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Dopo i commissari, nominato l’organo consultivo di 5 membri

C’è Romeo Chiarotto nel Comitato imprese di Venezia Nuova

Dopo i commissari, il Comitato consultivo delle imprese. Il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro ha firmato il decreto di nomina del nuovo organismo che dovrà “assistere” il nuovo governo straordinario del Consorzio Venezia Nuova dopo lo scandalo Mose e lo scioglimento degli organi societari deciso dal presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone.

I componenti del Comitato sono cinque, quattro in rappresentanza degli azionisti maggiori (che detengono almeno il 10 per cento delle quote consortili), uno per le imprese minori e locali. Si tratta di Salvatore Sampero (Mazzi costruzioni), Romeo Chiarotto, titolare della Mantovani, primo azionista del Consorzio, per il raggruppamento di imprese Venezia Lavori Covela-Mantovani; Luigi Chiappini (Consorzio San Marco), Americo Giovarruscio (ItalVenezia-Condotte) e Laura Lippi, ingegnere nominata dagli azionisti minori.

Il Comitato potrà segnalare ai due commissari che da un mese governano il Consorzio, Luigi Magistro e Francesco Ossola, le esigenze delle imprese e problematiche che dovessero sorgere nel corso dell’attività.

Il decreto del presidente Cantone, poi ripreso dal prefetto che ha decisio le nomine, del resto è molto chiaro: il commissariamento previsto dalla legge anticorruzione non deve mettere in discussione l’opera. Ma garantire al contrario che questa venga portata a compimento al riparo dai rischi di corruzione. Dunque ad avere il benservito, il mese scorso, è stato soltanto il presidente Mauro Fabris, subentrato a Giovanni Mazzacurati arrestato con l’accusa di corruzione.

L’opera di rinnovamento e di risparmi portata avanti da Fabris non è stata ritenuta sufficiente, e Cantone ha deciso di procedere con il commissariamento. Hermes Redi, direttore nominato dal Cda al posto di Mazzacurati – che ricopriva entrambi gli incarichi di presidente e responsabile tecnico – è invece rimasto al suo posto.

Adesso l’attività del Mose può proseguire.Tra le proteste dei comitati, che hanno chiesto qualche mese fa alla nuova dirigenza di verificare con attenzione tutti i passaggi autorizzativi della grande opera che sono risultati poi viziati dalla corruzione. Un sistema diffuso che è stato in buona parte scoperto dalla Finanza e dalla Procura veneziana, portando nel giugno scorso all’arresto di 36 persone, tra cui l’ex presidente della Regione Giancarlo Galan e l’ex assessore Renato Chisso, funzionari dello Stato e tecnici.

Una grande opera da cinque miliardi con fondi garantiti dallo Stato e un sistema, quello della concessione unica, che ha portato negli anni in laguna un fiume di denaro. Finito poi in buona parte nelle tasche di corrotti e corruttori.

Adesso con la nomina dei commissari – e del comitato a garanzia delle imprese – il governo intende voltare pagina. E portare a compimento il Mose al più presto – anche se la data promessa del 2017 non sarà rispettata – al riparo dalla grande onda della corruzione e del malaffare.

 

Gazzettino – Cvn, Roma sceglie anche il Consiglio consultivo

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

21

gen

2015

La decisione è stata presa nei giorni scorsi. E arriva sempre da Roma. Come nel dispositivo di nomina dei due commissari che hanno sostituito il vertice del Consorzio Venezia Nuova, anche questa volta è toccato al prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro scegliere e nominare i rappresentanti del Consiglio consultivo del Cvn, un organo voluto con il riassetto dell’ente concessionario che, come si ricorderà, è stato profondamente modificato con la decisione del presidente dell’Autorità anticorruzione, Raffaele Cantone che, su mandato del Governo, aveva azzerato i vertici del Cvn nell’onda lunga dello scandalo Mose. In quell’occasione l’addio dell’allora presidente del Cvn, Mauro Fabris sostituito con provvedimento prefettizio con due nuovi commissari: Francesco Ossola, esperto di ingegneria civile e Luigi Magistro, tra i maggiori conoscitori della macchina amministrativa statale.

Da ieri si completa il quadro delle nuove nomine che dovrebbero condurre il Consorzio all’obiettivo finale della realizzazione del sistema Mose. E in questo quadro vanno intesi i componenti del Consiglio consultivo. L’organo sarà composto da cinque persone: quattro esponenti per altrettanti gruppi di aziende che superano ciascuna il 10 per cento all’interno del pacchetto azionario del Cvn. A rappresentarle sono stati chiamati Americo Giovarruscio (quota Condotte-Consorzio Venezia); Luigi Chiappini (Consorzio veneto San Marco); Romeo Chiarotto (Co.Ve,.La e Mantovani); Salvatore Sarpero (Società consortile Mazzi.

L’ultima nomina ha riguardato il rappresentante delle aziende con una quota complessiva inferiore al 10 per cento nell’ambito del Consorzio Venezia Nuova. Per le piccole e medie imprese che partecipano ai lavori del Mose, è stata scelta Laura Lippi, l’unica donna del gruppo, che professionalmente proviene dalla azienda Ccc, Consorzio Cooperative Costruzioni.

Ma al di dei nomi, alcuni già presenti nella passata gestione come Giovarruscio, Serpero, Chiarotto, i compiti del Comitato consultivo saranno – oggettivamente – molto limitati e potranno essere quasi ed esclusivamente di indirizzo e in alcun modo non vincolanti, capaci di modificare le eventuali decisione prese dai due commissari Ossola e Magistro che, in tutto e per tutto, sono e rimangono i plenipotenziari dei destini del Consorzio Venezia Nuova fino alla conclusione del progetto Mose.

 

Nuova Venezia – “Regione obbligata a chiedere i danni”

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

15

gen

2015

Proposta di legge di Fi per impedire che corrotti e concussori se la cavino con poco

VENEZIA – Cento milioni all’anno per almeno dieci anni. Un miliardo di euro è la voragine che si lascia dietro il Consorzio Venezia Nuova nella gestione dell’ingegner Giovanni Mazzacurati. Tanto serviva per tenere in piedi la grande giostra delle tangenti ai burosauri di Stato, ai politici, ai tecnici, ai militari per addomesticare ogni tipo di controllo, accertamento o collaudo, per pagare consulenze inutili, fare beneficenze ingiustificate ma graditissime (c’era mezzo mondo nell’indirizzario), per praticare rialzi assurdi di prezzo in modo da creare il nero con le triangolazioni, per tenere in piedi il baraccone delle retrocessioni alle aziende e consentire che a sborsare il conquibus fosse alla fine sempre e solo lo Stato. Cioè il contribuente.

Questi sono i danni veri del Mose, il «fabbisogno sistemico» come lo chiamava Piergiorgio Baita. La stima dei 100 milioni all’anno è sua e la procura l’ha trovata verosimile. Poi ci sono i danni patiti dagli enti. I danni subìti dalle imprese private ingiustamente escluse. I danni ambientali per il ritardo delle opere. I danni di immagine, non meno reali, che valgono per l’intera collettività veneta: chi ripaga dell’onore sbeffeggiato?

«Noi ci costituiremo sempre come parte civile nei processi, per verificare fino in fondo le responsabilità», aveva promesso Luca Zaia il 10 giugno scorso in consiglio regionale. Molti altri avevano fatto anticipazioni analoghe. A che punto siamo oggi?

Consiglio regionale. L’occasione di fare il punto viene dalla presentazione fatta ieri di una proposta di legge («Norme a tutela della personalità giuridica e del patrimonio della Regione Veneto») per obbligare la giunta regionale a costituirsi parte civile nei processi per corruzione a carico dei propri amministratori o dipendenti. Finora la decisione era discrezionale. In futuro, se la legge verrà approvata, la giunta dovrà rendere conto all’aula. Firmatari con piglio molto diverso Moreno Teso (determinatissimo: occorre discontinuità rispetto al passato), Leo Padrin (nessun collegamento con situazioni attuali, varrà solo per il futuro), Renzo Marangon (associato).

Giunta regionale. La delibera che autorizza Ezio Zanon capo dell’avvocatura regionale a costituirsi nei provvedimenti che riguardano tutti gli arrestati della vicenda Mose, non solo quelli del 4 giugno, inclusi i due parlamentari che allora erano coperti da immunità Giancarlo Galan e Lia Sartori, è stata firmata il 17 giugno 2014. Se lo scopo del terzetto del Pdl era spingere Zaia, difficile farlo con uno partito mesi prima. Nell’elenco sono inclusi i politici Sartori, Orsoni, Marchese, i dipendenti regionali Fasiol e Artico, l’ex segretario alla sanità Ruscitti, tutti gli imprenditori dai Boscolo a Mazzi, a Tomarelli, Morbiolo, Astaldi, e poi i dipendenti del Consorzio tra cui Neri e la Brotto, gli ex capi del magistrato alle acque Neri, Cuccioletta, Piva, i commercialisti Venuti e Giordano, il generale Spaziante e il finanziere vicentino Meneguzzo, e naturalmente Mazzacurati, Baita, la Minutillo e Buson.

L’accettazione dei patteggiamenti ha impedito la costituzione di parte offesa e bisognerà avviare una causa civile. Grosso problema, dati i tempi della giustizia italiana, ma inevitabile. L’elenco comprendeva anche l’ex sottosegretario Milanese, che non ha patteggiato ed è a processo a Milano. La costituzione di parte civile era possibile ma non fondata e non è stata accettata.

Consorzio Venezia Nuova. Contro Milanese si è costituito invece il Consorzio Venezia Nuova, costituzione accolta l’8 gennaio assieme a quella del ministero dell’economia. Lo scorso ottobre il Consorzio, ancora presieduto da Mauro Fabris aveva incaricato i suoi legali di acquisire le sentenze dei patteggiamenti con l’intenzione di avviare una causa civile. Il Consorzio contro se stesso. Bisognerà vedere cosa decideranno i commissari.

Porto di Venezia. Contro il Consorzio si sono attivati nella primavera scorsa l’Autorità Portuale presieduta da Paolo Costa e Venice Terminal Passeggeri, presieduta da Sandro Trevisanato, chiedendo i danni per aver dovuto «interrompere l’attività a causa dei lavori del Mose». Una richiesta milionaria, calcolata al centesimo e spedita in copia anche al ministro Lupi. Si ignora che fine abbia fatto, ma si tratterebbe di una partita di giro: lo Stato contro se stesso. Kramer contro Kramer. Class Action. È proposta da Adiconsum, con una raccolta di firme (finora sono 300) che verranno depositate appena verrà conclusa la fase istruttoria dei processi.

Renzo Mazzaro

 

MOSE – All’esame le dichiarazioni di Dal Borgo

Un nuovo filone nell’inchiesta sul Mose: i rapporti tra i cavatori e gli amministratori pubblici. La Procura della Repubblica di Venezia sta vagliando e cercando riscontri alle dichiarazioni di Luigi Dal Borgo, l’imprenditore bellunese accusato di millantato credito che da tempo collabora con la magistratura. L’uomo avrebbe parlato di finanziamenti ripetuti nel tempo anche in questo settore.

 

TANGENTI IN LAGUNA – Un nuovo filone aperto dalle dichiarazioni dell’imprenditore bellunese Dal Borgo

“Sistema Mose”, nel mirino anche le cave

La Procura intende chiarire eventuali rapporti tra imprenditori del settore e amministratori pubblici

Enzo Casarin, già collaboratore di Chisso, chiamato in causa da Dal Borgo

Il prossimo filone dell’inchiesta della Procura di Venezia potrebbe svilupparsi sul fronte delle cave e di presunti contributi illeciti diretti ad amministratori e tecnici. Sono state le dichiarazioni di uno degli indagati dello scandalo relativo al cosiddetto “sistema Mose” ad illuminare la nuova pista, raccontando tutti i particolari a sua conoscenza. Gli investigatori si apprestano ad avviare i necessari accertamenti, al fine di cercare conferme e di acquisire possibili elementi di riscontro. L’impresa non è semplice: gli episodi finiti all’attenzione potrebbero essere piuttosto datati nel tempo e, come sempre accade nel caso di reati contro la pubblica amministrazione, le prove documentali sono poche, se non inesistenti. E risultano essenziali le confessioni di chi decide, magari anche per interesse personale, di rompere il meccanismo illecito e di illustrarne i meccanismi agli inquirenti. Confessioni sempre molto rare.

Il primo a offrire spunti su questo nuovo filone è stato Luigi Dal Borgo, l’imprenditore bellunese accusato di millantato credito nell’inchiesta sul Mose, per aver fatto credere a Piergiorgio Baita, tra il 2011 e il 2013, di poter ottenere informazioni riservate sull’inchiesta che la Guardia di Finanza stava conducendo sulle false fatture emesse dalla società di costruzioni Mantovani spa.

Dopo essere finito in carcere, Dal Borgo ha accettato la scorsa estate di rendere alcuni interrogatori davanti ai pm Stefano Ancilotto e Stefano Buccini, nel corso dei quali ha raccontato di essersi prestato ad aprire alcune cassette di sicurezza in una banca austriaca per conto di Enzo Casarin, all’epoca segretario dell’ex assessore alle Infrastrutture, Renato Chisso, e di aver saputo da Casarin che le somme custodite all’interno di quelle cassette appartenevano a Chisso. L’ex assessore è uscito dall’inchiesta patteggiando la pena di due anni e sei mesi e 20 giorni di reclusione per il reato di corruzione.

Davanti ai magistrati Dal Borgo ha riferito anche degli stretti rapporti intrattenuti da alcuni cavatori con qualche amministratore pubblico, facendo riferimento a finanziamenti ripetuti nel tempo. Vero o falso? È quanto la Procura vuole accertare. Innanzitutto cercando conferme dell’esistenza di eventuali contributi, per poi verificare, in caso affermativo, se si sia trattato di versamenti regolari oppure no. E se tali versamenti fossero riferibili a specifici atti amministrativi.

La questione delle cave è una tra le più delicate e controverse. Da circa 30 anni il Veneto è in attesa di una legge e del relativo Piano regionale che regolamenti il settore per evitare che prosegua lo sfruttamento selvaggio del territorio. Invano. Per ben tre volte, dal 2003, il testo di legge approntato tra mille difficoltà in Regione è stato rispedito al mittente. L’ultima è accaduta pochi mesi fa, nel settembre dello scorso anno. Colpa della potente lobby dei cavatori, denunciano gli ambientalisti. Rinvio giustificato semplicemente della complessità della materia, si sono giustificati in Regione, auspicando che la normativa possa essere approvata prima della conclusione della legislatura, cioè entro la prossima primavera. Obiettivo alquanto ambizioso. Nel frattempo anche la Procura potrebbe iniziare a scavare.

 

Acquisiti gli atti sui 50 milioni che la Regione ha destinato al restauro dello Studium e del palazzo del Patriarca. Gli errori sui lavori alla bocca di porto di Malamocco

VENEZIA – Un’indagine sulla pioggia di milioni di euro erogati dalla Regione Veneto a favore dello Studium Marcianum inaugurato nel 2008, voluto dall’ex patriarca di Venezia Angelo Scola, e un’altra indagine sulla conca di navigazione realizzata da Magistrato alle Acque e Consorzio Venezia Nuova in bocca di porto di Malamocco – per far entrare le navi in laguna quando il Mose sarà alzato – che il porto di Venezia ha chiesto al ministero delle Infrastrutture di modificare (progetto da 15 milioni di euro) perché troppo piccola per far transitare in sicurezza le navi oltre i 280 metri di lunghezza.

Sono le due nuove inchieste avviate dal procuratore della Corte dei conti Carmine Scarano (conca di navigazione) e dal procuratore aggiunto Giancarlo Di Maio (Marcianum) sul fronte sempre più controverso delle spese di “salvaguardia” della laguna di Venezia. Marcianum.

La Procura veneta ha in corso da qualche mese un’indagine contabile sui 50 milioni di euro di Legge speciale che la Regione Veneto – allora retta da Giancarlo Galan – aveva stornato dalle opere di disinquinamento (cui erano per legge destinati) per assegnarli alla Curia veneziana per il restauro del palazzo patriarcale in piazza San Marco e la nascita dello Studium Marcianum in Punta della Salute, ambizioso e patinato polo teologico-culturale voluto dall’allora patriarca Angelo Scola. Scuola media, liceo classico, facoltà di Teologia per qualche anno finanziato con generosi contributi pubblici e privati. O entrambi: come nel caso dei 100 mila euro del Consorzio Venezia Nuova che l’allora presidente del Cvn e della stessa Fondazione Studium Marcianum, Giovanni Mazzacurati non mancava mai di versare.

Poi i conti che non tornano, l’inchiesta sulle Tangenti Mose che ha fatto venire meno i finanziatori più ricchi e “fedeli”, la decisione del patriarca Francesco Moraglia – appena giunto a Venezia, nel 2013 – di chiudere l’esperienza Marcianum, per non dipendere da chicchessia. E ora l’indagine della Corte dei conti per verificare se vi sia stato un uso improprio dei fondi di Legge speciale, partendo da quanto segnalato da un articolo della scorsa estate de “La Nuova di Venezia e Mestre”, che ripercorreva il fiume di finanziamenti erogati dalla Regione Veneto al Marcianum – e al Patriarcato – per anni gigantesco cantiere per trasformare il vecchio seminario in Punta della Salute nel polo culturale ecclesiastico in laguna, con tanto di foresteria da 70 camere, spazi di ristoro, sale multimediali, biblioteca, spazi espositivi e sale congressi. Come foresteria, uffici e nuove sale vennero realizzate anche nel palazzo patriarcale di San Marco.

Si potevano spendere a questo scopo fondi di Legge speciale per il disinquinamento? Questo intende chiarire l’indagine, con i finanzieri del Nucleo Tributario incaricati di acquisire la documentazione.

Mose e conca di navigazione. Di ieri, invece, la decisione del procuratore veneto Carmine Scarano di aprire un fascicolo contabile per stabilire se vi sia o meno qualche ipotesi di danno erariale in merito a una notizia delle ultime ore: la conca di navigazione realizzata sulla diga di Pellestrina – per garantire il transito delle navi anche in caso di Mose in attività – e costata 280 milioni di euro, va già modificata. Costo, altri 10-15 milioni, Sin dal 2006 i piloti del porto avevano evidenziato il fatto che la “lunata” realizzata a protezione della conca era troppo vicina e le navi superiori ai 280 metri avrebbero avuto difficoltà di manovra. Allarme rilanciato anche dalla Capitaneria di Porto, ma sempre respinto dal Magistrato alle Acque. Ora il presidente del Porto Paolo Costa – che la conca aveva voluto da allora sindaco di Venezia – ha formalizzato al ministero un progetto, per realizzare una sorta di muro di sponda rafforzato dove le navi possono appoggiarsi per virare e allinearsi. Bisognava farlo prima? C’è danno? Questo intende verificare l’indagine.

Roberta De Rossi

 

Il bacino consente il transito fra due specchi d’acqua

Ma cos’è la conca di navigazione? È un apparato idraulico interposto tra due specchi d’acqua, collocati a un livello differente. La sua funzione è quella di garantire il passaggio di navi, imbarcazioni e natanti. La conca di navigazione viene utilizzata ad esempio, per consentire la navigazione tra il mare e le acque interne. Detta anche bacino di navigazione, la conca è costituita da due o più paratoie stagne mobili; da un invaso; da un sistema di tubazioni e valvole. Attraverso il sistema di valvole si mette in comunicazione l’invaso con lo specchio d’acqua da cui proviene l’imbarcazione. Per il principio dei vasi comunicanti il livello all’interno del bacino raggiunge quello esterno, permettendo l’accesso dei natanti all’interno della conca. Il sistema di conche di navigazione più conosciuto al mondo è quello del canale di Panama. I bacini vengono largamente usati nel Nord Europa per mantenere isolato dal mare (e, nel contempo, consentirgli di comunicare con esso) il vasto sistema di canali navigabili interni.

 

Inchiesta dell’Espresso da oggi in edicola: comandano sempre gli stessi

I Gattopardi del Mose

VENEZIA «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». La tesi espressa da Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo capolavoro, Il Gattopardo, sembra attagliarsi alla perfezione al destino del Mose, a sette mesi dal maremoto giudiziario che lo ha travolto. Non è un caso, insomma, che sia intitolata «I gattopardi non mollano il Mose» l’inchiesta, firmata da Gianfranco Turano con la collaborazione di Alberto Vitucci, che appare sull’Espresso, in edicola da oggi. «Il nuovo e sorprendente protagonista degli affari in laguna è l’incontenibile prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro, amico del piduista e piquattrista Luigi Bisignani, nonché cinghia di trasmissione di chi ha spadroneggiato sui sei miliardi di appalto del Mose e non intende lasciare la presa». È proprio lui, il prefetto Pecoraro – raccontano Turano e Vitucci – che ha redatto l’ordinanza di commissariamento che ha dato il benservito a Mauro Fabris e ha nomina i due nuovi commissari del Consorzio Venezia Nuova: Luigi Magistro, braccio destro di Gherardo Colombo, ai tempi di Mani Pulite, e di Francesco Ossola, progettista dello Juventus stadium. Prima di Natale – si ricorda nell’articolo – il prefetto Pecoraro è addirittura sbarcato in laguna, nella nuova sede del Consorzio all’Arsenale, e ha incontrato i rappresentanti delle tre principali imprese del Mose: Alberto Lang, per Condotte; Salvatore Sarpero, direttore generale di Fincosit; Romeo Chiarotto, proprietario della Mantovani. Insomma, i lavori saranno completati dalle stesse imprese che li hanno iniziati. Mentre i commissari resteranno in carica «fino a collaudo avvenuto». Questo significa almeno 2018 se i lavori, dopo l’ultimo slittamento, saranno completati nel 2017.

 

Il via libera al processo della giunta elezioni del Senato

«Matteoli incassò 550 mila euro per gli appalti a Socostramo»

VENEZIA – Un investimento di 25 mila euro per acquistare le quote aveva fruttato ben 48 milioni di utili. Molto più che un Gratta e Vinci quello strappato dall’impresa romana Socostramo srl dell’imprenditore Erasmo Cinque. Che, senza eseguire alcun lavoro, alla fine grazie all’ex ministro Altero Matteoli aveva guadagnato qualcosa come 48 milioni di euro. Un quadro chiaro e denso di prove quello ricostruito dai tre giudici per il Collegio dei reati ministeriali del Tribunale veneziano che ha chiesto – e ottenuto – dal Senato l’autorizzazione a procedere per l’ex ministro dell’Ambiente e delle Infrastrutture e Trasporti Altero Matteoli e i suoi «correi» Giovanni Mazzacurati, Piergiorgio Baita, Nicolò Buson, Erasmo Cinque e William Colombelli.

I tre giudici (Monica Sarti, Priscilla Valgimigli e Alessandro Girardi) ricostruiscono nella memoria inviata ai senatori i passaggi chiave che dimostrerebbe l’esistenza del reato di corruzione. Il reato, secondo i giudici, nasce in laguna nel giugno 2003 e continua nel maggio 2011, quando vengono sottoscritti gli «atti di impegno» per avviare il disinquinamento delle aree di Porto Marghera. Nell’ottobre del 2001 viene firmato il primo atto di transazione tra lo Stato e la Montedison che si impegnava allora a versare 271 milioni di euro a titolo di risarcimento per l’inquinamento prodotto a Marghera. L’ipotesi sostenuta da Matteoli è quella di affidare gli importi e l’attività di disinquinamento al Consorzio Venezia Nuova. Ma la condizione perché questo avvenga «è che di quei fondi doveva beneficiare la società Socostramo». Che nel novembre del 2000 era entrata a far parte della compagnia consortile di Venezia Nuova con una cifra irrisoria dello 0,006583 per cento, investendo poche migliaia di euro. Quota non sufficiente per partecipare a lavori così importanti, per cui del resto la Socostramo non era neanche attrezzata. Il rimedio è presto trovato: Mazzacurati assegna i lavori con il metodo del «fuori quota», e Baita associa l’impresa alla Mantovani, che effettua realmente i lavori. E rinuncia al 50 per cento dei suoi introiti in favore della piccola impresa.

Il Consorzio da parte sua, continua la memoria dei giudici, «beneficiava di un cosiddetto onere del concessionario per un ammontare complessivo di oltre 60 milioni di euro». Un’operazione con soldi dello Stato da cui tutti gli imputati traggono vantaggio. Matteoli avrebbe ricevuto secondo le indagini 400 mila euro in contanti da Mazzacurati e Baita, 150 mila da Colombelli e Nicolò Buson. «Le indagini hanno dimostrato un totale asservimento dei presidenti del Magistrato alle Acque (Patrizio Cuccioletta e Maria Giovanna Piva) al volere di Mazzacurati, che li remunerava con denaro contante ed utilità». E un «asservimento al Consorzio Venezia Nuova da parte di Altero Matteoli, nella sua veste di ministro dell’Ambiente e delle Infrastrutture». Quanto all’imprenditore Cinque, «forte del suo rapporto con Matteoli, decideva le sorti dei presidenti del Magistrato alle Acque». E il legame tra i due era talmente forte che l’imprenditore convocava nel suo ufficio Cuccioletta. «Per redarguirlo e minacciare il suo trasferimento a direttore del Personale».

Alberto Vitucci

 

Il processo a milano

Il Consorzio Venezia Nuova parte civile contro Milanese

VENEZIA – Il Consorzio Venezia Nuova, ora commissariato ma un tempo guidato da Giovanni Mazzacurati, il principale artefice del presunto «sistema corruttivo»al centro dello scandalo Mose, è parte civile al processo in corso a Milano a carico di Marco Milanese, l’ex parlamentare ed ex braccio destro dell’allora ministro Giulio Tremonti e che ieri era in aula.

Ad ammettere come parte civile il Cvn, così come il ministero dell’Economia, sono stati i giudici della quarta sezione penale del Tribunale di Milano presieduti da Oscar Magi.

Il collegio non ha invece accolto le eccezioni presentate dall’avvocato Bruno La Rosa, uno dei difensori di Milanese, tra cui quella sull’incompetenza territoriale a favore di Venezia, che aveva come obiettivo quello di ritrasferire il procedimento nella sede in cui è nato ed è incardinato il filone principale di indagine: insomma, in tal caso, secondo i difensori, l’inchiesta avrebbe dovuto partire da zero.

Il pm Roberto Pellicano, inoltre, in base alla sentenza con cui lo scorso 28 novembre la Cassazione ha scarcerato Marco Milanese, rimettendolo in libertà, ha leggermente modificato il capo di imputazione. Ha «bocciato» il reato di traffico di influenze ipotizzato nel provvedimento con cui oltre un mese fa la Suprema Corte ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere ma ha riformulato l’accusa: ha ritenuto sia corretto contestare all’ex deputato del Pdl il concorso in corruzione ma, e questa è la differenza rispetto a prima, non con un ruolo di pubblico ufficiale bensì con una veste di «intermediario qualificato» in virtù dell’«autorevolezza» delle cariche politiche e i rapporti privilegiati – ha spiegato il pm ai giudici – con l’allora ministro dell’Economia che era anche presidente del Cipe».

Fu proprio il Cipe a decidere il maxistanziamento che nel 2003 ha di fatto sbloccato gli appalti per le paratoie del Mose da collocare nelle tre bocche di porto della laguna di Venezia. Per l’accusa Mario Milanese avrebbe ricevuto negli uffici di Milano di Palladio Finanziaria 500 mila euro da Mazzacurati in cambio del suo intervento per introdurre «una norma ad hoc per salvare il finanziamento di 400 milioni» per il Mose che altrimenti il Cipe avrebbe destinato ad altre opere nel Sud Italia. Il processo è stato aggiornato il prossimo 19 febbraio sempre a Milano.

 

SCANDALO IN LAGUNA

Il Consorzio Venezia Nuova si è costituto parte civile al processo in corso a Milano a carico di Marco Milanese, l’ex parlamentare ed ex braccio destro dell’allora ministro Giulio Tremonti. Mauro Fabris, già presidente, conferma che la decisione, presa ad ottobre, interesserà anche altri processi.

 

MAURO FABRIS «Una decisione presa ad ottobre, sarà così anche in altri casi»

TRIBUNALE – La costituzione è avvenuta nell’udienza a carico dell’ex braccio destro del ministro Tremonti

Processo a Milanese. Consorzio parte civile

Il Consorzio Venezia Nuova, ora commissariato, si è costituito parte civile al processo in corso a Milano a carico di Marco Milanese, l’ex parlamentare ed ex braccio destro dell’allora ministro Giulio Tremonti e che ieri mattina era in aula.
Ad ammettere come parte civile il Cvn, così come il ministero dell’Economia, sono stati i giudici della quarta sezione penale del Tribunale di Milano presieduti da Oscar Magi. Il collegio non ha invece accolto le eccezioni presentate dall’avvocato Bruno La Rosa, uno dei difensori di Milanese, tra cui quella sull’incompetenza territoriale a favore di Venezia e cioè di ritrasferire il procedimento nella sede in cui è nato ed è incardinato il filone principale di indagine.

Secondo l’accusa Milanese avrebbe ricevuto negli uffici di Milano di Palladio Finanziaria 500 mila euro dall’ex presidente Giovanni Mazzacurati in cambio del suo intervento per introdurre «una norma ad hoc per salvare il finanziamento di 400 milioni» per il Mose e che altrimenti il Cipe avrebbe destinato ad altre opere nel Sud Italia.

«Si tratta di una decisione che avevamo preso lo scorso ottobre – spiega Mauro Fabris, già presidente del Consorzio che ora è guidato dai commissari – è una linea che il consiglio di amministrazione aveva scelto tempo fa e che viene seguita in ogni vicenda processuale di questo tipo. Anche sui recenti patteggiamenti valuteremo, non appena sarà depositata la sentenza, di diventare parte lesa. Siamo intenzionati a costituirci parte civile anche sul fronte dei prossimi processi in città legati alla vicenda del Mose. Penso al caso dell’ex sindaco Orsoni, ma non solo in quella circostanza».
Il processo a carico di Milanese è stato aggiornato al prossimo 19 febbraio.

 

PROCESSO MOSE – “Venezia Nuova” parte civile contro Milanese

MILANO – Il Consorzio Venezia Nuova, ora commissariato ma un tempo guidato da Giovanni Mazzacurati, il principale artefice del presunto “sistema corruttivo” al centro del caso Mose, è parte civile al processo in corso a Milano a carico di Marco Milanese, l’ex parlamentare ed ex braccio destro dell’allora ministro Giulio Tremonti e che ieri era in aula. Ad ammettere come parte civile il Cvn, così come il ministero dell’Economia, sono stati i giudici della quarta sezione penale del Tribunale di Milano presieduti da Oscar Magi. Il collegio non ha invece accolto le eccezioni presentate dall’avvocato Bruno La Rosa, uno dei difensori di Milanese, tra cui quella sull’incompetenza territoriale a favore di Venezia e cioè di ritrasferire il procedimento nella sede in cui è nato ed è incardinato il filone principale di indagine. Il pm Roberto Pellicano ha leggermente modificato il capo di imputazione. Ha ritenuto sia corretto contestare all’ex deputato del Pdl il concorso in corruzione ma, e questa è la differenza rispetto a prima, non con un ruolo di pubblico ufficiale bensì con una veste di «intermediario qualificato» in virtù dell’«autorevolezza» delle cariche politiche e i rapporti privilegiati – ha spiegato il pm ai giudici – con l’allora ministro dell’economia che era anche presidente del Cipe”.

 

VENEZIA – L’ex ministro Matteoli può essere processato per corruzione per le vicende legate al Mose e alle bonifiche di Marghera. Il via libera è arrivato ieri dal Senato, che ha approvato a maggioranza (voto favorevole di Pd, Psi, Cinquestelle, no di Forza Italia) la richiesta di autorizzazione a procedere inviata dal Tribunale di Venezia («Collegio per i reati ministeriali») al presidente del Senato Pietro Grasso nell’ottobre scorso. Richiesta prevista dall’articolo 96 della Costituzione e dall’articolo 5 della Legge Costituzionale del 1989.

Sono parole molto pesanti quelle con cui i tre pm del Tribunale veneziano (Monica Sarti, Priscilla Valgimigli e Alessandro Girardi) hanno chiesto al Senato – e ieri ottenuto – l’autorizzazione a procedere in giudizio per l’ex ministro dell’Ambiente e delle Infrastrutture. Insieme a lui, come prevede la stessa legge, è arrivata l’autorizzazione a indagare anche per i «correi» coinvolti nell’inchiesta della procura veneziana sulla corruzione Mose.

Nella fattispecie l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati, l’ex presidente della Mantovani Piergiorgio Baita, gli imprenditori Nicolò Buson, Erasmo Cinque, William Ambrogio Colombelli.

«Le motivazioni della Procura veneziana sono state condivise dalla maggioranza dei senatori», commenta Felice Casson, senatore veneziano che fa parte della giunta per le autorizzazioni a procedere di Palazzo Madama, «è giusto che si faccia la massima chiarezza su questa vicenda».

Accuse pesanti quelle che pendono sul capo dell’ex ministro Altero Matteoli, nominato due volte responsabile dell’Ambiente – e poi anche delle Infrastrutture e Trasporti – nei governi Berlusconi.

«In violazione dei suoi doveri di imparzialità e di indipendenza», scrivono i giudici, «nell’asservimento delle proprie funzioni agli interessi del Consorzio Venezia Nuova», l’ex ministro avrebbe lavorato per far assegnare allo stesso Consorzio e alle imprese consorziate i finanziamenti per la bonifica di Marghera, in violazione della normativa sulle gare d’appalto, del codice sui contratti pubblici e delle direttive europee».

Sempre Matteoli avrebbe anche garantito a Mazzacurati e al Consorzio la nomina di un presidente «compiacente» (Patrizio Cuccioletta), completamente a disposizione del Consorzio venezia Nuova».

In cambio Matteoli, scrivono i giudici, «avrebbe ricevuto danaro contante direttamente da Mazzacurati e Baita nell’importo di 400 mila euro e altri 150 mila euro consegnati da Colombelli e Buson».

L’ex ministro di Forza Italia avrebbe anche ottenuto dal Consorzio l’assegnazione del subappalto della bonifica all’impresa Socostramo srl, «procurando a questa e al suo amministratore Erasmo Cinque un utile pari a 48 milioni, 672 mila 512 euro e 98 centesimi». Adesso le indagini possono proseguire anche sull’ex ministro.

Alberto Vitucci

 

Nuova Venezia – Il ricorso di Galan

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7

gen

2015

Parla il procuratore aggiunto Carlo Nordio: «Di nuove indagini non posso parlare ma è ovvio che un’inchiesta così complessa ha sempre delle clonazioni»

La legge consente di impugnare in Cassazione la sentenza che l’imputato ha invocato

VENEZIA – Carlo Nordio, procuratore aggiunto della repubblica e contitolare assieme ai pm Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini dell’inchiesta Mose, è l’uomo che ha gestito la trattativa sui patteggiamenti con gli avvocati degli imputati, secondo un principio che definisce di realtà. Patteggiamenti poi accolti nelle sentenze del giudice. Le sentenze si pronunciano «in nome del popolo italiano», ma qui ci sono due popoli che si fronteggiano: il paese reale e il paese legale. Il paese reale si sente orfano del processo Mose e vede nei patteggiamenti accuse pesanti e pene leggere.

Cosa ne pensa il paese legale? «Il processo serve a vedere se l’accusa è fondata o se non lo è. Tutto il resto è pura metafisica, mezzo politica e mezzo mediatica, che va discussa e risolta in altre sedi. Il codice di procedura penale dell’89 firmato da Giuliano Vassalli, medaglia d’oro della Resistenza, prevede che si possa patteggiare e quindi evitare il dibattito pubblico perché è conveniente per entrambe le parti. Quando con la riforma Vassalli noi abbiamo introdotto il processo accusatorio, alla Perry Mason per intenderci, sapevamo che non si poteva prescindere dall’istituto fondamentale che lo regge, il patteggiamento. Negli Stati Uniti il patteggiamento o plea bargain, chiedi l’affare, risolve oltre il 90% dei processi. Solo il 3% arriva a dibattimento».

E sulla sproporzione tra le accuse e l’entità delle pene? «Qui il discorso è di pragmatismo utilitaristico. Prendiamo il patteggiamento più importante, quello dell’ex governatore, 2 anni e 10 mesi, una carcerazione preventiva già sofferta, una carcerazione domiciliare ancora in fieri, una restituzione importante del maltolto, una sicura decadenza dalle cariche politiche. Per noi è una pena seria, bilanciata dal fatto che andavamo incontro a un processo estremamente lungo e costoso per tutti, con gli esiti incerti che hanno tutti i processi e non perché le prove fossero equivoche, secondo noi, ma perché ogni processo ha la sua stella, non ultimo il decorso del tempo e della prescrizione».

Eravate tutti d’accordo su questa linea in procura? «Assolutamente uniti. Alcuni patteggiamenti sono stati concordati con facilità, perché erano standard, parliamo soprattutto degli imprenditori. Per quelli più importanti e se vogliamo più delicati, abbiamo discusso tra di noi quale fosse la soglia minima soddisfacente, però puntando al rialzo. Poi la trattativa sul rialzo è stata condotta da me, con risultato quasi sempre uguale o un po’sopra la soglia minima che avevamo concordato tra di noi».

Gli avvocati di Galan dicono di aver accettato l’inaccettabile. Sembra un’imposizione della procura: avete imposto voi il patteggiamento o ve l’hanno chiesto? «Generalmente è la difesa che lo chiede, qualche volta lo chiede insistentemente e molte volte lo chiede molto insistentemente, quasi in ginocchio. Qualche volta è la procura che fa balenare la disponibilità. Poi si instaura una sorta di mercato».

Nel caso di Galan com’è andata? «Diciamo che le volontà si sono incrociate. Difficile dire in situazioni molto complesse da chi parte l’iniziativa. Un Rembrandt lei lo compera alzando un dito da Softeby’s, soltanto se va a comprare un chilo di pomodori deve chiedere quanto e come. Io ho il massimo rispetto per l’imputato e anche per i suoi difensori e comprendo benissimo che dopo una conclusione seriamente punitiva, secondo noi, si cerchi di mitigare la portata della soluzione attraverso interpretazioni più blande, più benevole».

Se poi aggiungiamo che il patteggiamento non è un’ammissione di colpa… «Attenzione, il patteggiamento ha delle conseguenze precise. Chi lo chiede sa benissimo, e lo deve sapere, che riceve una condanna. Le leggo l’articolo 445 cpp, secondo comma: “la sentenza di patteggiamento anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento e non ha efficacia nei giudizi civili, salve diverse disposizioni di legge, è equiparata a una sentenza di condanna”.

Chi patteggia sa di aver avuto una condanna e ne accetta le conseguenze, giuridiche e anche logiche. Poi ognuno può anche proclamarsi innocente fino alla fine dei suoi giorni, è una scelta rispettabilissima perché fa parte dell’immagine che l’imputato vuol dare di sé».

Salvo che chi l’ascolta può crederci o meno. «Chi l’ascolta può domandarsi se sia una scelta di pura immagine o corrisponda alla realtà, ma per noi è assolutamente vincolante il fatto che la sentenza di patteggiamento è equiparata ad una condanna».

Gli avvocati di Galan hanno fatto ricorso in Cassazione contro il patteggiamento da essi stessi richiesto. Vogliono spostare alle calende greche il pagamento dei 2,6 milioni di sanzione, visto che il termine è fissato entro 90 giorni dopo che la sentenza passerà in giudicato e la sentenza adesso è quella della Cassazione? «La domanda più che legittima che lei fa è quella che si fa anche l’uomo della strada e cioè come fai a impugnare una sentenza che tu stesso hai invocato? È tuttavia una domanda senza risposta. La legge lo consente perché il legislatore è schizofrenico e l’avvocato fa il suo mestiere. Il difensore impugna per mille ragioni: perché se l’imputato è in stato di detenzione può continuare a espiare la detenzione ai domiciliari, così quando il giudizio diventerà definitivo l’ha già espiata a casa; oppure perché spera nella prescrizione; oppure perché spera in un’amnistia o in un indulto».

Quanto tempo richiederà il pronunciamento della Cassazione, nel nostro caso? «Penso poco, quattro o cinque mesi». Quindi non si rischia la prescrizione? «No, anzi, in questo caso la Cassazione dando torto al Riesame ha detto che l’inizio della prescrizione decorre molto più avanti».

Lei si riferisce al pronunciamento sul ricorso di Renato Chisso. Questo rimette in discussione tutte le posizioni? «No, quello che è patteggiato è patteggiato. A parte il fatto che ogni decisione vale solo per il singolo, non per gli altri».

Dieci anni di corruzione a questi livelli avevano bisogno di una copertura molto estesa. Massoneria? «Non ne so assolutamente niente. Non credo neanche che la massoneria abbia voce in capitolo. Piuttosto è la legge che è stata strutturata in modo tale da essere quasi un incentivo alla corruzione. Il Mose può essere paragonato a un tizio che ha avvelenato le acque perché era l’unico ad averne l’antidoto».

In che senso, scusi? «Le leggi degli ultimi trent’anni sulle opere pubbliche sono talmente bizantine e ingarbugliate che per un’opera gigantesca come il Mose hanno trovato più comodo fare una legge speciale. Non dico che avessero fatto apposta a produrre una legislazione schizofrenica, se la sono trovata sedimentata in decenni. Come quello che ha avvelenato le acque, in questo caso con una proliferazione legislativa, perché aveva l’antidoto, poter fare una legge speciale. Ma la legge speciale ha dato un potere e un arbitrio assoluto a tutti. Era quasi un invito alla corruzione. Dirò di più e peggio: oltre alla corruzione, allo spreco. Il Consorzio Venezia Nuova ha elargito a destra e a manca soldi nostri, senza nessuna ragione. La beneficenza uno deve farla con i soldi suoi, non con i soldi altrui. E qua mi fermo».

Lei dice: con i patteggiamenti abbiamo privilegiato l’aspetto pecuniario. «Diciamo che l’abbiamo tenuto in seria considerazione».

Ma uno si domanda: avete recuperato 12 milioni contro quanti sottratti alla collettività? «Ah, non lo sappiamo. Qui bisogna tener conto delle disponibilità aggredibili del soggetto. Se uno ci dice: questo lo posso pagare, il resto non ce l’ho, e addirittura non riesci a trovarglielo…»

È il caso dell’ex assessore Renato Chisso. «Sì, diciamo che il patteggiamento è sempre un compromesso. Però per noi è un compromesso accettabile».

Lei ha detto che non finisce qui, facendo capire che l’indagine va avanti: sulla sanità? «Di eventuali nuove indagini non posso parlare. Ma è ovvio che un’inchiesta così ha sempre delle clonazioni. Noi siamo molto orgogliosi di averla chiusa in termini ragionevoli per gran parte degli imputati».

E per le posizioni ancora da definire, Orsoni, Sartori e gli altri imputati? «I processi si faranno quanto prima».

Renzo Mazzaro

 

I grillini: «Deve lasciare la guida della commissione Cultura»

La Boldrini e Brunetta replicano che solo lui può andarsene

Dritta del Quirinale: a maggio si potrà rimuovere Galan

PADOVA – La via d’uscita, per “rimuovere” l’onorevole Giancarlo Galan (agli arrestati domiciliari) dalla presidenza della commissione Cultura di Montecitorio, l’ha indicata il professor Giancarlo Montedoro, consigliere del presidente della Repubblica per gli affari giuridici e le relazioni cosituzionali, chiamato in causa per un parere dallo stesso Giorgio Napolitano.

In una nota inviata al vicepresidente vicario-portavoce del Movimento Cinque Stelle, Andrea Cecconi, il consigliere Montedoro richiama il dettato l’articolo 20 comma 5 del Regolamento della Camera dei deputati: «Dalla data della loro costituzione, le Commissioni permanenti sono rinnovate ogni biennio e i loro componenti possono essere riconfermati».

Le somme le tira lo stesso Montedoro: «Ne consegue che, all’atto del rinnovo dei relativi organismi, i gruppi parlamentare ben potranno apprezzare la situazione evidenziata».

Orbene, la soluzione del rebus Galan, se non immediata, sembra comunque dietro l’angolo. Il deputato di Forza Italia è stato eletto presidente della Cultura, Scienza e Istruzione di Montecitorio il 7 maggio 2013; vuol dire che a primavera si procederà al rinnovo delle presidenze, e quella potrebbe l’occasione giusta per sostituire il parlamentare padovano, che ha potuto presiedere l’ultima commissione il 3 giugno 2014, alla vigilia della raffica di provvedimenti legati all’indagine sul sistema degli appalti del sistema di dighe anti-acqua alta. Oltre, par di capire, non si può andare.

«Al capo dello Stato», sottolinea il consigliere Montedoro, «non è consentito dalla Carta Costituzionale iniziative incidenti sull’autonoma organizzazione della vita parlamentare».

E di sicuro non sarà il capogruppo di Forza Italia, Renato Brunetta, a fare pressioni sul collega perché abbandoni la presidenza della commissione Cultura. «Non spetta certamente al presidente di un gruppo», scrive infatti l’onorevole Brunetta in una missiva di risposta al deputato pentastellato Cecconi, «intervenire in alcun modo per svolgere pressioni o indurre a dimissioni che il diritto parlamentare esclude. Tali pressioni sarebbero del tutto indebite».

Il professor Brunetta aggiunge che «le norme scritte e non scritte del diritto parlamentare giungono fino ad impedire ogni forma di sfiducia o di recall nei confronti di coloro che siano chiamati all’ufficio di presidente dell’Assemblea, di Commissione o di Giunta».

Che solo Galan possa decidere in ordine alla sua permanenza alla presidenza della commissione Cultura lo ha ribadito anche la presidente della Camera Laura Boldrini in un’altra lettera indirizzata all’onorevole Cecconi: «È noto che nel nostro ordinamento non sono ammissibili strumenti volti a revocare il presidente di un organo parlamentare. La rinuncia alla carica di presidente di commissione non può dunque, allo stato, che discendere dalle autonome determinazioni del deputato Galan».

S’indigna su Fb l’onorevole Federico D’Incà, deputato bellunese del Movimento Cinque Stelle, che ieri ha pubblicato una foto di Galan in giacca bianca e papillon: «Solo a guardare questa persona io mi sento a disagio. L’Italia non merita di essere rappresentata da Galan. Ricordo a tutti che i parlamentari del M5s hanno restituito fino a giugno 2014 la somma di 10 milioni di euro dei propri stipendi e rimborsi al fondo per il credito alle piccole medie imprese».

Gazzettino – Quel terremoto nei palazzi del potere

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30

dic

2014

ADDIO 2014 /1 La grande retata del Mose punto di svolta di un anno da ricordare

Il 2014 resterà nella memoria come l’anno del terremoto nei palazzi del potere. La Venezia dei corrotti, dei furbi, degli amici degli amici e di quelli che “io non c’ero e se c’ero dormivo” ha ricevuto una mazzata storica dall’inchiesta Mose. Un sistema di potere e una rete spaventosa di connivenze sono stati azzerati; sono usciti di scena personaggi per decenni onnipresenti e onnipotenti. Da qui, dalla grande retata, si riparte. Considerazioni negative ne sono state fatte tante, certo mai troppe visto quel che ribolliva nel nauseabondo pentolone scoperchiato. Però, malgrado tutto, ci si può ancora sforzare di pensare positivo. Ricordando innanzitutto che la collettività – grazie a investigatori e magistrati preparati e determinati – ha dimostrato di possedere gli anticorpi per difendersi dal malaffare e dalla corruzione. E c’è da sottolineare che il crac del citato sistema di potere e relazioni può aprire le porte a un reale ricambio delle classi dirigenti.

 

L’anno del terremoto a Palazzo

Il ciclone Mose ha spazzato via equilibri consolidati e aperto una fase di transizione

ABUSIVI – Padroni delle spiagge, signori delle calli. La contraffazione sublimata ad arte, con le borse false delle grandi firme vendute perfino davanti ai negozi delle stesse griffe. Prima gli ambulanti fuggivano quando vedevano le divise, ora fanno gruppo e resistono, passando al contrattacco: è successo questa estate, più volte, a Jesolo e Sottomarina. Sul ponte sventola bandiera bianca (falsa, s’intende)

BAITA – Simbolo dei furboni, più che dei furbetti. Come è possibile che chi è stato beccato in passato con le mani nella marmellata sia lasciato vicino ai vasetti più appetibili? Come si può concepire che torni a stare nel Palazzo (vedi per citarne uno Enzo Casarin, responsabile della segreteria di Chisso in Regione) chi aveva già saccheggiato la credibilità della Pubblica amministrazione?

CONTORTA – Un canale che conoscevano solo gli addetti ai lavori è diventato l’ultimo fronte della battaglia contro le grandi navi. Tra chi teme la definitiva devastazione della laguna e chi paventa l’affossamento della crocieristica, un bivio tra ragioni della città (di buona parte di essa, quantomeno) e logiche dell’economia e del lavoro destinato a lasciare una lunga scia di polemiche. Qualunque strada si prenda.

DEL PIERO – Una ragazza ha perfino dedicato una tesi di laurea al suo tour veneziano, questa estate. Vero Re Mida dell’immagine, trasforma in oro tutto quel che avvicina, ed è innegabile che la passerella sul litorale in occasione dei (tristi, per noi) mondiali brasiliani abbia regalato una bella botta di visibilità a Jesolo.

EXPO – Bravi i veneziani (Fincato in testa) a salire in corsa sul volano dell’esposizione milanese. “Aquae” promette di essere una grande occasione di rilancio per la nostra economia soprattutto se i flussi turistici saranno effettivamente spalmati sul territorio, come si annuncia.

FINE – Il 2014 è stato un anno-capolinea. Decapitato il vertice del Consorzio Venezia Nuova, azzerata la Giunta di Venezia, a fine corsa la Provincia, molte altre istituzioni (Apt, Ater) in bilico. Cancellati dalla scena per via giudiziaria personaggi come Giovanni Mazzacurati, Renato Chisso, Giorgio Orsoni. Per forza di cose e in modo brutale si è chiusa una stagione ma per ora non si intravede un rinnovamento, bensì solo un’indecifrabile fase di transizione. Una città pericolosamente acefala abbiamo scritto e, a cominciare dal patriarca Moraglia, tanti hanno condiviso il ragionamento e le relative preoccupazioni.

GREEN – Verde come il piano da 200 milioni annunciato dall’Eni per Porto Marghera, con la creazione di un polo tecnologico della chimica all’insegna dell’innovazione e della sostenibilità. Dopo la desertificazione produttiva, almeno una speranza di futuro.

HERIOT – O anche Hotel. A Venezia ogni palazzo di pregio, come la villa citata, sembra destinato a diventare albergo (anche se per per ora l’asta è andata deserta), mentre a Mestre sono state avviate negli uffici comunali le pratiche per aggiungere altri 5 mila posti letto. Il nuovo regolamento edilizio vorrebbe mettere dei correttivi ma il futuro rischia di essere molto peggio di un presente già catalogato come insostenibile. E se il dibattito viene alimentato da chi a Roma si sveglia alla mattina per lanciare proposte demenziali e farsi pubblicità, stiamo freschi.

ISOLE – Isole vere, come quella di Poveglia, oggetto del desiderio di Luigi Brugnaro. O virtuali, come quella dell’area pedonalizzata di San Donà, al centro di un braccio di ferro senza esclusione di colpi tra commercianti e Giunta. Comunque isole piene di polemiche.

JONA – L’inaugurazione del nuovo padiglione dell’ospedale civile di Venezia rappresenta il simbolo del rilancio della sanità in centro storico. Se l’ex dg dell’Ulss 12 Antonio Padoan aveva puntato decisamente sulla terraferma e sull’Angelo di Mestre, l’attuale responsabile della sanità veneziana Giuseppe Dal Ben, anche attraverso altre operazioni (vedi gli ambulatori di piazza San Marco e piazzale Roma), mostra di voler puntare sulla logica dei due poli ospedalieri.

KORABLIN – Il russo che doveva riportare nel Grande Calcio il club cittadino e realizzare l’impianto del futuro a Tessera sembra battere in ritirata. Qualcuno dice per problemi di salute, altri di soldi. Sarà la maledizione dello stadio, sarà che chiunque cerchi di fare qualcosa a Venezia trova le sabbie mobili. Chiedere a Zamparini o, più recentemente, a Cardin.

LIBIA – Dove è stato tenuto in ostaggio Gianluca Salviato, da Martellago, liberato dopo mesi di angoscia e trattative. È stato bello vederlo festeggiare col tricolore, sentirgli dire che non ha mai avuto la sensazione che l’Italia si fosse dimenticata di lui. Anche se la madre, qualche mese prima, in una lettera al Gazzettino aveva giustamente sottolineato come trovasse inaccettabile che suo figlio (e tanti altri figli) fosse stato costretto ad andare a rischiare la vita per trovare un lavoro fuori del Paese.

(1- continua)

 

L’annuncio del sub commissario Natalino Manno durante un incontro con i comitati in Comune

«Il ministero dell’Ambiente attiverà la procedura da noi richiesta. Un grande risultato democratico»

«Una grande vittoria per Venezia». Le associazioni non nascondono la loro soddisfazione all’indomani del’annuncio, comunicato ieri dal subcommissario Natalino Manno, che per il progetto del nuovo canale Contorta si farà «l’inchiesta pubblica» prevista dalla legge 152 del 2006.

«La mobilitazione dei cittadini ha ottenuto un bel risultato», commentano in una nota Italia Nostra, Ambiente Venezia, Gruppo 25Aprile, Comitato No Grandi Navi e gruppo di studio Canale Contorta Gds. Ieri mattina, dopo un lungo presidio delle associazioni davanti a Ca’ Farsetti, è arrivato l’annuncio.

«Il subcommissario», spiega il portavoce Luciano Mazzolin, «ha accettato di incontrarci e ci ha comunicato che il ministero dell’Ambiente attiverà la procedura di Inchiesta pubblica che avevamo richiesto. L’amministrazione comunale metterà a disposizione la sala consiliare di Ca’ Loredan e fornirà l’assistenza necessaria».

Cosa cambia rispetto all’iter in corso? «Che tutto si svolgerà in pubblico, con estrema trasparenza», dice Mazzolin, «i cittadini potranno decidere dopo aver preso visione degli studi e della documentazione. E finalmente le decisioni saranno prese in pubblico, e non nelle segrete stanze».

Una procedura attivata in parte anche per il progetto Mose, alla fine degli anni Novanta, con numerose riunioni nella sede provvisoria del ministero dell’Ambiente all’ex Pilsen di Bacino Orseolo messa a disposizione dal Comune. La Valutazione di Impatto ambientale era stata allora negativa, ma la politica aveva deciso di andare avanti lo stesso. Alla commissione Via si era sostituito il governo, prima con D’Alema, poi con Amato, decidendo di andare avanti.

«Se si fosse dato seguito a quanto emerso in quell’inchiesta», dice adesso Mazzolin, « certo quell’intervento non si sarebbe fatto o si sarebbe fatto in modo diverso, modificando il progetto e rendendo impossibili anche le successive corruttele».

Adesso i riflettori sono accesi sulla nuova grande opera del canale Contorta. Uno scavo di 8 chilometri in mezzo alla laguna, milioni di metri cubi da togliere per portare la profondità dell’attuale canale Contorta da due a dieci metri e mezzo, allargandolo fino a 120 metri.

«Unica soluzione», secondo il Porto, «per togliere le grandi navi da San Marco e farle entrare da Malamocco, mantenendo la Marittima».

Un intervento da 150 milioni di euro, interamente a carico dello Stato, che si dovrebbe concludere in un anno e mezzo. Ma adesso i tempi si allungano, le alternative sulo tappeto, all’esame della Via, sono ormai tre, con quella del porto fuori della laguna, a Punta Sabbioni e Marghera.

Adesso i confronti si dovranno fare in pubblico. E per la prossima stagione ancora non è chiaro quali saranno i limiti massimi consentiti.

Alberto Vitucci

 

Conclusi i lavori di prefabbricazione di tutti i cassoni di alloggiamento delle dighe mobili

In un anno installate 21 paratoie del Mose

VENEZIA L’approssimarsi della fine dell’anno è l’occasione per un bilancio dell’attività del Consorzio Venezia Nuova riguardo la realizzazione del Sistema Mose. Questo il bilancio tracciato dal Consorzio: «Il 2014 è stato un anno impegnativo durante il quale è stato garantito il rispetto delle date di consegna dell’Opera. Sono stati conclusi i lavori di prefabbricazione di tutti i cassoni di alloggiamento delle paratoie e sono state eseguite come da progetto le operazioni di varo e di affondamento, una sfida di ingegneria d’eccellenza nel rispetto di tolleranze al millimetro: sono stati posati ogni 15 giorni cassoni del peso di decine di migliaia di tonnellate ciascuno».

Continua la nota: «Si è proceduto contemporaneamente in tutti e quattro i cantieri alle tre bocche di porto: due a Lido (Cavallino-Treporti e San Nicolò), una a Malamocco e una a Chioggia. In totale i cassoni che costituiscono il Sistema Mose sono 35: nove a Lido Cavallino-Treporti, nove a Lido San Nicolò, nove a Malamocco e otto a Chioggia. Nel 2014, inoltre, sono state installate tutte le 21 paratoie previste per la barriera di Lido Nord, nel canale di Cavallino-Treporti, e a fine novembre è stata movimentata l’intera schiera. In totale le paratoie da installare in tutte le bocche di porto sono 78. Intanto sono state avviate le gare d’appalto per impianti e installazioni ed è stato messo in campo un grande impegno per riuscire ad attivare già durante l’estate la conca di navigazione di Malamocco».

Chiude il Consorzio: «A novembre, l’arrivo degli amministratori prefettizi inviati da Roma ha aperto un nuovo corso che mette il Consorzio Venezia Nuova nelle condizioni di un ulteriore sviluppo in ordine alla realizzazione della più grande opera idraulica al Mondo, il Sistema Mose, il cui obiettivo è la salvaguardia di Venezia e della sua Laguna».

 

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