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Il direttore del Consorzio Venezia Nuova, Hermes Redi, è stato duramente contestato ieri da una decina di No Mose durante un dibattito all’Ateneo Veneto. Intanto per il recente maltempo il tunnel del Mose di Malamocco è rimasto allagato.

ATENEO VENETO – Blitz al convegno organizzato dagli Amici dei musei

Il direttore del Consorzio contestato dai No Mose

AMBIENTE VENEZIADomenica corteo acqueo di protesta a Cannaregio

Una contestazione con tanto di striscioni e attacchi all’attività dal Consorzio Venezia Nuova. È accaduto ieri pomeriggio, all’Ateneo Veneto, nel corso di un incontro organizzato degli Amici dei musei e monumenti veneziani dal titolo “La laguna di Venezia e il Mose” che era stato organizzato per fare un po’ il punto sullo stato di avanzamento dei lavori.

Ad un certo punto nella sala, che ospitava circa una sessantina di veneziani, i No Mose hanno duramente contestato il direttore Hermes Redi il quale stava svolgendo una dettagliata relazione. Ambientevenezia, in particolare, ha diffuso alcuni volantini sulla clamorosa inchiesta della Magistratura che ha portato alla luce un vasto sistema di corruzione e di illegalità. Quando il gruppo ha concluso la contestazione, tra lo stupore degli organizzatori, il direttore ha ripreso il filo del suo discorso. «Capisco le critiche su quello che è accaduto in città – ha spiegato – ma il sistema di protezione che è stato studiato è all’avanguardia. Le opere che abbiamo realizzato in questi anni sono molto buone, ora bisognerà vedere che tipo di risultato garantiranno».

Tra il pubblico c’erano diversi ambientalisti che hanno poi criticato il Consorzio e il sistema di illegalità che è emerso con l’inchiesta penale e a loro Redi ha spiegato che il problema della corruzione risale soprattutto agli ultimi dieci anni, ricordando il buona andamento della gestione Zanda. C’è chi ha riportato alla luce la vicenda delle cerniere e chi, come l’avvocato Mario D’Elia, ha denunciato la fragilità di alcune zone del Lido, in particolare dell’area di via Colombo per la quale servono interventi urgenti. Nel documento consegnato al pubblico Ambientevenezia ha chiesto la massima trasparenza soprattutto sul funzionamento delle paratoie. Poi, poco dopo le 19, il dibattito si è concluso e tra i presenti c’era anche chi ha sottolineato la vistosa presenza degli agenti di Polizia.

Ambientevenezia e i No navi si troveranno anche domenica prossima, dalle 14 in poi, con una grande parata di barche allegoriche a difesa della laguna e contro il Mose e le grandi navi. L’appuntamento è a Cannaregio al ponte delle Guglie con arrivo alle 17 in Pescheria.

 

MALAMOCCO – Maltempo, l’acqua del mare allaga il tunnel delle dighe

Tunnel del Mose allagato per il maltempo. É accaduto venerdì scorso, in occasione delle pesanti condizioni meteorologiche che avevano investito la laguna. E infatti la corrente e le onde del mare hanno colpito anche l’area del tunnel del Mose a Malamocco. Inseguito alle onde, particolarmente alte, l’acqua è penetrata dall’unica apertura del tunnel, la tromba delle scale andando ad allagare buona parte della galleria che ospita tutte le apparecchiature delle cerniere per le paratoie. L’acqua ha raggiunto all’interno quasi due metri sui tre di altezza della galleria. Una situazione che mai si era verificata prima in queste proporzioni, ma la forza del mare ha evidentemente creato questa situazione.

Ieri mattina è stato fatto un sopralluogo avviando anche le operazione di svuotamente con una serie di idrovore. La galleria consente la manutenzione di tutto l’impianto delle cerniere delle paratoie. Il lavoro di svuotamento si è sviluppato nei giorni scorsi ed è proceduto anche ieri permettendo il recupero della viabilità del tunnel che serve per la manutenzione degli impianti. Di certo, anche per il Consorzio Venezia Nuova si è trattato di un nuovo allerta per le dimensioni dell’allagamento. Non è escluso che nei prossimi giorni vengano fatti nuove verifiche

 

Che fine ha fatto e che progetti ha l’ex presidente di Mantovani travolto dalla Retata Storica?

Il Gazzettino ha cercato di scoprirlo

Che fine ha fatto Piergiorgio Baita, il genio del male, deus ex machina del Sistema Mose? È vero che è tornato in campo con una sua società? E cosa pensa della conclusione dell’inchiesta sulle dighe mobili veneziane? Il Gazzettino ha cercato di scoprirlo. Non è stato facile: benché la vicenda giudiziaria sia in larga parte conclusa e la gran parte dei protagonisti abbia patteggiato una pena con la Procura, Baita non rilascia interviste e non ama parlare con i giornalisti. La vicenda Mose occupa però ancora molte delle sue riflessioni. E da esse scaturiscono opinioni, domande e persino l’idea di scrivere un libro. Come raccontiamo in queste pagine.

 

LAVORO – Richieste di consulenza ma nega di aver creato nuove società

IL POTERE – In laguna pochi non hanno ricevuto soldi dal Consorzio Venezia Nuova

PERSONAGGIO – Non rilascia interviste ma il regista del Sistema Mose non è in pensione

AUTORE – Ha un’ambizione: scrivere un manuale anti-corruzione

TEMPO LIBERO – Coltiva pomodori e riflette sugli esiti dell’inchiesta veneziana

IL PRECEDENTE – Piergiorgio Baita in aula nel 1994 per il processo della prima Tangentopoli veneta

Il “diavolo” coltiva pomodori. E pensa. E si arrabbia perché quel che è stato raccontato è, a suo dire, solo una parte del sistema Mose. I giornali si sono fatti fuorviare dallo specchietto per le allodole della politica, dice. Certo che il nome di Galan “tira”, ovvio che quando si parla di ministri e sottosegretari, la gente legge con voracità, ma è sfuggita all’attenzione dell’opinione pubblica una parte importante. Anzi, la parte più importante, che è quella che riguarda i grand commis di Stato. E cioè i funzionari, i grandi burocrati, quelli che erano parte integrante e indispensabile, loro sì, del sistema corruttivo del Mose.

Altro che i politici. I politici sono una variabile ininfluente e avranno incassato sì e no un quarto delle mazzette che sono state pagate, il resto è finito nella tasche di chi decide sul serio. E cioè di chi è a capo di un ministero o di un assessorato regionale e resta sempre lì, fisso, mentre i ministri e gli assessori cambiano.

Piergiorgio Baita, il “diavolo” dello scandalo Mose, non smette di pensare al fatto che lo hanno dipinto come il genio del male, il corruttore dei corruttori, mentre tira un filo a piombo tra una “gombina” e l’altra, toglie le erbacce e guarda crescere i cavoli e i carciofi, mentre consulta il calendario di Frate Indovino per vedere quando seminare i pomodori. Cirio e ciliegino, piccadilly e cuore di bue. Li pianta ad una settimana di distanza uno dall’altro, così l’orto non viene invaso dalla “buttata” improvvisa di pomodori che maturano tutti nello stesso periodo. Centellina i suoi interventi, scruta il tempo, parla con le piante. E ragiona. Solo i suoi amici più cari sanno che Baita è uno che ha le mani d’oro – ironie a parte – e che ha passato i domiciliari a pitturare casa e a rifare l’orto, che è la sua grande passione. Gli piace lavorare in casa e ancor di più nell’orto, si rilassa e pensa.

Non parla con i giornali, rifiuta tutte le interviste, ma risponde volentieri a chi lo ferma al bar o davanti all’edicola. E poi si confessa con quella ristretta cerchia di amici che gli sono rimasti amici, si confida su quel che vorrebbe fare e siccome un suo amico, senza tradire il mandato, pensa che sia utile far uscire allo scoperto il Baita-pensiero, utile a chiarire quel che resta da chiarire, ecco un riassunto di quel che ha pensato e detto Baita in questi mesi passati in silenzio dopo il patteggiamento per reati fiscali.

Intanto Baita dice a tutti di essere in pensione, racconta l’amico, ma non credo che abbia intenzione di starsene con le mani in mano per molto tempo ancora. Non è vero che ha messo in piedi una società con moglie e figlio, la Studio Impresa srl, che si occupa di pannelli fonoassorbenti. Le voci nascono da una banale visura camerale. La società esiste, è intestata a moglie e figlio, ma non opera e comunque lui non c’entra niente. Quel che nessuno sa, invece, è che qualcuno ancora lo cerca per consulenze sul project financing.

E dunque, consulenze a parte, che cosa sta facendo esattamente in questo momento Piergiorgio Baita?

 

IL MANUALE ANTI-CORRUZIONE

Sta scrivendo il manuale dell’appalto perfetto, cioè dell’appalto anti-corruzione. Sul serio?
Certo, se non sa lui come fare… Fossimo in America, uno così, che è stato il più abile di tutti – nel male – lo assumerebbero al ministero della lotta alla corruzione, gli darebbero una cattedra all’università o gli farebbero fare corsi per finanzieri e funzionari pubblici. Perché lui i trucchi li conosce tutti. Alcuni li ha imparati, molti li ha inventati. E dunque Baita sa perfettamente come si pilota un appalto e come un appaltino diventa un appaltone. Il punto nodale – secondo Baita – è che la repressione non serve a niente, inasprire le pene non porta ad alcun risultato, bisogna cambiare il meccanismo degli appalti. L’ha spiegata così ad una cena tra amici. Ha detto che l’errore sta nel focalizzare l’attenzione sulla questione del controllo pubblico dell’opera. Invece il metodo giusto è il controllo pubblico sul servizio che viene offerto grazie a quell’opera.

Allo Stato non deve interessare che siringa utilizzo per fare l’iniezione – ha sintetizzato Baita – Deve interessargli quante persone vaccino contro l’influenza e mi deve pagare per quante ne vaccino. Nel caso del Mose, per capirci, secondo Baita lo Stato non doveva mettersi nell’ordine di idee di andare a vedere come veniva costruita l’opera. Una volta scelto il progetto, doveva dire: ti pago solo se l’opera funziona. Baita ha raccontato ai magistrati di essersi scontrato con Mazzacurati sulla questione della gestione, infatti. Secondo lui bisognava fare, contemporaneamente all’appalto per i cantieri, anche quello per la gestione del Mose. Il gestore dell’opera deve poter discutere con il costruttore, altrimenti poi succede – succederà, secondo Baita – che il gestore arriva e inizia a dire che le lampadine che sono state messe non sono quelle giuste, che il cavo da 3 pollici doveva essere da 5 pollici. E siccome il gestore si trova l’opera già pronta, dirà che è in grado di gestire lo stesso l’impianto, ma che, certo, costa di più.

 

IL MOSE? ALTRI DUE ANNI

E a chi gli chiede quanto manchi alla fine del Mose, Baita conteggia che ci vogliono altri due anni, due anni e mezzo perché è stata completata solamente la bocca di porto del Lido, ma solo nella parte strutturale, mentre mancano ancora le infrastrutture vere e proprie e cioè tutti i comandi e gli apparati che servono a far funzionare le paratoie. Vuol dire che del Mose è stato montato l’hardware e neanche tutto, mentre manca ancora il software. Da qui in poi par di capire che ci dovrebbe essere un controllo serrato sul software proprio per non trovarsi nelle condizioni di avere in mano un’opera che funziona perfettamente, su questo Baita non ha alcun dubbio, ma che è costosissima.

Piergiorgio Baita la spiega così: io posso costruire una macchina che oggi costa tanto e domani consuma poco, oppure posso costruire un’opera che costa tanto oggi e che consuma tanto domani, chiaro? L’interesse pubblico dovrebbe essere quello di avere in mano una macchina che magari costa di più oggi, ma è risparmiosa domani, sull’utilizzo e la manutenzione. Mazzacurati aveva tutto l’interesse, proprio perché contava di tenersi la gestione del Mose, a costruire invece un’opera che costasse tanto anche nella fase dell’esercizio e della manutenzione. Ecco perché ha bloccato Baita quando il presidente di Mantovani ha proposto di fare la gara di gestione subito, mentre si costruiva. Qui doveva intervenire la politica, a chiarire i ruoli e le competenze. E invece il caso Mose dimostra – secondo Baita – come siano le imprese a comandare. Anche sulla politica. Le imprese che possono comandare a bacchetta l’assessore o il ministro perché lo tengono per la borsa, ma che devono fare i conti con i funzionari pubblici. Che sono i “casellanti” degli appalti, quelli che alzano o abbassano la sbarra mentre stai lavorando e che ti bloccano i finanziamenti, intervengono in corso d’opera. Ai funzionari non interessa chi vince l’appalto, interessa il “mentre” si realizza l’opera. Son lì che iniziano a mettere i bastoni fra le ruote. Ed è a quel punto che ti tocca dargli consulenze e che ti tocca nominarli collaudatori.

Tanto per dirne una, che c’entra un Magistrato alle acque come Maria Giovanna Piva con il collaudo dell’ospedale nuovo di Mestre? E un altro Magistrato alle acque, quel Patrizio Cuccioletta che era sul libro paga del Consorzio Venezia Nuova, che ci faceva nel Comitato tecnico scientifico che ha approvato la Pedemontana?

 

IL RUOLO DELLA MINUTILLO

Grand commis a parte, Baita ha spiegato più volte agli amici che, secondo lui, la Procura ha creduto troppo a Claudia Minutillo, l’ex segretaria di Galan. La Minutillo, spiega, non era stata scelta per la sua genialità. Era stata assunta al Consorzio su richiesta di Lia Sartori, l’europarlamentare oggi in attesa di processo per finanziamento illecito ai partiti. Mazzacurati aveva piazzato la Minutillo alla Thetis solo per fare un piacere alla Sartori, e cioè a Galan il quale temeva che l’ex segretaria, licenziata in tronco, rivelasse cose inopportune. Ma siccome a Thetis guadagnava troppo poco e voleva 250 mila euro netti all’anno, Chisso aveva chiesto a Baita di assumerla come amministratore delegato di Adria Infrastrutture. Ma non era operativa, non faceva niente e non capiva molto bene quel che succedeva. Ad esempio sui project avrebbe detto una cosa che non aveva senso e cioè che Baita aveva messo a disposizione 600 mila euro per “incoraggiare” i project. Stando alle spiegazioni fornite anche ai magistrati da Baita, la Minutillo non ha capito che quei 600mila euro erano l’equity e cioè una specie di caparra che bisogna versare se si vuole concorrere al project. Ma, argomenta Baita, siccome Claudia Minutillo ha il merito di aver aiutato la Procura ad arrivare ai politici, viene premiata con una credibilità su tutto il fronte.

E non c’è solo questo. Baita continua a stupirsi che la società veneziana abbia fatto finta di niente di fronte al fiume di denaro pubblico che Mazzacurati ha convogliato verso tanti privati che nulla c’entravano con il Mose. Secondo Baita quel che non è stato ancora capito fino in fondo è che il sistema Mose era una macchina del consenso, prima di tutto, non un sistema corruttivo sic et simpliciter. Mazzacurati pagava tutti: pochi soldi ai politici, tanti ai funzionari “controllori”, tantissimi alla città. E le anime belle che fanno finta di niente, secondo Baita dovrebbero spiegare prima di tutto a se stesse che cosa centri il Mose con il restauro di un convento o di un seminario o con una squadra di calcio. Quel che Baita si lascia sfuggire negli sfoghi che ha con gli amici è che a Venezia sono ben pochi quelli che possono dire di non aver avuto a che fare con i soldi del Consorzio. Mazzacurati era considerato alla stregua di una istituzione pubblica e c’era la processione alla sua porta. E se si chiede a Baita come sia stato messo in piedi un meccanismo così sofisticato, Baita risponde che il meccanismo è stato messo in piedi un po’ alla volta, anno dopo anno e che non era possibile rompere questo meccanismo perchè voleva dire tagliarsi fuori e non lavorare più. E lui aveva la responsabilità di 700 famiglie che lavoravano per Mantovani. Perché era chiaro che il sistema Mose andava bene a tutti e tutti facevano finta di nulla. Nessuno si è mai preoccupato che lo stipendio medio al Consorzio fosse di gran lunga superiore ai 100mila euro l’anno, nessuno ha mai avuto da ridire su studi e consulenze, su libri e partecipazioni al Festival del cinema del Lido. Come è possibile? A tutti è parso normale che il Consorzio, che pure viveva esclusivamente di soldi pubblici, facesse l’editore e il produttore cinematografico, si occupasse di convegni e di far fare giri in elicottero sui cantieri. E a tutti andava bene che di tutto questo si occupasse solo Mazzacurati. Il quale non ha mai voluto cedere un grammo del suo potere.

 

QUELLE COOP ROSSE

Baita racconta anche che la Mantovani era entrata nel Consorzio Venezia Nuova staccando un assegno da 72 milioni di euro, mentre il Consorzio Cooperative Costruttori di Bologna – 240 imprese associate e 20 mila dipendenti – invece era entrato a far parte del Consorzio senza versare un centesimo. Ma bisogna rileggere i suoi verbali di interrogatorio per capirne di più. In uno racconta, con un tocco di ironia, di non aver capito bene che cosa fosse successo dal momento che le coop rosse c’erano già dentro il Consorzio, con la Coveco. “Il Coveco è storicamente un associato del Consorzio Venezia Nuova, mentre il Ccc è entrato più recentemente e cioè quando Antonio Bargone era sottosegretario ai Lavori pubblici”, mette a verbale Baita. Bargone è stato al Governo dal 1996 al 2001 con Prodi, D’Alema e Amato, poi è diventato presidente della Società Austrada Tirrenica. Secondo Baita “dopo il suo intervento all’interno del Consorzio non si capiva chi dovesse rappresentare le cooperative, se il Ccc e cioè Omer Degli Esposti o il Coveco di Savioli. La mediazione fu favorita da Mazzacurati il quale decise di lasciare un veneto e cioè Pio Savioli a rappresentare le coop rosse nel Consorzio perché in grado di fare da equilibrio tra i due consorzi e le varie parti politiche che rappresentano, perché il Coveco fa riferimento ad una certa sfera della sinistra e il Ccc ad un’altra”. Ma il Coveco di Pio Savioli è finito dritto nell’inchiesta veneziana sul Mose mentre il Ccc di Esposti no. Ma chi è Degli Esposti? Il suo nome salta fuori nell’inchiesta sul cosiddetto sistema Sesto di Filippo Penati, ex braccio destro di Pierluigi Bersani, nonché ex sindaco di Sesto San Giovanni ed ex presidente della Provincia di Milano. Penati è l’uomo che giura di non voler approfittare della prescrizione che gli porterà in dote la legge anticorruzione del ministro Severino. Salvo ripensarci un attimo dopo. Ebbene, con lui nell’inchiesta sulla Falck era finito anche il vicepresidente del Consorzio Cooperative Costruttori. E, con degli Esposti l’inchiesta aveva toccato pure Roberto De Santis, primo socio di D’Alema nell’acquisto della barca a vela Ikarus. Baita era convinto che la Ccc di Bologna avrebbe portato gli investigatori a Roma, invece non è andata così. Almeno per ora.

 

SALVAGUARDIA – Intanto è confermato lo slittamento dei lavori del Mose al primo semestre del 2017

Consorzio, una diga agli sprechi

I commissari straordinari hanno deciso un giro di vite per le consulenze e il personale

Ora si tirerà la cinghia. Insomma, altro segno dei tempi. Le paratoie alle bocche di porto in alcuni casi sono già state sistemate, altre verranno messe, ma da ieri c’è un altro spartiacque decisivo: arrivano le sforbiciate ai costi generali e chissà – probabilmente – anche al personale impiegato. Ma c’è di più il “taglio” riguarderà anche le tanto discusse (negli anni) consulenze. Insomma, il Consorzio Venezia Nuova volta un’altra pagina della sua travagliata storia recente.

E nel frattempo si vedono le prime “cure” messe in atto dai due commissari straordinari Francesco Ossola e Luigi Magistro, recentemente nominati dal Prefetto di Roma su richiesta dell’Autorità nazionale anticorruzione di Raffaele Cantone. E le prime teste a cadere sono state quelle di Maria Teresa Brotto, già nota alle cronache per alcuni vicende giudiziarie legate alla vicenda “Sistema Mose” e l’avvocato Alfredo Biagini, ma non è escluso che altri dirigenti possano seguire nel breve, con un allontanamento dal Cvn.

Nel frattempo, ieri mattina, si è riunito il Comitato consultivo del Consorzio, peraltro appena nominato, insieme ai nuovi vertici dell’ente. Tre le priorità e una verifica (in sostanza una conferma) ovvero che le opere del Mose slitteranno al 2017, probabilmente al primo semestre di quell’anno, nonostante tutti gli sforzi anche della precedente gestione Fabris che puntava a consegnare l’opera entro il 2016.

Ma al di là di questo, la riunione ha affrontato la discussione sulle modifiche alla Convenzione con lo Stato in conseguenza di quanto accaduto nel giugno dell’anno scorso; la verifica sul cronoprogramma con lo slittamento dei tempi; gli interventi sulla riduzione dei costi (consulenze, personale, etc.) e infine la revisione contabile del bilancio 2014.

La riunione tra Cvn e Comitato consultivo è servita anche a mettere i puntini sulle “i” ovvero a chiarire le competenze di quest’organo che – come recita una nota del Consorzio – “non è organismo del Cvn ma, essendo stato istituito con disposizione prefettizia, svolge solo un’azione interlocutoria tra Consorzio e aziende. Il Comitato è stato invitato a fornire ogni elemento utile ai commissari per giungere in tempi brevissimi alla definizione delle linee guida che dovranno riguardare i profili esecutivi, finanziari e contabili delle attività in concessione». Della serie: bene l’azione del Comitato, ma chi comanda sono i commissari.

 

Nuova Venezia – Autostrada del mare: Vernizzi indagato

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28

gen

2015

il malaffare in veneto»le inchieste

VENEZIA – Dalle costole dell’indagine sul Mose, il pubblico ministero della Procura di Venezia Stefano Ancilotto ha sfilato una nuova inchiesta, puntando l’obiettivo sull’assegnazione dei lavori per il project financing “Via del mare: collegamento A4, Jesolo e litorali”: un progetto da 250 milioni di euro, per il quale la commissione tecnica regionale ha dichiarato vincitore l’Ati capeggiata da Adria Infrastrutture. Non proprio un’azienda qualunque, essendo la società che era amministrata da Claudia Minutillo – già segretaria-braccio destro di Giancarlo Galan quand’era governatore e che guidava a bacchetta l’ex assessore ai Lavori pubblici Renato Chisso – uno degli indagati-cardine dell’inchiesta Tangenti Mose, sul giro di false fatturazioni che ha costituito i fondi neri di Mantovani e Consorzio Venezia Nuova.

Nella nuova indagine non si parla di tangenti, ma di turbativa d’asta. Il pubblico ministero Ancilotto ha iscritto al registro degli indagati la commissione tecnica che ha assegnato ad Adria (proponente del project financing) la realizzazione del primo stralcio della Via del Mare, ora cantierabile e per la quale in questi mesi si sta discutendo in Regione l’iter del secondo stralcio.

Sei gli indagati: il commissario straordinario di tutte le grandi opere viarie della Regione Veneto, Silvano Vernizzi, e altri cinque dirigenti e funzionari regionali come Stefano Angelini (residente a Preganziol), Paola Noemi Furlanis (residente a Portogruaro), Antonio Strusi (residente a San Donà di Piave), Adriano Rasi Caldogno (Mestre, attuale direttore generale dell’Asl di Feltre), Mauro Trapani (Vicenza).

Ieri sono partiti gli avvisi a comparire, per un interrogatorio – alla presenza dei loro avvocati Marco Vassallo e Paolo Rizzo – in calendario per il 29 gennaio.

Per il pm la commissione non avrebbe preventivamente individuato il criterio matematico per valutare le offerte dei partecipanti, né calcolato il costo degli esprorpi, ammettendo Adria Infrastrutture nonostante la sua proposta contemplasse un contributo pubblico superiore all’importo massimo previsto dalla legge, permettendole anche di modificare in corso di gara in maniera sostanziale la proposta iniziale.

Una serie di favori, dunque, anche se nell’ipotesi di reato non vengono contestate né tangenti, né pressioni da parte di politici come Galan e Chisso (ai quali invece nell’inchiesta tangenti vengono proprio contestati anche interessi privati in project financing autorizzati dalla Regione).

«La Procura contesta irregolarità di natura prettamente amministrativa sulle quali il Tar Veneto si è già espresso, dichiarando la totale legittimità di quelle procedure», commenta l’avvocato Marco Vassallo, facendo riferimento al ricorso di Net Engineering, «si tratta di accuse che contraddicono le stesse dichiarazioni di Piergiorgio Baita e Claudia Minutillo, caposaldi dell’accusa, che hanno messo a verbale che il loro nemico in Regione era proprio Vernizzi, che gli aveva messo i bastoni tra le ruote».

Roberta De Rossi

 

la PARLAMENTARE DEL PD  Rubinato: «Giusta la nostra denuncia»

TREVISO «Oggi abbiamo la conferma che i nostri dubbi erano fondati, avevamo visto giusto. Fino alla sentenza rimane la presunzione di innocenza per gli indagati, ma il territorio e gli amministratori locali che si sono sempre battuti contro questo “esproprio per privata utilità”, possono adesso tirare un sospiro di sollievo».

Così Simonetta Rubinato,deputata Pd, già sindaco di Roncade, commenta l’inchiesta sull’appalto della via del Mare. È stata lei, a chiedere la «sospensione della gara per la via del Mare», anche con un’interrogazione al ministro Maurizio Lupi, e a mettere in discussione «la legalità dell’iter e anche il buon andamento dell’amministrazione, ossia la scelta più corretta sul piano economico e finanziario». A denunciare il caso su Report, e a inviare un dossier al presidente dell’autorità anticorruzione Raffaele Cantone.

Rubinato ricorda « le ombre che si erano addensate su Adria Infrastrutture, società promotrice del project financing, finita nel mirino della Procura di Venezia», e come «queste non lasciassero presagire nulla di buono».

Il progetto dell’autostrada a pagamento era sempre stato avversato da sindaci e comunità locali. «Usa lo strumento del progetto di finanza per adeguare una strada già pagata dai cittadini, e sottrarla agli stessi cittadini per 40 anni, con il pedaggio», continua Rubinato, «scelta scellerata, che non risolveva nemmeno il problema del traffico, fermato all’imbuto della rotonda della Frova».

Di qui la battaglia per un progetto a stralci, con un costo sostenibile. E sulla vicenda prende posizione Luca Zaia: «Ripongo come sempre la massima fiducia nell’operato della magistratura, seguiremo con attenzione l’evoluzione dell’inchiesta che riguarda fatti del 2009. Nel frattempo, in via cautelativa, ho fatto sospendere la gara oggetto dell’inchiesta».

 

Gazzettino – Rinfresco da 60mila euro bufera su Veneto Acque

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28

gen

2015

LA REGIONE CONTRO LA SUA PARTECIPATA

VENEZIA – Gli ex amministratori di Veneto Acque rischiano di dover restituire di tasca propria i 60mila euro spesi nel 2006 per un buffet. Trattasi del rinfresco organizzato il 25 febbraio 2006 a Fusina, presenti i ministri Pietro Lunardi e Altero Matteoli, il governatore Giancarlo Galan più altre 600 persone.

Dell’organizzazione dell’evento era stata incaricata la Bmc Brokers, società di San Marino presieduta da William Colombelli che sette anni dopo sarebbe finita al centro dell’operazione “Chalet” che portò in galera Piergiorgio Baita, lo stesso Colombelli e l’ex segretaria di Galan, Claudia Minutillo, che lavorava con Colombelli. Quell’inchiesta ha avuto uno strascico con la Corte dei conti: i magistrati contabili si sono chiesti come mai Veneto Acque – che è una società partecipata al 100% dalla Regione e che si occupa di acquedotti – ha contributo con 60mila euro per quel buffet, senza contare che la Regione ne aveva messi altri 25mila.

In Regione nei mesi scorsi è arrivata una richiesta di chiarimenti da parte della Corte dei Conti: spiegateci – hanno chiesto i magistrati – perché una vostra società ha pagato il rinfresco di un evento con cui non ha niente a che fare.

La Regione ha girato la domanda al collegio dei revisori dei conti di Veneto Acque. I cui vertici, revisori compresi, nel frattempo sono cambiati. Pier Alessandro Mazzoni, che era amministratore delegato e poi direttore generale, è andato in pensione, ma è a lui e agli altri componenti del Cda che sono stati chiesti lumi.

La spiegazione fornita è che l’allora assessore competente, Renato Chisso, aveva scritto a Veneto Acque chiedendo di attivarsi per questa iniziativa. E la spa ha provveduto. Ma il parere che i revisori dei conti di Veneto Acque hanno ora fornito a Palazzo Balbi è che la società dovrebbe partire con una azione di responsabilità nei confronti dei suoi ex amministratori.

E sarà questo il mandato che la Regione – stando alla delibera portata ieri in giunta dall’assessore alle società partecipate, Roberto Ciambetti – presenterà all’assemblea dei soci (cioè se stessa) venerdì. Alternative – è stato spiegato – non ce ne sono, visto quel che hanno detto i revisori dei conti. A Mazzoni & C. sarà dunque chiesto di restituire a Veneto Acque i 60mila euro del buffet.

(al.va.)

 

I primi provvedimenti dei commissari

VENEZIA – Lettera di licenziamento. Il Consorzio Venezia Nuova dà il benservito a Maria Teresa Brotto, per anni direttore tecnico e di fatto numero due del pool di imprese che sta costruendo il Mose.

Primi effetti della «cura» avviata dai due commissari Luigi Magistro e Francesco Ossola, nominati dal prefetto di Roma su disposizione del presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone.

Cancellata la struttura societaria del Consorzio, adesso le decisioni devono essere prese dai due commissari straordinari.

Magistro, ex ufficiale della Finanza e già direttore dell’Agenzia delle Entrate e della lotta all’evasione, sta spulciando in questi giorni migliaia di documenti.

L’indicazione è quella di interrompere i contratti con le persone che a vario titolo risultino coinvolte nell’inchiesta. Ma anche di «risparmiare» sulle spese legali e di rappresentanza.

Di questa seconda fattispecie fa parte il contratto di consulenza di Alfredo Biagini, avvocato del Consorzio, che ha seguito fin dall’inizio le vicende legate al Mose. Suoi i ricorsi e le memorie difensive – quasi sempre vincenti – presentate al Tar e al Consiglio di Stato. Ma la collaborazione tra Biagini e la nuova dirigenza del Cvn si è interrotta. Il tempo di concludere le cause aperte e poi Biagini tornerà al suo lavoro di libero professionista.

Scricchiola anche la consulenza con la società di Enrico Cisnetto. Contratto da oltre duecentomila euro rinnovato nel settembre scorso. Ma Magistro ha annunciato ai suoi collaboratori che «gli eventi saranno tagliati». Dunque il futuro per la società di Cisnetto si fa difficile. Spese ridotte – una strada per la verità imboccata già dal presidente Mauro Fabris prima di essere commissariato – ma soprattutto «trasparenza».

Sul sito del Consorzio saranno messi in tempo reale documenti e attività. Una volontà di «girare pagina» rispetto all’inchiesta e al recente passato. Intanto se ne va la Brotto, ingegnere padovano che aveva assunto nell’era Mazzacurati-Baita una posizione di rilievo. Presidente anche della Tethis e coordinatore del gruppo tecnico. Ha patteggiato la pena e adesso è stata licenziata. Le spetterà la liquidazione di legge, ma alla fine una cifra molto più bassa di quella ottenuta come buonuscita dall’ex presidente direttore Mazzacurati (sette milioni di euro).

La linea che Magistro ha illustrato nei giorni scorsi ai suoi collaboratori è molto chiara: «Chi ha patteggiato se ne deve andare, è un’ammissione di responsabilità». Per gli altri si dovrà attendere il processo.

Spese consulenze intanto sono al setaccio del nuovo amministratore, che si occupa della parte gestionale e finanziaria. Si sta preparando il bilancio, dopo la «cura dimagrante» degli ultimi mmesi. Ci sono da accantonare i 27 milioni di euro dovuti al fisco per chiudere le partite dopo gli accertamenti della Finanza. Sono accesi i riflettori del mondo dopo lo scandalo che aveva portato in carcere nel giugno scorso 35 persone. E c’è la partita della manutenzione e della gestione delle paratoie. «Dovrà essere gestita dallo Stato in modo trasparente», hanno annunciato i commissari.

Alberto Vitucci

Nuova Venezia – #Galandimettiti, l’hastag spopola

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28

gen

2015

La Rete chiede le dimissioni del parlamentare di Forza Italia

PADOVA «In quale paese un presidente di Commissione è agli arresti domiciliari e percepisce lo stipendio da parlamentare?». Se lo chiede Mimmo cinguettando su Twitter. L’hastag, gettonatissimo in queste ore, è #Galandimettiti e punta, senza tanti giri di parole, alle dimissioni dell’ex presidente del Veneto ed ex ministro Giancarlo Galan.

Palloncini (questo il nickname) allega invece due foto: un’immagine del parlamentare forzista, corredata dalla discalia «Arrestato con stipendio pubblico», e una foto della villa di Cinto Euganeo.

Il tweet ribadisce il concetto: «Agli arresti domiciliari e prende i soldi anche come presidente della commissione Cultura».

L’onorevole Giulia Grillo, parlamentare del Cinque Stelle, posta invece il video che documenta l’intervento pronunciato sabato sera a Cinto da Jacopo Berti, candidato governatore M5S. «Il Pd e Forza Italia», sottolinea Silvio, in riferimento alla proposta di sospensione del pagamento dell’indennità parlamentre, «hanno votato contro, ma vi rendete conto, votanti di questi cialtroni?». «Se voti per i ladri», commenta Slavina, «ti meriti di essere derubato».

 

Nuova Venezia – I grillini “assediano” villa Galan

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25

gen

2015

Sit in del M5S, Cappelletti: «L’ex governatore si dimetta subito da deputato»

LOZZO ATESTINO «Pronto? Come sta Galan? Salutatemelo tanto, è una personcina tanto onesta». Sono le 18.45 e in piazza a Lozzo Atestino, in collegamento da Roma, chiama il deputato Alessandro Di Battista accendendo gli oltre duecento grillini radunati nel piccolo Comune dei Colli Euganei. E’ questo uno dei momenti che ha animato la tappa veneta della «Notte dell’Onestà», l’evento organizzato dal Movimento 5 Stelle e che ha avuto un’appendice in Veneto. Cuore della protesta è Lozzo Atestino, il centro più vicino a Villa Rodella, la sontuosa tenuta di Cinto Euganeo in cui l’ex governatore Giancarlo Galan sta scontando gli arresti domiciliari.

In piazza delle Fratte sono in 250, capitanati dal candidato del M5S alla presidenza della Regione Veneto, Jacopo Berti. Con lui, oltre a numerosi esponenti del territorio, ci sono anche i senatori Enrico Cappelletti e Giovanni Endrizzi. La lunga carovana ha puntato presto l’obiettivo di giornata, ossia la dimora dell’ex ministro Galan.

In programma un flash mob «educato ma forte, una battaglia di legalità e giustizia» – per utilizzare l’annuncio M5S – proprio davanti alla casa del Doge. Le autorità presenti, schierate in gran numero sia in piazza che agli ingressi di Villa Rodella, hanno però imposto un doppio limite: ai manifestanti è stato vietato di passare per la strada che costeggia il palazzo di Galan, costringendo gli stessi ad imboccare una via parallela ma più lontana. La lunga carovana, armata di striscioni e stelle filanti, si è poi dovuta arrestare a più di cento metri dalla villa. Qui ha preso la parola Berti, che ha polemizzato in particolare contro la decisione della Camera di non accogliere l’emendamento del M5S alla riforma costituzionale, che chiedeva la sospensione del’indennità a Galan. L’ex ministro, nonostante i domiciliari, continua a presiedere la commissione Cultura. Il sit-in si è spostato nuovamente in piazza, dove dal palco allestito per l’occasione i promotori dell’evento si sono messi in contatto con i colleghi radunati a Roma.

Hanno preso la parola, tra gli altri, l’europarlamentare David Borrelli e il deputato Di Battista: «In Veneto state facendo un lavoro formidabile, è incredibile che non tutti i cittadini veneti conoscano la verità, e cioè che il presidente di una commissione parlamentare di fatto è un galeotto».

Nicola Cesaro

 

Rostellato all’attacco: «Inaccettabile che continui a presiedere la commissione»

Businarolo: «Ha patteggiato ma l’ex governatore prende ancora in giro i veneti»

PADOVA – Novantacinque voti favorevoli, trecentoquarantadue contrari, otto astenuti. La Camera dei deputati ha bocciato ieri, in sede di votazione sulla riforma costituzionale, l’emendamento del Movimento Cinque Stelle (primo firmatario il trevigiano Riccardo Fraccaro, eletto in Trentino-Alto Adige) che chiedeva la «sospensione dell’indennità al membro della Camera del deputato arrestato, privato della libertà personale o mantenuto in detenzione».

A più riprese i deputati pentastellati (tra loro anche Alessandro Di Battista, componente del direttorio grillino, hanno puntato il dito, in particolare, sul caso del deputato Giancarlo Galan, che dallo scorso giugno è impossibilitato a partecipare ai lavori della Camera (per effetto del suo coinvolgimento nella vicenda Mose) ma continua a presiedere la commissione Cultura e, soprattutto, a riscuotere una lauta indennità.

«Tra gli articoli trattati in aula», sottolinea la deputata padovana Gessica Rostellato, «c’era l’articolo 69 della Costituzione: “I membri del Parlamento ricevono una indennità stabilita dalla legge”. Ebbene, noi abbiamo richiesto che i deputati condannati e detenuti non percepiscano l’indennità. È inaccettabile che vi siano soggetti come Giancarlo Galan che, pur avendo patteggiato e quindi ammesso la colpa, siano ancora deputati».

Lancia in resta anche l’onorevole Francesca Businarolo, di Pescantina: « Questo principio è importantissimo per noi veneti. Galan ci ha preso in giro per quindici anni. Vive in una villa bellissima nel Padovano. Ha patteggiato; adesso è a casa e continua a riscuotere l’indennità da parlamentare. È presidente della commissione Cultura in questo asse destra-sinistra, che non si è ancora capito dove vuole andare».

È stato respinto anche l’emendamento grillino all’articolo 57 (primo firmatario Riccardo Nuti): «Non possono ricoprire la carica di senatore coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva per delitto non colposo». «In Parlamento ormai», annota il bellunese Federico D’Incà, «siamo rimasti l’unica forza di opposizione. Con il beneplacito del Patto del Nazareno Galan continua a mantenere la posizione e a riscuotere la sua indennità».

Non a caso i pentastellati, capeggiati dal candidato governatore Jacopo Berti stasera, dalle 17, manifesteranno a Cinto Euganeo nell’ambito della «Notte dell’onestà contro la corruzione e le mafie».

Claudio Baccarin

 

Grandi opere e tangenti, dibattito a san leonardo

«Il problema si lascia irrisolto, per anni. Poi si crea l’emergenza e bisogna decidere in fretta. A quel punto passa la grande opera, i tempi e i controlli vengono allentati. E la corruzione dilaga».

È questo secondo Francesco Giavazzi, economista della Bocconi, il nucleo del sistema del malaffare. La sua causa, che permette poi di fare affari con i soldi dello Stato e di costruire opere non sempre necessarie e qualche volta dannose.

È la tesi illustrata ieri sera in un’affollata sala San Leonardo a Cannaregio da Giovazzi, autore del libro «Corruzione a norma di legge», scritto insieme al giornalista Giorgio Barbieri. Un magma presente da vent’anni, venuto in superficie con l’inchiesta della Procura veneziana lo scorso 4 giugno. Che non è limitato al solo progetto Mose.

«È successo così anche per l’Expo del 2015», dice Giavazzi, «tutto fermo per anni, poi i lavori si devono fare in fretta, per non perdere i finanziamento. E si va veloci anche con i certificati antimafia. Sta per succedere anche con le grandi navi e il canale Contorta. Decreto Clini Passera inapplicato per tre anni e adesso l’emergenza».

Un pubblico numeroso e attento quello venuto a San Leonardo per ascoltare la relazione di Giavazzi, ma anche la prima uscita pubblica – dopo l’annuncio della scesa in campo del suo concorrente Nicola Pellicani – del candidato alle primarie del centrosinistra Felice Casson, senatore Pd.

«Il Consorzio Venezia Nuova non è stato solo corruzione penale, tangenti e malaffare», attacca Casson tra gli applausi, «ma anche corruzione sociale. Un sistema per cui bastava pagare per andare avanti con le autorizzazioni».

Soldi dello Stato e concessione unica, niente gare d’appalto e prezzi gonfiati. E centinaia di milioni di euro messi da parte con i profitti e le evasioni fiscali delle aziende, per pagare il consenso.

«Per questo motivo non ci hanno mai ascoltato», tuona Armando Danella, per decenni responsabile dell’Ufficio legge Speciale del Comune, «i dubbi tecnici sul Mose venivano accantonati e mai presi in considerazione, anche se venivano da scienziati di fama internazionale».

Della corruzione diffusa in città parlano Gianfranco Bettin, Beppe Caccia e Roberto D’Agostino, ultimo presidente della disciolta società Arsenale spa che si era trovata a contendere gli spazi proprio al Consorzio Venezia Nuova. Luana Zanella, ex parlamentare dei Verdi, ricorda le battaglie in parlamento e in Europa, i pronunciamenti della Corte dei Conti e delle commissioni Europee sulle Procedure di Infrazione a cui la Regione, alcuni settori dello Stato e del governo non hanno mai dato ascolto.

«La corruzione si è inserita nei livelli più profondi, hanno distrutto la libera ricerca», ricorda Andreina Zitelli, docente Iuav e relatrice della Valutazione di Impatto ambientale che bocciò il progetto Mose nel 1998. Ma anche allora non era successo nulla. Giavazzi, che pure si era espresso a favore del Mose nel 2006, in un articolo di fondo apparso sul Corriere ha anche duramente criticato il candidato sindaco della maggioranza Pd, Nicola Pellicani.

«Primarie finte perché nulla cambi», ha scritto, «saranno le solite imprese a pagare la campagna elettorale».

In sala Pellicani non c’è, e nemmeno Jacopo Molina. C’è l’altro candidato alle primarie, il libraio Giovanni Pelizzato. Giavazzi sorride e firma autografi.

In sala interventi sul «monopolio da fermare, sulla necessità della concorrenza, legalità e trasparenza per la pubblica amministrazione. «Ci proveremo», promette Casson, «e in questa città non governeremo mai con la destra: quando si votano le leggi anticorruzione in Parlamento loro stanno sempre dall’altra parte».

Alberto Vitucci

 

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