanno causando le prime reazioni: il presidente dell’Assemblea regionale dell’Istria, Valter Drandic, ha avviato la procedura per la revoca dello Stemma della Regione istriana conferito a Galan nel 2007 a titolo di riconoscimento per il suo contributo al rafforzamento dei rapporti tra l’Istria e il Veneto e per il suo appoggio alla Croazia nel cammino verso l’Ue. A proporre lo Stemma era stato Jakovcic, un grande amico, appunto.

(p.r.)

 

Boldrini ai 5Stelle: «Non posso costringere l’ex doge a dimettersi»

L’ex doge ha dimostrato in questi anni di non amare esclusivamente l’Istria, avendo pure un occhio di riguardo verso un’isola particolarmente gradita ai veneti, quella di Lussino. Stando a quanto confermato dallo stesso Galan, a Lussino possiede infatti la porzione indivisa di un immobile di cui è proprietario assieme a Paolo Venuti e Luigi Rossi Luciani. Il primo è il suo commercialista, anche lui finito in carcere, Rossi Luciani è l’ex presidente degli industriali del Veneto. L’abitazione lussignana, così ha spiegato l’ex governatore, è stata acquistato quattro anni fa per una cifra di circa 60 mila euro. Galan ha precisato di possedere la parte meno pregiata dell’immobile e cioè la porzione che non ha la vista mare. A prescindere da viste panoramiche o meno, Galan non ha mai perso l’occasione di fare puntate a Lussino e di aiutare il capoluogo isolano in campo culturale. Tre anni fa, in veste di ministro per i Beni e le Attività culturali, ha inaugurato la nuova sede della Comunità degli italiani e la sezione in lingua italiana dell’asilo infantile “Cicala”, eventi di importanza storica per i connazionali dell’isola. In qualità di governatore del Veneto, anni addietro Galan donò 100mila euro per i lavori di riassetto di Palazzo Quarnero, scelto quale dimora dell’Apoxyomenos o Apossiomene, la statua bronzea del primo secolo avanti Cristo, rinvenuta negli anni ’90 sui fondali lussignani. Galan diede un tangibile contributo alla valorizzazione del patrimonio storico–culturale. E a proposito di cultura il M5S ha inviato una richiesta alla presidente della Camera, Laura Boldrini, di «rappresentare al presidente Galan la richiesta di dimissioni dall’incarico di presidente della Commissione Cultura della Camera», «visto che ha chiesto un patteggiamento nell’inchiesta Mose». «Ci chiediamo come sia possibile che un deputato posto agli arresti domiciliari possa ancora ricoprire il ruolo di presidente di una commissione». Boldrini nella sua risposta di lunedì sottolinea che «a norma dell’art.3 del decreto legislativo 235 del 31 dicembre 2012, non appena riceverà la comunicazione dall’autorità giudiziaria di una sentenza definitiva di condanna, potrà assumere, ove ne ricorrano i presupposti, le conseguenti decisioni di sua competenza in ordine agli effetti di tale sentenza». Ma che, al momento, «la rinuncia alla carica di presidente di commissione non può che discendere dalle autonome determinazioni del deputato Galan».

 

Nuova Venezia – No Pedemontana, proteste e un arresto

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

22

ott

2014

L’apertura dei cantieri trevigiani segnata dai comitati. Agricoltore tenta di forzare il blocco ma rischia di travolgere i Cc

ALTIVOLE – Doveva essere una dimostrazione della politica «del fare» che tanto piace agli amministratori. Si è trasformata in una cerimonia segnata dalla protesta dei comitati ambientalisti contro la Superstrada Pedemontana culminata con l’arresto di uno dei manifestanti, che ha tentato di forzare il blocco imposto da un vistoso cordone di polizia e carabinieri. La consegna del cantiere trevigiano della Spv (Superstrada Pedemontana Veneta) diventa, per la prima volta, cronaca giudiziaria. I carabinieri hanno infatti arrestato l’agricoltore 64enne di San Zenone degli Ezzelini Marino Fogal, uno dei tremila proprietari espropriandi della Spv. Tra gli irriducibili perché non ha mai sottoscritto alcun accordo con la società che sta costruendo la Spv. L’anziano avrebbe cercato di passare con il proprio trattore lungo una strada interdetta al traffico da un cordone di polizia e carabinieri. Nella concitazione, ha rischiato di travolgere un capitano dei carabinieri, un dirigente della polizia e un terzo militare. Attualmente agli arresti domiciliari, sarà processato per direttissima per violenza a pubblico ufficiale. Sul palco delle autorità, inevitabili le facce scure e la fretta di concludere una cerimonia a questo punto rovinata del tutto. Dentro c’erano il sindaco di Altivole, Sergio Baldin, il presidente della Provincia di Treviso Leonardo Muraro, il commissario per la Spv Silvano Vernizzi, il presidente dell’impresa di costruzioni Matterino Dogliani e il governatore Luca Zaia. Fuori una cinquantina di espropriandi, ambientalisti e rappresentanti dei comitati con in mano striscioni e cartelli che andavano dritto al cuore del problema: «Prima il Veneto, tra mazzette e manette», con tanto di foto di Renato Chisso insieme al governatore Luca Zaia. «Oggi le Grandi Opere sono dipinte come la summa del male – ha spiegato Vernizzi – oggetto delle corruttele più empie. Non è proprio così. Nessuno si chiede perché Martellago o Scorzè non vanno più sotto acqua: ebbene, è grazie al Passante, perché dentro alle grandi opere sono previste anche imponenti opere di difesa idraulica e fanno bene al territorio. Il mandato politico che abbiamo ricevuto da Zaia è che quest’opera va fatta e finita nei tempi. Saremo di parola». Il governatore del Veneto, dal canto suo, ha ringraziato gli espropriati per aver accettato di cedere le aree: «Ricordo che quest’opera doveva essere un’autostrada, vent’anni fa, al tempo del progetto di Bonifiche. Ora è una Superstrada e non più un’autostrada, la fascia di rispetto inferiore consuma meno territorio. Questa Spv ha ascoltato molto il territorio e le istanze degli enti locali, basta ricordare che il 70% è in trincea. Ma va fatta e completata entro il 2018 perché lo chiede il Veneto, per essere collegato più velocemente. Da Conegliano si potrà arrivare a Bassano del Grappa in poco più di venti minuti». Corposo il piano economico finanziario dell’opera, che complessivamente raggiunge i 3,1 miliardi di euro (2,258 di opere e 900 milioni di ammortamenti e oneri finanziari). Sul punto, l’impresa Dogliani – rappresentata anche dal direttore generale Matteo Dogliani – appare tranquilla: «Siamo in chiusura di accordo con un consorzio di banche, per adesso stiamo lavorando con i soldi pubblici e con un nostro equity da 500 milioni».

Daniele Ferrazza

 

Tra il pubblico spunta anche Fasiol. E gli amministratori applaudono

TREVISO. Tra il pubblico della cerimonia dell’avvio del cantiere della Superstrada Pedemontana Veneta nel Trevigiano c’era anche l’ingegnere della Regione del Veneto Giuseppe Fasiol, responsabile del procedimento della Spv. A giugno era stato arrestato nella grande retata del Mose, ma il Riesame lo aveva scagionato immediatamente da ogni accusa annullando l’ordinanza di custodia. Alcune intercettazioni riferivano a un tentativo di coinvolgimento nel cerchio dei furbetti delle tangenti, ma la sua posizione è stata subito chiarita. «Se siamo a questo punto – ha spiegato Vernizzi – si deve anche alla essenzialità della sua figura e alle sue capacità professionali». Il pubblico, prevalentemente di amministratori, è scoppiato in un lungo applauso. Anche il governatore Luca Zaia ha ricordato il ruolo dell’ingegner Fasiol, «che si è fatto parte diligente in questa opera». Quasi un risarcimento morale ai commenti «giustizialisti» dei primi giorni. Quanto alla Superstrada Pedemontana, Zaia ha ricordato che i giovani sotto i 25 anni e gli anziani sopra i 65 non pagheranno pedaggio, e i residenti nel raggio di 50 chilometri ne pagheranno metà per un arco di dieci anni.

 

Oggi verrà processato per direttissima

L’agricoltore in manette «Non volevo far male»

SAN ZENONE – Quando i carabinieri recitano il reato per cui è stato arrestato – violenza a pubblico ufficiale – Marino Fogal si passa la mano tra i capelli e scuote la testa: «Non volevo far male a nessuno, tanto meno ai carabinieri. Ma purtroppo mi stavano scappando i cavalli…» Anche se era in sella ad un trattore: «Ero bloccato, con un poliziotto da una parte e un carabiniere dall’altra: quello che volevo fare era solo avere una mano libera per sbloccare la frizione o mettere la marcia in folle. Se avessi obbedito all’ordine di alzarmi, allora sì che avrei fatto una strage, perché il trattore sarebbe partito travolgendo chi ci stava davanti». Una decina tra carabinieri e polizia. Seduto nella cucina di casa, dopo mezza giornata trascorsa in caserma, l’agricoltore di Ca’ Rainati appare sconfortato: «È stato solo un sobbalzo del mezzo – spiega attraverso il suo avvocato e i suoi familiari – venti centimetri in avanti dopo che comunque mi ero fermato». Succede alle nove e mezza, un’ora e più l’inizio della cerimonia ufficiale di consegna del cantiere della Spv. Con altri due colleghi agricoltori svolta lungo via Schiavonesca a Casella per raggiungere gli altri manifestanti. A quell’ora ci sono solo le forze dell’ordine: un poliziotto alza la mano intimandogli l’alt ma lui riesce a passare oltre. A questo punto si trova stretto tra carabinieri e polizia: «Mi sono fermato subito, ma non capivo perché dovevo farlo: ci avevano già detto di posizionarci da un’altra parte, dovevo per forza passare di lì». Fa cenno con il dito di no, che intende proseguire. Si avvicinano allora il capitano dei carabinieri di Castelfranco Salvatore Gibilisco e il dirigente della Questura di Treviso Luca Migliorini. Il capitano cerca di togliere le chiavi dal quadro per spegnere il motore. A questo punto il trattore fa un sobbalzo: voluto oppure no lo stabilirà il giudice questa mattina con il processo per direttissima. Gibilisco deve scansarsi appena in tempo per non essere investito dalla portiera del trattore. Marino Fogal è tra gli irriducibili che non hai mai firmato gli accordi bonari, che prevederebbero un indennizzo di 24 euro al metro quadro: ha tre lotti, per un’estensione di dodici campi, sopra i quali passerà la Superstrada, ad appena 50 metri dalla sua fattoria Primaluna. Da molti anni aderisce ai Comitato contro la Pedemontana, è sempre stato presente alle iniziative di protesta e ai ricorsi amministrativi. Passerà a cinquanta metri dalla sua Fattoria Primaluna a Ca’ Rainati di S. Zenone degli Ezzelini L’agricoltore ha 130 capi di bestiame, di cui settanta in lattazione che producono latte crudo per il distributore automatico e una eccellente produzione di formaggi: ricotta, burrata, mozzarella stracchino e una strepitosa caciotta classica o aromatizzata, anche agli sfilacci. Il tutto gestito in casa dai tre figli Michele, Paolo ed Elisa e dalla moglie Celestina, più un paio di dipendenti. «Tutto avrei immaginato ma non di dover “combattere” ancora a 65 anni: già ci pensa la burocrazia. Non ci sono arrivati i contributi Avepa per soli cento litri di latte». Comprensibile l’esasperazione: «La proprietà risulterà tagliata a metà, con ritagli di campo che non avranno valore. Continueremo a stare qui? E chi lo sa?. Ma davvero – conclude l’agricoltore – non volevo far male a nessuno. Io il trattore lo so usare».

Davide Nordio

 

L’ARRESTO – Agricoltore accusato di aver forzato il blocco

IL FRONTE DEL NO – Il governatore preso di mira dai comitati del no e degli espropriati

ALTIVOLE – Proteste e insulti. È così che i comitati e gli espropriati contrari alla Pedemontana, in tutto una cinquantina di persone, hanno accolto il presidente Zaia ad Altivole. «Attila – hanno attaccato – continua a distruggere il Veneto come Galan e Chisso». In pochi istanti la tensione è salita alle stelle. Fino all’arresto di Marino Fogal, agricoltore 60enne, accusato di aver tentato di forzare il cordone di sicurezza della polizia a bordo di un trattore urlando che dovevano morire tutti. «L’arresto e il processo per direttissima sono decisioni sproporzionate: non stiamo parlando di black-bloc – spiega l’avvocato Giancarlo Martinello che lo assiste – . Le forze dell’ordine dicono che ha forzato il cordone ma i comitati riferiscono che si era fermato e che il trattore ha fatto un balzo davanti agli agenti solo perché il piede gli era rimasto incastrato nella frizione mentre lo tiravano giù. Forse non serviva arrivare a tanto».
Sul caso specifico deciderà il giudice. Quel che è certo è che il clima attorno alla Pedemontana che avanza resta infuocato. «Perché non si pubblicano gli espropri e le spese? – urlava ieri la gente – Abbiamo chiesto i documenti, ma non si può vedere nulla». Il coordinamento veneto Pedemontana alternativa ha diffidato i sindaci a bloccare i lavori e comunque a porre sotto strettissimo controllo tutti i rischi relativi all’assetto idrogeologico e all’inquinamento. «Si ritiene doveroso che agiscano per via amministrativa e giudiziaria – hanno messo in chiaro Elvio Gatto, Massimo Follesa e Matilde Cortese – ove si manifestassero eventi calamitosi collegati alla Pedemontana, i sindaci, senza adeguate azioni di opposizione, potrebbero essere segnalati all’autorità giudiziaria penale e civile».
Si battaglia su ogni fronte. «La Pedemontana della vergogna è l’esempio negativo da cui sono partito per inserire due norme indispensabili nella nuova direttiva Via – ha conclude Andrea Zanoni, ex eurodeputato del Pd – . Si tratta del conflitto di interessi e della mancata trasparenza degli atti autorizzativi. Per quanto riguarda il primo, con la Pedemontana si è arrivati a dare il peggio, dato che l’amministratore delegato di Veneto Strade, società che ha gestito l’opera, ricopriva non solo l’incarico di commissario straordinario di governo della stessa opera ma, come se non bastasse, addirittura il ruolo di presidente della commissione regionale Via, ovvero l’autorità che di fatto ha giudicato e autorizzato diverse fasi di quest’opera. Dunque nel Veneto di Galan, Zaia e Chisso si è pensato bene di far coincidere il controllato e il controllore. Un caso?»

M. F.

 

I NUMERI – Altri 24 km: costeranno 245 milioni

ALTIVOLE – Sono tre i nuovi lotti della Pedemontana consegnati ieri da Zaia. Per un totale di circa 24 chilometri pari a un importo complessivo di poco più di 245 milioni di euro. Il primo copre il tratto tra Mussolente e San Zenone, il secondo quello tra la stessa San Zenone e Montebelluna e il terzo di fatto coincide con il casello di Riese. Nel dettaglio, il primo tratto si sviluppa su 1,8 chilometri tra Mussolente e San Zenone: l’ingresso della Pedemontana nella Marca. L’importo dei lavori è di quasi 17 milioni e comprende il ponte sul torrente Giaron-Brenton-Pighenzo. Il secondo è quello più consistente: 20,2 chilometri di superstrada, precisamente fino a Trevignano. Il tracciato vale quasi 219 milioni, interessa sette comuni e comprende il centro di manutenzione, l’area di servizio e lo svincolo di Altivole, due ponti su Lastego e Muson, otto gallerie artificiali e un sottopasso ferroviario sulla linea Montebelluna-Camposampiero. Il terzo tratto riguarda essenzialmente la costruzione dello svincolo di Riese-San Zenone: 2,2 chilometri di rampe e piazzali. L’importo è di circa 10 milioni. L’accesso al casello è previsto attraverso una nuova rotatoria lungo la provinciale 20. Ci saranno sei piste di transito: due in entrata e quattro in uscita. Le bretelle verso Castello di Godego e Castelfranco Veneto, infine, verranno consegnate solo assieme ai 15 chilometri ancora mancanti tra Trevignano e l’autostrada A27.

 

Pedemontana, rabbia e arresto: una festa a metà

La Marca apre i cantieri della superstrada

Governatore contestato dai comitati del no e dagli espropriati che gli urlano: «Attila»

LA PREVISIONE – Entro la fine del 2018 l’apertura per stralci

ZAIA «Infrastruttura necessaria e abbiamo ascoltato tutti»

Pedemontana: ci siamo

La superstrada Pedemontana è entrata nella Marca. Dopo le tappe nel vicentino ieri il presidente Zaia ha ufficialmente aperto i cantieri per la costruzione del nuovo tratto di circa 24 chilometri tra San Zenone e Montebelluna. La prima pietra è stata posata vicino al luogo dove sorgerà il casello di Altivole tra la provinciale 667 e via Schiavonesca. Una cerimonia senza troppi fronzoli. Incalzata dalle veementi proteste dei comitati e degli espropriati tenute lontane dagli agenti in antisommossa e sfociate nell’arresto di un 60enne che avrebbe tentato di forzare il cordone di sicurezza a bordo di un trattore. «È un’opera complessa ma necessaria – spiega il governatore – abbiamo ascoltato sindaci e cittadini. Lo dimostra il fatto che circa il 70% del tracciato è in trincea. Il mio pensiero va a chi ha subìto espropri. A me stanno a cuore loro. Non chi dice di essere contrario a priori all’opera: il mandato datomi dai veneti è di realizzare l’infrastruttura che serve alla comunità».
Su un conto complessivo di 2,2 miliardi, il totale degli espropri vale circa 360 milioni di euro. «Riguardano qualche migliaio di persone. L’80 per cento, però, ha già ceduto le aree volontariamente – aggiunge Zaia – . E’ vero che gli espropri sono sempre una ferita ma è altrettanto vero che qui ci sono 360 milioni che tornano al territorio, alle famiglie e alle aziende».
Ultimati questi lotti, dei 99 chilometri totali non resteranno da realizzare che gli ultimi 15 tra Montebelluna e l’A27. Imperativo categorico: finire entro dicembre del 2018. «Assolutamente – detta il governatore – almeno per stralci funzionali». Oltre tutte le contestazioni il dado è già bello che tratto. «L’80% dei terreni è a disposizione del concessionario: questo indica che non c’è ritorno – sottolinea il commissario, Silvano Vernizzi – la Pedemontana si fa e si finirà nei tempi dovuti». «Oggi le grandi opere vengono considerate la summa del male – aggiunge riferendosi ai diversi casi di corruzione emersi un pò in tutta Italia – qui dimostriamo che non è così».
Certezze applaudite anche dal sindaco di Altivole: «Non abbiamo mai avversato l’opera ma cercato di limitarne l’impatto assieme ai cittadini e non ai comitati – mette in chiaro Sergio Baldin – . Si tratta di un’opera strategica che dà alla nostra economia sofferente la possibilità di avere nuovi posti di lavoro». Quanti? Circa 330 in più. Il conto è stato fatto dal concessionario: «Fino ad oggi hanno lavorato 570 persone tra dipendenti e imprese locali. Con questo nuovo tratto arriveremo a 900 lavoratori – annuncia Matteo Dogliani di Sis – su circa 2,2 miliardi, abbiamo a disposizione 1,9 miliardi. Così possiamo continuare e dare lavoro. Oggi rappresentiamo una delle poche realtà in cui ancora si assume».

Mauro Favaro

 

Gazzettino – Lancio di soldi falsi nella villa di Galan

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

21

ott

2014

LE ACCUSE – Copiate integralmente le bozze scritte dai tecnici di Mazzacurati

INCHIESTA MOSE Secondo gli inquirenti l’ex ministro avallava le decisioni e seguiva le raccomandazioni delle imprese

Matteoli «asservito al Consorzio»

La firma è quella dell’allora ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Altero Matteoli. Ma il testo di quella lettera, inviata nel dicembre del 2008 al presidente della Corte dei Conti, era stato in realtà predisposto in precedenza dagli uffici del Consorzio Venezia Nuova per sostenere il Mose e “raccomandarsi” in merito al buon esito dell’indagine, all’epoca in via di conclusione da parte dei giudici contabili.
Ha dell’incredibile quanto emerge dalla relazione del Tribunale dei ministri con la quale è stata chiesta l’autorizzazione a procedere al Senato per Matteoli per il reato di corruzione: secondo i giudici è la prova dell’asservimento agli interessi del Cvn del politico di Alleanza nazionale, poi passato al Pdl e ora a Forza Italia.
L’allora ministro risulta aver copiato integralmente la bozza preparata da Luciano Neri e Maria Brotto, fedeli collaboratori del presidente Cvn, Giovanni Mazzacurati, salvo la formula “Egregio presidente” (nella bozza era Illustrissimo), e i saluti finali. La bozza del Cvn, recepita e firmata da Matteoli, fu inviata al presidente Tullio Lazzaro: il ministro si augura che la delibera conclusiva dell’indagine condotta dalla sezione Controllo della Corte dei conti «possa esprimere, oltre all’apprezzamento per l’azione sviluppata, con grande impegno dal Magistrato alle acque in un contesto straordinario e complesso, lo stimolo per i competenti Organi istituzionali a far sì che le risorse finanziarie ancora da acquisire vengano messe tempestivamente al servizio della sollecita realizzazione dell’opera».
Non è l’unica ingerenza sulla Corte dei conti da parte del Consorzio Venezia Nuova: nei computer del Cvn gli inquirenti hanno rinvenuto altri due files dal titolo “delibera finita pulita” e “delibera ing. Neri con correzioni”, il cui testo corrisponde ad alcuni passaggi della relazione conclusiva dei giudici contabili sul progetto Mose. L’ultima modifica eseguita dal Cvn su quei files è datata 12 dicembre 2008: due mesi dopo l’adunanza in cui la Corte dei conti discusse il caso e due mesi prima del deposito della delibera, avvenuto il 20 febbraio del 2009: «Evidente a questo punto l’azione di ingerenza del Consorzio Venezia Nuova sulla delibera della Corte», scrive il Tribunale dei ministri.
Il terzo esempio di «totale asservimento» ai voleri e agli interessi del Consorzio Venezia Nuova riguarda Patrizio Cuccioletta, allora presidente del Magistrato alle acque, l’organismo che avrebbe dovuto controllare il Cvn nella realizzazione del Mose. Nei computer del Cvn è stata trovata un’altra bozza, creata il 4 dicembre del 2008, redatta direttamente con l’intestazione del Mav e già firmata da Cuccioletta: è il testo di una missiva destinata a Matteoli, con la quale il ministro veniva sollecitato ad attivarsi in vista dell’immiente deposito della relazione della Corte dei conti. Il file word contente la bozza risulta creato da Alfredo Biagini, legale di riferimento del Consorzio Venezia Nuova.

Gianluca Amadori

 

PATTEGGIAMENTI – Per Chisso lo stesso gip che disse no a Orsoni

Sarà il giudice per l’udienza preliminare Massimo Vicinanza a doversi pronunciare sull’istanza di patteggiamento presentata dall’ex assessore regionale alle Infrastrutture, Renato Chisso. Il presidente dell’Ufficio Gip-Gup, Giuliana Galasso, gli ha trasmesso ieri il fascicolo con la pena concordata tra il suo legale, l’avvocato Antonio Forza, e i rappresentanti della pubblica accusa: il procuratore aggiunto Carlo Nordio e i pm Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini.
Vicinanza è il giudice che, lo scorso giugno, ha rigettato il patteggiamento all’allora sindaco Giorgio Orsoni ritenendo troppo bassa la pena concordata tra accusa e difesa: 4 mesi per il reato di finanziamento illecito ai partiti.
Oltre alla posizione di Chisso (per il quale l’accordo è stabilito in un anno, 6 mesi), il gup Vicinanza dovrà pronunciarsi anche sull’istanza di patteggiamento del segretario dell’ex assessore, Enzo Casarin (un anno e 8 mesi) e, probabilmente, su quella di Federico Sutto, l’ex segretario dell’allora presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, che sta ancora trattando con i pm.
L’udienza potrebbe essere fissata per fine mese, ma in realtà non vi è alcun termine e, se necessario, potrebbe anche slittare più avanti. A Chisso la Procura non ha sequestrato alcun bene, salvo 1500 euro sul conto corrente: uno dei nodi da sciogliere in vista del patteggiamento potrebbe essere quello relativo alla confisca.

 

LA PROTESTA – Mazzette di banconote gettate in cortile, la manifestazione documentata con foto e video

Lancio di soldi falsi nella villa di Galan

Blitz dei forconi nella dimora di Cinto Euganeo dove l’ex governatore è agli arresti domiciliari

Altro che buen ritiro: a Cinto Euganeo non c’è pace per Giancarlo Galan, che sta scontando a villa Rodella, agli arresti domiciliari, la pena patteggiata due settimane fa. Domenica pomeriggio l’ex governatore del Veneto ha ricevuto la “visita” dei forconi, che sono tornati di fronte alla magione euganea del Doge dopo la manifestazione del dicembre scorso. La prima volta avevano portato un cannone della prima guerra mondiale, con il quale avevano sparato salve di fiori sotto gli occhi di un’inviperita donna Sandra.
L’altro ieri, invece, una decina di attivisti del Movimento 9 Dicembre ha portato un cesto pieno di mazzette di soldi. Tutti euro finti, intendiamoci, con tanto di fac-simile stampigliato in grande. Un po’ di contante è finito nel giardino della villa in seguito ai lanci effettuati dai forconi, provenienti quasi tutti dal vicentino. Altre banconote da 50 euro sono state attaccate al filo di un paio di canne da pesca portate per l’occasione e i manifestanti hanno dato vita a una sorta di pesca miracolosa nel cortile di villa Rodella. Il gruppetto ha documentato la visita con foto e video che sono stati diffusi ieri mattina.
Nella bagarre sono state coinvolte anche parecchie auto di passaggio: la tenuta di Galan sorge su una strada di collegamento fra i Berici e l’area dei colli Euganei, e nei giorni di festa è sempre molto trafficata. Gli automobilisti sono stati fermati dai forconi, che hanno spiegato loro il motivo della protesta. Come già era accaduto in occasione del rientro dell’ex ministro da Opera, gran parte dei passanti ha inveito contro di lui e contro la “casta”. Prima di andarsene, gli organizzatori del presidio hanno preso di mira il merlo indiano che trascorre le sue giornate nella voliera di villa Rodella. Hanno tentato di insegnargli a dire la parola “ladro” – con un ovvio riferimento alle recenti vicende giudiziarie di Galan – e nel video diffuso ieri sostengono di aver sentito il pennuto ripetere distintamente l’epiteto.
Il pomeriggio si è chiuso con l’arrivo dei carabinieri della compagnia di Abano Terme, che hanno identificato i presenti. L’assemblea si è sciolta senza ulteriori problemi, salvo rivalse legali da parte della famiglia Galan.

 

IL COMMENTO – Blitz dei Forconi a Cinto: soldi falsi lanciati nella villa di Giancarlo Galan

Hanno fatto strabenissimo. Mentre il sig. Galan si “gode” i domiciliari in una dimora di lusso, e probabilmente con risparmi ben occultati tanto da rendergli un futuro prospero, noi siamo ridotti quasi alla povertà. I carabinieri li hanno identificati? Siamo arrivati all’assurdo.

Lettrice61

 

Nuova Venezia – Quei patteggiamenti sono una vergogna

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

21

ott

2014

Vergognosa è la situazione di tutti questi eccellenti che patteggiano; leggere che abbiano qualche problema a pagare è proprio insignificante per la gente qualunque. Sicuramente avranno poco “pensiero ” che toglie il sonno, la tranquillità, l’autostima, di quel costruito con sudore, il sudore vero. Gente comune che affonda e non riemerge mai più, gente eccellente che invece è serena e non prova vergogna alcuna per aver procurato qualche problema alla stragrande maggioranza che si trova dall’altra parte della strada.

Rossella Centenaro – Venezia

 

Dopo i patteggiamenti

Mose, Nordio: «Non gestiremo quei 12 milioni»

Il procuratore aggiunto di Venezia, Carlo Nordio, in un’intervista a Sky ha parlato dell’inchiesta Mose. «Non abbiamo il potere di gestire i 12 milioni incassati con i patteggiamenti. La gente per strada mi chiede di gettare le chiavi nel pozzo».

Il procuratore aggiunto di Venezia: «Delirio legislativo fonte di corruzione

Dopo i patteggiamenti la gente mi chiede di gettare le chiavi nel pozzo»

Mose, recuperati 12 milioni. Nordio: non li gestiamo noi

PADOVA «Non abbiamo il potere di gestire i 12 milioni di euro incassati con i patteggiamenti del Mose». Parole di Carlo Nordio, procuratore aggiunto di Venezia, ospite dell’Intervista, la trasmissione condotta da Maria Latella su Sky Tg 24. In 25 minuti i temi spaziano dal Mose, allo scontro tra il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati e il suo vice Alfredo Robledo fino alle dimissioni del giudice Enrico Tranfa dopo la sentenza di assoluzione di Berlusconi nel processo Ruby. Ma il cuore dell’intervista è la corruzione, dall’Expo di Milano al Mose di Venezia. Maria Latella pone la prima domanda con una lunga premessa: la corruzione non si ferma perché sia i politici che gli imprenditori contano sull’impunità. Prendiamo il caso Mose: Galan restituirà 2,6 milioni di euro ma tutti hanno capito che la magistratura ha accertato un patrimonio assai più rilevante. Che reazioni ha riscontrato Nordio nell’opinione pubblica? «Le reazioni riscontrate dopo i patteggiamenti dei 19 indagati sono di due tipi: ampio consenso alle scelte della Procura da parte di chi ha una preparazione giuridica e conosce la materia, mentre l’ordinary people ha una reazione sanguinaria: ci chiedono di chiuderli in cella e di gettare le chiavi nel pozzo. Ora dev’essere chiaro che la magistratura non ha ruoli salvifici, la pena dev’essere ragionevole e garantire un buon incasso per lo Stato», risponde Carlo Nordio. E qui sta il punto: dove finiranno quei 12 milioni di euro che i 19 imputati dovranno restituire, chiede Maria Latella? «Noi abbiamo il potere di riscossione ma non quello di gestione. Quei 12 milioni di euro vengono buttati nel mare magnum degli introiti pubblici e magari destinati ad altre cose. Una delle riforme utili sarebbe quella di dare autonomia patrimoniale agli uffici giudiziari in modo da poter gestire le riserve che hanno acquisito», spiega Nordio. Ma come si fa a contrastare la corruzione, l’ultimo arresto all’Expo di Milano è di giorni fa, incalza Maria Latella. «La corruzione ha molti padri, tra cui l’avidità umana, ma ha una madre sola, il delirio del legislatore che ha prodotto leggi complicate che sembrano fatte apposta per incitare chi deve amministrarle a farsi corrompere. Vent’anni fa, come pm a Venezia, ho svolto le indagini sulla tangentopoli in Veneto, mentre a Milano ha operato il pool di Borrelli: siamo stati accusati di aver demolito la prima repubblica, ma la lezione non è servita e meno ancora la detenzione come deterrenza perché chi ha la propensione a delinquere non si ferma: un rapinatore sa che lo possono arrestare, ma va all’assalto alle banche» dice Nordio. Ultimo capitolo: l’evasione fiscale alla luce della norma appena approvata sulla voluntary disclosure, che dovrebbe consentire il rientro di 30 miliardi: «Il rientro capitali? Utile, ma è resa dello Stato. E’ un utile compromesso per implementare le finanze, ma certamente è sempre una resa dello Stato perché ancora una volta si arrende a chi esporta capitali all’estero. Le leggi penali non servono perché i capitali vanno dove gli investimenti rendono di più e dove ci sono più garanzie e allora bisogna creare quelle condizioni e i capitali non scapperanno più».

Albino Salmaso

 

IL CASO MOSE – Il procuratore aggiunto di Venezia parla delle pene e dei patteggiamenti

VENEZIA – Il dilemma se sia meglio una condanna severa domani, o una pena più leggera, ma concordata oggi, se lo sono posto i pubblici ministeri che hanno condotto l’inchiesta sul Mose. Per quello scialo colossale di denaro pubblico, con arricchimenti personali davvero scandalosi, si è giunti già ad una ventina di patteggiamenti. E gli inquirenti veneziani hanno dimostrato in qualche modo di accontentarsi, anche se dall’opinione pubblica veniva una richiesta ben diversa, almeno nei confronti di un politico-simbolo del potere del calibro di Giancarlo Galan.
Ieri il procuratore aggiunto di Venezia, Carlo Nordio, è stato intervistato da Maria Letella su Sky Tg24. E ha parlato a ruota libera di questi temi. Ha detto di aver colto «grande consenso» tra chi segue con maggiore attenzione e preparazione i problemi della giustizia, ma anche «reazioni più sanguinarie e un po’ emotive tra la gente». «Per la strada ti fermano e ti dicono che forse era meglio gettare le chiavi nel pozzo» ha spiegato. «Ma la magistratura penale – ha aggiunto – non deve avere fini salvifici, e tantomeno sanguinari. Deve comporre vari interessi, compreso quello della certezza della pena, del tempo ragionevole, della serietà della pena e anche, come in questo caso, di un buon incasso per l’Erario».
A proposito di soldi, Nordio ha detto che la norma sul rientro dei capitali, approvata dalla Camera, è «uno dei tanti compromessi necessari, certamente utile per implementare le finanze», ma è anche «una sorta di resa da parte dello Stato». Per il pm veneziano, che ha condotto molte importanti inchieste sulla corruzione, la norma è tuttavia la dimostrazione «dell’assoluta inefficacia della misura penale come arma deterrente: non funziona nei confronti di chi ha deciso di delinquere». Come evitare la fuga di capitali? «Con una seria politica fiscale e finanziaria, che renda più semplice e attrattiva la norma per gli investimenti». Nordio si è anche detto dell’opinione che tra i motivi che alimentano la corruzione vi siano la difficoltà di arrivare «a una pena certa» e «il delirio proliferativo e disordinato di leggi» che affligge l’Italia. Insomma, «il legislatore ha prodotto leggi complicate fatte apposta per farsi corrompere».
Nordio ha anche affrontato il caso del giudice milanese Enrico Tranfa, dimessosi dopo la sentenza d’appello del caso Ruby, perchè non d’accordo con gli altri due giudici che lo avevano messo in minoranza. «Ha violato clamorosamente ogni regola deontologica e ordinamentale, perché nel momento in cui si fa parte di un collegio si accetta il principio di essere messo in minoranza». E ha spiegato: «La legge consente l’opinione dissenziente, che va messa in busta chiusa e sigillata, ma non consente affatto di dare le dimissioni per una divergente opinione rispetto a colleghi di un collegio che hai accettato di presiedere».
Nordio ha concluso che «un magistrato può andarsene quando è costretto ad applicare leggi che confliggono con la sua coscienza. Ma questo è un caso diverso. La decisione, se sono vere le ragioni asserite, perché sono ancora incredulo di fronte all’enormità di questa notizia, metterà in grande difficoltà gli altri due colleghi che hanno fatto il loro dovere, perché la decisione collegiale, proprio perché è tale, deve essere unitaria».

Il lavoro del pm Nordio è vanificato da leggi assurde ma fatte dai politici per salvare se stessi. Galan e Chisso andavano tenuti in carcere 20 anni. E’ uno scandalo immane che siano già a casa, specialmente quello che è stato il governatore e poi ministro per tanti anni.
Michele e Roberta

 

POLITICA – SE CI FOSSERO I GIACOBINI

L’ex portavoce di Galan, Franco Miracco, in un’intervista dell’11 ottobre, esprimeva costernazione per i fischi e gli insulti rivolti dai cittadini all’ex ministro, tacciandoli di giacobinismo. Mi sono chiesto se l’ex comunista Miracco ha sorvolato lo studio della rivoluzione francese del 1789 passando per amor di patria a quella d’ottobre del 1917. In ogni caso, non ultimo quello di Genova, auguro a tutta la classe politica – sia quella rottamata con vitalizio, sia quella in servizio, analogamente ai burocrati, in primis quelli della Liguria – di provare (per il bene di tutti noi) il vero giacobinismo, per questo Paese non è mai troppo tardi.

Giancarlo Parissenti – Mestre

 

Punturine

Si vantano di aver chiesto di patteggiare la pena ma si proclamano innocenti. Nel diritto il patteggiamento equivale invece a una sentenza di condanna
Spegnete i riflettori, per favore. Non raccontate più nulla di loro. Dove vanno, cosa fanno, come vivono. Se sono dimagriti, se hanno la pressione bassa, il colesterolo alto, la barba lunga e i capelli in disordine. Fortuna che i cittadini se ne sono liberati. E che lorsignori, come Fortebraccio chiamava, con altezzoso distacco, i trafficoni del potere, almeno per un po’ si vergogneranno a farsi rivedere in giro. Almeno fino al momento in cui la gente comincerà a dimenticarsi i loro volti e i loro nomi. Perché ce ne vuole. Non basta che per lunga pezza abbiano menato il can per l’aia davanti ai propri sudditi, dispensando fanfaluche in pubblico e incassando sacchetti di baiocchi in privato, magari all’insaputa. Ora, suscitando vortici di irrefrenabile comicità, i tangentari delle dighe veneziane tentano di spiegare al colto e all’inclita, con spericolate quanto arzigogolate argomentazioni, che i patteggiamenti ai quali si sono allegramente sottoposti in massa pur di evitare il processo, non sono condanne, come qualche sempliciotto sarebbe portato a credere, ma semplici chiarimenti, modi del tutto legali, inventati apposta per uscire indenni da una fastidiosa vicenda in cui sono inciampati per sbaglio e per la quale sono stati accusati ingiustamente. E questo nonostante che i sacri testi del diritto affermino, in modo piuttosto esplicito, che una sentenza di patteggiamento “ha l’equiparazione legislativa della sentenza di condanna” (AltalexPedia, enciclopedia giuridica). Sembra dunque del tutto evidente che si patteggi una condanna, e non un’assoluzione o una gita in montagna. Le nuove tendenze, invece, supportate da ragguardevoli slanci di fantasia di alcuni avvocati considerati di grido, fanno dire, senz’ombra di pudore, che gli imputati hanno scelto la via del patteggiamento anche se sono innocenti. Divertente. Normalmente uno patteggia quando è colpevole. Patteggiare significa infatti ammettere la propria colpa. Se uno si ritiene innocente, si difende nel processo. Non si è mai visto uno che dica: “Sono innocente, signor giudice, ma mi condanni lo stesso. Se è d’accordo, patteggerei due annetti”. L’ex primo cittadino della città che fu Serenissima, che ha chiesto di essere condannato senza processo, ma la sua proposta di patteggiamento è stata respinta perché la condanna era troppo bassa, e quindi salirà sul banco degli imputati dove rischia una bastonata più forte, si è dichiarato innocente da ogni accusa, e ha detto di aver cercato il patteggiamento solo per uscire dal processo. I ragionamenti sono simili per gli altri imputati. Anche l’ex governatore della Regione si dichiara innocente. Però preferisce farsi condannare a due anni e dieci mesi di carcere (non li farà, bastano i domiciliari e forse i servizi sociali), e a restituire 2,6 milioni di euro, per motivi “assolutamente privati e di salute”. Esattamente come il suo fedelissimo ex assessore alle Infrastrutture. Dice inoltre di non essere nelle condizioni di poter affrontare un processo che magari potrebbe andare per le lunghe, nonché il clamore mediatico che ne seguirebbe. Come se proprio sul clamore mediatico non avesse costruito una carriera. Restano gli insulti della gente. Non sono accettabili, nei confronti di chiunque. Come non erano accettabili le monetine lanciate a suo tempo contro un ex presidente del consiglio. Gli insulti non sono civili né educativi. Sono un reato, e come tutti i reati vanno puniti. Ma i fischi no. I fischi sono leciti. Come il pubblico che paga il biglietto a una partita di calcio ha tutto il diritto di fischiare i giocatori se non gradisce lo spettacolo, così il cittadino che paga le tasse ha il diritto di fischiare un politico corrotto. Almeno quello.

r.bianchin@repubblica.it

 

Mose, per ogni cassone stecca da 150mila euro

L’incredibile confessione del manager Tomarelli (Condotte): incassava una tangente dalle imprese subappaltatrici per ciascun “affondamento”

Ora spuntano i soldi anche per i “cassoni”. Non c’erano soltanto fondi neri e false fatture per pagare le “mazzette” destinate a corrompere politici e funzionari pubblici. Nelle pieghe del “sistema Mose” ciascuno cercava di fare affari in proprio, adeguandosi all’andazzo generale. Qualcuno spingendosi perfino ad imporre alle imprese subappaltatrici di versare nelle sue mani somme ingenti di denaro pur di poter ottenere una commessa; di poter lavorare, insomma. A raccontare un episodio finora inedito è stato l’ingegnere romano Stefano Tomarelli, per anni referente a Venezia dell’azienda Condotte, una delle principali aziende italiane di costruzioni, tra i soci principali del Consorzio Venezia Nuova. Nell’interrogatorio sostenuto lo scorso 25 giugno, davanti ai sostituti procuratore Stefano Buccini e Stefano Ancilotto, Tomarelli ha ammesso di aver preteso 150 mila euro per ciascuno dei “cassoni” da affondare nelle bocche di porto della laguna di Venezia (“cassoni” ai quali saranno poi “incernierate le paratie mobili destinate a difendere la città dall’acqua alta”). Condotte, infatti, non realizzava in proprio tutte le opere: al pari degli altri soci di Cvn, grazie al notevole margine di guadagno garantito al Consorzio dalla convenzione che lo ha reso concessionario unico per la realizzazione del Mose, era prassi che i lavori venissero subappaltati ad altre ditte. E Tomarelli ha ammesso di aver preteso soldi per sè (60-70mila euro) e di aver consegnato il resto al presidente della società, che nel frattempo è deceduto e non ha potuto replicare. Tanti soldi, ma nessun reato, in quanto la richiesta di “tangenti” da privato a privato non configura l’ipotesi di corruzione. Sicuramente, però, è un comportamento disdicevole: tanto più che a pagare il conto, alla fine, è stata la collettività, in quanto il costo dell’opera è lievitato sensibilmente anche per consentire alle varie imprese di rientrare dagli esborsi “anomali”.
Il verbale di Tomarelli è stato depositato dagli inquirenti in occasione dei patteggiamenti ratificati giovedì dal gip Giuliana Galasso. Al dirigente di Condotte sono stati applicati due anni di reclusione, con la sospensione condizionale, e confiscati ben 700mila euro: almeno una parte dei soldi indebitamente incassati dalle ditte che fornivano i “cassoni”.
Conclusi i primi 19 patteggiamenti (con la confisca di un ammontare complessivo di quasi 12 milioni di euro), l’inchiesta non si può dire conclusa. Dopo gli arresti del 4 giugno sono emersi spunti relativi a nuovi interessanti filoni che saranno sviluppati e approfonditi nei prosismi mesi: primo fra tutti quello degli appalti per la Sanità.
Prima, però, i magistrati della pubblica accusa devono chiudere le indagini nei confronti degli indagati che non hanno chiesto il patteggiamento – una ventina in tutto – tra cui figurano l’ex eurodeputato, Lia Sartori e l’ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, entrambi accusati di finanziamento illecito (Orsoni aveva chiesto di patteggiare ma, lo scorso giugno il gip ritenne troppo bassa la pena di 4 mesi); l’ex presidente del Magistrato alle acque, Maria Giovanna Piva, l’ex presidente dell’autostrada Venezia-Padova, Lino Brentan, nonché professionisti, funzionari pubblici e qualche imprenditore, accusati di corruzione e altri reati. Nel frattempo, nei prossimi giorni, toccherà ad altri due indagati discutere l’applicazione della pena concordata con la Procura: si tratta dell’ex assessore regionale alle Infrastrutture, Renato Chisso, e del suo segretario, Enzo Casarin.

 

MESTRE / OSPEDALE ALL’ANGELO

L’ex assessore Chisso ricoverato per l’operazione

Ieri mattina Renato Chisso è stato ricoverato all’ospedale dell’Angelo. L’ex assessore regionale alle Infrastrutture, a casa da lunedì 13 dopo 4 mesi e mezzo passati nel carcere di Pisa, ha iniziato una serie di controlli che preparano la coronografia fissata per martedì prossimo. Il suo legale, l’avv. Antonio Forza, dice che Chisso è apparso tranquillo e rinfrancato dagli attestati di solidarietà. Ieri mattina davanti a casa ha trovato un cartello appeso durante la notte che recitava: «Ti vogliamo bene”, firmato “gli amici di Renato”. Intanto si attende la fissazione dell’udienza per il patteggiamento prevista per l’ultima settimana di ottobre.

 

GALAN E IL MOSE

COMMENTI DISCUTIBILI

Desidero fare alcune considerazioni, in merito al processo a Galan e ai commenti espressi dagli avvocati di lui.
È sbalorditivo. Secondo l’avvocato Franchini, il loro assistito è innocente, si è dovuto però patteggiare. Viene detto, nell’articolo, che il patteggiamento può sembrare contraddittorio rispetto all’idea di innocenza. Effettivamente, anche a me è difficile pensare in diverso modo.
L’avvocato Ghedini, inoltre, si dice amareggiato che il processo sia finito così.
Vorrei replicare che, da parte mia, non provo amarezza ma decisa acredine. L’avvocato, inoltre, sostiene che ci sia, nel frattempo, una causa pendente contro la legge Severino presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Trattandosi di norme che stabiliscono l’ineleggibilità a cariche parlamentari, di persone condannate con sentenza passata in giudicato per reati come concussione e peculato, io mi auguro davvero che tale richiesta non sia pendente, piuttosto che sia stata archiviata.
Mi sembra infatti ragionevole pensare che la violazione ci sarebbe, se questa legge non fosse stata mai introdotta nel nostro ordinamento giuridico o fosse abrogata. Altri reati, in quel processo, risultavano già prescritti.
Di certo ciò non smentisce l’ipotesi della legislazione avvenuta su misura, a soccorso di chi è imputato di tali reati.

Antonio Sinigaglia

 

Nuova Venezia – Galan: tre mesi per trovare 2,6 milioni

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

18

ott

2014

Scandalo Mose, il deputato non potrà vendere la villa di Cinto: è sotto sequestro. Chisso ricoverato in ospedale per esami

VENEZIA – Giancarlo Galan ha tempo tre mesi per trovare i due milioni e 600 mila euro da versare al Fondo unico Giustizia, ma per racimolare la cifra non potrà usare la villa di Cinto Euganeo o la sua tenuta sugli Appennini, mettendoli in vendita, perché i suoi beni sono sotto sequestro fin dal momento del suo arresto e lui certamente potrà riaverli, ma soltanto dopo aver saldato il conto con lo Stato. E allora dove troverà il danaro? Da tener presente che dovrà raccogliere non solo la considerevole cifra pattuita con i pubblici ministero Paola Tonini, Stefano Buccini e Stefano Ancilotto, ma anche i soldi per pagare le salate parcelle dei suoi due difensori, gli avvocati Antonio Franchini e Niccolò Ghedini, tra i migliori del foro e proprio per questo anche tra i più cari. Se ha scelto i suoi difensori tra i migliori penalisti italiani e se ha accettato di patteggiare e pagare quella cifra per uscire al più preso dal carcere di Opera per tornare a casa, anche se agli arresti domiciliari, è evidente che ha ritenuto di poter far fronte alle spese e non è escluso – sostengono gli investigatori della Guardia di finanza- che ricorra ai conti correnti che potrebbe avere in alcune banche all’estero, ma che gli investigatori delle «fiamme gialle» non hanno ancora individuato o dei quali, anche se scoprissero in quale paese sono nascosti, non potrebbero chiedere il sequestro, perché non c’è alcun trattato tra le autorità italiane e quelle delle nazioni in questione. Del resto, così accade in quelli che sono i paradisi fiscali, così definiti perché non solo il segreto bancario è totale, ma pure perché è impossibile mettere le mani su quei tesori. Naturalmente, sono nella stessa situazione dell’ex governatore del Veneto tutti quegli imputati che hanno patteggiato e che devono consegnare cifre importanti. A meno che i finanzieri non abbiano sequestrato somme considerevoli nei loro conti correnti ufficiali, dovranno farlo ricorrendo alle riserve occulte o ai prestiti di banche o amici che restituiranno quando potranno riavere i beni sequestrati. Ancora non è stata fissata, intanto, l’udienza per gli ultimi patteggiamenti, quelli di Renato Chisso e del suo segretario Enzo Casarin. Il primo è stato ricoverato ieri presso l’ospedale di Mestre per alcuni controlli ed esami. A differenza di un altro consigliere regionale, Giampietro Marchese del Pd, l’ex assessore regionale di Forza Italia non ha ancora dato le dimissioni. È sospeso e quando la sentenza di patteggiamento passerà in giudicato ci vorranno alcuni mesi per l’iter giuridico, soprattutto se presenterà ricorso in Cassazione: in base alla legge Severino il Consiglio regionale lo dichiarerà decaduto. Nel frattempo Chisso ha raggiunto l’accordo con la Procura per i due anni e sei mesi senza neppure promettere le dimissioni.

Giorgio Cecchetti

 

Copyrights © 2012-2015 by Opzione Zero

Per leggere la Privacy policy cliccare qui