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SCANDALO MOSE – La Minutillo attacca il suo ex capo: «Sono inferocita, sta sparando falsità su di me»

Galan, bufera sul memoriale

Moretti Polegato e Archiutti smentiscono l’ex governatore: «Mai versato soldi». Silenzio degli altri imprenditori

LA REPLICA – In due smentiscono la versione dell’ex presidente

L’AMMISSIONE – Nel documento sono indicati dieci “finanziatori”

«Mai pagato Galan» Bufera sul memoriale

Due smentite e otto silenzi. «Mai dato soldi a Galan» – dice Mario Moretti Polegato, il signor Geox. «Neanche un centesimo» – gli fa eco Giacomo “Carlo” Archiutti che, secondo Galan, gli avrebbe consegnato la bellezza di 200 mila euro. Sono gli unici due che parlano e sbugiardano Galan. Nessun altro, finora. In particolare tacciono Piero Zannoni – ex consigliere di Veneto Sviluppo, la finanziaria regionale ai tempi di Galan – e Andrea Mevorach – l’imprenditore veneziano con interessi soprattutto immobiliari.
Ovvio che non vogliano parlare e altrettanto ovvio che la difesa di Galan abbia in tasca testimonianze tali da confermare la ricostruzione di Galan. Il fatto che le smentite possano arrivare da imprenditori che hanno dato i soldi direttamente a Galan poco importano alla difesa mentre interessa e molto la parte relativa a Mevorach e Zannoni i quali hanno consegnato i soldi per Galan alla Minutillo, ma a Galan non sono mai arrivati. Se gli avvocati Franchini e Ghedini riescono a dimostrare che Galan su questo ha ragione, allora la posizione della Minutillo comincerebbe a diventare ballerina. Ma perchè, usufruendo delle pregorative della difesa, i due – Mevorach e Zannoni – non sono stati sentiti dagli avvocati? Perchè devono essere iscritti nel registro degli indagati, spiega l’avv. Franchini e dunque non sono più testi, ma imputati. In compenso Franchini e Ghedini si sono cautelati raccogliendo “testimonianze dirette” sugli episodi raccontati da Galan, che confermerebbero la versione dell’ex Governatore. Si vedrà venerdì, al Tribunale del riesame, quali altre testimonianze salteranno fuori.
Galan fa un paio di nomi nel memoriale e dice che «tutte queste circostanze le potranno confermare sia la sig. Giorgia Pozza, che ha sostituito al Minutillo come segretaria, sia la sig. Laura Lazzarin (che ricoprì lo stesso incarico)». Sono loro i “testimoni diretti” o è qualcun altro? In ogni caso è curioso che Galan non abbia fatto i nomi di Giuseppe Stefanel e di Enrico Marchi, entrambi indicati da Claudia Minutillo come finanziatori del Governatore. «Il nostro cliente ha escluso nel modo più assoluto di aver preso quattrini da entrambi».
Dunque, bisogna fermarsi ai 10 nomi rivelati dal Gazzettino ieri. Anzi, bisogna restare a 8 e cioè a Rinaldo Mezzalira che avrebbe versato almeno 50 mila euro nelle mani della Minutillo – regolarmente girati a Galan – e a Giovanni Zillo Monte Xillo (50 mila euro), […], Ermanno Angonese (tra i 5 mila e i 10 mila), Gianni Roncato (17 mila), Angelo Gentile (tra i 5 mila e i 10 mila). A questi 6 bisogna aggiungere i due più importanti e cioè Piero Zannoni (200 mila euro) e Andrea Mevorach (300 mila euro). Per quanto riguarda quest’ultimo, Galan è molto preciso e racconta che «incontrai Mevorach a Rovigno, in Croazia – i due sono sempre stati molto amici e hanno condiviso la passione per il mare e le barche – ed in quell’occasione mi mostrò i numeri di serie dei denari consegnati alla Minutillo». Un episodio che si fa fatica ad inventare, visti i dettagli decisamente curiosi. Ed è su questi elementi che la difesa inizierà a smantellare le rivelazioni della Minutillo.
Del resto si era capito da un bel po’ che Giancarlo Galan si sarebbe difeso in questo modo e cioè scaricando tutto sull’ex segretaria licenziata nel 2005. Peccato che poi abbia continuato ad intrattenere rapporti stretti, al punto da chiedere a Baita di trovarle un lavoro che potesse farle incassare non meno di 250 mila euro all’anno in nero. «A me non pare proprio» di averlo chiesto a Baita – si difende Galan – Anzi ricordo che fu Baita a proporsi». Ma se non fu Galan a chiedere a Baita di assumere una donna che Baita considerava poco più di una segretaria pur con lo stipendio da grande manager, chi è stato, allora? Probabile che Renato Chisso possa rispondere a questa domanda visto che l’ex assessore regionale alle Infrastrutture si era battuto proprio per far rientrare dalla porta principale la segretaria che Galan aveva defenestrato. «Io non mi opposi poichè avevo timore che la stessa potesse raccontare quanto detto sopra ovvero che per la campagna elettorale del 2005 avevo ricevuto dei finanziamenti non dichiarato» – spiega Galan che poi entrò in società con la Minutillo.

Maurizio Dianese

 

LA REPLICA – L’ex senatore di Forza Italia nega in maniera categorica di aver fatto da collettore di fondi.

Archiutti: «Sono allibito, dichiarazioni folli.

«Ho letto quanto scritto dal Gazzettino. E sono rimasto paralizzatö». Carlo Archiutti, uno degli imprenditori trevigiani più noti, fondatore di un impero in fatto di cucine componibili ed ex senatore di Forza Italia, nasconde a stento il suo stupore. Tutto poteva aspettarsi tranne che finire nel tritacarne mediatico nel caso Galan. Quasi non ci credeva nel vedere il suo nome comparire nel ristretto gruppo di dieci magnifici sponsor ben lieti di foraggiare le campagne elettorali dell’ex potentissimo governatore. Lui nega tutto. È arrabbiatissimo anche perché ieri, da quando ha acceso il telefonino, è stato un susseguirsi di chiamata da conoscenti, amici, ex colleghi di partito tutti stupiti e preoccupati. Lui ha risposto a tutti. Qualcuno lo ha anche mandato a quel paese, per poi scusarsi. «Dovete capire. Questa storia mi sta stressando e ho anche un’azienda da mandare avanti».
Galan però l’ha indicata tra i suoi finanziatori occulti.
«Ho visto quanto uscito sul Gazzettino. Ma non corrisponde al vero, nella maniera più assoluta».
Nel suo memoriale l’ex governatore dice che lei avrebbe dato 200mila euro, più o meno, all’ex segretaria Claudia Minutillo.
«Non ho mai dato soldi a Galan o ai suoi collaboratori. Lo smentisco categoricamente. E adesso andrò da un avvocato per avviare tutte le azioni necessarie per difendermi. Non rimarrò di certo immobile a subire e basta».
Galan sembra sicuro di quello che dice.
«Se la sua linea difensiva è questa, secondo me, sta sbagliando tutto. Una linea che rispetto, per carità, ognuno si comporta come meglio crede. Ma sbaglia. Nulla di quanto dice sul mio conto corrisponde al vero».
In quegli anni, tra il 2004 e il 2005, eravate tra gli elementi di spicco nel centrodestra veneto. Lei senatore, lui governatore. Non c’erano rapporti tra di voi?
«Stiamo parlando di fatti accaduti dieci anni fa. È vero ero senatore. Ma non andavo di certo a pagare la campagna elettorale degli altri, già dovevo provvedere alla mia. Galan, o chi per lui, farebbero meglio a chiamarmi e spiegare perché mi tirano in mezzo».
Perché, stando a quanto si legge nel memoriale, lei avrebbe contribuito a finanziare la sua campagna elettorale.
«Ma non è vero! Dicono anche che sarei stato una sorta di collettore, quello che incaricato di raccogliere i soldi anche di altri imprenditori per poi consegnarli. Follia. Una cosa assolutamente fuori dal modo. Non ho mai fatto azioni del genere».
Se le cose stanno così, perché Galan l’avrebbe tirata in mezzo?
«Non lo so proprio. Forse si vuole vendicare di qualcosa di cui non sono a conoscenza. Non riesco veramente a spiegarmi un simile comportamento».
Ma lei e il governatore vi siete tenuti in contatto in questi anni?
«No. Da quando, nel 2005, ho smesso di fare politica, Galan non l’ho più visto e sentito. Mi sono concentrato sul lavoro e sulle cose della mia famiglia e del mio territorio. Niente di più. Ma, le ripeto, non finisce qui: saprò difendermi nelle sedi più opportune».

 

ZANNONI E MEVORACH – Da loro nessun commento

POLEGATO E ARCHIUTTI «Neanche un centesimo»

«Dopo quella data le liste bloccate: spese elettorali a carico dei partiti»

VENERDI’ – La battaglia del Riesame

L’esito dell’udienza di venerdì, davanti al Tribunale del Riesame, è la svolta decisiva per l’inchiesta sul “sistema Mose”. E non soltanto per la sorte processuale di Giancarlo Galan. Un’eventuale remissione in libertà dell’ex Governatore del Veneto, così come la conferma della custodia cautelare in carcere, avrà un inevitabile forte impatto – in negativo o positivo – sulla solidità dell’impianto accusatorio, oltre che sull’immagine della Procura. Galan non si presenterà in aula e saranno gli avvocati Franchini e Ghedini a giocare tutte le possibili carte. Sull’altro fronte i pm Tonini e Ancilotto potrebbero depositare nuovi documenti per “incastrare” definitivamente l’indagato più importante. La decisione dei giudici potrebbe slittare a sabato.

 

«Forse si vuole vendicare di qualcosa. Io non lo vedo da 10 anni»

Vado subito dall’avvocato»

«Ho letto quanto scritto dal Gazzettino. E sono rimasto paralizzatö». Carlo Archiutti, uno degli imprenditori trevigiani più noti, fondatore di un impero in fatto di cucine componibili ed ex senatore di Forza Italia, nasconde a stento il suo stupore. Tutto poteva aspettarsi tranne che finire nel tritacarne mediatico nel caso Galan. Quasi non ci credeva nel vedere il suo nome comparire nel ristretto gruppo di dieci magnifici sponsor ben lieti di foraggiare le campagne elettorali dell’ex potentissimo governatore. Lui nega tutto. È arrabbiatissimo anche perché ieri, da quando ha acceso il telefonino, è stato un susseguirsi di chiamata da conoscenti, amici, ex colleghi di partito tutti stupiti e preoccupati. Lui ha risposto a tutti. Qualcuno lo ha anche mandato a quel paese, per poi scusarsi. «Dovete capire. Questa storia mi sta stressando e ho anche un’azienda da mandare avanti».
Galan però l’ha indicata tra i suoi finanziatori occulti.
«Ho visto quanto uscito sul Gazzettino. Ma non corrisponde al vero, nella maniera più assoluta».
Nel suo memoriale l’ex governatore dice che lei avrebbe dato 200mila euro, più o meno, all’ex segretaria Claudia Minutillo.
«Non ho mai dato soldi a Galan o ai suoi collaboratori. Lo smentisco categoricamente. E adesso andrò da un avvocato per avviare tutte le azioni necessarie per difendermi. Non rimarrò di certo immobile a subire e basta».
Galan sembra sicuro di quello che dice.
«Se la sua linea difensiva è questa, secondo me, sta sbagliando tutto. Una linea che rispetto, per carità, ognuno si comporta come meglio crede. Ma sbaglia. Nulla di quanto dice sul mio conto corrisponde al vero».
In quegli anni, tra il 2004 e il 2005, eravate tra gli elementi di spicco nel centrodestra veneto. Lei senatore, lui governatore. Non c’erano rapporti tra di voi?
«Stiamo parlando di fatti accaduti dieci anni fa. È vero ero senatore. Ma non andavo di certo a pagare la campagna elettorale degli altri, già dovevo provvedere alla mia. Galan, o chi per lui, farebbero meglio a chiamarmi e spiegare perché mi tirano in mezzo».
Perché, stando a quanto si legge nel memoriale, lei avrebbe contribuito a finanziare la sua campagna elettorale.
«Ma non è vero! Dicono anche che sarei stato una sorta di collettore, quello che incaricato di raccogliere i soldi anche di altri imprenditori per poi consegnarli. Follia. Una cosa assolutamente fuori dal modo. Non ho mai fatto azioni del genere».
Se le cose stanno così, perché Galan l’avrebbe tirata in mezzo?
«Non lo so proprio. Forse si vuole vendicare di qualcosa di cui non sono a conoscenza. Non riesco veramente a spiegarmi un simile comportamento».
Ma lei e il governatore vi siete tenuti in contatto in questi anni?
«No. Da quando, nel 2005, ho smesso di fare politica, Galan non l’ho più visto e sentito. Mi sono concentrato sul lavoro e sulle cose della mia famiglia e del mio territorio. Niente di più. Ma, le ripeto, non finisce qui: saprò difendermi nelle sedi più opportune».

 

NUOVE ACCUSE «In totale Minutillo prese 700mila euro»

L’ex governatore: a me solo i soldi per le elezioni del 2005, tutto il resto è finito nelle sue tasche

SMENTITA – Mario Moretti Polegato. Il titolare della Geox nega di aver mai finanziato occultamente l’ex governatore

MESTRE – «Io i soldi li ho presi solo per pagare la mia costosissima campagna elettorale del 2005. Basta. Tutti gli altri quattrini sono finiti nelle tasche della mia ex segretaria, Claudia Minutillo, che io ho licenziato perchè rubava». E sono almeno 700 mila euro. Cinquecento sicuri, ai quali Galan aggiunge altri 200 mila euro. Venerdì Giancarlo Galan si gioca la carta del nuovo memoriale di cui ieri abbiamo pubblicato in esclusiva i passi fondamentali per cercare di tornare in libertà. Davanti al Tribunale del riesame i suoi avvocati, Antonio Franchini e Nicolò Ghedini, metteranno sul piatto della bilancia le rivelazioni dell’ex Governatore del Veneto il quale per la prima volta ammette di aver incassato soldi in nero per la sua campagna elettorale. Si tratta di denaro ricevuto nel lontano 2005 e quindi le ammissioni di Galan non contano dal punto di vista processuale e sono importanti solo per dimostrare l’atteggiamento collaborativo di Galan, atteggiamento che, questo diranno gli avvocati difensori dell’ex Governatore, dovrebbe garantirgli il ritorno a casa, agli arresti domiciliari. Se infatti Galan dimostra la buona volontà confessando episodi di cui la Procura nulla sapeva, ecco la prova provata che Galan non mente quando dice che il grosso dei quattrini se li è tenuti la Minutillo. Difficile però che queste ammissioni siano sufficienti a convincere il Riesame che Galan può essere scarcerato. L’ex Governatore del Veneto scrive nel suo memoriale segreto che, «la campagna regionale come candidato Presidente è estremamente costosa e per molte voci – quali ad esempio, cene, rimborsi spesa ai volontari, affissione manifesti, volantinaggi e così via – era necessario farvi fronte in contanti.» Dunque, servivano soldi e tanti. Quanti? Galan confessa di averne incassati personalmente meno di 400 mila perchè i 500 mila che sono stati dati alla Minutillo, se li è tenuti l’allora segretaria di Galan. Dunque, la “costosissima” campagna alla fine sarebbe costata meno di 400 mila euro? Se il candidato del Pd contro Luca Zaia, Giuseppe Bortolussi, ha speso ufficialmente 1 milione e rotti, difficile che Galan possa aver speso meno. In ogni caso resta la domanda: perchè si finisce nel 2005? Perchè allora entra in vigore la legge elettorale denominata Porcellum – spiega Galan. «In quest’ultimo caso le spese elettorali vengono affrontate esclusivamente dal partito nazionale ed i singoli candidati non hanno alcuna possibilità di svolgere una propria propaganda essendo inseriti in liste bloccate». Dunque, dopo il 2005 non serviva più chiedere agli imprenditori amici di mettere mano al portafogli. «Dopo la campagna elettorale del 2005 non ho più avuto contributi elettorali. Mi rendo conto di aver tenuto un comportamento sbagliato, anche se credo che eventuali indagini sui candidati presidenti delle Regioni nella massima parte eveidzierebbero situazione consimili». Una frecciata al curaro rivolta a tutti, nessuno escluso, in stile Craxi, quando l’allora presidente del Consiglio, prima di essere travolto da Tangentopoli in parlamento disse che nessuno poteva chiamarsi fuori. Ma Giancarlo Galan avverte in più di un passaggio di aver usato i quattrini solo per la campagna elettorale del 2005. E per nient’altro. Anche per quanto riguarda i 200 mila euro che Baita dice di aver consegenato alla Minutillo all’hotel Santa Chiara di Venezia, Galan non esclude «che la Minutillo si possa essere trattenuta tale somma, d’altronde l’aveva già fatto con le somme corrisposte dagli imprenditori Mevorach e Zannoni». E solo con questi due episodi la Minutillo si sarebbe portata a casa 700 mila euro.

(M.D.)

 

I VERSAMENTI SPARITI «Non conosce neppure uno degli imprenditori»

IL LEGALE PADOVANO «Tutti i soldi ricevuti furono consegnati»

Claudia Minutillo: «Sono arrabbiata, anzi indignata. Non c’è nulla di vero».

L’avvocato Augenti: «Non ci sono “pizzi”, non si è messa in tasca neppure un euro»

TESTIMONI – Le prime conferme nei verbali della difesa

Citate a sostegno della ricostruzione dell’ex governatore, anche le collaboratrici Giorgia Pozza e Laura Lazzarin

VENEZIA – I verbali delle segretarie di Giancarlo Galan sono due degli allegati al memoriale in cui l’ex governatore ammette di aver ricevuto finanziamenti elettorali dagli imprenditori e accusa Claudia Minutillo di una gestione perlomeno disinvolta della sua agenda, quando dal 2000 al 2005 reggeva la macchina organizzativa a Palazzo Balbi. Ma non sono gli unici documenti su cui puntano gli avvocati Antonio Franchini e Niccolò Ghedini, difensori del deputato padovano, per dimostrare che ciò che è scritto nel memoriale è vero. Ci sono altri verbali di collaboratori dell’entourage dell’allora presidente.
Le segretarie sono Giorgia Pozza e Laura Lazzarin. La Pozza, vicentina, molto legata a Lia Sartori, «ha sostituito la Minutillo dopo il licenziamento», spiega Galan. Infatti, le cronache dell’epoca la segnalano il 9 maggio 2005 quando Galan, rieletto per la terza volta, andò a Palazzo Ferro Fini per la prima seduta. Con lui c’era il fido Franco Miracco (che però non è indicato come possibile teste nel memoriale, anche se era l’uomo più vicino a Galan). «Laura Lazzarin ricoprì lo stesso incarico» ha aggiunto l’ex governatore. E divenne una collaboratirce così preziosa che Galan se la portò al ministero dei Beni Culturali con l’incarico di segretario particolare, lo stesso che aveva rivestito a Palazzo Balbi.
Negli allegati del memoriale non c’è traccia di interrogatori dei dieci imprenditori citati da Galan. La ragione può essere spiegata in un solo modo: se fossero stati sentiti, in base alle norme che prevedono l’indagine difensiva, in quanto “indagati” poteziali di finanziamento illecito, avrebbero dovuto essere sentiti con un difensore. È quello che accadrebbe se i pubblici ministeri ritenessero di chiamarli in Procura per spiegare se davvero Galan ricevette soldi da loro per la campgna elettorale del 2005. Galan non rischia neppure che si adombrino finanziamenti successivi al 2005, per il semplice fatto che egli partecipò solo alle elezioni politiche del 2013, ma in quel caso non doveva cercare preferenze. Era capolista nella Circoscrizione Veneto 1. Già eletto prima del voto.

G. P.

 

CONTROFFENSIVA – Dopo il memoriale di Galan, la sua collaboratrice mette a punto lo scontro finale

INCHIESTA IN CORSO «Se i Pm lo ritengono siamo pronti a rispondere a tutte le domande»

L’ex segretaria all’attacco: «Su di me solo falsità»

PADOVA – È nera, ma non per la smagliante abbronzatura che ostenta. Gli occhi sono fiammeggianti per la rabbia, repressa soltanto dalla decisione di non rilasciare dichiarazioni. Claudia Minutillo è di umor nero mentre sul far della sera, sotto una pioggerellina stizzosa, si infila nello studio del suo difensore, l’avvocato padovano Carlo Augenti. «Sono arrabbiata, anzi indignata per quello è stato scritto e detto su di me». Evidente il riferimento ai contenuti del memoriale di Giancarlo Galan, che l’accusa di una doppia infedeltà. Essersi intascata 500 mila euro, nel 2005, ricevuti da due imprenditori-amici del governatore che volevano finanziarne la campagna elettorale. E aver gestito, a fini di potere e di ricchezza personale, persino l’agenda di lavoro del capo della giunta veneta, con una specie di ticket che doveva pagare chi era in lista d’attesa, per essere ammesso davanti al Doge.
«È falso, è tutto falso». Poche parole, ma sono già l’annuncio di una battaglia che sarà lunga e senza esclusione di colpi. Anche perchè i telegiornali hanno appena alcune significative smentite di presunti finanziatori. Le borse da manager che tiene in mano sono probabilmente piene di documenti, le armi del nuovo combattimento. Se Galan pensava che avrebbe tagliato le unghie (laccate di rosso) della sua ex collaboratrice, si sbagliava. La reazione è veemente, seppur controllata dallo sforzo di ragionare. Evidente il tentativo, oltre la comprensibile tempesta emotiva, di ribattere colpo su colpo a quello che appare profilarsi sempre più come un fumettone politico, dove un uomo e una donna – legati solo dalla gestione di una stagione di potere – si stanno menando reciprocamente dei grandi fendenti. Ha cominciato lei un anno fa con i primi verbali, che ora hanno portato Galan nel carcere di Opera. Ha replicato lui con la scrollata all’albero della cuccagna di un bel tempo che fu, nella speranza di dimostrare che lei si è inventata tutto.
Ma a dargli del diffamatore è, invece, lei. O meglio il suo avvocato, che in punta di legge parla in nome e per conto della sua assistita. Avrebbe una voglia matta, la bella signora, di dire tutto quello che le passa per la testa. Che non c’è nulla di vero in quel memoriale, almeno sul suo conto. Oppure di raccontare come e perchè venne messa alla porta, dopo quasi cinque anni di lavoro indefesso. Che aveva altre cose per la testa che chiedere soldi a chi voleva incontrare il governatore. E forse avrebbe anche voglia di domandare a Galan perchè fa l’elenco di imprenditori generosi, ma che non contano nulla con gli affari della Regione. Infatti, non ce n’è neppure uno che si occupi di sanità o di grandi opere.
«Se la Procura riterrà di chiamarci a spiegare, a seguito del memoriale dell’onorevole Galan, non abbiamo nessun problema e siamo pronti a rispondere… – dichiara l’avvocato Augenti – …per dire che non è assolutamente vero, non ci sono “pizzi” di nessun genere. Tutto i soldi che ha ricevuto sono andati al fine per cui erano stati consegnati». Insomma, «non si è messa in tasca soldi, nè dai due imprenditori citati, nè da nessun altro. E il nome di uno dei due non le dice proprio nulla, non ricorda nemmeno di averlo conosciuto». Le parole di Galan avranno dei riscontri con qualche testimonianza? «È meglio non fare commenti al riguardo, perchè quelle circostanze non corrispondono a verità».
La scelta della difesa, concordata da Claudia Minutillo, è quella di aspettare i luoghi e i tempi della giustizia per ribattere nel merito. È pronta anche a un confronto? «Certo, ma non credo che glielo facciano fare in questa fase, caso mai al dibattimento». Claudia Minutillo sembra non capire tanto accanimento di Galan verso di lei. «Mi pare che l’impianto accusatorio abbia retto – spiega l’avvocato Augenti – che le chiamate di correo, non solo della signora Minutillo, ma anche degli altri indagati, siano state riscontrate».
Ma il ragionamento gira pure attorno ai numeri. In una campagna elettorale un candidato fa i conti con il budget. Dal memoriale emerge che Galan nel 2005 avrebbe ricevuto finanziamenti illeciti per circa 350 mila euro, mentre la sua segretaria se ne sarebbe intascati 500 mila, forse 700 mila se sono veri i 200 mila euro che Piergiorgio Baita dichiara di averle consegnato all’hotel Santa Chiara. «Non è credibile che un imprenditore paghi cifre del genere senza aver prima concordato il versamento con l’interessato» insinua l’avvocato. Come dire che Galan non poteva essere all’oscuro di ciò che stava maturando nel retrobottega della campagna elettorale, anche perchè lui stesso ha ammesso di aver ricevuto personalmente dei denari.

Giuseppe Pietrobelli

 

NUOVI FILONI – Registrate ore di colloqui del commercialista Venuti con clienti e professionisti

Potrebbero sfociare in clamorosi sviluppi sul malaffare le registrazioni telefoniche e ambientali della Finanza

LA STRATEGIA – I pm vogliono completare l’inchiesta sul sistema Mose per poi aprire altri fronti

FIDUCIARIO – Paolo Venuti padovano accusato quale prestanome in investimenti di Galan

GLI SVILUPPI – Materiale scottante coperto da segreto

Intercettazioni, il Veneto trema

Il materiale probatorio più “scottante” è ancora coperto da segreto. Si tratta di ore e ore di intercettazioni telefoniche e ambientali che riguardano il commercialista padovano Paolo Venuti, 57 anni, il professionista di fiducia dell’ex governatore del Veneto, Giancarlo Galan.
I magistrati che indagano sul “sistema Mose”, i sostituti procuratore Stefano Ancilotto, Stefano Buccini e Paola Tonini, ne hanno depositate al gip soltanto una minima parte, quella che ritengono indispensabile per sostenere la richiesta di emissione di una misura cautelare nei confronti dell’ormai ex doge di Forza Italia e dello stesso commercialista, accusato di essere stato il suo prestanome per investimenti quote in varie società. Ma, i colloqui registrati per settimane dagli uomini della Guardia di Finanza potrebbero essere utili per aprire nuovi e inediti fronti – uno dei quali probabilmente di natura fiscale – riguardanti anche altre persone, e non limitatamente gli appalti per i lavori che si riferiscono al Mose.
Per il momento la Procura della Repubblica di Venezia è impegnata a chiudere la prima fase dell’inchiesta nella quale i principali indagati sono l’ex governatore Giancarlo Galan, l’ex assessore regionale Renato Chisso, due presidenti del Magistrato alle acque, Patrizio Cuccioletta e Maria Giovanna Piva, e numerosi imprenditori accusati a vario titolo di corruzioni e false fatture.
Ma, non appena sarà definita la prima tranche delle indagini, inizieranno gli approfondimenti sui molti altri filoni che potrebbero avere sviluppi di rilievo. Le intercettazioni che riguardano Paolo Venuti e la moglie Alessandra Farina, insomma, rischiano di non far dormire sonni tranquilli a molte persone. Probabilmente alcuni dei suoi più facoltosi clienti, ma anche altri professionisti e imprenditori che, a Padova e nel resto del Veneto, si rivolgevano ai suoi consigli professionali.

 

«BLITZ ANTI-GRANDI OPERE» Anonymous all’attacco del data-base della Regione

VENEZIA – Attacco hacker ai server della Regione Veneto. Il blog di Anonymous ha annunciato di aver violato il data-base e di aver messo a disposizione di tutti su Internet l’archivio della posta elettronica dei dipendenti della Regione e dei consiglieri. L’azione è stata rivendicata all’insegna della lotta contro le grandi opere. Tra questi, il Mose, sistema accusato di presentare difetti progettuali.
«Il sito del Consiglio regionale del Veneto non è stato violato, né il sistema informativo che gestisce tutti i dati personali e sensibili connessi», commenta il presidente del Consiglio Clodovaldo Ruffato circa l’attacco hacker al server e al data-base dell’assemblea legislativa della Regione. «Il Consiglio dispone di sistemi informativi differenziati e separati: uno per la gestione delle attività e delle comunicazioni istituzionali, trasparente e accessibile a tutti tramite la rete internet, e uno per la gestione di personale, consiglieri, bilancio e risorse finanziarie.
Il sistema, che gestisce le risorse e tutti i dati riservati e sensibili, non è stato oggetto di alcuna intrusione. L’intrusione illegale ha riguardato solo il sistema che gestisce la posta elettronica del personale e dei consiglieri regionali, ma il problema verificatosi non è di grande rilievo».
Il Consiglio regionale ha già segnalato alle autorità le intrusioni illegali di Anonymous e invita dipendenti e consiglieri a impostare nuove password raccomandando la buona regola del cambio periodico e frequente della “chiave di accesso” alla posta elettronica.

 

Blitz di Anonymous, pubblicate tutte le e-mail dei consiglieri veneti

VENEZIA Quelli di Anonymous ce l’hanno fatta. Di nuovo. Dopo essere entrati nei sistemi informatici del Consorzio Venezia Nuova e della Mantovani per svelare i documenti relativi all’inchiesta sul Mose ieri sera il gruppo di hacker antagonisti ha fatto sapere di essere riuscito a entrare nei computer del Consiglio regionale veneto (foto), e ha pubblicato sul sito di Anonymous Italia i link dai quali poter scaricare file tutte le e-mail – con i colleghi, con i funzionari del Consiglio regionale, con i giornalisti – dei consiglieri regionali. La lista dei leaks – come si chiamano in gergo – è di 1.548 file pari a 1.013.140.571 byte. File che raccontano la vita dell’assemblea regionale. «Anonymous ha deciso di divulgare l’intero archivio di email del Consiglio regionale del Veneto» spiegano gli attivisti del movimento in una nota pubblicata sul sito, spiegando che «il materiale pubblicato contiene le e-mail e i documenti privati che questi, in qualità di membri delle istituzioni hanno scambiato con terzi. I dati in questione derivano dall’intrusione nella webmail del sito www.consiglioveneto. it. Riteniamo così di garantire la libertà di informazione favorendo il libero giudizio di ognuno, infatti conoscere direttamente la realtà è presupposto necessario per cambiarla».Un invito quindi a «scaricare e leggere le informazioni divulgate con la corrente operazione e ci riproponiamo di indagare direttamente il materiale citato al fine di evidenziare le nefandezze della cricca che in Veneto come altrove pratica o gestisce lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sulla natura».

(f.fur.)

 

Galan finanziato da 10 big rischiano di essere indagati

Gli imprenditori tirati in ballo dall’ex governatore potrebbero sfilare in Procura anche se i reati ammessi nel “memoriale” sarebbero già caduti in prescrizione

VENEZIA – Sono una decina gli imprenditori veneti che Giancarlo Galan ha coinvolto, facendone il nome, con il suo memoriale, ma possono stare tranquilli: se un reato hanno commesso, quello di aver finanziato illecitamente la campagna elettorale dell’esponente dell’allora Pdl, si tratta di un’accusa prescritta perché dal 2005 sono trascorsi ben di più dei sette anni e mezzo previsti dal codice. Non sono sembrati preoccupati di questa uscita dell’indagato numero uno dell’inchiesta sul Mose i pubblici ministeri Stefano Ancilotto e Paola Tonini, tanto che ancora non hanno etto il documento di 35 pagine, che il giudice Alberto Scaramuzza ha trovato sul suo tavolo ieri mattina (è arrivato a Venezia da Milano, dopo l’interrogatorio nel carcere di Opera, sabato nel primo pomeriggio). Potrebbero decidere di sentirli tutti o,magari, solo coloro che avrebbero consegnato il contributo a Claudia Minutillo e che lei avrebbe trattenuto, secondo il racconto di Galan. Ma non hanno ancora preso una decisione, anche perché, nonostante la prescrizione, nel caso dovessero chiamarli e sentirli dovrebbero iscriverli nel registro degli indagati e, quindi, interrogarli non come persone informate sui fatti ma come indagati per la violazione della legge sul finanziamento pubblico dei partiti con un avvocato difensore accanto. Si tratta del gotha dell’imprenditoria di destra del Veneto che Galan ha dato in pasto alla Procura veneziana pur di cercare di rendere meno credibile il racconto di Claudia Minutillo, che comunque allora non venne cacciata ignominiosamente, ma sistemata al vertice di società legate al Consorzio Venezia Nuova grazie all’intervento anche di Lia Sartori, sollecitata in questa direzione dallo stesso Galan. I due pubblici ministeri presenti in ufficio sembravano più intenti a preparare il primo incontro con Galan o,meglio con i suoi difensori, gli avvocati Antonio Franchini e Nicolò Ghedini, che hanno disertato il primo con il giudice, quello con il magistrato milanese Cristina Di Censo per l’interrogatorio di garanzia del loro cliente, che ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere. Il secondo confronto ci sarà venerdì 1 agosto a Venezia con i giudici del Tribunale del riesame presieduto da Angelo Risi, che dovranno decidere se accogliere o meno il ricorso dei difensori, che puntano prima di tutto all’annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare per corruzione, sostenendo che non vi sono i gravi e sufficienti indizi per tenere Galan in carcere, e in subordine chiedono gli arresti domiciliari. Intanto, Giampietro Marchese e Stefano Boscolo Bacheto e Gianfranco Boscolo Contadin attendono che il giudice fissi l’udienza in camera di consiglio per valutare se l’accordo con i pubblici ministeri per la pena patteggiata (11 mesi Marchese e due anni ciascuno gli altri) venga ritenuta congrua. I tre hanno già ammesso, almeno in parte, le loro responsabilità. Marchese in particolare ha spiegato di aver ricevuto da Pio Savioli, nel Consorzio Venezia Nuova stava a rappresentare le cooperative rosse ma obbediva soprattutto a Giovanni Mazzacurati, 150 mila euro, che avrebbe consegnato al partito poco dopo le elezioni del 2010: sarebbero stati utilizzati per coprire i debiti lasciati dalla campagna elettorale delle regionali del Veneto e delle comunali di Venezia.

Giorgio Cecchetti

 

COMPETENZE – A Venezia i compiti di Magistrato acque

Le funzioni e le competenze del Magistrato alle acque (Mav), ufficio pesantemente coinvolto nello scandalo Mose, andranno alla Città metropolitana di Venezia. Lo ha stabilito la commissione Ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera. «Nel provvedimento di soppressione del magistrato alle acque siamo riusciti a far passare il concetto federalista che le competenze di governo del territorio devono stare il più vicino possibile ai cittadini», commenta il segretario veneto del Pd, Roger De Menech,membro dell’ottava Commissione. «La salvaguardia e il risanamento di Venezia – aggiunge – sono temi troppo delicati e particolari perché se ne possa occupare qualche distante ufficio a Roma. Ci vogliono competenze specifiche, professionalità e, soprattutto, conoscenza del territorio e del contesto». Il provvedimento preso dalla Commissione prevede che entro il 31 marzo 2015 il governo individui le funzioni già esercitate dal magistrato delle acque da trasferire alla Città metropolitana di Venezia, in materia di salvaguardia e risanamento della città di Venezia e dell’ambiente lagunare, di polizia lagunare e d’organizzazione della vigilanza lagunare, nonchè di tutela dall’inquinamento delle acque. Sempre entro la fine di marzo, il governo stabilirà anche le risorse umane e strumentali da assegnare alla Città metropolitana.

 

IL PATTEGGIAMENTO DI MARCHESE

Contributi in nero al Pd regionale? Filippin: «Registrate tutte le cifre»

VENEZIA – Fondi neri al Pd regionale? Il Pd veneto non vuole finire nel frullatore dell’inchiesta sul Mose, nonostante la richiesta di patteggiamento a 11 mesi avanzata dall’ex consigliere regionale del Pd Giampietro Marchese, che in un interrogatorio nei giorni scorsi avrebbe ammesso di aver percepito 150 mila euro non registrati per sostenere le campagne elettorali regionali e veneziana del Pd. «Conosco per filo e per segno i conti della campagna elettorale delle Regionali 2010: e Giampiero Marchese non si è mai occupato di finanziamenti per il Partito Democratico del Veneto». Rosanna Filippin è senatore, impegnata nella maratona per le riforme istituzionali. Gli echi che giungono dal Veneto la fanno sbottare: «Mi sento tradita da Piero – spiega Filippin, segretaria regionale tra il novembre 2009 e il febbraio scorso – perché se da un lato ho sempre lavorato bene con lui sul piano organizzativo è altrettanto vero che lui non si è mai occupato di soldi per il Pd regionale. E quando vi furono le prime indiscrezioni lo chiamai e gli chiesi come stavano le cose: e lui mi rassicurò, dicendomi di star tranquilla che tutti i finanziamenti per la sua campagna elettorale erano stati regolarmente registrati ». «Sono addolorata – rileva la senatrice – per quanto sta accadendo ma respingo al mittente accuse o insinuazioni che finanziamenti illeciti siano arrivati al Pd Veneto». E poi ricostruisce: quando diventai coordinatrice veneta nelle casse del partito c’erano poco più di 150 mila euro avanzati dai rimborsi elettorali della Lista Carraro, ai quali si sono aggiunti 757 mila euro anticipati dal Pd nazionale e che dovevano essere restituiti nei quattro anni successivi attraverso i rimborsi elettorali per le regionali (regolarmente arrivati in seguito). La campagna elettorale di Giuseppe Bortolussi alla fine è costata esattamente 1.112.845 euro, troppi, una vera montagna di soldi, anche se evidentemente Luca Zaia spese molto di più, visto che avevamo come la percezione di essere invisibili rispetto all’esponente del Carroccio ed alla copertura mediatica con cui si presentò». Per pagare il resto della campagna e garantire il funzionamento del partito regionale, la senatrice rileva che fu chiesto «un prestito alle banche» e come garanzia «io ed Angelo Guzzo (allora tesoriere) sottoscrivemmo una fideiussione per poter ottenere il finanziamento coinvolgendo il nostro patrimonio personale. I soldi sarebbero arrivati dai rimborsi elettorali che il Pd avrebbe percepito negli anni seguenti». E i 150 mila euro di cui parla Marchese? «Quello che posso dire – conclude Filippin – è che le segreterie provinciali, e quindi anche quella di Venezia, sono state pienamente autonome nel ricevere e gestire i contributi per la campagna elettorale delle regionali 2010. Altrettanto facevano i singoli candidati al consiglio regionale. Per quanto riguarda la mia posizione e quella del Pd Veneto sono più che tranquilla per quanto riguarda la mia gestione e sono disponibile a mostrare a chiunque i documenti che attestano la nostra estraneità ai fatti». E infine chiosa: «Piuttosto Zaia mostri i finanziatori della sua campagna elettorale del 2010».

(d.f.)

 

CERCHIO MAGICO – Da un’intercettazione emergono le manovre dell’ad di Thetis e la guerra tra imprenditori 

Un “cerchio magico” attorno all’allora presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati. Era stato costruito da parte dei più stretti collaboratori dell’ingegnere, ormai ottantenne, in quei mesi vicino al pensionamento, per aiutarlo a prendere le decisioni, ma anche e soprattutto per cercare di piazzarsi in prima fila al momento in cui ci sarebbe stato lo sprint per prendere il suo posto al vertice del Cvn. È quanto emerge da un’intercettazione ambientale registrata dalla Guardia di Finanza all’inizio di gennaio del 2013. A parlare è Claudia Minutillo, l’ex segretaria del Governatore del Veneto, Giancarlo Galan, all’epoca amministratrice di Adria Infrastrutture, la società del gruppo Mantovani, attraverso la quale Piergiorgio Baita partecipava ai principali lavori in project financing della Regione. «Siamo alla guerra ormai, allo scontro finale in Cvn con Thetis e la Brotto (l’amministratrice della società di progettazione facente capo al Consorzio, ndr) – spiega la Minutillo all’assessore regionale alle Infrastrutture, Renato Chisso, in visita nell’ufficio della manager – Purtroppo Mazzacurati questa cosa non la governa più perché lui dice c’ha la sindrome delle badanti. Sai le badanti cosa usano fare… i testamenti a favore, no? Lui ormai non c’è più…».
La Minutillo è preoccupata. Confida a Chisso che chi ha in mano in quel momento il Cvn sta facendo la guerra al gruppo Mantovani (che pure è tra i principali soci del Consorzio) e gli chiede di intervenire: «C’è una cosa che noi ti chiediamo con forza… è una cosa che non avevo mai pensato di doverti chiedere – precisa la Minutillo all’assessore – Baita dice che tu dovresti intervenire direttamente su Mazzacurati e parlargli in prima persona… dicendogli che è insostenibile questa situazione della Brotto… che continua a fare la guerra al gruppo Mantovani… che è impensabile che si tutelino di più due aziende romane rispetto a un’azienda veneta… Condotte e Glf tutto sono fuorché venete…»
La Minutillo spiega a Chisso di essere andata a pranzo con la responsabile della comunicazione del Cvn, Flavia Faccioli e di aver saputo che la Brotto «sta dicendo delle cose inenarrabili, ma soprattutto nei nostri confronti… la sua guerra vera è verso il gruppo Mantovani, perché lei ha l’ambizione di diventare la futura direttore/presidente al posto di Mazzacurati perché lei adesso è la factotum di tutto… É impensabile che il Consorzio anche attraverso Thetis e con la Brotto faccia la guerra ai suoi associati…»
Chisso l’ascolta limitandosi ad annuire. Poi la rassicura in merito al richiesto intervento con Mazzacurati: «Va bene ok. Va bene ho capito» le risponde. La Minutillo insiste, ricordandogli che tra tutte le priorità di cui si deve occupare, questa è la più urgente: «In ordine di importanza: Mazzacurati, accordo di programma, tangenziali venete, SR 10….», ricapitola l’amministratrice di Adria Infrastrutture. «Va bene, ok. Ho capito», ribadisce Chisso. La Minutillo non molla: «Ti prego perché quella del Mazza…. siamo ai ferri corti… e Baita vuole proprio andare allo scontro… Vuole far chiudere la Thetis. È un pozzo senza fondo… Continuiamo a drenare, siamo i soci di questa società, questa ci fa la guerra, si prende i soldi nostri, mette i timbri sui cartigli di lavoro fatto da noi, cioè una roba insostenibile… Ci dai una mano?». «Ho detto di sì – taglia corto Chisso – perché oltretutto mi trovo anche a mio agio, perché mi è sempre stata sul c…»

 

NUOVE ACCUSE – “Tassa” Minutillo per essere ricevuti a Palazzo Balbi

Claudia Minutillo, che gestiva l’agenda di Giancarlo Galan, si sarebbe fatta pagare da chi voleva essere ricevuto a Palazzo Balbi. C’è anche questa accusa nelle “confessioni” dell’ex presidente del Veneto.

L’INCHIESTA Nomi e cifre contenuti nel memoriale dell’ex ministro. «Sono pronto a restituire il denaro»

Ecco chi ha dato soldi a Galan

Da Moretti Polegato a Carlo Archiutti: gli industriali che avrebbero finanziato l’ex presidente nel 2005

«Quel mezzo milione rimase nelle tasche della signora»

«Zannoni e Mevorach consegnarono 500mila euro»

PAGINE SEGRETE – I nomi e le cifre coperti dagli omissis nel memoriale

Galan, ecco i dieci

Da Moretti Polegato ad Archiutti e Gentile: gli industriali

E’ lei la ladra. Non lui. Lui l’ha licenziata perchè rubava. Centinaia di migliaia di euro, non due palanche. E l’ha allontanata senza denunciarla perchè aveva paura che parlasse. E adesso parla lui. Eccome se parla, Giancarlo Galan. Parla e accusa soprattutto Claudia Minutillo, la donna che per 4 anni è stata ben più della sua ombra, quando era il potentissimo Governatore del Veneto.
A leggere la parte ancora segreta del memoriale di Galan – la parte ancora coperta dagli omissis – si scopre che la linea difensiva è duplice. Da un lato Galan ammette per la prima volta di aver preso soldi in nero, ma assicura di averli usati esclusivamente per pagare le campagne elettorali. Non come la Minutillo che li ha presi per tenerseli. E se anche Galan parla di contributi ormai coperti dalla prescrizione, sempre di tanti soldi e tutti in nero si tratta. «Ricordo che alcuni imprenditori consegnavano i denari alla Sig.ra Minutillo ed altri invece direttamente a me.»

DIECI UOMINI D’ORO

Ma chi sono i finora segreti “contributori”? Galan si ricorda dieci nomi e per quanto riguarda le cifre va a spannoni perchè, si sa, quando sono tanti, 10 mila euro in più o 10 mila in meno, come si fa a memorizzare? L’autoaccusa di Galan comincia elencando il nome di Rinaldo Mezzalira «che mi pare versò 50 mila o 100 mila euro». Poi «Giacomo detto Carlo Archiutti (ex senatore trevigiano di Forza Italia, ndr)(costui riuniva i contributi di vari suoi amici) che versò 200 mila euro». Questi due contributi sono stati versati direttamente nella mani della Minutillo – spiega Galan mentre Giovanni Zillo Monte Xillo (128 anni di rinomati cementifici del padovani) ha consegnato la mazzetta di quattrini direttamente a lui. «50 mila euro – ricorda Galan – […], Mario Moretti Polegato (mister Geox) 20 mila euro, Ermanno Angonese tra i 5 mila e i 10 mila euro, Gianni Roncato 17 mila euro, Angelo Gentile (il patron del porto turistico di Jesolo) tra i 5 mila e i 10 mila euro”. Dunque, nella lectio minor di questi contributi stiamo parlando di 357 mila euro. Tutti rigorosamente in nero. Ma adesso viene il bello.
SPARISCONO 500 MILA EURO

«Ebbene – scrive Galan nel suo memoriale segreto consegnato alla Procura delle Repubblica di Venezia – rammento perfettamente che in quei mesi di campagna elettorale la sig.ra Minutillo si appropriò indebitamente di alcune somme consegnate alla stessa da altri imprenditori, denari destinati, come detto sopra, per finanziare la mia campagna. Mi riferisco nello specifico agli imprenditori Piero Zannoni e Andrea Mevorach». Galan viene a scoprire quasi per caso che i due hanno messo mano al portafogli e in modo consistente visto che Zannoni ha contribuito con 200 mila euro e Mevorach con 300 mila. Ma quei 500 mila euro non sono serviti, secondo Galan, a pagare manifesti e cene, comizi e volantini, ma scarpe di marca, lampadari, borsette e gioielli. La prova? Galan dopo la campagna elettorale incontra i due imprenditori. Li ringrazia, ironicamente, per l’aiuto che gli hanno dato. «Fosse stato per voi…» – deve aver detto più o meno Galan ai due che non solo si stupiscono, ma giurano di essersi svenati per lui. Ed ecco il colpo di scena.

I NUMERI DI SERIE  DEI SOLDI

Andrea Mevorach infatti, uomo a dir poco prudente, è in grado di provare quel che dice. «Ricordo che incontrai Mevorach a Rovigno, in Croazia e in quell’occasione mi mostrò i numeri di serie dei denari consegnati alla Minutillo». Mevorach, proprietario dell’ex Feltrificio veneto è l’imprenditore che anche recentemente ha siglato un accordo milionario con il Comune di Venezia per lo spostamento sulle sue terre del Mercato ortofrutticolo di via Torino, acquistato a suo tempo dalla Mantovani di Baita. Ebbene, Mevorach mostra a Galan i numeri di serie delle banconote. Quando si dice la fiducia…
Ancora sulla Minutillo, che diventa il bersaglio principale degli strali di Galan. L’ex Governatore ricorda la «forte contrapposizione anche caratteriale tra mia moglie e la Minutillo» e fa cenno all’inclinazione «di quella donna – la definisce così – a gestire in prima persona come propri ed esclusivi molti rapporti con interlocutori pubblici e privati, senza riferirmi alcunché».

LA DOGARESSA

Insomma Claudia Minutillo si sentiva sul serio una dogaressa e non una semplice segretaria. «Scoprii altresì che la mia odierna “accusatrice” era, in quegli anni, “a libro paga” dell’imprenditore Renato Pagnan (padovano con interessi nel rodigino) a favore del quale seguiva tutte le vicende societarie all’interno della Regione.» Non basta ancora. Secondo Galan la Minutillo non si lasciava sfuggire nemmeno i rivoli dei fiumi di denaro che arrivavano sottobanco in Regione e si faceva pagare “un ticket”, come al pronto soccorso, a chi voleva ottenere un appuntamento con Galan – «e ciò per lucrare vantaggi economici e per avere maggior potere politico». E Galan dice di poter provare che questo sia avvenuto. «L’avv. Gianandrea Rizziera, con il quale avevo un buon rapporto non era mai riuscito ad incontrarmi e a parlarmi (e non si è trattato di un caso sporadico)».

«NON L’HO DENUNCIATA PER PAURA»

Ma perchè non l’ha denunciata? «Avevo timore che la stessa potesse raccontare che per la campagna elettorale del 2005 avevo ricevuto dei finanziamenti non dichiarati.»
Per il resto il memoriale si sofferma su Baita «non ho mai ricevuto denari dall’ing. Baita» e Mazzacurati «mai da lui nulla ho ricevuto». Segue una difesa strenua di Renato Chisso – che ieri ha compiuto 60 anni – «il miglior assessore di tutte le mie Giunte» e di Paolo Venuti, il suo commercialista. Il memoriale si conclude con la puntigliosa ricostruzione dei quattrini spesi per la ristrutturazione della sua villa.

Maurizio Dianese

 

EX SEGRETARIA NEL MIRINO «Metteva il “ticket” sulla mia agenda»

Accuse alla potente collaboratrice: «Lucrava su chi voleva incontrarmi a Palazzo Balbi»

LINEA DIFENSIVA – Contributi già prescritti e attacco alla Minutillo: «Alcuni pagavano lei»

PRESIDENTE-OMBRA «Gestiva tanti rapporti senza riferirmi, lo faceva per denaro e per potere»

La segretaria di ferro. Una specie di vice-presidentessa ombra, come la definì Piergio Baita. La collaboratrice che a volte dormiva a Palazzo Balbi, perchè finiva di lavorare troppo tardi per andare a casa. Una donna attaccatissima al suo lavoro, capace di fare una barriera invalicabile, un filtro efficientissimo, per proteggere il presidente del Veneto dal 2000 al 2005. Dalla ricostruzione che Giancarlo Galan dà ora del lavoro di Claudia Minutillo, viene fuori l’immagine di una persona che gestiva la sua agenda in modo da far accedere alle stanze del potere solo chi voleva lei. Molti erano costretti a mettersi in coda, a restare fuori dalla porta. Altri non sarebbero mai neppure riusciti ad entrare nel salone per conferire con l’uomo più potente del Veneto.
È il sesto degli otto “omissis” svelati nel memoriale di Galan a insinuare che la Minutillo frapponesse il muro della riservatezza per un interesse personale. A volte economico, altre volte di semplice potere. «L’inclinazione di quella donna, rafforzatasi nel corso di quegli anni, a gestire in prima persona come propri ed esclusivi molti rapporti con interlocutori, pubblici e privati, senza riferirmi alcunchè, fu una delle ragioni meno rilevanti rispetto alla motivazione appena esposta, che mi indussero a licenziarla».
Galan parla di una gestione “ad escludendum”. Bisognava trovare gli argomenti giusti – anche di natura economica – per entrare nelle grazie della super-segretaria. Di certo l’indole un po’ pigra dell’esponente di Forza Italia, con tratti del carattere paciocconi e di autentica bonomia veneta, favorirono quella scalata della Minutillo.
Lucrava, cercava un proprio tornaconto. Galan parla di un vero e proprio “ticket” che si doveva pagare per accedere a Palazzo Balbi. Questa l’accusa, collaterale, dopo aver svelato l’episodio dei due versamenti – per un totale di 500 mila euro – di cui si sarebbe appropriata. Non si nascondeva, ma amava esibire vestiti lussuosi, accessori di marca, gioielli. Galan lo vedeva, ma non se ne era preoccupato fino al momento in cui aveva scoperta il “giochetto” dei 500 mila euro. E allora aveva collegato, come riporta al gip, pratiche private e pubblici comportamenti.
L’avvocato Carlo Augenti è difensore della Minutillo, che l’anno scorso venne arrestata, ma cominciò a collaborare quasi subito, portando a far iscrivere il nome di Galan nel registro degli indagati nell’aprile 2013. «Non riusciranno a dimostrare che è inattendibile, perchè la signora Minutillo ha detto la verità» spiega il legale. Che riferendosi alla rottura del governatore con la segretaria, ora definita traumatica, aggiunge: «Lo dice dopo dieci anni? Ma allora come spiega di aver acquistato quote della società dove operava Claudia Minutillo se non si fidava più di lei?».
Dovessimo arrivare, un giorno, a un confronto in udienza pubblica tra l’uomo e la donna che all’alba del nuovo millennio gestivano il Veneto, se ne vedrebbero delle belle. Chissà, tra non molto potrebbe anche accadere.

Giuseppe Pietrobelli

 

VENEZIA – I magistrati inquirenti valutano le prossime mosse dopo la presentazione del memoriale

Ora i Pm devono decidere se indagare (e interrogare) i “sostenitori”

Il memoriale difensivo di Galan è arrivato ieri in Procura a Venezia e i magistrati che indagano sul “sistema Mose” stanno valutando se e come sentire gli imprenditori che, secondo quanto riferito da Giancarlo Galan, avrebbero contribuito “in nero” alla campagna elettorale del 2005 per la sua ri-elezione alla presidenza della Regione. Il lungo tempo trascorso dai versamenti ha fatto in modo che l’eventuale finanziamento illecito ai partiti sia ormai prescritto (la prescrizione scatta dopo 6 anni, che diventano 7 e mezzo nel caso in cui intervenga qualche atto interruttivo, come ad esempio il rinvio a giudizio). Ciò nonostante, se la Procura decidesse di ascoltare gli imprenditori per avere conferma della versione fornita da Galan, dovrà prima iscriverli sul registro degli indagati e convocarli alla presenza dei rispettivi difensori.
Galan ha riferito l’episodio di questi finanziamenti con l’obiettivo di screditare la sua ex segretaria, Claudia Minutillo che, a suo dire, si sarebbe appropriata dei contributi versati da due di questi imprenditori. Le ammissioni di Galan, finalizzate a rafforzare la versione difensiva, rischiano però di diventare un elemento utile alla pubblica accusa: in qualche modo confermano, infatti, la circostanza che la Minutillo si occupava di raccogliere i soldi per conto del Governatore (in parte trattenendoli per sè, in parte facendoli arrivare al destinatario finale). Inoltre pongono inevitabilmente un interrogativo: è credibile che l’allora presidente della Regione si sia fatto finanziare soltanto nel 2005? Tanto più che è lui stesso a dichiarare che così facevano tutti

 

L’ex doge: «Sono pronto a restituire i soldi presi»

FRASE-CHOC L’arrestato ammette i finanziamenti illeciti ma cerca giustificazioni

AMICI GENEROSI «Temevano ritorsioni per questo preferivano non venire alla luce»

CONFESSIONE «Ho sbagliato, mi dispiace, ma è accaduto solo allora»

Il profondo “rammarico” dell’inquilino di Ca’ Balbi

PAOLO VENUTI – Il commercialista amico ha tenuto i conti elettorali del parlamentare. Il professionista è stato arrestato a giugno

Generosità discreta, anche se con cifre a cinque o sei zeri. Sostegno elettorale concretissimo, ma celato nel segreto dei rapporti interpersonali. Non passasse a nessuno per la testa di mettere nero su bianco quei nomi e, soprattutto, quelle cifre. Nè sui bilanci delle aziende donatrici, nè tantomeno in quello del partito, Forza Italia, o del candidato alle regionali del 2005, Giancarlo Galan.
Quando l’ex governatore del Veneto ha dovuto riempire gli “omissis” del suo memoriale, prima di consegnarlo venerdì scorso al gip milanese durante l’interrogatorio di garanzia, si è trovato a dover rispondere preventivamente alla prima e più evidente domanda, non solo dei suoi accusatori, ma anche dell’opinione pubblica. Perchè ha intascato i soldi in modo illecito?
Interrogativo legittimo, visto che in altri punti del documento Galan si straccia le vesti: «Non ho mai ricevuto denari dall’ing. Baita nel corso dei 15 anni di Presidenza della Regione Veneto e ciò vale anche per il periodo successivo». Purezza adamantina anche nei legami con il padre-padrone del Consorzio Venezia Nuova. «Con l’ing. Mazzacurati vi era un rapporto molto formale e mai abbiamo discusso di denaro o di finanziamenti a mio favore. Mai nulla ho da lui ricevuto».
«Ho sbagliato, ho commesso un errore. Sono pronto a risarcire tutto» è la prima sottolineatura – ammissione morale – di Galan, che nelle elezioni politiche del 2013 ha avuto come fiduciario il suo commercialista, Paolo Venuti, arrestato a giugno nella retata anti-Mose. Ora, seppur a distanza di quasi dieci anni, il deputato bolla come negativo il comportamento di allora, quando la sua rielezione a Palazzo Balbi non era neppure tanto controversa. È vero che aveva contro un impreditore come Massimo Carraro del Partito Democratico, tuttavia – lo dimostrò il risultato delle urne – la partita fu piuttosto facile. Raggiunse il 50.5%, lo sfidante si fermò al 42.4, Giorgio Panto prese il 6% dei voti. Per quanto riguarda il risarcimento o la restituzione, essa appare controversa, visto che il reato ormai prescritto non ha una persona offesa, che possa ricevere il pagamento del danno subìto. Al massimo potrebbe ridare i soldi a chi glieli versò allora.
«Erano stati gli imprenditori a insistere perchè i versamenti non fossero resi pubblici» è la seconda spiegazione di Galan. Era in qualche modo costretto a fare in quel modo: «Temevano, nel caso io non avessi vinto le elezioni, che un appoggio politico dichiarato a mio favore potesse danneggiarli nelle loro attività». Insomma, non si volevano esporre a forme di ritorsione, da parte della coalizione vincente.
Galan è abbastanza generico nell’indicare circostanze e modalità dei pagamenti. È evidente che si trattava di contanti, ma non dice come, quando e dove li intascò. E neppure precisa a chi vennero consegnati e come furono impiegati. Il riferimento è comunque alle spese elettorali di una campagna evidentemente molto costosa.
Dall’inchiesta emerge che la filosofia di Giovanni Mazzacurati e del Consorzio Venezia Nuova era quella di pagare tutti, una parte e l’altra. I finanziatori di Galan, invece, la pensavano in modo diverso. L’interessato, però si affretta a precisare che anche se ricevette i soldi – in totale poco più di 350 mila euro – non ebbe nulla a che fare con i 200 mila euro di Piergiorgio Baita dell’Impresa Mantovani. Il manager ha dichiarato di averli consegnati a Claudia Minutillo, in una saletta dell’hotel Santa Chiara di Venezia.
E Galan nega di aver beneficiato di 50 mila euro su un conto nella Repubblica di San Marino. «Si trattava di un conto ufficiale e trasparente aperto a mio nome. Non operai mai alcuna movimentazione, nè impartii disposizione». E sulla somma scomparsa, accusa in base a una perizia grafologica: «Tale conto è stato utilizzato da terzi senza che io ne fossi a conoscenza e con la falsificazione delle mie firme, che formalmente già in questa sede disconosco». Adesso il memoriale integrale, senza gli “omissis”, è diventato un’arma fondamentale nella battaglia del deputato padovano per cercare di ottenere dal Tribunale del riesame che venerdì prenderà in esame il suo ricorso contro l’ordinanza di custodia cautelare del gip Alberto Scaramuzza. Si affilano le spade, nel palazzo di giustizia di piazzale Roma, dove i pubblici ministeri si preparano allo scontro, sicuramente il più cruento di tutta l’inchiesta.

Giuseppe Pietrobelli

 

Dalla sanità alle strade così spartivano gli affari

Minutillo a Chisso: «Padana inferiore, hanno già deciso che deve vincere Maltauro: datti da fare». Nei verbali i rapporti di forza tra l’ex assistente di Galan e l’ex assessore regionale

L’ACCUSA  «Sulla Via del mare ci hai fatto fare un c… così. Sono tutti incazzati»

LE NOMINE «Asl, ti hanno dato per sconfitto sui direttori generali»

EX COMMISSARIO – Silvano Vernizzi. Chisso ammise conflittualità con l’ex commissario alla Pedemontana veneta

Sanità e lavori stradali: la spartizione avveniva a tavolino, dietro una scrivania. Claudia Minutillo, ex segretaria del Governatore del Veneto, Giancarlo Galan, all’epoca amministratore di Adria Infrastrutture, dettava l’agenda delle priorità; l’assessore regionale alle Infrastrutture, Renato Chisso, prendeva nota e assicurava il suo impegno a supporto di Piergiorgio Baita e del gruppo Mantovani, cercando di giustificarsi dalle accuse di contare sempre meno e di essere stato messo in un angolo dagli alleati della Lega, ma anche da qualche compagno di partito.
Dalle intercettazioni ambientali allegate agli atti dell’inchiesta sul “sistema Mose” emerge una realtà che supera anche la più fantasiosa immaginazione e traccia, al di là degli aspetti penali della vicenda, uno spaccato sintomatico del modo di gestione del potere, con appalti suddivisi equamente tra le imprese amiche e accordi preliminari sulle nomine per evitare scontri e per cercare di accontentare tutti.
MICROSPIE – Il colloquio registrato dalle microspie della Guardia di Finanza avviene l’8 gennaio del 2013 nell’ufficio della Minutillo. La Minutillo ad un certo punto mette in funzione un “disturbatore” messo a disposizione da Mirco Voltazza, l’uomo stipendiato da Baita ottenere informazioni sull’inchiesta e cercare di depistarla. Ma evidentemente lo strumento da 007 non funziona troppo bene, considerato che i finanzieri riescono a sentire quasi tutto.
«NON CONTI PIÙ» – L’amministratrice di Adria Infrastrutture rimprovera a Chisso di aver perso potere: «Se alcune persone di riferimento si rendono conto che non vengono più da te su problematiche che interessano le tue deleghe ma vanno da altri, vuol dire che tu non sei più considerato il punto di riferimento. Vuol dire che pensano che possono andare avanti sulle cose a prescindere da te», gli contesta la Minutillo, informandolo che più di un imprenditore si è recato direttamente da Silvano Vernizzi, il commissario delegato ai lavori della Pedemontana. «Ormai lo sanno anche i muri che Vernizzi ha fatto l’accordo e si è rinfrancato per il rapporto stretto tra lui, Zorzato e Degani… (rispettivamente vicepresidente della Regione ed ex presidente della Provincia di Padova, ora sottosegretario del governo Renzi, entrambi esponenti prima di Forza Italia poi del Nuovo Centrodestra) – rincara la Minutillo – E la gente non va più dall’assessore Chisso…»
STRADE & APPALTI – L’allora potentissima ex segretaria di Galan ce l’ha con i lavori della Pedemontana (in particolare con alcuni problemi che il gruppo Mantovani non riesce a risolvere), ma anche con la strada regionale 10, la cosiddetta Padana inferiore, per la quale è in corsa anche la principale concorrente, la vicentina Maltauro. La Minutillo lamenta che «hanno già deciso che deve vincere la Maltauro» (come in effetti accadrà pochi mesi più tardi). Poi parla di Tangenziali venete e della cosiddetta “Via del mare”: «Non stanno andando avanti… – lamenta Minutillo – Cazzo cerca di lavorare – dice all’assessore – Sono tutti incazzati perché hanno detto che ci hai fatto fare un culo così…». E non è finita: «Si preoccupa anche Giorgio (Baita, ndr)… Giorgio dice: io vorrei capire se Renato ha abdicato ad un certo ruolo, se ha deciso che a Vernizzi… se ha deciso di non farsi valere nemmeno su quelle che sono le sue deleghe, perché almeno mi regolo anch’io su come muovermi».
Chisso ascolta e abbozza. Ammette qualche conflittualità con Vernizzi: «Mh, mh… Io mi sono tirato fuori dalla Pedemontana… – spiega – Però le nostre l’ho tutelate…», tiene a precisare. «Non mi pare, Renato», lo contraddice la Minutillo.
SANITÀ & NOMINE – Il discorso si sposta sulla Sanità e la Minutillo va giù ancora più dura: «Ti hanno dato per sconfitto perché sui direttori generali delle Asl non è andato Ruscitti… (l’ex segretario generale della sanità veneta, ndr) Ma questo Dal Ben tu lo conosci?… dicono che il riferimento adesso è Luca Baggio, consigliere regionale (della Lega, ndr)…»
Chisso si difende: «Sì, allora, io ho tenuto duro. Il mio candidato era Ruscitti…. fino a una settimana prima… Zaia mi chiama qua Renato, qua Ruscitti non passerà, semmai facciamo guerra totale o un accordo. Mi propone un accordo e mi fa: io metto un uomo mio però lo metti in mano tua e fai quel che devi fare… – racconta l’assessore – Mi va bene Dal Ben… però dico mi serve anche un uomo che… non faccio la figura del perecottaro… Quindi avemmo Mirano e Mestre… Sì, Gumirato, devo vederlo all’una…»
Gino Gumirato, è stato nominato direttore della Ulss 13 Miranese all’inizio di gennaio del 2013, contestualmente a Giuseppe Dal Ben (Ulss 12 Veneziana).

Gianluca Amadori

 

TRIBUNALE – Il Riesame il primo agosto si pronuncia sull’ex doge

Sarà il Tribunale del riesame il primo a pronunciarsi sulla fondatezza delle accuse mosse all’ex Governatore del Veneto, Giancarlo Galan. L’udienza è fissata per venerdì prossimo primo agosto, davanti al collegio presieduto da Angelo Risi. La difesa di Galan cercherà di smontare il quadro accusatorio, minando la credibilità di Claudia Minutillo, Piergiorgio Baita e Giovanni Mazzacurati. Non è escluso che la Procura abbia nuovi atti da depositare, a riscontro dell’attendibilità dei principali accusatori.
Lo stesso giorno davanti al Riesame saranno discussi anche i ricorsi presentati dall’ex magistrato della Corte dei conti, Vittorio Giuseppone, accusato di corruzione in relazione a somme di denaro che gli sarebbero state versate nel corso degli anni per garantire la massima rapidità al via libera dei provvedimenti riguardanti il Mose. Anche l’imprenditore Andrea Rismondo ha presentato ricorso contro il provvedimento con cui il gip Alberto Scaramuzza gli ha imposto l’obbligo di dimora a Preganziol e di permanenza in casa dalle 20 alle 8.

 

DEMOCRATICI Polemiche dopo la confessione del tesoriere veneto

Tangenti, bufera nel Pd «Da Marchese solo bugie»

E si riapre il “caso” Venezia

L’ex segretaria regionale Filippin: «150 mila euro? Ma se abbiamo fatto un mutuo per pagare i debiti». E nel mirino c’è la federazione lagunare

«Ma quali soldi dal Consorzio Venezia Nuova. Abbiamo dovuto fare un mutuo per pagare le elezioni regionali del 2010». Rosanna Filippin vuole allontanare qualunque sospetto dal “suo” Partito Democratico. “Suo”, perché la testimonianza di Giampietro Marchese si riferisce proprio al periodo, il 2010, in cui le redini del partito erano nelle mani della vicentina, ora senatrice, eletta l’anno prima, con le primarie, a segretaria regionale dei democrat. Che ora sembra ributtare ogni responsabilità nell’altra parte del campo, nell’area del partito provinciale di Venezia che nel 2010 ha gestito in piena autonomia, con fondi propri, la campagna elettorale delle regionali.
L’ex responsabile amministrativo del Pd, ha raccontato ai giudici che nel 2010 ha ricevuto “in bianco”, quindi regolari, 58mila euro dal Coveco (le cooperative “rosse” inserite nel Consorzio Venezia Nuova). A questa cifra, si sono aggiunti, stando sempre alla testimonianza di Marchese, altri 150mila euro, questa volta “in nero”, sborsati sempre dal Coveco, tramite Pio Savioli, a fine campagna elettorale delle regionali per coprire le spese effettuate in eccesso. Di altri versamenti di cui ha parlato Giovanni Mazzacurati, l’allora presidente del Consorzio Venezia Nuova, Marchese non sa nulla.
Di certo, quindi, ci sarebbero 150mila euro che, stando all’ex responsabile amministrativo del Pd, sarebbero entrati nelle casse del partito. «Falso – ribatte la Filippin – Quando sono arrivata alla segreteria del partito in cassa c’erano 150mila euro lasciati dal mio predecessore». Cioé, il padovano Paolo Giaretta che aveva traghettato la Margherita alla confluenza con i Ds e poi verso il Pd. Ma quella cifra? «Mai esistita – aggiunge l’ex segretaria democrat – Tanto che, per pagare le spese sostenute alle regionali 2010, abbiamo chiesto un prestito di un milione alle banche, con garanzie mie e dell’allora tesoriere Angelo Guzzo, e confidando nei rimborsi elettorali, che ancora non avevamo essendo il Pd alla prima esperienza elettorale, che sarebbero arrivati l’anno dopo. Il mutuo si estinguerà il prossimo anno. E sono disponibili tutti gli incartamenti, tutto registrato fino all’ultimo centesimo». Circostanza confermata dal successore della Filippin, il deputato bellunese Roger De Menech. «Quei soldi non ci sono mai stati – ripete il neo segretario – E dall’inizio della vicenda Mose abbiamo voluto marcare la discontinuità. Il partito ha di sicuro una responsabilità politica, ma io non c’entro con quelle cose, è un dovere marcare il confine come ha indicato Renzi».
Nessun commento di Michele Mognato, che a fine 2010 guidava il partito provinciale di Venezia, tirato in ballo dall’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni. Dunque, la domanda resta: dove sono finiti i 150mila euro “in nero” di cui parla Marchese? Spiega la Filippin: «Le federazioni provinciali avevano piena autonomia nello svolgere la campagna elettorale, con fondi derivati dal tesseramento, e senza esborsi da parte del partito regionale. L’azione del partito locale, si affiancava a quanto i singoli candidati pagavano di tasca propria, se lo ritenevano necessario. Il partito regionale si occupava della campagna più in generale, con messaggi politici e il sostegno al candidato governatore». Un bel distinguo, tra “noi e loro”? «Sono i fatti. Mi resta anche l’amarezza per quanto mi ha detto Marchese appena scoppiato il caso: “Non è vero niente”».
Invece, ora sono arrivate le ammissioni dell’ex responsabile amministrativo del Pd. E riassumendo quanto raccontato dalla Filippin e da De Menech, ogni responsabilità giudiziaria sembra ricadere sulla gestione del partito in Laguna.

Giorgio Gasco

 

Mose, si cerca la “talpa” dentro la Corte dei conti

Aperta un’indagine interna per scoprire il magistrato complice della “cricca” caccia a chi anticipava ai vertici del Consorzio il testo delle pronunce dei giudici

VENEZIA – C’è un’indagine interna alla Corte dei Conti per scoprire chi, nel 2009, consegna al Consorzio Venezia Nuova, prima di essere pubblica e per essere “ammorbidita”, la relazione con la quale il giudice Antonio Mezzera, bocciava l’assegnazione senza gara d’appalto, al consorzio unico, della realizzazione del Mose. Un’indagine che potrebbe mettere in difficoltà qualche appartenente della magistratura contabile. Durante diversi interrogatori e da elementi recuperati dagli investigatori è evidente come il CVN avesse una capacità non indifferente di corrompere appartenenti ad uffici pubblici alla scopo di presentare relazioni e documenti “su misura” al Mose. Basti pensare alle relazioni del Magistrato alle Acque preparate dagli stessi tecnici del Mose. Ritornando alla relazione che già nel 2009 bocciava l’assegnazione al Consorzio Venezia Nuova, va ricordato che questa era stata inviata, in parte, dal WWF alla Banca Europea d’Investimenti (BEI). Lettera che serviva a spiegare come si stava per finanziare un lavoro che non aveva ancora un progetto esecutivo unitario. In quell’anno, il WWF ha prodotto una copiosa documentazione spedita al Ministero dell’Ambiente e alla Direzione Generale dell’Ambiente della CE, che aveva aperto sino al 2008 una procedura di infrazione sulla violazione delle direttive comunitarie Habitat e Uccelli, proprio sostenendo la mancanza sia di un giudizio conclusivo di Valutazione di Impatto Ambientale, che della Valutazione di Incidenza sulla Rete Natura 2000, tutelata dell’ Europa (o che almeno dovrebbe essere tutelata dall’Europa). Come è finita lo sappiamo: i soldi dall’Europa sono arrivati, senza VIA e senza progetto esecutivo. La relazione della Corte dei Conti nel 2009 metteva in luce come le procedure seguite per assegnare i lavori di realizzazione del Mose al CVN, erano illegali. Nel paragrafo 3, della relazione “La legislazione per la tutela e la salvaguardia della laguna e della città di Venezia e le sue criticità”, a pagina 14, sulla legge 798/1994 (legge speciale per Venezia e sue modifiche che consentirono l’affidamento dei lavori al consorzio unico), si legge: «Tale disposizione risultò, sin dalla sua emanazione, in contrasto, oltre che con i principi generali che il Trattato comunitario detta in materia di concorrenza, anche con la direttiva CEE in materia di procedure e aggiudicazione di appalti di lavori pubblici del 1971, allora vigente. Peraltro, il legislatore sancì la possibilità e non l’obbligo del ricorso a tale forma di affidamento». La Corte dei Conti è poi esplicita nelle conclusioni della relazione. Si legge a pagina 48: «L’obbligo derivante dalle direttive comunitarie del rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza, che si realizza attraverso l’affidamento dei contratti con gare pubbliche, non risulta ancora osservato per una delle opere più significative in corso di realizzazione dallo Stato italiano», il Mose, appunto. La relazione iniziale ora a disposizione di chi sta conducendo l’indagine interna, era anche più severa, ma non è mai stata resa pubblica.

Carlo Mion

 

Incarichi pagati per 55 consiglieri su 62

Solo sette prendono esclusivamente lo stipendio. Chisso, in carcere per l’inchiesta Mose, incassa ancora l’80% della retribuzione

Compensi ridotti per Bortoli, Falconi, Corsi Piccolo, Gerolimetto, Chisso e Alessandrini

Ogni mese i consiglieri versano 1.229,35 euro per il vitalizio

VENEZIA – Sono appena sette, su sessantadue inquilini di Palazzo Ferro Fini, i consiglieri regionali che non godono dell’indennità di funzione mensile lorda, graduata in ragione della rilevanza istituzionale dell’incarico svolto da ciascuno nell’ambito degli organi veneti. I “non graduati” sono: Mauro Bortoli, 58 anni, alfiere padovano del Partito democratico, che ha ricoperto incarichi di primo piano nei Democratici di sinistra ma non ama i riflettori; Stefano Falconi, 53 anni, di Rosolina (Rovigo), che è subentrato il 10 giugno a Cristiano Corazzari, eletto sindaco di Stienta; l’ex assessore Renato Chisso (60 anni il prossimo 28 luglio), esponente del gruppo Popolo della Libertà-Forza Italia per il Veneto, sospeso dal 31 maggio – in applicazione dell’articolo 8 del decreto legislativo 235/2012 – perché coinvolto nell’inchiesta sul Mose, che si trova in carcere a Pisa; Amedeo Gerolimetto, 58 anni, subentrato (con adesione al gruppo Popolo della Libertà- Forza Italia per il Veneto) al forzista Remo Sernagiotto, a sua volta traslocato all’Europarlamento; il leghista Enrico Corsi, 52 anni, assessore alla Mobilità al Comune di Verona, che ha surrogato Paolo Tosato, proclamato senatore dopo le dimissioni di Massimo Bitonci, nuovo sindaco di Padova. Non hanno incarichi neppure Alessio Alessandrini, alfiere del Pd, che il 24 luglio ha preso il posto del dimissionario Giampietro Marchese (già sospeso dal 31 maggio); Francesco Piccolo (iscritto al gruppo Misto), sostituto temporaneo di Chisso. Indennità di funzione. Tutti gli altri 55 inquilini di Palazzo Ferro Fini possono invece contare su un’indennità di funzione (che varia fra 2.700 e 2.100 euro lordi) che permette loro di rimpolpare l’indennità di carica mensile lorda di consigliere regionale (che è uguale per tutti, a 6.600 euro lordi). Ha invece diritto all’80% dello “stipendio” (5.280 euro al mese) il consigliere sospeso Chisso. L’indennità di funzione, come detto, è graduata in relazione alla rilevanza dell’incarico. La riscuotono piena (2.700 euro lordi) soltanto il presidente della Giunta regionale Luca Zaia (Liga Veneta-Lega Nord Padania) e il “numero uno” del Consiglio regionale Clodovaldo Ruffato (Nuovo centrodestra). Un’indennità lorda di 2.400 euro spetta invece al vicepresidente della giunta regionale (Marino Zorzato, Ncd) e ai due vicepresidenti del Consiglio regionale (il leghista Matteo Toscani e il democratico Franco Bonfante). Stesso trattamento viene accordato agli assessori che sono anche consiglieri (ovvero i leghisti Roberto Ciambetti, Marino Finozzi, Franco Manzato, Maurizio Conte e Daniele Stival, i forzisti per il Veneto Marialuisa Coppola, Elena Donazzan e Massimo Giorgetti). L’assessore alla Sanità Luca Coletto non è consigliere regionale. La stessa indennità di 2.400 euro lordi viene erogata inoltre ai presidenti dei gruppi (che, vista la frammentazione del Consiglio, sono ben 12) e delle commissioni consiliari (sette, più le commissioni Statuto e Relazioni internazionali), nonchè ai segretari dell’Ufficio di presidenza (il forzista Moreno Teso e Raffaele Grazia di Futuro Popolare). Rimborso spese. Il terzo elemento della busta paga dei consiglieri è dato dal rimborso spese per l’esercizio del mandato; questa voce, uguale per tutti i componenti del consiglio, è di 4.500 euro netti. Trattenute. E veniamo alle trattenute. La principale è rappresentata, dopo le imposte sull’indennità di carica e sull’indennità di funzione (che sono appunto lorde), dal contributo mensile di 1.299,35 per il vitalizio. Non mancano le penalizzazioni a carico dei consiglieri assenti. Quelli che non partecipano ad almeno il 20 per cento delle votazioni consiliari utili, nel corso della stessa seduta, sono soggetti a una trattenuta di 40 euro.

Claudio Baccarin

 

L’INCHIESTA – La memoria di Galan approda ai giudici del Riesame

Venerdì l’udienza per valutare l’arresto dell’ex governatore, in carcere restano solo Chisso, Casarin e Venuti

VENEZIA Il primo banco di prova delle pesanti accuse lanciate dal parlamentare di Forza Italia Giancarlo Galan contro i tre supertestimoni dell’accusa sarà venerdì 1 agosto, davanti ai giudici del Tribunale del riesame di Venezia presieduti da Angelo Risi. E’ molto probabile che l’ex governatore del Veneto non si presenterà nell’aula della Cittadella della giustizia di Piazzale Roma,mail suo memoriale, arrivato ieri in laguna con un plico sigillato per il giudice Alberto Scaramuzza, finirà nei prossimi giorni nel fascicolo che i giudici leggeranno e poi si saranno i suoi difensori, gli avvocati Antonio Franchini e Nicolò Ghedini. Non sarà una prova facile, visto che il Tribunale, di fatto, ha tenuto in carcere soltanto coloro che sono accusati delle azioni corruttive commesse in concorso con lui: sono l’ex assessore regionale Renato Chisso, il suo braccio destro Enzo Casarin, il commercialista padovano e prestanome dello stesso Galan Paolo Venuti. Ma l’esponente politico di maggior spicco di questa inchiesta sul Mose ha deciso di difendersi in questo modo, attaccando chi ha parlato di lui e delle mazzette che avrebbe intascato, un attacco che se andasse in porto smonterebbe anche le accuse contro la maggior parte degli altri indagati, quasi tutti ormai o agli arresti domiciliari o del tutto liberi. Anche Galan parla di soldi e accusa Claudia Minutillo di aver incassato contributi elettorali da due o tre imprenditori nel 2005 (almeno 200 mila euro, forse di più) che però si sarebbe tenuta. Non spiega perchè l’ha sì cacciata dal posto che occupava – era la sua segretaria particolare in Regione – ma le ha cercato un posto di rilievo, mobilitando addirittura l’allora potente Lia Sartori per convincere Giovanni Mazzacurati a trovarle un posto al Consorzio Venezia Nuova. Accusa pesantemente anche Mazzacurati, sostenendo che i milioni che dice di avergli consegnato in realtà li avrebbe trattenuti per le sue ville e per i suoi figli. Lo stesso racconta di Baita: i soldi li teneva per sè, nascondendo i l loro uso al vero padrone della Mantovani, Romeo Chiarotto. Ormai, però, ci sono altri che hanno parlato, inoltre ci sono i riscontri cercati e trovati dagli investigatori del Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di finanza. Ai pubblici ministeri Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini ci sono gli imprenditori al vertice del Consorzio con Baita che hanno ammesso di aver raccolto i fondi neri per pagare politici e amministratori. C’è Pio Savioli delle coop rosse, c’è Stefano Tomarelli della romana «Condotte d’acqua» e c’è l’ex magistrato alle acque Patrizio Cuccioletta che ha confermato i racconti dei tre supertestimoni.

Giorgio Cecchetti

 

CRIMINALITà ORGANIZZATA

Azienda infiltrata in affari con Etra e Veritas

Interrogazione di Diego Bottacin (Verso Nord): «Il governatore chiarisca subito»

VENEZIA Perché due multiutility venete interamente pubbliche intrattengono correnti rapporti commerciali con un’impresa in odore di mafia? Parte da questa domanda l’interrogazione urgente del consigliere regionale Diego Bottacin alla giunta veneta guidata da Luca Zaia. Secondo il consigliere regionale di Verso Nord la Ramm srl, il cui amministratore unico è stato arrestato per la terza volta nei giorni scorsi, intrattiene rapporti commerciali con Etra e Veritas, due tra i gestori pubblici della raccolta e smaltimento rifiuti solidi urbani. L’ultimo arresto martedì scorso: l’imprenditore Sandro Rossato, 62 anni, calabrese trapiantato a Padova e titolare della «Rossato Fortunato» di Pianiga (Venezia) è stato arrestato per associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti. L’arresto è stato eseguito dai carabinieri del Ros nell’ambito di una indagine della Procura Antimafia di Reggio Calabria, che avrebbe evidenziato le infiltrazioni malavitose nell’affare dei rifiuti in Calabria. Rossato era finito in carcere una primavolta nel 2006. Secondo Bottacin «A questa azienda – la Ramm Srl – il cui amministratore unico è stato più volte arrestato Veritas Spa da anni affida lavori e servizi, guardandosi bene dall’indire una gara pubblica. Addirittura Etra Spa, di cui sono soci 77 comunidel Padovano e del Vicentino, ha recentemente acquisito un ramo d’azienda dellamedesima impresa». Nel febbraio scorso Etra Spa ha acquistato un ramo d’aziendadellaRammSrl per 545 mila euro. Il primo bonifico – di 160 mila euro – per tale acquisto risulta però fatto quasi due anni prima: il 4 luglio 2012. «Mi chiedo – spiega Bottacin – se sia tutto normale o se la cosa non desti di per sé sospetti. Soprattutto sapendo che l’amministratore unico di Ramm Srl è Sandro Rossato, implicato in indagini sul traffico di rifiuti gestito dalla ‘ndrangheta e arrestato due volte, nel 2005 e nel 2006 per i medesimi motivi». «Martedì scorso», aggiunge Bottacin, «Fortunato è stato arrestato per la terza volta su ordine dalla direzione antimafia di Reggio Calabria. E’ normale che una settimana prima dell’arresto, il 15 luglio 2014 Veritas Spa abbia assegnato a Ramm Srl l’ennesimo appalto per il servizio di raccolta rifiuti per un valore di 39.990,00 euro, cioè appenasotto la soglia?».

 

Cooperativa Coveco, guai anche a Brindisi

Unavviso di conclusione delle indagini preliminari è stato notificato ad otto persone coinvolte in un’inchiesta che riguarda la realizzazione di un terminal passeggeri a Costa Morena (Brindisi). Ipotizzati, a vario titolo, i reati di abuso d’ufficio, falso e violazioni urbanistiche e ambientali. Tra gli indagati, oltre al presidente dell’Autorità portuale fino al 2011, Giuseppe Giurgola, ci sono l’ammiraglio Ferdinando Lolli, che ha tenuto le redini dell’ente nel 2012, l’ex segretario generale dell’ente, Nicola Del Nobile, nonchè funzionari, dipendenti e imprenditori. La gara per la realizzazione di una stazione marittima per i passeggeri in partenza per la Grecia era stata aggiudicata all’Associazione temporanea di imprese (Ati) composta dalla coop Coveco, coinvolta nello scandalo Mose, e dalla società Igeco. L’incarico risale al 2011mai lavori non hanno mai avuto inizio proprio per l’esistenza dell’inchiesta giudiziaria.

 

Gazzettino – Baita: Giancarlo mi raccomando’ la Minutillo

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27

lug

2014

LA CONFESSIONE – Baita: Giancarlo mi raccomandò la Minutillo

Piergiorgio Baita, ex presidente della Mantovani, ha dettato a verbale che l’ex governatore Giancarlo Galan si sarebbe speso in raccomandazioni per Claudia Minutillo dopo averla licenziata.

SPONSOR – Nel memoriale consegnato ai giudici, Giancarlo Galan ammette di aver ricevuto denaro da alcuni imprenditori per la campagna elettorale del 2005, ma nega denaro dal Mose.

CONFERMA – L’ex tesoriere del Pd veneto Giampietro Marchese ha confessato di aver ricevuto 150mila euro di finanziamenti dal Coveco.

L’INCHIESTA Anche l’ex consigliere Pd Marchese ammette di aver ricevuto 150mila euro dal Coveco

 

I CONTRIBUTI – L’ex doge sostenuto con aiuti da centinaia di migliaia di euro

STRATEGIE – Pronti a lavorare tutta l’estate per arrivare a formulare le richieste nei termini di legge

I pm: processo ai detenuti con rito immediato

Il termine massimo, 180 giorni dall’arresto

(gla) Si farà con rito immediato il processo a carico dei principali indagati nell’inchiesta sul cosiddetto “sistema Mose”. Sarebbe questa l’intenzione dei magistrati che coordinano le indagini, i pubblici ministeri Paola Tonini, Stefano Buccini e Stefano Ancilotto, i quali resteranno a lavorare gran parte dell’estate per poter arrivare nei tempi più rapidi possibili a formulare la richiesta di giudizio per tutte le persone detenute. La norma prevede che l’immediato debba essere chiesto entro 180 giorni dall’esecuzione del provvedimento di custodia cautelare, e dunque ci sarebbe tempo fino all’inizio di dicembre. Ma la Procura potrebbe stringere i tempi e chiudere la posizione dei detenuti ben prima, all’inizio dell’autunno.
La richiesta di immediato è possibile unicamente per gli indagati in custodia cautelare e dunque in questo momento riguarderebbe l’ex presidente della Regione, Giancarlo Galan, e il suo commercialista e prestanome, Paolo Venuti; l’ex assessore regionale alle Infrastrutture, Renato Chisso, e il suo segretario, Enzo Casarin; l’ex eurodeputata Amalia Sartori; l’ex presidente del Magistrato alle acque di Venezia, Maria Giovanna Piva (l’altro ex presidente, Patrizio Cuccioletta, ha chiesto di patteggiare); l’ingegnere del Consorzio Venezia Nuova, Maria Brotto; gli imprenditori [……………] e Luigi Dal Borgo; Federico Sutto e Luciano Neri, stretti collaboratori dell’allora presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati. Nonché tutti gli indagati per le presunte attività di spionaggio e di depistaggio delle indagini.
Attraverso il rito immediato viene “saltata” l’udienza preliminare e gli indagati vengono mandati a giudizio direttamente davanti al Tribunale. Salvo che qualcuno di loro non chieda di essere giudicato con rito abbreviato: in tal caso la sua posizione viene definita davanti al Gup.

 

 

 

VERBALI D’INCHIESTA – La segretaria ha minimizzato con i pm l’allontanamento dai palazzi della Regione

L’INGEGNERE «Il Governatore le fece quadruplicare lo stipendio fino a 250 mila euro»

Baita: «Così Galan raccomandò la Minutillo dopo la “rottura”»

Chi dice la verità? Galan che sostiene di aver licenziato Claudia Minutillo, indignato per aver scoperto che si faceva pagare lautamente dagli imprenditori, usando il suo nome? O la segretaria che ai magistrati ha dato una versione minimalista di quel divorzio professionale? E come furono – dopo la frattura – i rapporti tra i due? È credibile che l’uomo politico che aveva messo alla porta la collaboratrice “infedele”, abbia accettato di acquistare quote di una sua società, Adria Infrastrutture, o l’abbia raccomandata?
Su quel sodalizio – esclusivamente professionale – tra Galan e la Minutillo si sono scritte tante cose. Di certo lei fu dal 2000 al 2005 la “donna di ferro” di Palazzo Balbi. Il suo ruolo cominciò ad essere messo in discussione (ma non per ragioni di gelosia femminile, bensì caratteriali) quando sulla scena entrò la futura moglie di Galan. Come avvenne la separazione?
Ecco il racconto della Minutillo al Pm Stefano Ancilotto, nel 2013. «Io seguivo tutta la sua attività di governatore e parte della sua attività politica, facevo da punto di raccordo tra il capo di Gabinetto, il capo Segreteria, l’attività di giunta e quella politica, poi in consiglio regionale con i consiglieri, e poi parte con l’attività del partito».
Piergiorgio Baita, in un interrogatorio, di lei ha detto: «Era l’assistente, ma il mercato ovviamente la chiamava la vice Presidente». Una figura forte, accentratrice, che così ha raccontato al Pm la separazione: «Feci questo fino a fine 2004. Poi nel 2005 c’erano le elezioni, ma già lì il nostro rapporto ho capito che si stava per incrinare e quindi, finita la campagna elettorale, ci siamo lasciati». Tutto qui, mentre Galan nel suo memoriale parla di licenziamento per «ragioni gravi e molteplici».
Il “dopo” è un altro capitolo. Galan dice: «Successivamente ricordo di aver incontrato la signora Minutillo poche volte». E ha negato di averla raccomandata a Baita o Mazzacurati. Il racconto di lei, intrecciato a quello di Baita, dimostra che in realtà le strade continuarono a intrecciarsi, anche se la rottura era stata netta. «Io non mi aspettavo quella decisione, perchè avevo sempre fatto benissimo il mio lavoro, ero apprezzata da tutti. Ebbi due offerte di lavoro: una dall’allora ad dell’Enel, Paolo Scaroni, che mi aveva detto: “Ho sempre apprezzato il tuo lavoro, se vuoi venire a lavorare”, ma mi comportava andare a Roma». Seconda offerta. «Poi arrivò Baita: “Non ti preoccupare, tu vieni a lavorare con me, ti do io una mano”. Fui nominata fin da subito nel cda della Pedemontana Veneta, tant’è che i giornali dicevano che ero lì in nome e per conto di Galan; non era vero. Poi entrai nel cda di Thetis».
Secondo Baita (verbale del 6 giugno 2013), «l’allontanamento della dottoressa Minutillo dalla Regione fu dovuto a un’azione di un certo numero di persone che erano attorno al Presidente, ma che poi è stato curato direttamente dall’onorevole Sartori (Lia, ndr)». Erano trascorsi pochi mesi da quando Baita dice di aver consegnato alla Minutillo, all’hotel Santa Chiara, 200 mila euro per Galan. E Baita sostiene che la rottura con Galan fu solo apparente. «Il presidente la accredita come non più capo di gabinetto di segreteria, ma persona di fiducia attraverso la quale si sarebbero potute ottenere le stesse cose di prima».
Vero? Falso? Di certo la Minutillo finì (grazie a Lia Sartori) a Thetis con uno stipendio di 60-70 mila euro. Baita: «Mi fu fatto presente da Galan e dall’assessore Chisso dell’insoddisfazione della Minutillo, di vario tipo: di ruolo… di retribuzione economica e di relazione e mi chiesero esplicitamente di integrare questa funzione con qualche ruolo più pregnante… la convenienza economica non doveva essere inferiore a 250 mila euro netti all’anno… che credo di non prenderli neanche io». E qui spunta la collaborazione con la società Bmc. Dice Baita: «La Minutillo era socia di fatto, procuratrice per conto di Galan». Possibile tutte questa attenzioni dopo una rottura tanto traumatica?

Giuseppe Pietrobelli

 

«È un tentativo per screditarmi»

«Io non me l’aspettavo facevo bene il mio lavoro»

Lei: «Nel 2005 avevo capito che il rapporto si incrinava»

«Sono sconcertata, preoccupata, le affermazionni di Galan posso essere indotte solo dal tentativo di screditarmi». Questa la reazione di Claudia Minutillo, che ha parlato ieri con l’avvocato Carlo Augenti. Il quale rincara: «Galan licenzia un’impiegata infedele e poi ne diventa socio in Adria Infrastrutture? Non è credibile. E si accorge solo nel 2014 di ciò che accadde nel 2005? È falso, solo un tentativo di difendersi, ma dovrebbe farlo ocn più stile. Se spera di togliere credibilità alla Minutillo si sbaglia: la signora non si è inventata nulla, e le ordinanze di custodia cautelare lo dimostrano».

 

INTERVISTA – Parla l’onorevole Lorena Milanato, ex tesoriera di Forza Italia nella sede veneta a Padova

«Eravamo senza autonomia finanziaria da Roma»

PADOVA – «Non so nulla di come finì la collaborazione di Claudia Minutillo con Giancarlo Galan. Io all’epoca, era il 2005, non ero più in Regione Veneto. Ma ricordo bene come funzionava il finanziamento all’interno del partito». Lorena Milanato, padovana, è deputato di Forza Italia (e del Pdl) da quattro legislature, ininterrottamente dal 2001 a oggi. Una fedelissima di Giancarlo Galan, non a caso lo ha difeso nelle giornate calde che hanno preceduto l’arresto. E gli era vicina già nel 1995, quando Galan divenne governatore per la prima volta.
Lei è indicata nel memoriale dell’ex presidente, in epoca successiva alla scissione di Carollo e all’uscita di scena della Minutillo, “per la specifica delega alla tesoreria, ovvero per le spese correnti della sede regionale che venivano rendicontate e autorizzate dal tesoriere nazionale”.
«È così, confermo. Il partito non aveva autonomia finanziaria in sede regionale. Le fatture venivano inviate tutte a Roma per il pagamento».
E chi gestiva i soldi?
«Non abbiamo mai avuto un conto corrente su cui far confluire finanziamenti, perchè esisteva un unico conto corrente nazionale, in sede centrale. Era Roma che provvedeva a effettuare i pagamenti, regione per regione, tenendo conto delle quote dei tesseramenti».
Nessuna eccezione?
«C’è stato un periodo in cui venne destinata alle strutture regionali una disponibilità mensile per le spese. Si trattava di piccole spese, perchè quelle importanti, come l’affitto della sede, erano liquidate direttamente da Roma. Si faceva così una richiesta di rimborso che veniva liquidata attingendo al fondo. La disponibilità veniva di volta in volta ripristinata dalla segreteria centrale».
Venerdì lei ha fatto visita a Galan nel carcere di Opera. Come lo ha trovato?
«Molto combattivo, tonico, anche se evidentemente non è contento della situazione in cui si trova. Ed è convinto di avere subito un’ingiustizia».

G. P.

 

Galan: ho preso soldi da 7 imprenditori

L’ex ministro ha fornito ai pm i nomi di industriali che nel 2005 l’avrebbero finanziato: «Ma nulla dal Mose»

UNA LUNGA LISTA – Ma la segretaria fece anche i nomi di Gemmo, Marchi, Baita e Stefanel

LA STRATEGIA – Nega i pagamenti per il Mose e indica fatti nuovi, ormai prescritti

MOSSA A SORPRESA – Novità clamorose nel memoriale inedito scritto in carcere

Galan: «Ecco l’elenco dei miei finanziatori»

L’ex governatore ammette: «Nella campagna elettorale del 2005 presi denaro da 7-8 imprenditori»

Nella lista non ci sono i due che, a sua insaputa, avrebbero consegnato i 500 mila euro alla Minutillo

La mossa di Giancarlo Galan è astuta, calcolata, anche se non priva di qualche spericolatezza. Ammettere alcuni finanziamenti illeciti dei partiti risalenti a quasi dieci anni fa, episodi ormai prescritti, per respingere le accuse più gravi di corruzione legate alla realizzazione del Mose, alle elargizioni del Consorzio Venezia Nuova e ai project financing dell’Impresa Mantovani di Piergiorgio Baita. Se la mossa servirà a tirar fuori dai guai (e dal carcere) l’ex governatore del Veneto, lo potranno dire soltanto i tempi della giustizia, l’udienza davanti al Tribunale del Riesame fissata per l’1 agosto, l’esito del ponderoso ricorso contro la carcerazione preventiva.
La novità è però clamorosa, anche se si caratterizza più come una strategia difensiva, che non come l’inizio della resa di fronte alle accuse. Perchè Galan ammette di avere ricevuto denaro, per la campagna elettorale del 2005, da 7-8 imprenditori veneti. Ne fa il nome e indica le somme versate. Importo complessivo, alcune centinaia di migliaia di euro.
Svelando gli “omissis” che contrappuntavano una prima memoria mai consegnata ai Pm, con il memoriale messo venerdì nelle mani del gip milanese che lo ha interrogato nel carcere di “Opera”, Galan ha così riempito le righe rimaste bianche con nomi, fatti e numeri. Tutto inedito. Non si è limitato ad accusare (come abbiamo anticipato ieri) la sua ex segretaria Claudia Minutillo di essersi intascata alcune centinaia di migliaia di euro (quasi 500 mila) da due imprenditori che nel 2005 volevano finanziare la campagna elettorale del Doge. Ha ammesso di aver ricevuto a sua volta finanziamenti illeciti.
I nomi sono coperti dal riserbo e corrisponderebbero, nella giustificazione data da Galan, a imprenditori che con le generose offerte non volevano corrompere il Governatore, ma soltanto aiutarlo nelle spese affrontate per la campagna elettorale che lo vedeva contrapposto a Massimo Carraro, l’imprenditore padovano del Pd che lo aveva sfidato per Palazzo Balbi. Ricostruita così, la vicenda si potrebbe configurare come una serie di finanziamenti illeciti, visto che le dazioni non furono registrate, come impone la legge. Ma si tratta di un reato che, a nove anni di distanza, è ampiamente prescritto.
Secondo Galan, proprio l’identità dei generosi sostenitori dimostrerebbe che quei soldi non avevano nulla a che vedere con il Mose. «Questo è tutto quello che ho preso, nient’altro» dichiara più o meno testualmente. La sottolineatura è importante perchè dimostra come l’indagato sia preoccupato di allontanare i sospetti di “tangenti” legate al Mose e alle Grandi Opere in Veneto.
Nell’”elenco ufficiale” di Galan non sono contenuti quei due imprenditori che avrebbero versato quasi 500 mila euro a Claudia Minutillo, che li avrebbe chiesti sostenendo di parlare per conto del Governatore. L’indagato ha fatto, a parte, anche quei due nomi, affermando che nel 2005, a campagna elettorale conclusa, aveva scoperto i due versamenti, senza aver mai visto un euro, nè essere stato informato dalla Minutillo, che avrebbe gestito la partita in proprio. Questa è l’accusa all’ex collaboratrice, che però, tramite l’avvocato Carlo Augenti, nega tutto e sostiene che Galan si è inventato gli episodi, per screditarla. In totale, così, gli imprenditori che avrebbero finanziato Galan (o la sua segretaria) salgono a 10. Un numero discreto.
Ma a questo doppio elenco vanno aggiunti tre nomi, che sono stati fatti dalla Minutillo. Il Pm Stefano Ancilotto nel 2013, dopo l’arresto per false fatturazioni, le chiese: «Finchè lei è stata segretaria di Galan, ha potuto vedere consegne o sapere anche dal Galan stesso di corresponsioni di denaro dal Baita?». Risposta: «Sì, da Baita, ma non solo». Pm: «Anche da chi?». Minutillo: «Per esempio dalla Gemmo, da Marchi, da altri, insomma. Da Stefanel, da più persone». Anche se gli interessati hanno smentito, l’elenco-fisarmonica, tutto da verificare, porta a 13 i nomi dei supposti finanziatore del Doge, 14 se saranno dimostrati i 200 mila euro versati da Baita.

Giuseppe Pietrobelli

 

FONDI ROSSI – La seconda conferma, dopo quella di Orsoni, di contributi illeciti

LA CONFESSIONE Il finanziamento usato per le spese della campagna elettorale 2010

Marchese, il “cassiere” regionale, riconosce di aver ricevuto 150mila euro da Savioli

LA CONDANNA L’ex consigliere ha chiesto al giudice di patteggiare 11 mesi di reclusione

«Soldi in nero anche al Pd»

La Procura di Venezia la considera l’ennesima, importante conferma del quadro accusatorio sul fronte “rosso” dei finanziamenti illeciti relativi al cosiddetto “sistema Mose”. L’interrogatorio reso nei giorni scorsi e la successiva istanza di patteggiamento ad 11 mesi di reclusione formulata dall’ex responsabile amministrativo del Pd, Giampietro Marchese, costituiscono secondo i pubblici ministeri veneziani un tassello decisivo per l’inchiesta: la prova che i contributi agli esponenti politici sono finiti per anni non soltanto a chi stava al governo della Regione, ma anche all’opposizione. E, dunque, un “pesante” riscontro alla fondatezza di quanto raccontato finora dai principali accusatori.
Ciò anche se le ammissioni di Marchese sono soltanto parziali. L’ex consigliere regionale, assistito dall’avvocato Francesco Zarbo, ha innanzitutto sostenuto che i 58mila euro ricevuti “in bianco” dal Coveco per la campagna elettorale del 2010 sono regolari. Per quanto riguarda i finanziamenti “in nero”, ha confessato unicamente di aver ricevuto 150mila euro da Pio Savioli (ovvero dal Coveco, la componente “rossa” del Consorzio Venezia Nuova) a fine campagna elettorale 2010 per coprire le spese effettuate in eccesso. Ha negato, invece, di aver percepito il resto dei 4-500mila euro che l’allora presidente del Consorzio Venezia Nuova ha dichiarato di avergli versato in più rate. Marchese ha spiegato di aver avuto rapporti con Mazzacurati unicamente per assicurare che le coop rosse potessero avere un posto anche nella fase successiva alla realizzazione del Mose, ovvero nella gestione dell’opera. «Soldi da lui non ne ho mai visti!», ha assicurato Marchese, precisando ai magistrati di essere sempre stato favorevole al Mose, così come sempre contrario alle opere realizzate con lo strumento del project financing. Nel corso dell’interrogatorio non ha fatto i nomi di altri esponenti del Pd eventualmente destinatari dei contributi per il semplice motivo che non avrebbe mai chiesto né dato conto a nessuno della “sua” gestione dei fondi elettorali. «Il mio cliente non si è messo in tasca nulla», ha precisato l’avvocato Zarbo.
Prima di Marchese, nelle scorse settimane è stato l’ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, a confermare di essersi rivolto a Mazzacurati per farsi finanziare la campagna elettorale 2010. Orsoni ha spiegato, però, di non aver mai visto un solo euro in quanto a gestire tutti i fondi sono stati esponenti di spicco del Pd: oltre a Marchese, ha citato i nomi di Davide Zoggia, all’epoca responsabile nazionale degli enti locali del partito di Pierluigi Bersani, e dell’allora segretario veneziano del Pd, Michele Mognato. Queste dichiarazioni e altri elementi di riscontro già raccolti dalla Guardia di Finanza sul fronte “rosso” dei contributi ai partiti sono oggetto di una serie di verifiche e accertamenti ai quali la Procura ha già iniziato a lavorare. Le prime svolte sul fronte “rosso” potrebbero arrivare fin da settembre, a conclusione della sospensione feriale dell’attività giudiziaria.

Gianluca Amadori

 

TRIESTE – Il commissario ha ricevuto le parti sociali sul caso della De Eccher

Serracchiani: indagine sulla A4 conseguenza del Mose

TRIESTE – Nessuna comunicazione in merito a un’inchiesta sui lavori della terza corsia della A4 Venezia-Trieste è pervenuta fino ad ora, né al Commissario straordinario né ad Autovie Venete, la concessionaria autostradale che ne è il braccio operativo. Lo precisa la Struttura commissariale, guidata da Debora Serracchiani, in seguito alla pubblicazione di notizie sull’apertura di un’inchiesta sulla terza corsia della A4 da parte della Procura di Venezia. Una notizia che non ha sorpreso la governatrice: «È il naturale prosieguo delle indagini (dopo quelle sul Mose, ndr) con un raggio d’azione allargato». Serracchiani ha ricordato di aver sottoscritto un Protocollo di legalità con le Prefetture interessate ai lavori del terzo lotto (Venezia, Treviso e Udine) per rafforzare la collaborazione fra le istituzioni e i controlli preventivi.
Intanto la presidente del Friuli ha incontrato a Trieste i rappresentanti di Confindustria e i sindacati del settore costruzioni per approfondire le questioni connesse alla società Rizzani de Eccher, dopo che l’azienda impegnata nei lavori sulla terza corsia dell’autostrada A4 ha ricevuto un’interdittiva antimafia. Serracchiani ha precisato che i due decreti firmati due giorni fa, sulla base di un parere richiesto all’Avvocatura dello Stato, si configurano come «un atto dovuto» da parte del commissario. «Ci auguriamo che la Rizzani de Eccher riesca a chiarire la posizione».

 

I verbali degli interrogatori di Baita in cui il manager rivela gli aiuti per i lavori «Mi accollai i costi, 700 mila euro per la villa e altri 400mila per la barchessa»

‘‘All’architetto Danilo Turato abbiamo dato l’incarico di progettare la nuova sede Mantovani e anche il mercato ortofrutticolo di via Torino a Mestre

‘‘Il portavoce Franco Miracco mi disse se potevo contattare il commercialista Venuti e lui mi chiese se potevo dare una mano al governatore veneto

VENEZIA – Giancarlo Galan al contrattacco. L’ex governatore ha consegnato al gip la memoria difensiva. Uno dei punti delicati è Villa Rodella dove è andato ad abitare, rifatta sostiene l’accusa a spese di Piergiorgio Baita, che a sua volta si rifaceva sovrafatturando i lavori della Mantovani per il Mose. È da sperare per Galan che la sua memoria contenga elementi nuovi, perché quelli noti si riducono alla sua parola contro quella di Baita. Invece c’è altra gente di mezzo. C’è l’architetto Danilo Turato, scelto da Galan e pagato da Baita: se il pagamento non era in nero, si potrà rintracciare, se manca si vedrà il buco (siamo sopra il milione di euro). C’è il commercialista Paolo Venuti, incaricato da Galan di spremere Baita: se non era spremere, perché andargli a parlare della Villa? C’è l’architetto Diego Zanaica, semplice testimone, che su incarico di Turato dirige i lavori e ne parla alla Guardia di Finanza. Galan ha messo mano a tutto. Comprese le cose che potevano funzionare. L’impianto di riscaldamento e condizionamento, per esempio, era con normali termoconvettori: Galan fa posizionare canaline radianti tra i soffitti e il sottotetto, un sistema che funziona a pompa di calore con gas freon, due caldaie, 60 kw di corrente. Bolletta Enel alle stelle. Potrà interessare sentire come Baita ricostruisce il suo ruolo di ufficiale pagatore di Villa Rodella negli interrogatori del 28 maggio e del 6 giugno 2013, davanti ai pm Stefano Ancilotto e Stefano Buccini, assistito dai difensori Enrico Ambrosetti e Alessandro Rampinelli (domande e risposte sono sintetizzate).

D. Lei ha mai sostenuto finanziariamente o fatto eseguire direttamente lavori nella Villa dell’ex presidente della Regione Giancarlo Galan?
R. Li ho sostenuti accollandomi i costi di una società che si chiama Tecnostudio, dell’architetto Danilo Turato, responsabile dei lavori.
D. Chiariamo: Mantovani non fa i lavori?
R. No.
D. Si arrangia a fare i lavori il governatore Galan?
R. Sì, incaricando l’architetto Turato che ha una società propria, misto progettazione e piccola edilizia, con un po’ di operai.
D. Non è proprio una cosa piccolissima.
R. Beh, ma hanno lavorato in tanti lì dentro. Io dico la parte che ho fatto io: ho sostenuto i costi di Tecnostudio, responsabile della progettazione e direzione lavori, per la ristrutturazione dell’abitazione principale nel periodo 2007-08 e per la barchessa nel 2011.
D. Ha pagato in contanti?
R. No, l’ho pagato attraverso incarichi. Mi era stato chiesto dal governatore Galan di provvedere sennò i lavori si fermavano e ho dato 4-5 incarichi diversi, non chiedendo ribassi rispetto alla tariffa progettuale. Conoscevamo già Turato, gli abbiamo dato l’incarico per la nuova sede della Mantovani, la parte urbanistica del mercato ortofrutticolo di via Torino a Mestre, la sistemazione dell’aria Avi-best-is e altri…
D. Ma come faceva uno a sapere quali erano gli incarichi a tariffa piena?
R. Con i soldi che chiedeva. Quando Turato viene a discutere il contratto per la sede della Mantovani mi dice: “Lo so che di solito ti facevo questo prezzo, ma siccome ho sostenuto questi costi per la villa di Galan,fammi il contratto con quest’altro prezzo”.
D. Questo risulta dai preventivi?
R. Forse li ha il rag. Buson. Esistevano, ma non formalizzati. Turato mi dava un pezzo di carta e diceva: “Questi sono i costi”.
D. A quanto ammontava lo sconto?
R. Considerato che potevo chiedere un ribasso del 50% su quei preventivi, credo che abbiamo contribuito alla Villa di Galanc on 700 mila euro.
D. Per tutta l’operazione?
R. Solo per la Villa. Per la barchessa altri 400 mila. Ricordo che il preventivo iniziale
di spesa, che Turato mi ha fatto vedere, della villa senza la barchessa, era di un milione e ottocento mila euro. Galan, attraverso il suo addetto stampa Miracco, che è mio amico, mi disse se potevo contattare Paolo Venuti. Vado nell’ufficio di Venuti che mi mostra i conti e mi dice come intendeva coprirli: una parte con un mutuo, Bnl credo, una parte con dei soldi che Galan e la moglie avevano e per la parte residua col mio aiuto. Io ho preso atto.
D. E poi?
R. Poi la prima volta che ho trovato Galan, gli dissi che non potevo farmi carico di tutto. Lui mi ha chiesto se potevo almeno venire incontro alle parcelle di Turato. Va bene, vediamo le parcelle di Turato. La cosa è cominciata così.
D. Le richieste di aiuto sulla casa le ha sempre fatte direttamente Galan?
R. Sì. Cioè, direttamente dopo un po’ che io facevo orecchie da mercante con Turato. Turato non aveva problemi: se non aveva i soldi, sospendeva i lavori. Era lui che gestiva tutte le presenze dentro il cantiere.
D. C’era un corrispettivo per questa dazione?
R. Guardi, se il presidente della Regione dove lei ha investito qualche milione di euro le dice “Mi dai una mano?”, lei gliela dà quando è così esposto.
D. Quindi lui vi chiedeva e voi davate?
R. Per forza, come si fa a dire di no?

Renzo Mazzaro

 

M5S all’attacco: «Poteva venire alla Camera ora la presidente Boldrini faccia chiarezza»

«Galan sarebbe stato dimesso dall’ospedale di Este martedì mattina alle 9.39. Così, mentre in Parlamento si chiedeva un ennesimo rinvio del voto per l’autorizzazione a procedere, e qualcuno minacciava di far saltare il tavolo delle riforme, l’onorevole di Forza Italia aveva già in tasca il foglio di dimissioni». È quanto si legge in un comunicato dei deputati del Movimento Cinque Stelle. «Nei documenti ospedalieri », continuano, «si attesta nei confronti di Galan una patologia perfettamente compatibile con un trasporto in Parlamento per difendersi. E non a caso apprendiamo ancora, da notizie di stampa, che la Procura di Venezia avrebbe sequestrato l’incartamento clinico del deputato. Ma», concludono, «senza doversi sempre rimettere alla magistratura, chiediamo alla presidenza della Camera di fare chiarezza sulla vicenda». I deputati M5SLuigi Di Maio (nella foto), Riccardo Fraccaro e Claudia Mannino ricordano inoltre che il 15 luglio ilM5S ha depositato una proposta di legge che punta a sospendere interamente l’indennità dei deputati arrestati.

 

Galan: tangenti alla Minutillo

Nel memoriale consegnato al gip nuove accuse all’ex segretaria

Scandalo Mose, Giancarlo Galan ieri ha fatto scena muta davanti al gip di Milano Cristina Di Censo. Ma ha presentato un memoriale difensivo dove attacca la sua ex segretaria Claudia Minutillo: «Incassava tangenti».

Mose. Scarcerati Marchese e due chioggiotti

Galan contro Minutillo «Incassava tangenti»

Interrogatorio in carcere: consegnato memoriale di 35 pagine con l’autodifesa dalle accuse lanciate da Mazzacurati e Baita

VENEZIA – Nonostante avesse più volte chiesto di essere interrogato, ieri, Giancarlo Galan ha fatto scena muta, avvalendosi della facoltà di non rispondere, davanti al giudice milanese Cristina Di Censo, ma le ha consegnato un memoriale scritto di suo pugno di 35 pagine in cui attacca chi lo accusa e che stamane un finanziere partito appositamente da Venezia andrà a ritirare per consegnarlo al giudice lagunare Alberto Scaramuzza, il magistrato che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare per il deputato di Forza Italia ed ex ministro. Solo indiscrezioni sul contenuto del memoriale, anche se in parte lo stesso Galan aveva reso nota la sua linea difensiva in un’affollata conferenza stampa prima che la Giunta della Camera decidesse il suo destino. Il suo obiettivo principale è la sua ex segretaria Claudia Minutillo: lui si è sentito tradito dalle rivelazioni di lei e in ogni occasione non manca di screditarla, squalificarla, in modo da rendere poco credibili le accuse che lei ha lanciato contro di lui. Nel memoriale avrebbe finalmente rivelato il vero motivo del suo licenziamento dalla sua segreteria in Regione, dopo averne soltanto accennato nella conferenza stampa da libero, e promettendo che più avanti ne avrebbe rivelato il vero motivo, che non era la gelosia della moglie Sandra Persegato. Nel documento che oggi sarà consegnato al giudice veneziano sta scritto che Claudia Minutillo era stata cacciata dal posto che occupava, quella di segretaria particolare del presidente della Regione Veneto, perché lo stesso presidente aveva scoperto che in due o tre occasioni aveva ricevuto danaro – più di 200 mila euro complessivamente e non da imprenditori con interessi sul Mose, ma sempre di tangenti sembra trattarsi – da soggetti esterni all’amministrazione regionale. Nel memoriale ci sarebbero nomi e cognomi e, dunque, sarà facile per i pubblici ministeri Paola Tonini e Stefano Ancilotto controllare la circostanza se davvero è riportata l’identità di coloro che avrebbero versato del denaro alla Minutillo. Da ricordare, comunque, che all’epoca dei fatti, che sarebbero già caduti in prescrizione, l’ex segretaria non fu licenziata ignominiosamente e denunciata, ma in tanti si mossero per sistemarla in un posto degno di lei. Si mobilitò addirittura la potente Lia Sartori, allora lo era davvero ed era anche «soggetto di assoluta fiducia di Galan», per convincere Giovanni Mazzacurati ad assumere al Consorzio Venezia Nuova Minutillo perché c’era bisogno di ricollocarla degnamente. Alla fine, infatti, si trasformò in manager e divenne amministratore delegato di Adria Infrastrutture. Le accuse di Galan riguardano ancheMazzacurati, accusato di essersi appropriato dei soldi del Consorzio giustificando poi gli ammanchi con il pagamento delle tangenti. Per i lavori per la villa di Cinto Euganeo, ha negato la circostanza che a pagarli fu Piergiorgio Baita, come da lui sostenuto. Per l’avvocato Franchini, Galan «ha dato una risposta puntuale a tutte le contestazioni ». L’interrogatorio concluso con la dichiarazione dell’intenzione di avvalersi della facoltà di non rispondere è durato poco più di mezz’ora nel carcere di Opera, tanto che nessuno dei due difensori, gli avvocati Nicolò Ghedini e Franchini, si sono presentati. A sostituirli un giovane avvocato veneziano.

Giorgio Cecchetti

 

Scarcerati Marchese e i Boscolo

Raggiunto con i pm l’accordo per patteggiare. Sartori, le motivazioni del Riesame

VENEZIA – Sono stati scarcerati dagli arresti domiciliari in tre, ieri, dopo che i loro difensori hanno raggiunto l’accordo sulla pena con i pubblici ministeri Paola Tonini e Stefano Ancilotto: l’ex consigliere regionale del Pd Giampietro Marchese, gli imprenditori di Chioggia Stefano Boscolo Bacheto, titolare della «San Martino», e Gianfranco Boscolo Contadin, titolare della «Co.Ed.Mar.». L’accordo è stato raggiunto per patteggiare undici mesi di reclusione Marchese, accusato di illecito finanziamento al partito, due anni di reclusione con la pena sospesa i due Boscolo, ma Bacheto verserà 700 mila euro e Contadin 800 mila alle casse dell’Erario (sono accusati di corruzione e reati fiscali). Tutti hanno sostanzialmente ammesso le proprie responsabilità e confessato, in particolare Marchese ha confermato di aver ricevuto dalla mani di Pio Savioli 150 mila euro per le campagne elettorali del partito senza averli registrati e sapendo che pure dall’altra parte non avevano contabilizzato l’uscita del denaro. Anche i due imprenditori hanno parlato, confermando di aver consegnato considerevoli cifre a Giovanni Mazzacurati, anche 700-800 mila euro all’anno, attraverso falsa fatturazione, soldi che andavano a formare il fondo nero da utilizzare per pagare politici e funzionari. Ieri, intanto il presidente del Tribunale del riesame Angelo Risi ha depositato le motivazioni a causa delle quali l’ex europarlamentare Lia Sartori è rimasta agli arresti domiciliari essendo stato respinto il ricorso dei suoi difensori, tra i quali c’è l’avvocato Franco Coppi. Il Tribunale ricorda prima di tutto chi ha accusato l’esponente vicentina del Centro destra: c’è Giovanni Mazzacurati che racconta di aver consegnato 200 mila euro in quattro «dazioni» da 50 mila perché gli «era stata espressamente richiesta dalla Sartori»; Baita sostiene di essere stato presente negli uffici del Consorzio quando Mazzacurati consegnò una di quelle quattro tangenti, mentre sempre l’ex presidente del Consorzio afferma di averne consegnati altri 50 all’Holiday Inn di Marghera. Per i giudici, però, soltanto due delle «dazioni» da 50 mila sono provate, grazie al riscontro dei militari della Guardia di finanza che avevano seguito Mazzacurati fin dentro l’hotel e grazie alla testimonianza di Baita che conferma Mazzacurati. Nessun altro riscontro al racconto del secondo, invece, per le altre due. I giudici veneziani, inoltre, indicano Lia Sartori come «soggetto di assoluta fiducia di Galan» e l’esistenza di «un suo preciso ed apicale ruolo politico e di forte influenza sia interna al partito che sui singoli esponenti». Infine, ritengono che debba restare agli arresti domiciliari «poichè non risulta affatto che si sia allontanata dal contesto politico di appartenenza che ha costituito l’occasione per la consumazione dei reati contestati».

Giorgio Cecchetti

 

Sì al commissario per Venezia Nuova

Governo al lavoro per replicare il provvedimento sull’Expo

Fabris: «Gestione del Mose complessa, gara per la gestione»

VENEZIA – Sul Consorzio Venezia Nuova incombe, più concreta che mai, la possibilità di giungere al commissariamento da parte dell’esecutivo. Il governo ha depositato infatti in commissione affari costituzionali un emendamento al decreto legge sulla pubblica amministrazione che estende la possibilità di commissariamento anche ai general contractor e alle società concessionarie, quale effettivamente è il Consorzio veneziano. Un emendamento Expo/Mose, dunque, che segna la volontà del governo di riservarsi l’ultima parola sulle due grandi opere infrastrutturali attualmente sotto i riflettori della giustizia. «Siamo assolutamente sereni e consapevoli di aver realizzato una forte azione di discontinuità sin dall’anno scorso – spiega il presidente del Consorzio Venezia Nuova, Mauro Fabris –: con il governo siamo in costante contatto, così come con l’Autorità anticorruzione. Credo che sia il sottosegretario Luca Lotti, che il ministro per le Infrastrutture che l’autorità anticorruzione abbiano compreso l’assoluta complessità gestionale del Consorzio e delle opere di salvaguardia della laguna». Fabris non lo dice, ma ritiene il commissariamento una eventualità che rischia di inceppare il delicato meccanismo di completamento dei lavori del Mose, giunto in questo momento al 90 per cento della sua realizzazione (con una spesa pari a 5,4 miliardi di euro). Detto questo, tuttavia, il Consorzio allarga la braccia e vive come se tutto dovesse procedere secondo previsione. «Aver scongiurato il blocco dei lavori e assicurato la continuità dell’opera nei tempi previsti è già stato un risultato straordinario – ammette Mauro Fabris – di cui andiamo profondamente orgogliosi. Gestiamo tutti i giorni la situazione di cinquanta imprese consorziate, la prosecuzione della posa dei cassoni, l’avviamento dell’opera, le verifiche e i controlli quotidiani è straordinario. Tanto più con le ripercussioni di un’inchiesta giudiziaria di queste proporzioni. Ma la salvaguardia di Venezia ha già voltato pagina: ritengo che questo governo abbia la possibilità, ora, di mostrare al mondo con orgoglio quanto è stato fatto. E l’obiettivo, nel futuro, sarà proprio quello di esportare la tecnologia del Mose nel mondo». L’idea che Mauro Fabris accarezza, infatti, è quella di partecipare alla salvaguardia di New York (un lavoro da 800 milioni di dollari) e di coltivare la propria presenza nel network delle città che hanno realizzato opere di difesa dall’acqua I-Storm (comprende Londra, San Pietroburgo, l’associazione delle città olandesi). «Una cosa è certa: il Consorzio si scioglierà alla fine del 2016, alla conclusione dell’opera – spiega Mauro Fabris –: detto questo, abbiamo già trasmesso al governo la nostra disponibilità ad aprire la fase di avviamento del Mose a tutti i gruppi internazionali che potrebbero concorrere alla sua gestione, proprio per rendere trasparente il processo di affidamento e i costi di manutenzione di quest’opera. Siamo disponibili a rinunciare al vantaggio, che pure ci è riconosciuto in concessione, di gestire l’avviamento del Mose per due anni dopo la conclusione ». Mauro Fabris ritiene possibile che, sin dai primi mesi del 2015, il Consorzio possa offrire al governo tutti gli elementi utili legati alla futura gestione del Mose, per consentire l’avvio delle procedure di gara. «Perché chi gestirà il Mose dovrà passare attraverso una gara internazionale» conclude.

Daniele Ferrazza

 

Gli appalti non vinti da Gemmo impianti

Scrivo in nome e per conto della società Gemmo Spa, in merito all’articolo pubblicato il 18 luglio scorso dal titolo «Quote IHFL con Galan. Al di là delle vicende personali ed amministrative descritte nell’articolo, alle quali la società Gemmo è pacificamente del tutto estranea, risultano comunque indicati fatti e circostanze non rispondenti al vero che. L’articolo afferma infatti che Gemmo Impianti avrebbe beneficiato del «lancio degli appalti per area vasta», tanto che «la gestione calore negli ospedali andava quasi dappertutto alla Gemmo Impianti, una delle poche imprese abituate a vincere sempre nel quindicennio Galan». L’informazione è erronea, perché: 1) delle cinque gare per la gestione calore “aree vaste” bandite nella Regione Veneto,Gemmo non ne ha purtroppo vinta nemmeno una; 2) delle “gestioni calore” delle ventidue Ulss e delle due Aziende ospedaliere della Regione,Gemmo ne ha avuta in gestione una ed una sola (Ulss 5 Alto Vicentino dal 2001 al 2009); 3) non essendo risultata vincitrice nelle suddette gare (che non sono dunque il “giochino” così definito dall’articolista), Gemmo ha proposto ricorso al Tar e non ha invece subìto le impugnazioni erroneamente citate nell’articolo.

avvocato Michele Tiengo – Padova

 

Antimafia, il Tar dà ragione a Sacaim

Riprendono i lavori di completamento della bretella tra Mira e Dolo: Veneto Strade li aveva sospesi

VENEZIA Anche la Sacaim, storica azienda veneziana, è stata oggetto di una informativa interdittiva antimafia emessa dal Prefetto della città lagunare. Ma l’azienda, oggi controllata dal gruppo friulano Rizzani De Eccher, ha impugnato il provvedimento amministrativo davanti al Tar ottenendo, per ora, la sospensiva sull’efficacia del provvedimento. A seguito di questo provvedimento, sono stati bloccati il cantiere del nuovo carcere di Rovigo e la bretella compresa tra le opere di completamento del Passante di Mestre tra Mira e Dolo. L’informativa interditiva antimafia è stata emessa lo scorso 8 luglio dal Prefetto di Venezia, sulla base di una riunione interforze cui ha partecipato anche la Dia di Padova. La Sacaim, acronimo di Società Anonima Cementi Armati Ing. Mantelli, dopo essere stata posta in liquidazione dalla precedente proprietà, è stata rilevata nel 2012 dal gruppo De Eccher. L’informativa sulla Sacaim in particolare faceva riferimento alla tesi secondo la quale l’acquisto da parte del gruppo DeEccher non avrebbe «carattere esclusivo di operazione di investimento finanziario», ma si spiegherebbe con la «volontà di acquisire in via diretta la gestione dell’esecuzione di grandi opere pubbliche in settori sensibili alle infiltrazioni mafiose». Sulla base di questi elementi il Prefetto ha emesso l’interditiva, segnalando alle stazioni appaltanti la possibilità di infiltrazione mafiosa nei cantieri della Sacaim. Il Tar ha giudicato non sufficiente il quadro indiziario esposto dal provvedimento della Prefettura concedendo la sospensiva. Adesso toccherà sempre al Tar, il prossimo 11 settembre, esprimersi nel merito. Nella fattispecie, possono riprendere i lavori tra Mira eDolo, commissionati da Veneto Strade, per la realizzazione di un anello stradale da 13 milioni di euro in corso di completamento. Una interditiva analoga era stata emessa, più o meno nello stesso periodo, anche nei confronti della Rizzani De Eccher. In questo caso, il commissario straordinario (è il governatore del Friuli, Debora Serracchiani) ha provveduto a sospendere l’appalto legato ai lavori di completamento della Terza corsia dell’A4. Si tratta di un appalto legato al terzo lotto sul ponte sul Tagliamento-Gonars. L’azienda si è sempre dichiarata «stupita e sconcertata » per gli indizi emersi da una serie di controlli ai cantiere dell’impresa di costruzioni. Per Rizzani De Eccher l’inerdittiva significa lo stop ai lavori del nuovo ospedale di Udine e di una fornitura per l’Expo. L’80 per cento delle commesse del gruppo, tuttavia, si trovano all’estero, in particolare nel NordAfrica.

(d.f.)

 

NUOVO FRONTE – La Procura di Venezia apre un’indagine sul lotto della A4 realizzato da Mantovani, Coveco e Impregilo

Mose, l’inchiesta corre in Terza Corsia

E Galan accusa: «La Minutillo intascò 500mila euro versati da due imprenditori per la mia campagna elettorale»

L’AUTOSTRADA – L’inchiesta Mose ora interessa anche la terza corsia in costruzione sulla A4. La Procura apre un’indagine sul lotto realizzato da Mantovani, Coveco e Impregilo.

IL MEMORIALE – Nel dossier consegnato ai pm Galan accusa: «Cacciai la Minutillo perchè si intascò 500mila euro versati da 2 imprenditori per la mia campagna elettorale».

A VENEZIA – Si indaga sui lavori da Quarto d’Altino a San Donà di Piave

GRANDE OPERA – I lavori affidati a Mantovani, Impregilo e Coveco

IL MAGISTRATO – È il pm Ancillotto a condurre l’indagine: alcune anomalie sarebbero già emerse

L’OBBIETTIVO – Si cerca di capire se anche in questo caso sia stato applicato il “sistema Mose”

Dopo il Mose, la terza corsia inchiesta della procura sulla A4

La Procura della Repubblica di Venezia ha aperto un’inchiesta sui lavori della terza corsia A4 Venezia-Trieste. La conferma è venuta ieri dagli ambienti giudiziari lagunari, dove gli accertamenti vengono coordinati – in parallelo con le inchieste attorno al Mose – dal Pubblico ministero Stefano Ancillotto.
Gli inquirenti, che hanno a suo tempo acquisito sia gli atti in possesso della Regione Veneto (come si è già riferito) che altri documenti relativi ai cantieri del primo lotto Quarto d’Altino-San Donà, intendono accertare se possano essere configurate analogie fra il “sistema” messo a nudo per il Mose e le gare d’appalto relative alla grande arteria autostradale del Nordest.
Le indagini sono coperte dal massimo riserbo, tuttavia si è appreso che la Procura avrebbe già riscontrato alcune anomalie, sulle quali si stanno ora realizzando approfondimenti istruttori. Come si sa, il primo lotto della terza corsia è stato aggiudicato a un’Associazione temporanea d’imprese alla quale partecipano Mantovani, Impregilo e Coveco. La presenza della Mantovani non rappresenta, naturalmente, una prova, tuttavia sostanzia il sospetto degli inquirenti.
Ma in realtà l’indagine potrebbe spaziare anche su altri lavori della medesima grande opera. La domanda alla quale la Procura veneziana intende trovare risposta è in sostanza: i metodi illegali scoperti sul fronte veneziano sono stati o meno adottati anche per altri grandi lavori pubblici come la terza corsia? Occorrerà probabilmente del tempo per scrivere questa pagina in un senso o nell’altro.
Intanto sale l’incertezza sul terzo lotto (Tagliamento-Gonars, ora Portogruaro-snodo di Palmanova), già nel 2010 assegnato all’associazione fra Pizzarotti e Rizzani de Eccher. Quest’ultima è stata colpita da un decreto di revoca dell’affidamento per mano della presidente-commissario Debora Serracchiani, sulla base di un’informativa interdittiva adottata dalla Prefettura di Udine. Entrambe le misure sono ora soggette a impugnazione davanti al Tar, con ricorso che sarà formalizzato dall’impresa all’inizio della prossima settimana.
La Rizzani de Eccher, che opera in 20 Paesi sparsi in tutto il mondo, considera fortemente ingiusta la misura, che le impedisce di partecipare a gare indette da Pubbliche amministrazioni italiane. Ma perché si è ritenuto di mettere in campo una misura interdittiva così pesante, per conseguenze e per immagine? Storie vecchie di decenni? O storie “fresche” riguardanti il Mose o appalti ad esso correlabili? Nossignori, niente di tutto questo.
Occorre spostarsi all’Est del Nordest, in quell’incantevole baia di Sistiana, nel Golfo di Trieste, dove la Rizzani de Eccher ha realizzato un villaggio turistico da sogno: Portopiccolo. Secondo l’impostazione che ha ispirato l’informazione interdittiva, infatti, il sistema di micro-parcellizzazione in sub-appalti adottato dalla società friulana porrebbe in linea teorica la questione del rischio di infiltrazioni da parte della malavita organizzata. A Sistiana hanno lavorato 287 imprese con circa tremila lavoratori complessivi e picchi di presenza di 700 addetti al giorno.
Un teorema, secondo la Rizzani de Eccher, che non ha costrutto alcuno. E che ora si prova a “smontare” in due distinte sedi istituzionali: innanzitutto il Tar, come si è detto, per conseguire prima la sospensione e poi l’annullamento della misura interdittiva e del decreto di revoca dei lavori firmato dal commissario Debora Serracchiani (peraltro un atto tecnicamente dovuto); ma anche il Ministero dell’Interno, dal quale dipende la Prefettura di Udine che ha emanato il “veto” antimafia.

Maurizio Bait-Antonella Lanfrit

 

LA STORIA DELL’OPERA – Mezzo secolo di attesa, c’è voluta una strage per sbloccare il progetto

Il progetto terza corsia nasce ancora negli anni Cinquanta come progetto politico di strategia di collegamento. Ma assume sostanza operativa soltanto a partire dal 2007, anno della prima convenzione fra Autovie Venete e Anas per realizzare la grande opera. Dopo la strage autostradale di Cessalto (7 morti), nel 2008 il Governo istituisce il commissario straordinario su richiesta di Veneto e Friuli Venezia Giulia.
Nel 2009 si stipula una nuova convenzione con piano finanziario che supera i 2 miliardi di euro. Nello stesso anno avviene l’aggiudicazione definitiva del primo di 4 lotti della terza corsia: da Quarto d’Altino a San Donà all’associazione d’imprese Mantovani, Impregilo, Coveco, Socostramo e Carron. Oggi questo lotto è realizzato quasi all’80%. Sempre nel 2009 aggiudicato anche il casello di Meolo a Vidoni e Brussi (inaugurato nel 2012).
Nel maggio 2010 aggiudicazione definitiva al consorzio Pizzarotti-Rizzani de Eccher del terzo lotto. È in corso la progettazione definitiva, mentre i lavori – già affidati definitivamente senza provvista di liquidità – sono ora revocati dal commissario Serracchiani.
Nel luglio del medesimo anno si aggiudica provvisoriamente il quarto lotto Gonars-Villesse a Cmb in associazione con ccc, Cgs e Consorzio stabile grecale. Quanto al secondo lotto, da San Donà al Tagliamento, è stata completata la progettazione definitiva ma il cantiere dev’essere ancora posto a gara.
Aggregata al progetto terza corsia A4 la trasformazione in autostrada della Villesse-Gorizia, opera di 17 chilometri completata in tre anni nel 2013.

 

IL SEGRETO – Il caso non venne mai denunciato: solo pochi in Forza Italia sapevano

I FINANZIATORI – Fatti ai magistrati i nomi dei due generosi sponsor: saranno interrogati

TESTE CHIAVE – La funzionaria è una delle “gole-profonde” dell’inchiesta Mose

LA CONTROFFENSIVA – Così l’ex ministro cerca di demolire la credibilità della sua ex segretaria

VENEZIA – Sono 35 le pagine del nuovo memoriale di Galan, erano 28 quelle del dossier contrappuntato da omissis preparato a fine giugno. Significa che sono 6 o 7 le pagine nuove, scritte e corrette in carcere, con l’attacco a Claudia Minutillo. Ieri all’interrogatorio di garanzia a “Opera” era presente l’avvocato Giuseppe Lombardini. Galan si è avvalso della facoltà di non rispondere, anche perchè non aveva di fronte il gip che ne ha ordinato l’arresto. ««Abbiamo dato una risposta puntuale a tutte le contestazioni» ha poi spiegato l’avvocato Antonio Franchini. Ma la difesa, oltre che con l’ex segretaria, ne ha anche con Piergiorgio Baita e l’ex presidente del Consorzio venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati. «Non si comprende – continua il legale – chi gli abbia mai consegnato dei soldi. Risulta poi dalle carte processuali che Mazzacurati si appropriava dei soldi. È comodo quindi dire “li ho consegnati” a questo o a quello per poi coprire le proprie responsabilità». Il riferimento è alle spese pazze di Mazzacurati (e della sua famiglia), che potrebbe essersi approfittato del denaro del Consorzio Venezia Nuova, simulando pagamenti di tangenti in realtà non avvenuti.
Il memoriale replica alle altre accuse. «È fantasioso che Galan abbia ricevuto dal Consorzio uno stipendio annuale di un milione di euro. Poco credibili i pagamenti a distanza di anni per il Mose. Non vi sono conferme al versamento di 200 mila euro da Baita alla Minutillo per Galan all’hotel Santa Chiara di Venezia». E il conto in una banca di San Marino dove furono movimentati 50 mila euro? «Era un conto “ufficiale e trasparente” aperto per un accordo della Regione Veneto con la Repubblica. Non operai alcuna movimentazione, ma è stato utilizzato da terzi con la falsificazione delle mie firme». La villa di Cinto Euganeo asseritamente ristrutturata con i soldi della Mantovani? «Non esiste che lui abbia pagato – taglia corto l’avvocato Franchini – abbiamo portato i bonifici e le fatture di tutti i versamenti».

Giuseppe Pietrobelli

 

Galan: «Cacciai la Minutillo perchè si prese 500mila euro»

Nel memoriale consegnato ai pm l’ex governatore accusa: «Erano soldi che due imprenditori avevano versato per finanziare la mia campagna elettorale alle regionali 2005: li intascò lei»

In carcere, mentre stava ritoccando il memoriale consegnato ieri al gip di Milano Cristina Di Censo, Giancarlo Galan aveva detto: «Venderò cara la pelle». Ora sappiamo a cosa si riferiva. Ha svelato gli otto “omissis” di una precedente memoria riguardanti Claudia Minutillo, la sua ex segretaria in Regione Veneto dal 2000 al 2005, anzi la “segretaria di ferro” che tutto controllava e dirigeva, perfino il presidente. E che un anno fa ha cominciato ad accusarlo di avere intascato tangenti. Chi di spada ferisce, a volte di spada perisce. Infatti, Galan parte al contrattacco e accusa la Minutillo di essersi appropriata nel 2005 di una cifra ragguardevole, tra i 400 e i 500 mila euro provenienti da due imprenditori veneti che intendevano in tal modo finanziare la campagna elettorale che si sarebbe conclusa con la rielezione di Galan per la terza volta.
Ma il governatore era all’oscuro sia dell’intenzione dei due munifici finanziatori, sia del fatto che il denaro fosse stato consegnato alla sua segretaria. La quale non gliene aveva parlato. Lui lo aveva saputo solo dopo le elezioni della primavera 2005 quando, incontrando i due imprenditori, era rimasto spiazzato. Loro si aspettavano un ringraziamento per la generosa offerta, lui era caduto dalle nuvole. Ed era venuto fuori il pasticcio.
Questa è la spiegazione che Galan dà in alcuni “omissis” del perchè «dopo poco più di quattro anni di collaborazione decisi di licenziare Claudia Minutillo». È la «più grave delle «molteplici ragioni che mi indussero a tale decisione». Un affondo non da poco. Perchè la Minutillo, già arrestata per false fatturazioni nel 2013, è una delle “gole profonde” che sostengono l’inchiesta sul Mose. Ha confermato di aver ricevuto da Baita, proprio durante la campagna elettorale del 2005, 200 mila euro all’hotel Santa Chiara di piazzale Roma, somma destinata a Galan. La risposta velenosissima del deputato avviene proprio su quella campagna elettorale. Se la sua versione troverà conferma, riuscirebbe a dimostrare, innanzitutto, l’inattendibilità della donna che lo accusa. Inoltre, la plausibilità del fatto che egli fosse stato tenuto all’oscuro anche del finanziamento di 200 mila euro di Baita, per conto della Mantovani. In terzo luogo, l’incontrollabilità, da parte sua, della Minutillo nei contatti esterni a nome del presidente.
Chi sono i due misteriosi imprenditori? Galan ne fa il nome. È ovvio che i pm di Venezia li interrogheranno, per capire se la difesa di Galan sia veritiera. Se si dovesse configurare un finanziamento illecito dei partiti (ma potrebbero anche essere stati vittime di una truffa), il reato è ampiamente prescritto. Galan ha inoltre indicato un numero ristrettissimo di persone, all’interno di Forza Italia, che furono informate della sconcertante scoperta. I responsabili aministrativi e politici del partito diventano testimoni importanti di un capitolo inedito ed esplosivo.
Perchè il Governatore e il partito non denunciarono tutto all’autorità giudiziaria, pur essendo vittime di un’appropriazione indebita? A questa domanda Galan risponderebbe con la parte di memoriale in cui racconta quel 2005, da una parte trionfale, ma anche turbolento per Forza Italia in Veneto. «Dopo le elezioni del 2005 la struttura di Forza Italia si era modificata a livello regionale – ha scritto l’indagato – e ciò a seguito di una profonda spaccatura politica avvenuta con l’allora coordinatore Giorgio Carollo, che aveva seguito con me quella campagna elettorale». Infatti Carollo fondò un proprio partito, ma fu un flop. «Il coordinamento fu commissariato con la nomina dell’avvocato Ghedini (mi pare verso la fine del 2005) il quale aveva il compito di rimettere insieme le varie anime del partito». L’attività politica fu affidata a Marino Zorzato, la delega alla tesoreria andò all’onorevole Lorena Milanato. Insomma, il partito era impegnato su fronti turbolenti.
Galan aggiunge che «per Statuto i coordinamenti regionali di Forza Italia non avevano capacità di spesa, nè potevano impegnarsi in alcun modo, poichè ogni pagamento era centralizzato presso la sede nazionale». Un modo per ribadire che se la Minutillo chiese dei soldi, lo fece al di fuori delle regole del partito.
L’ex governatore è poi tassativo nell’escludere di aver raccomandato la Minutillo a Piergiorgio Baita, dopo averla messa alla porta. Anche se poi se la ritrovò davanti quando nel 2006 e 2007 acquistò quote di due società, Adria Infrastrutture e Nordest, riconducibili proprio all’ex segretaria e al gruppo Mantovani, e diventate una carta in mano all’accusa.

 

Dalle case alle società, un dossier per «spiegare tutto»

Sono sette le nuove pagine aggiunte in carcere al dossier da Galan. L’avvocato Franchini: «Abbiamo dato una risposta puntuale a ogni contestazione»

DENARO E MISTERI – L’ex doge sarebbe stato all’oscuro di quella ricca “donazione”

In carcere, mentre stava ritoccando il memoriale consegnato ieri al gip di Milano Cristina Di Censo, Giancarlo Galan aveva detto: «Venderò cara la pelle». Ora sappiamo a cosa si riferiva. Ha svelato gli otto “omissis” di una precedente memoria riguardanti Claudia Minutillo, la sua ex segretaria in Regione Veneto dal 2000 al 2005, anzi la “segretaria di ferro” che tutto controllava e dirigeva, perfino il presidente. E che un anno fa ha cominciato ad accusarlo di avere intascato tangenti. Chi di spada ferisce, a volte di spada perisce. Infatti, Galan parte al contrattacco e accusa la Minutillo di essersi appropriata nel 2005 di una cifra ragguardevole, tra i 400 e i 500 mila euro provenienti da due imprenditori veneti che intendevano in tal modo finanziare la campagna elettorale che si sarebbe conclusa con la rielezione di Galan per la terza volta.
Ma il governatore era all’oscuro sia dell’intenzione dei due munifici finanziatori, sia del fatto che il denaro fosse stato consegnato alla sua segretaria. La quale non gliene aveva parlato. Lui lo aveva saputo solo dopo le elezioni della primavera 2005 quando, incontrando i due imprenditori, era rimasto spiazzato. Loro si aspettavano un ringraziamento per la generosa offerta, lui era caduto dalle nuvole. Ed era venuto fuori il pasticcio.
Questa è la spiegazione che Galan dà in alcuni “omissis” del perchè «dopo poco più di quattro anni di collaborazione decisi di licenziare Claudia Minutillo». È la «più grave delle «molteplici ragioni che mi indussero a tale decisione». Un affondo non da poco. Perchè la Minutillo, già arrestata per false fatturazioni nel 2013, è una delle “gole profonde” che sostengono l’inchiesta sul Mose. Ha confermato di aver ricevuto da Baita, proprio durante la campagna elettorale del 2005, 200 mila euro all’hotel Santa Chiara di piazzale Roma, somma destinata a Galan. La risposta velenosissima del deputato avviene proprio su quella campagna elettorale. Se la sua versione troverà conferma, riuscirebbe a dimostrare, innanzitutto, l’inattendibilità della donna che lo accusa. Inoltre, la plausibilità del fatto che egli fosse stato tenuto all’oscuro anche del finanziamento di 200 mila euro di Baita, per conto della Mantovani. In terzo luogo, l’incontrollabilità, da parte sua, della Minutillo nei contatti esterni a nome del presidente.
Chi sono i due misteriosi imprenditori? Galan ne fa il nome. È ovvio che i pm di Venezia li interrogheranno, per capire se la difesa di Galan sia veritiera. Se si dovesse configurare un finanziamento illecito dei partiti (ma potrebbero anche essere stati vittime di una truffa), il reato è ampiamente prescritto. Galan ha inoltre indicato un numero ristrettissimo di persone, all’interno di Forza Italia, che furono informate della sconcertante scoperta. I responsabili aministrativi e politici del partito diventano testimoni importanti di un capitolo inedito ed esplosivo.
Perchè il Governatore e il partito non denunciarono tutto all’autorità giudiziaria, pur essendo vittime di un’appropriazione indebita? A questa domanda Galan risponderebbe con la parte di memoriale in cui racconta quel 2005, da una parte trionfale, ma anche turbolento per Forza Italia in Veneto. «Dopo le elezioni del 2005 la struttura di Forza Italia si era modificata a livello regionale – ha scritto l’indagato – e ciò a seguito di una profonda spaccatura politica avvenuta con l’allora coordinatore Giorgio Carollo, che aveva seguito con me quella campagna elettorale». Infatti Carollo fondò un proprio partito, ma fu un flop. «Il coordinamento fu commissariato con la nomina dell’avvocato Ghedini (mi pare verso la fine del 2005) il quale aveva il compito di rimettere insieme le varie anime del partito». L’attività politica fu affidata a Marino Zorzato, la delega alla tesoreria andò all’onorevole Lorena Milanato. Insomma, il partito era impegnato su fronti turbolenti.
Galan aggiunge che «per Statuto i coordinamenti regionali di Forza Italia non avevano capacità di spesa, nè potevano impegnarsi in alcun modo, poichè ogni pagamento era centralizzato presso la sede nazionale». Un modo per ribadire che se la Minutillo chiese dei soldi, lo fece al di fuori delle regole del partito.
L’ex governatore è poi tassativo nell’escludere di aver raccomandato la Minutillo a Piergiorgio Baita, dopo averla messa alla porta. Anche se poi se la ritrovò davanti quando nel 2006 e 2007 acquistò quote di due società, Adria Infrastrutture e Nordest, riconducibili proprio all’ex segretaria e al gruppo Mantovani, e diventate una carta in mano all’accusa.

 

IL PERSONAGGIO – L’ex consigliere Pd Marchese parla e torna libero

Lascia gli arresti domiciliari e torna libero l’ex consigliere regionale Pd Marchese, accusato di aver ricevuto soldi dalle coop. Decisive per la liberazione alcune sue ammissioni.

LA SANZIONE – L’ex consigliere regionale democratico dovrà anche pagare una multa

L’INDAGINE Era accusato di aver ricevuto da alcune coop circa mezzo milione di euro

La Procura accoglie la proposta dell’ex Pd di patteggiare 11 mesi per finanziamento illecito

LA CONFESSIONE Le sue ammissioni, seppur parziali, decisive per porre fine ai “domiciliari”

Marchese parla e torna libero

VENEZIA – Il parere favorevole i pubblici ministeri veneziani lo hanno dato non appena è stata formalizzata la lettera di dimissioni dal consiglio regionale. Lasciare la carica politica era una delle condizioni, contenute nell’accordo con la Procura, perchè potesse finire il regime di arresti domiciliari di Giampietro Marchese, esponente di spicco del Partito Democratico arrestato nella retata del Mose. Si è ripetuto un po’ quanto accaduto più di un mese fa con il suo compagno di partito, l’allora sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, per il quale l’uscita da Ca’ Farsetti era diventata una delle clausole della trattativa tra magistrati e imputato. E così anche per Marchese è arrivata ieri pomeriggio la svolta, preludio per la chiusura della sua vicenda giudiziaria con il patteggiamento.
L’avvocato rodigino Francesco Zarbo aveva presentato l’istanza giovedì pomeriggio. Ieri mattina l’ok dei pubblici accusatori, quindi la decisione del gip, che ricalca altri analoghi provvedimenti, quando si profila una pena patteggiata che rimane al di sotto dei due anni ed è quindi coperta dalla prescrizione. Marchese, accusato di finanziamento illecito dei partiti, se la caverà con una pena di undici mesi di reclusione e con il pagamento di una sostanziosa multa. Naturalmente serve ora l’assenso del gip, che accolga l’accordo. Nel caso di Orsoni il giudice aveva invece ritenuto la pena troppo bassa, ma si trattava di 4 mesi di reclusione e 15 mila euro di multa.
Da Marchese, nell’ultimo interrogatorio, sono venute ammissioni parziali, ma sufficienti a convincere i pm che non esistevano più ragioni per lasciarlo ai domiciliari. Un’altra casella si riempie nei conti dell’accusa. I soldi pagati a esponenti del Pd hanno trovato una conferma con le ammissioni degli interessati, dimostrazione che le confessioni di Baita e Mazzacurati non erano invenzioni. Il consigliere regionale è stato tirato in ballo innanzitutto per aver incassato 58 mila euro nella campagna elettorale regionale del 2010. I soldi provenivano dalle cooperative rosse che erano impegnate nei lavori del Consorzio Venezia Nuova. La seconda accusa riguarda una somma complessiva oscillante tra i 400 e i 500 mila euro ricevuta, a rate di 15 mila euro, dalla Cooperativa San Martino di Chioggia.
La via del patteggiamento è aperta anche per Mario e Stefano Boscolo Bacheto, proprio della San Martino, assistiti dal profeSsor Loris Tosi e dall’avvocato Antonio Franchini. Erano già stati coinvolti negli arresti di un anno fa, quando venne a galla la turbativa d’asta che portò in carcere Giovanni Mazzacurati. Nella retata di giugno è stato arrestato Stefano Boscolo. Nei confronti della San Martino l’elenco dei reati è lungo: oltre alla turbativa d’asta, le false fatturazioni e la corruzione (che però il Tribunale del riesame aveva poi valutato come una concussione). L’accordo per il patteggiamento dovrebbe chiudere entrambe le inchieste, quella del 2013 e quella di quest’anno, con una pena fissata in due anni (sotto la condizionale) e con una multa molto elevata, 670 mila euro, che riflette l’entità delle contestazioni fiscali.

G. P.

 

Mose, corsa ai patteggiamenti

Boom di richieste in Procura, Marchese lascia la Regione

Raffica di patteggiamenti, lo chiede anche Marchese

Si dimette dal Consiglio veneto e avanza la proposta di 11 mesi di reclusione: parola ai pm

Mossa analoga di Mario e Stefano Boscolo Bacheto: verseranno 670 mila euro all’Erario

Altre richieste da Dante e Gianfranco Boscolo Contadin, Stefano Tomarelli della «Condotte», Franco Morbiolo, e dall’ex presidente del Magistrato alle acque Cuccioletta

VENEZIA – Sono ormai più di dieci gli indagati che stanno cercando l’accordo con i pubblici ministeri Paola Tonini e Stefano Ancilotto per patteggiare e uscire dal processo sul Mose prima ancora che la Procura chieda il giudizio immediato per gli arrestati, come sembra intenzionata a fare. E le dimissioni dal Consiglio regionale che l’ex esponente del Pd Giampietro Marchese ha formalizzato con la sua lettera al presidente Clodovaldo Ruffato sono una delle condizioni per arrivare ad ottenere il via libera dai rappresentanti dell’accusa dopo l’interrogatorio in cui ha parzialmente ammesso le sue responsabilità. Il difensore di Marchese, l’avvocato rodigino Francesco Zarbo, infatti, ha formalizzato ieri la richiesta, immediatamente dopo le dimissioni del suo cliente, per una pena di undici mesi di reclusione e ora attende il consenso dei pubblici ministeri. Intanto, la presidenza del Consiglio regionale ha già messo all’ordine del giorno della prossima assemblea, quella del 29 luglio, le dimissioni di Marchese, che verrà sostituito dal consigliere del Pd di Portogruaro Alessio Alessandrini. Marchese è agli arresti domiciliari con l’accusa di finanziamento illecito al partito: in particolare deve rispondere di aver incassato per la campagna elettorale regionale del 2010 58 mila euro dalle cooperative rosse che lavoravano per il Consorzio Venezia Nuova e per aver ricevuto per altre campagne elettorali, dal 2005 al 2012 tra i 400 e i 500 mila euro dalla cooperativa San Martino di Chioggia. In un interrogatorio della scorsa settimana, Marchese avrebbe confessato almeno in parte di aver incassato questi contributi illeciti. «Abbiamo già ottenuto il consenso dei pubblici ministeri per il patteggiamento» dichiarato l’avvocato Antonio Franchini, difensore tra l’altro degli imprenditori chioggiotti Mario e Stefano Boscolo Bacheto della San Martino. Due anni di reclusione e dovranno versare 670 mila euro all’Erario: questa la pena per i due che comunque dovrà passare al vaglio di un giudice dell’udienza preliminare, presumibilmente dello stesso che ha respinto il patteggiamento per il sindaco di Venezia, il giudice Massimo Vicinanza. Ma in questi giorni sono numerosi gli avvocati che hanno chiesto appuntamenti con i rappresentanti della Procura per trovare un accordo. Tra questi gli imprenditori di Chioggia Dante e Gianfranco Boscolo Contadin, il romano Stefano Tomarelli della «Condotte d’acqua », il cavarzerano Franco Morbiolo, l’ex presidente del Magistrato alle acque Patrizio Cuccioletta e altri ancora. Ieri, intanto, il Tribunale dei ministri con l’interrogatorio di William Colombelli ha concluso la prima fase dell’istruttoria che porterà il presidente Monica Sarti e i giudici Priscilla Valgimigli e Alessandro Girardi ad affermare se la notizia di reato che riguarda l’ex ministro Altero Matteoli sia fondata o meno. Colombelli, collaboratore di Piergiorgio Baita e amico di Claudia Minutillo, avrebbe in qualche modo concorso a pagare una tangente all’ex ministro per quanto riguarda i lavori di bonifica e marginamento a Porto Marghera, ma ieri si sarebbe avvalso della facoltà di non rispondere, visto che anche lui in questa vicenda è indagato per corruzione. Il Tribunale si riunirà dopo il 15 settembre per decidere sulla richiesta di incidente probatorio per Giovanni Mazzacurati chiesta dai difensori di Matteoli.

Giorgio Cecchetti

 

Pavesi, incarico appeso a un filo

Socio di Galan nella Ihfl: la Regione cerca la strada per il licenziamento

Claudio Niero (Pd) denuncia il palese conflitto di interessi del manager dell’Usl 17 Bassa Padovana

VENEZIA – La Regione del Veneto ha chiesto formalmente ai manager della sanità Giovanni Pavesi, direttore generale dell’Usl 17, e Bortolo Simoni, direttore generale dell’Usl 8, di spiegare per quali ragioni all’atto della sottoscrizione del loro contratto non abbiano dichiarato le partecipazioni azionarie nella società Ihfl srl che ha per oggetto «la prestazione di servizi, anche di project management, nella costruzione di strutture sanitarie all’estero». E il governatore Luca Zaia ha affidato all’Avvocatura regionale la procedura per capire se vi siano gli estremi per arrivare alla rescissione del contratto. Per Giovanni Pavesi la situazione è aggravata dalla bufera provocata dalla lunga degenza del paziente Giancarlo Galan all’ospedale di Este, che ha suscitato l’interesse della Procura di Venezia. Meno grave ma non meno imbarazzante la situazione di Bortolo Simoni, direttore generale dell’Usl 8 di Asolo, che avrebbe spiegato in una lunga lettera le proprie ragioni dichiarando sostanzialmente di aver compiuto una ingenuità. Interpellato per una replica sulla sua situazione, il manager veronese Giovanni Pavesi, ex assessore e consigliere comunale a Verona ai tempi della Democrazia cristiana, ha preferito non rispondere: «Non ho tempo». Ma è sempre più evidente che la sua situazione è sempre più barcollante. Nei giorni scorsi ha chiesto di essere ricevuto direttamente dal presidente della giunta regionale del Veneto, ricevendone un cortese diniego. Insomma, l’incarico di Pavesi è appeso a un filo. La Regione ha chiesto conto formalmente della partecipazione nella Ihfl dei due manager. E i due manager sono stati costretti a mandare una lettera di spiegazioni al presidente della Regione. Che tuttavia, contestualmente, ha inviato una segnalazione alla Procura della Repubblica di Venezia con i contratti pubblici dei due manager, la lettera di contestazione e le controdeduzioni. Zaia in pratica vuole sapere se il patto di «esclusiva » che i direttori generali della sanità veneta sottoscrivano sia stato violato dall’acquisto di quote nella società avente per oggetto proprio la consulenza della progettazione di ospedali, pur all’estero. I due manager hanno ribadito tuttavia che la società Ihfl slr non ha mai operato e risulta tuttora «inattiva». Solo che tra i soci figurano sia l’ex segreteario regionale della sanità Giancarlo Ruscitti che l’ex governatore Giancarlo Galan, attualmente detenuto nel carcere di Opera. E sul tema anche il consigliere regionale del Partito Democratico Claudio Niero intende fare luce: giusto nel giorno in cui Galan è finito in carcere ha presentato una interrogazione alla Giunta regionale per chiedere quali provvedimenti intende assumere il presidente Luca Zaia nei confronti dei due direttori generali dell’Ulss 8 di Asolo e dell’Uss 17 Bassa Padovana. «Risulta del tutto evidente – sottolinea Niero – come la funzione di direttore generale di aziende sanitarie e la contemporanea partecipazione in società private che operino nel campo sanitario costituiscano una grave violazione alle più elementari regole sul conflitto di interesse. Visto che entrambi i direttori generali sono stati nominati dal presidente della Giunta regionale del Veneto, chiedo se Zaia – conclude – intenda cautelare se stesso e l’ente che rappresenta assumendo provvedimenti sospensivi ».

Daniele Ferrazza

 

Il sistema Galan crolla. Ora la Corte dei Conti è su Veneto Sviluppo.

Inchiesta della magistratura contabile sul periodo 2006-2009

Nel mirino due operazioni dell’ex presidente Irene Gemmo

Mezzo milione di euro per il piano strategico

Un incarico affidato senza gara alla Bain

Nel fallimento della padovana Soveda l’eredità di un “buco” da 900 mila euro

VENEZIA Verrebbe da fare il tifo per Giancarlo Galan, adesso che è nudo, se l’arroganza, le furbate e la pretesa d’impunità che continua a sfoggiare non gli alienassero anche la simpatia di chi abitualmente parteggia per il più debole. L’ex presidente riesce ad essere insopportabile anche nell’ora della disgrazia, che è tutto dire. Ma su un punto ha ragione: ormai lo trattano da appestato. Non le istituzioni come vaneggia lui, che invece nei suoi confronti vanno avanti con il bilancino, ma i suoi ex amici. Nel mondodi cortigiani e approfittatori della politica che lo circondava, non meraviglia la corsa a mollare il potente caduto. Stupisce piuttosto, guardando manovre in atto, che qualcuno nel centrodestra veneto pensi di poter mettere le mani sul «lascito Galan» senza che gli si chieda dov’era, cosa faceva e su cosa lucrava negli ultimi 15 anni. Sulla scia aperta dalla magistratura è scontato il redde rationem tra i politici. Come al solito arrivano a disastro combinato, mail vero processo dovrebbe essere quello celebrato da loro: accertare non i reatimale collusioni amministrative tra tutti quelli che in questi anni sapevano ma avevano il tornaconto per tacere. Non c’è stato solo il Mose.Dove mettiamo per esempio Veneto Sviluppo? Beninteso, siamo su livelli diversi, non di reati ma di correttezza dell’amministrazione. Anche qui è la magistratura che sta aprendo la strada con un’azione di responsabilità avviata dalla Corte dei Conti nei confronti degli amministratori in carica tra il 2006 e il 2009. All’epoca il cda era presieduto dall’imprenditrice vicentina Irene Gemmo. Giancarlo Galan la insedia nel giugno 2006 parlando di «prestigiosi obiettivi da raggiungere». Per farlo la Gemmo assolda di sua iniziativa la società Bain & Company, affidando senza gara (decisione contestata) la redazione del nuovo piano strategico per la finanziaria regionale. L’incarico è affidato per 25.000 euro più Iva, seguiti da altri 245.000 più Iva, più altri 195.000 e 65.000 sempre più Iva, il tutto maggiorato di un 10 per cento di spese forfettarie. L’anno dopo altri 90.000 euro più Iva e spese forfettarie, in varie tranche, per sviluppare aspetti particolari del piano. Una frantumazione artificiosa del contratto in cui si finiva per non capire bene cosa veniva pagato. Per questo Irene trova l’opposizione di due componenti del cda di allora, Franco Andreetta e Fabrizio Stella, che fa mettere a verbale. Per gli altri tutto bene: erano Andrea Gerolimetto, Andrea Marchiotto, Roberto Bissoli, Dino Cavinato, Antonino Ziglio, Alfredo Checchetto, Riccardo Lupi, Norberto Cursi, Franco Dall’Armellina e FiorenzoSbabo. Per inciso Bissoli è l’assessore regionale all’agricoltura e segretario provinciale della Dc veronese incappato nel 1992 in Tangentopoli: riceve una bustarella da 150 milioni di lire per una concessione urbanistica da Giovanni Pavesi (anch’egli all’epoca arrestato) e ne gira una parte all’onorevole Angelo Cresco, socialista. Pavesi è oggi direttore generale dell’Usl 17 Bassa Padovana, quella del ricovero ospedaliero di Galan. Anche Angelo Cresco si è ben «riposizionato»: oggi è presidente del consorzio di emanazione pubblica che gestisce il depuratore del Garda e che bussa a quattrini per rifare la condotta sommersa. Un lavoretto da 200 milioni di euro. Non parliamo di «Rambo» Bissoli, che non è mai uscito di scena: oggi presiede la Serit, società che si occupa di rifiuti per conto dei comuni veronesi (interamente mano pubblica). Alle spalle di queste gestioni si contano i morti. L’attuale collegio sindacale di Veneto Sviluppo ha ricostruito nelle ultime settimane, su richiesta della giunta Zaia a sua volta pressata dalla Corte dei Conti, la vicenda Bain e la partecipazione a Soveda, altro episodio della gestione Gemmo. Soveda era un’azienda padovana di pane surgelato, che ha goduto di fondi europei del programma Retex, intermediati da Veneto Sviluppo. È fallita lasciando un buco di 900.000 euro, interamente a carico della Finanziaria regionale. Siamo nel gennaio 2008: a insaputa del cda e senza tener conto dell’azione giudiziaria in corso per rientrare dell’intero credito, Irene Gemmo propone a Soveda srl una transazione a 550.000 euro. I debitori si fanno forti dell’offerta e un anno dopo le parti concordano a 630.000 euro. Non contenta di aver perso 300.000 euro Veneto Sviluppo si accolla pure i 50.000 dell’arbitrato, che spettavano a Soveda. Ce n’è abbastanza, scrivono il 2 luglio i sindaci nella relazione, per imputare alla gestione Gemmo «l’esistenza di un danno erariale, dovuto principalmente alla violazione del principio di corretta amministrazione». Ai soci di oggi valutare l’opportunità di un’azione risarcitoria nei confronti dei predecessori. Su questa linea è anche un memorandum, chiesto per non sbagliare allo studio legale Gianni Origoni Grippo Cappelli e partners: pollice verso su entrambe le vicende, con la precisazione che per Bain il danno patrimoniale è contenuto in 30.000 euro. Il Cda di Veneto Sviluppo doveva riunirsi il 18 luglio ma la seduta è stata rinviata. I consiglieri sono in forte imbarazzo, si augurano che l’azione risarcitoria sia prescritta. Ma siamo solo all’inizio: come faranno se alla Corte dei Conti verrà lo sghiribizzo di controllare la situazione di Cis, società partecipata da Veneto Sviluppo con 7 milioni di euro. Vicenda molto più recente: la partecipazione è stata azzerata, dove sono finiti i soldi?

Renzo Mazzaro

 

L’EX GOVERNATORE ERA ISCRITTO A UNA LOGGIA DI PADOVA

Addio alla massoneria «L’avrebbero cacciato»

Galan “entra in sonno” cioè si autosospende dall’associazione Florence Nightingale

La decisione per anticipare una possibile espulsione

PADOVA «Mi dicono che Giancarlo Galan da almeno quindici anni non frequenti i riti della loggia. Probabilmente, anche a causa dei suoi incarichi, ha vissuto questa esperienza come distante dai propri interessi». Stefano Bisi, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani, commenta così «l’entrata in sonno» della sua iscrizione alla loggia Florence Nightingale di Padova, una delle cinque «officine» massoniche della città del Santo. Una decisione forse intrapresa dall’ex governatore per anticipare una iniziativa d’ufficio che avrebbe potuto essere assunta direttamente dal Venerabile della loggia padovana, a cui qualche «fratello» si era rivolto sollecitando un provvedimento di sospensione o addirittura di espulsione dalla massoneria. «Probabilmente – ha aggiunto il capo della principale massoneria italiana – ha ritenuto di non voler mettere in imbarazzo il proprio Maestro Venerabile e gli affiliati della loggia, anticipando l’apertura di un possibile procedimento di sospensione che avrebbe potuto aprire la loggia stessa. Personalmente, mi auguro che Galan possa chiarire la sua posizione giudiziaria al più presto e che gli stiano garantiti i diritti della difesa». Giancarlo Galan è dal 1987 iscritto alla massoneria del Gran Oriente d’Italia. Loggia 102 «Florence Nightingale» di Padova: insieme a lui, medici, avvocati e notai padovani. L’elenco è depositato, per legge, in Prefettura. Il 6 giugno scorso, a seguito della retata della Procura di Venezia, il «fratello» Giancarlo Galan ha mandato una lettera al suo Venerabile Maestro chiedendo di essere collocato «in sonno». E gli organi della loggia padovana gli hanno concesso questa possibilità, disinnescando così una procedura che avrebbe potuto essere aperta d’ufficio e che forse qualcuno aveva sollecitato. A Padova e nel Veneto la massoneria sta tornando ad essere a lavorare alla luce del sole e più frequenti sono le sue iniziative pubbliche. In occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia, anche a Padova, si sono svolti convegni e seminari pubblici. Nel Veneto sono presenti tutte e tre le «grandi famiglie » della massoneria:Grande Oriente d’Italia, Gran Loggia d’Italia di Piazza del Gesù e Gran Loggia Regolare d’Italia. Complessivamente, si parla di circa cinquecento affiliati. Il Grande Oriente d’Italia (Goi) vanta diciotto logge nel Veneto: cinque a Padova e i loro nomi sono La Pace, Galileo Galilei, Florence Nightingale, Giuseppe Garibaldi, Ekhnaton; due ad Abano Terme (Pietro d’Abano e Maat la Saggezza Trionfante); due a Treviso (Paolo Sarpi ePrimavera); quattro a Venezia (Risorgimento, L’Union, Serenissima, Sectio Aurea), una a Rovigo (Enrico Cairoli), due a Verona (Colonia Augusta e Carlo Montanari), due a Vicenza (George Washington Lodge e I Veri Amici). L’obbedienza della Gran Loggia d’Italia, guidata da Antonio Binni, ha tra i suoi Gran Maestri anche il veneziano Luigi Danesin, ha tredici «Orienti» nel Triveneto: a Venezia, San Donà di Piave, Mestre, Padova, Abano Terme, Chioggia,Stra, Treviso, Conegliano, Vicenza, Verona, Trento e Rovigo. La Gran Loggia Regolare d’Italia, guidata dal Gran Maestro Fabio Venzi, ha un’articolazione triveneta e una loggia Treviso, denominata Keystone, che si riunisce il secondo e quarto giovedì di ogni mese. Dell’iscrizione di Galan alla massoneria si è sempre saputo. Di fede liberale, profondamente laico e per indole distante dalle espressioni del Clero, Galan si è affiliato a 31 anni, al tempo in cui lavorare in Publitalia guidata da Berlusconi. La più antica associazione massonica è proprio quella del Grande Oriente d’Italia, fondata nel 1805 e che annoverò tra i suoi affiliati anche Giuseppe Garibaldi. Nella storia, molti personaggi noti come Giosuè Carducci, Ugo Foscolo, Giovanni Pascoli, Edmondo De Amicis furono massoni. Nel 1982 la Loggia P2, guidata dal faccendiere Licio Gelli, fu sciolta definitivamente per legge: la sua era una «organizzazione criminale» che aveva lo scopo di sovvertire l’ordine democratico italiano. Da allora gli elenchi dei massoni devono essere depositati e aggiornati in prefettura. E attorno alla massoneria aleggia un’ombra di mistero e diffidenza.

Daniele Ferrazza

 

TERZA CORSIA A4

Rizzani De Eccher, revocato l’appalto

La società consortile Tiliaventum, formata da Rizzani De Eccher e Pizzarotti di Parma, si vede revocato l’affidamento dei lavori per il terzo lotto “ponte sul Tagliamento-Gonars” della terza corsia della A4. La decisione del commissario straordinario Debora Serracchiani, sentito il parere dell’Avvocatura dello Stato, è conseguenza dell’interdittiva antimafia della Prefettura di Udine nei confronti del colosso friulano dell’edilizia. Il provvedimento, atto preventivo che prescindendo dall’accertamento di singole responsabilità penali serve a scongiurare il rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata nell’attività imprenditoriale in presenza di rapporti in corso con la pubblica amministrazione, era stato emesso a seguito della richiesta della Dia, Direzione investigativa antimafia. Ieri ne sono state rese note le conseguenze, molto pesanti, sulla terza corsia. Il nuovo caso rischia infatti di allungare ulteriormente i tempi per la realizzazione dell’opera. Anche se mancano conferme da parte della società che, sollecitata a un commento, ha preferito mantenere il silenzio (il presidente Marco De Eccher nei giorni scorsi si era pero detto «stupito e sconcertato» per l’interdittiva, provvedimento giudicato «privo di qualsivoglia fondamento, del tutto ingiustificato e gravemente lesivo per l’immagine del gruppo»), è praticamente sicuro il ricorso al Tar. Quanto invece a un possibile nuovo bando (in questo caso passerebbe forse un anno prima della graduatoria) o allo slittamento della classifica precedente, Serracchiani non dà certezze: «Dobbiamo attendere il completamento della progettazione e dunque qualunque ipotesi su eventuali nuove gare o affidamenti è al momento prematura. Nel frattempo – aggiunge la presidente della Regione nel ruolo di commissario – ci riserveremo di valutare ogni futuro sviluppo».

 

Galan, «memoriale corposo» per difendersi dalle accuse

Oggi l’ex governatore del Veneto viene interrogato per rogatoria nel penitenziario di Opera

Il difensore Ghedini l’ha visto «sereno»: «Stato di salute confermato dai medici del carcere»

Cartelle cliniche sequestrate, sentiti i medici Candiotto e Agnoletto. A Venezia missione del pm di Milano

Bruti Liberati: sul tavolo le posizioni di Meneguzzo, Spaziante e Milanese

VENEZIA – I finanzieri del Nucleo di Polizia tributaria proseguono gli accertamenti sulla presunta incongruenza tra la prognosi di 45 giorni fatta dai medici sul conto di Giancarlo Galan appena ricoverato presso l’ospedale di Este e le dimissioni avvenute dodici giorni dopo. Ieri, infatti, hanno interrogato il primario ortopedico del Sant’Antonio di Padova Sergio Candiotto, il direttore sanitario dell’Uls 17 di Este Maurizio Agnoletto e il medico radiologo che ha letto la lastra evidenziando la frattura del malleolo della gamba sinistra. Sono stati sentiti come persone informate sui fatti, e niente di più, su richiesta della Procura lagunare. È intanto arrivato il momento del confronto con i giudici per Giancarlo Galan. Oggi – per la prima volta da quando è finito nell’inchiesta Mose, la seconda sarà venerdì 1 agosto quando il Tribunale del riesame di Venezia ha fissato l’udienza per affrontare il ricorso contro l’arresto – l’ex ministro sarà di fronte nel carcere milanese di Opera al giudice Cristina di Censo, che lo sentirà per rogatoria nell’interrogatorio di garanzia a lei delegato dal magistrato di Venezia Alberto Scaramuzza, che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare. Galan potrà così, finalmente, opporre la propria difesa, già evidenziata davanti alla Giunta della Camera, alle accuse di corruzione che gli sono state mosse dai vecchi amici Giovanni Mazzacurati, Piergiorgio Baita e dall’ex segretaria Claudia Minutillo. L’ex governatore veneto è intenzionato a depositare un memoriale scritto di suo pugno, ha reso noto il suo difensore, l’avvocato Antonio Franchini. Il legale veneziano ha anticipato che quello dell’esponente forzista sarà un memoriale «molto corposo », con il quale «verrà data risposta a tutte le contestazioni mosse». Galan si trova da due giorni nella sua cella singola all’ interno del centro clinico del carcere di Opera, uno dei più attrezzati d’Italia per l’assistenza ai detenuti. Ieri ha ricevuto la visita dell’avvocato, amico e un tempo collega deputato Nicolò Ghedini, componente del suo collegio difensivo. Un colloquio di un’ora, sui cui il legale ha mantenuto il riserbo, sostenendo solo che lo ha visto «sereno ». Ha riferito che i medici di Opera hanno confermato tutte le diagnosi cliniche fatte negli ospedali (Padova ed Este) dove Galan è stato accolto nei giorni scorsi – la frattura della gamba sinistra e i problemi circolatori correlati all’ingessatura – e allo stesso tempo stanno proseguendo nelle terapie disposte per il paziente. Galan si trova in una delle cosiddette “camere di pernottamento” del carcere, da solo perché così può essere sottoposto a un monitoraggio sanitario permanente. Ieri, a Venezia è arrivato il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati. Ha partecipato ad un vertice di coordinamento tra la procura veneziana e quella del capoluogo lombardo sul caso Mose. Bruti Liberati – era accompagnato dai pubblici ministeri Roberto Pellicano e Giovanni Polizzi – ha avuto un lungo colloquio con il collega veneziano Luigi Delpino e i pubblici ministeri Stefano Ancilotto e Paola Tonini. La tranche dell’indagine milanese arrivata a Milano da Venezia riguarda l’ex braccio destro dell’allora ministro dell’Economia del governo Berlusconi Marco Milanese, il finanziere vicentino della «Palladio Finance» Roberto Meneguzzo e il generale in pensione a causa di questa inchiesta ed ex vicecomandante della Gdf Emilio Spaziante. Meneguzzo, stando alle accuse, avrebbe fatto da tramite a Mazzacurati per pagare una tangente da 500 mila euro ciascuno agli altri due indagati. I tre erano stati arrestati su richiesta dei pubblici ministeri veneziani nell’ambito dell’inchiesta Mose ,ma il Tribunale del riesame aveva spedito gli atti a Milano, ricordando che se le tangenti erano state pagate era accaduto nella sede di Milano della «Palladio» per Milanese e in un albergo del capoluogo lombardo per Spaziante. La Procura di Milano ha ottenuto dal giudice di quella città il rinnovo dell’ordinanza contro cui i difensori hanno già ricorso.

Giorgio Cecchetti

 

CASO MOSE

Galan ultimo Doge?

Direi proprio di no…

I giornali, in questi giorni, definiscono l’ex Governatore del Veneto l’ultimo Doge. Al di la del fatto che sarà la Magistratura che dovrà dimostrare o meno la colpevolezza, trovo l’accostamento dei politici attuali con quelli della passata Repubblica di Venezia, estremamente poco calzante. Nella Serenissima Repubblica il bilanciamento dei poteri era estremo e veniva controllato da un complesso sistema di Magistrature, ciascuna con un compito preciso di controllo e tutte a loro volta controllate. L’unico che formalmente non aveva controllori era il Doge,ma con poteri estremamente limitati. Questi poteri erano circoscritti nelle Promissioni Dogali, una serie di impegni che il Doge assumeva all’atto della sua elezione. Dal 500 in poi venne inoltre introdotta “l’inquisizione sopra il morto”, in sostanza una apposita Magistratura era incaricata dell’esame post mortem, cioè di indagare sul “rendiconto” finale del dogado, per valutare la legittimità delle spese personali fatte e delle entrate percepite, e se c’erano irregolarità toccava agli eredi pagarle. I costi per lo svolgimento dell’incarico di un diplomatico Veneto erano assolutamente a carico personale, così come il Doge stesso doveva provvedere al mantenimento del Palazzo Ducale e perfino ai suoi sfarzosissimi Funerali di Stato. In generale tutta la carriera politica era costellata da sacrifici finanziari ed enormi rischi personali, fin dall’inizio, come Giovani di Galera, o difendendo la propria Patria a costo della vita, come fecero Paolo Erizzo, Marcantonio Bragadin, Bellisandra Maraviglia, Agostino Barbarigo, Biagio Zulian e tanti altri, dimenticati dai libri di storia Italiani che continueranno a parlarci della dinastia dei Tudoro della disfida di Barletta. Perciò per cortesia non chiamatelo Doge.

Alessandro Dissera Bragadin – Quarto d’Altino

 

L’INCHIESTA MOSE – GALAN. Oggi l’interrogatorio dal gip. La procura ascolta i medici sul giallo delle due diagnosi

Ora svelerà al magistrato quei misteriosi otto “omissis”

LA DIFESA – Oggi primo interrogatorio davanti al gip. L’ex governatore, intenzionato a non rispondere, consegnerà un dossier

Pesanti accuse a Claudia Milutillo licenziata dopo quattro anni di lavoro a fianco del governatore

Pronto il memoriale al veleno, nel mirino l’ex segretaria e Mazzacurati

Il brogliaccio del memoriale era pronto da giorni, concordato con i difensori, ma alle rifiniture Giancarlo Galan ha lavorato anche ieri, nella stanzetta-cella del braccio sanitario del carcere di “Opera”, a Milano. Si è interrotto solo per i controlli medici, apprendendo con soddisfazione che la nuova lastra alla gamba sinistra, effettuata mercoledì, ha confermato la frattura del 4 luglio. Poi un incontro a mezzogiorno con l’avvocato Niccolò Ghedini che lo difende assieme ad Antonio Franchini. Un altro con la parlamentare Daniela Santanchè.
L’ex governatore del Veneto i sassolini dalle scarpe vuole toglierseli personalmente. Per questo si è preparato all’incontro di oggi con il gip milanese Cristina Di Censo, delegata all’interrogatorio di garanzia dal collega veneziano Alberto Scaramuzza. Sarà presente solo l’avvocato Giuseppe Lombardino, sostituto di Franchini, visto che Galan non risponderà, ma consegnerà il memoriale.
Lo ha scritto con un occhio all’ordinanza di custodia cautelare e con la memoria che corre alle frequentazioni negli anni di politica regionale, soprattutto con Claudia Minutillo, per quattro anni sua segretaria. Ma anche con Giovanni Mazzacurati del Consorzio Venezia Nuova, e con Piergiorgio Baita dell’Impresa Mantovani. Sono i suoi tre principali accusatori.
Secondo l’avvocato Franchini «il documento darà una risposta a tutte le contestazioni». In realtà si tratta di meno di dieci pagine, scritte dall’ex governatore, mentre la difesa tecnica affiderà a una memoria più corposa le argomentazioni per il Tribunale del Riesame, nell’udienza dell’1 agosto. Il memoriale di oggi non si limita a negare la corruzione, ricalcando il dossier preparato a fine giugno per i Pm veneziani e mai depositato dopo il rifiuto dei magistrati di sentire l’indagato. Contiene importanti novità, il disvelamento degli otto “omissis” che riguardano la Minutillo.
Non a caso le 28 pagine di giugno cominciavano con un attacco diretto all’ex segretaria. Galan l’accusava di «ostentare un lusso (capi di vestiario, accessori, gioielli…) del tutto ingiustificato rispetto al compenso percepito». Le attribuitva numerosi flirt. Raccontava della «contrapposizione anche caratteriale con mia moglie» e della «estrema antipatia» che suscitava negli altri collaboratori. Ma alla cornice mancava il dipinto. Ora l’affresco si fa più velenoso (e arrabbiato). Galan dice di aver assunto la Minutillo nel 2000, al suo secondo mandato, preferendola a una cugina, visto che molti avevano intercesso per lei. Lo fece nonostante l’onorevole Paolo Scarpa Bonazza Buora, coordinatore regionale di Forza Italia, l’avesse licenziata. «Tra i due non vi fu un buon rapporto» scrive Galan. Ma anche tra lui e la Minutillo alla fine ci fu una rottura brusca. «Le ragioni in quell’occasione furono gravi e molteplici…».
Oggi le spiegherà. La prima risale al 2004, quando lei stava diventando sempre più potente. Un secondo è legato «all’inclinazione di quella donna, rafforzatasi nel corso degli anni, di gestire in prima persona come propri ed esclusivi molti rapporti con interlocutori, pubblici e privati, senza riferirmi alcunchè». Questioni di ufficio. Ma non solo. Galan parlerà anche della gestione di Forza Italia, all’epoca della “fronda” di Giorgio Carollo, del riassestamento del partito e delle spese della struttura veneta.
Cosa c’entra la Minutillo con questo, visto che era ormai un’imprenditrice? Di certo Galan negherà di averla raccomandata all’ingegner Baita o a Mazzacurati (smentendone le dichiarazioni messe a verbale), per farle ottenere nel 2005 un’assunzione da Thetis, con un’integrazione di stipendio fino a 250 mila euro annui, come lei voleva.
La memoria ripercorrà poi le tesi difensive già rese pubbliche a giugno. Galan non ha chiesto, nè ottenuto denari. Non ha interferito sui project finacing della Mantovani. Non era a libro paga del Consorzio Venezia Nuova. Non si è fatto ristrutturare la villa a spese di Baita. Non aveva conti operativi a San Marino. Le quote in due società della galassia Mantovani erano solo un pro-forma, senza sostanza economica. I rapporti con l’assessore Renato Chisso sono stati improntati a collaborazione amministrativa, non configuravano un sodalizio criminale. E la Finanza ha preso un granchio quando sostiene che le sue entrate hanno superato di oltre un milione di euro le sue spese.

Giuseppe Pietrobelli

 

Doppia diagnosi, la procura interroga i medici

IL CAPITOLO SANITARIO – Dopo il sequestro delle cartelle cliniche convocati i dottori

Prima il sequestro delle cartelle cliniche; ora l’interrogatorio dei sanitari che si sono occupati negli ultimi quindici giorni del paziente Giancarlo Galan. La Guardia di Finanza, su incarico dei sostituti procuratore che coordinano l’inchiesta sul “sistema Mose”, ha iniziato ieri a raccogliere a “sommarie informazioni testimoniali” – quelle che in termini giudiziari vengono chiamate “sit” – le dichiarazioni di medici e infermieri che hanno visitato l’ex Governatore del Veneto (firmando i numerosi certificati finiti agli atti del fascicolo d’inchiesta) e che gli hanno prestato assistenza. Nessuno di loro è indagato: i magistrati stanno semplicemente cercando di ricostruire nei dettagli il “capitolo sanitario” della vicenda, per capire come sia stato possibile passare da una diagnosi inizialmente di una certa gravità, che ha spinto la difesa a chiedere ripetutamente gli arresti domiciliari e il rinvio del voto alla Camera per l’impossibilità assoluta di trasportare Galan (ricoverato in terapia intensiva di Cardiologia, dopo una distorsione alla caviglia sinistra, con frattura del malleolo), ad un’improvvisa sua dimissione dall’ospedale di Este con rientro a casa. Dimissione comunicata al paziente alle 9.30 del 22 luglio, poche ore prima che, davanti al Parlamento, iniziasse la discussione dell’ennesima istanza di rinvio del voto, motivato proprio con il ricovero ospedaliero.
SOSPETTA TROMBOSI – Nella lettera di dimissione risulta che il motivo del ricovero – avvenuto il 12 luglio – è stato un «episodio di dispnea (sospetta TEP in TVP)», ovvero una difficoltà respiratoria con sospetta tromboembolia polmonare in trombosi venosa profonda. Problemi affrontati, dopo una serie di esami diagnositici, con un’adeguata terapia farmacologica, a seguito della quale le condizioni del paziente sono state ritenute tali da non destare più preoccupazioni. I medici ascoltati finora dalle Fiamme Gialle hanno confermato che le condizioni del paziente, al momento dei rispettivi interventi, corrispondeva a quanto annotato nei certificati.
I magistrati stanno cercando di verificare se qualche sanitario abbia ricevuto “raccomandazioni” o pressioni di qualche tipo nell’affrontare il caso del paziente Galan.
DIAGNOSI CONFERMATE – Nel frattempo, l’ex presidente della Regione Veneto è stato visitato nel reparto ospedaliero del carcere milanese di Opera, nel quale è detenuto. Uno dei suoi difensori, l’avvocato Niccolò Ghedini, a conclusione di un colloquio di un’ora con il proprio assistito, ha riferito che nel centro clinico sono state confermate tutte le diagnosi cliniche fatte dai medici negli ospedali di Padova ed Este, dove Galan è stato accolto nelle ultime due settimane: ovvero la frattura del malleolo e i problemi circolatori conseguenti all’ingessatura e al diabete di cui il paziente soffre, con l’indicazione di continuare tutte le terapie che gli sono state prescritte. L’esito dei primi esami effettuati nella struttura sanitaria del carcere è stata accolta con soddisfazione dal secondo difensore di Galan, l’avvocato Antonio Franchini, secondo il quale è la dimostrazione che nessuno si è inventato malattie inesistenti.
Galan si trova da solo in una delle cosiddette ‘camere di pernottamento’ del carcere: in questo modo può essere sottoposto a un monitoraggio sanitario permanente.

Gianluca Amadori

 

L’EX GOVERNATORE NON CHIAMATELO ULTIMO DOGE

I giornali, in questi giorni, definiscono l’ex governatore del Veneto l’ultimo Doge. Al di là del fatto che sarà la magistratura che dovrà dimostrare o meno la colpevolezza di Galan, trovo l’accostamento dei politici attuali con quelli della passata Repubblica di Venezia, poco calzante. Nella Serenissima Repubblica il bilanciamento dei poteri era estremo e veniva controllato da un complesso sistema di magistrature, ciascuna con un compito preciso di controllo e tutte a loro volta controllate. L’unico che formalmente non aveva controllori era il Doge, ma con poteri estremamente limitati. Questi poteri erano circoscritti nelle Promissioni Dogali, una serie di impegni che il Doge assumeva all’atto della sua elezione. Dal ’500 in poi venne inoltre introdotta “l’inquisizione sopra il morto”, in sostanza una apposita Magistratura era incaricata dell’esame post mortem, cioè di indagare sul “rendiconto” finale del dogado, per valutare la legittimità delle spese personali fatte e delle entrate percepite, e se c’erano irregolarità toccava agli eredi pagare. I costi per lo svolgimento dell’incarico di un diplomatico Veneto erano assolutamente a carico personale, così come il Doge stesso doveva provvedere al mantenimento del Palazzo Ducale e perfino ai suoi sfarzosissimi funerali di Stato. In generale tutta la carriera politica era costellata da sacrifici finanziari ed enormi rischi personali, fin dall’inizio, come Giovani di Galera, o difendendo la propria Patria a costo della vita, come fecero Paolo Erizzo, Marcantonio Bragadin, Bellisandra Maraviglia, Agostino Barbarigo, Biagio Zulian e tanti altri, dimenticati dai libri di storia italiani che continueranno a parlarci della dinastia dei Tudor o della disfida di Barletta. Perciò per cortesia non chiamatelo Doge.

Alessandro D. Bragadin

 

Vertice di Pm, Venezia e Milano collaboreranno delle indagini

VENEZIA – (gla) Vertice in Procura ieri mattina, tra magistrati milanesi e veneziani. Il procuratore capo di Milano, Edmondo Bruti Liberati, accompagnato dai pm Roberto Pellicano e Giovanni Polizzi, si è incontrato con il procuratore capo di Venezia, Luigi Delpino, e con due dei tre sostituti che si stanno occupando dell’inchiesta sul “sistema Mose”, Stefano Ancilotto e Paola Tonini. Oggetto della riunione, impostare il coordinamento delle indagini, in particolare quelle relative alle presunte “mazzette” versate a Marco Mario Milanese, all’epoca stretto collaboratore del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, e al generale della Guardia di Finanza, ora in pensione, Emilio Spaziante. Episodi nei quali è indagato anche l’amministratore di Palladio Finanziaria, il vicentino Roberto Meneguzzo. Il fascicolo relativo a questi due capi d’imputazione è da alcune settimane a Milano (per competenza territoriale in quanto il denaro sarebbe stato consegnato a Milano). Meneguzzo, interrogato dai pm del pool anti corruzione, ha ammesso le conoscenze ad alto livello nella Guardia di Finanza e di aver introdotto a Milanese l’allora presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, negando però di aver fatto da intermediario di tangenti.

 

VENEZIA – Giampietro Marchese del Pd si è dimesso, dopo l’arresto non è più consigliere regionale

VENEZIA – Con una lettera via mail, Giampietro Marchese (ex Pd) si è dimesso da consigliere regionale. Marchese, sospeso dal 31 maggio dall’incarico consiliare perché agli arresti domiciliari a seguito dell’inchiesta giudiziaria sul Mose e le tangenti in laguna, ha comunicato al presidente dell’assemblea, Clodovaldo Ruffato le dimissioni «irrevocabili». Al suo posto, il 9 luglio, era entrato in Consiglio Alessio Alessandrini che diventerà consigliere a tutti gli effetti da martedì prossimo, con il voto dell’aula. Resta consigliere supplente Francesco Piccolo, subentrato a Renato Chisso, agli arresti nel carcere di Pisa, che resta sospeso da consigliere regionale.

 

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