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Gazzettino – Treni, ancora caos. Insorge anche Spinea

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8

ott

2014

TRASPORTI – Soppresse altre due corse nelle ore di punta: il comitato dei pendolari sollecita l’incontro con Zaia

SPINEA – Treni, soppresse altre due corse. La rabbia dei pendolari

«Ormai l’eccezione è diventata la regola. Non è possibile uscire ogni mattina di casa con il patema dei treni, senza sapere come arriveremo a lavoro e soprattutto a che ora». Continuano a far discutere i disagi subìti dai pendolari sulla linea ferroviaria Bassano-Venezia, quella che tocca le fermate di Noale, Salzano, Maerne e Spinea prima di arrivare a Mestre. Dopo il lunedì da incubo con una dozzina di treni in ritardo e ben sei corse soppresse, anche il martedì è iniziato nel peggiore dei modi: cancellate la corsa Noale-Mestre delle 8.09 e la corsa Mestre-Noale delle 7.22. Non due corse qualunque, ma le «navette» che permettono ai pendolari di Salzano e Spinea di prendere le coincidenze con i Regionali Veloci che non fermano alle loro stazioni. «La situazione peggiora di giorno in giorno – fa sapere il comitato Pendolari Spinea -. Attendiamo da tempo un incontro con il governatore Zaia e abbiamo già fatto pervenire le nostre richieste a Regione e Ferrovie, chiediamo che il sindaco Checchin e tutto il consiglio comunale ci appoggino pienamente». Intanto, come prevedibile, la questione dei disagi dei pendolari sfocia anche nel calderone politico. Fino alla scorsa primavera nel mirino di chi protestava c’era soprattutto l’assessore regionale ai Trasporti Renato Chisso, dopo l’arresto nell’ambito dello scandalo-Mose ora tutte le accuse si riversano direttamente sul governatore Luca Zaia. Ieri una bordata è arrivata da Bruno Pigozzo, consigliere regionale del Pd ed ex sindaco proprio a Salzano: «Zaia non pensa affatto all’utenza, i trasporti sono da mesi senza un assessore e questo dimostra un totale disinteresse verso i pendolari – scrive in una nota Pigozzo, che ricopre anche la carica di vicepresidente della commissione regionale Trasporti -. Emilia e Lombardia negli ultimi anni hanno investito, il Veneto non ha messo un euro. Zaia ha sempre fatto una scelta precisa, identica a quella del predecessore Galan: investire risorse per costruire le strade, ma tenere i trasporti pubblici a pane e acqua».

Gabriele Pipia

 

Il commercialista riconosce di essere il prestanome dell’ex ministro, chiede il patteggiamento e ottiene la scarcerazione

Concordato un patteggiamento di pena di due anni di reclusione e 70 mila euro La confessione inguaia l’ex presidente veneto, unico con Chisso ancora in carcere

VENEZIA – Si è fatto quattro mesi di carcere in assoluto silenzio. Fino a ieri, quando il commercialista Paolo Venuti ha parlato e ha ammesso la sostanza di quello che la Procura di Venezia gli contesta dal 4 giugno, giorno delle manette dello scandalo Tangenti Mose che ha terremotato Venezia, il Veneto e l’Italia: ovvero, essere il prestanome dei beni di Giancarlo Galan, l’amico di una vita. Attorno alla cui cella ha scavato un fosso, aggiungendo particolari che alla Procura ancora mancavano Nel corso di un interrogatorio durato quattro ore, davanti ai pubblici ministeri Ancilotto, Buccini e Tonini, Venuti ha infatti ammesso che – sì – alcuni dei beni in suo possesso sono riconducibili a Giancarlo Galan. Ha aggiunto l’ovvia chiosa di non sapere che fossero di provenienza illecita, ma ha detto di essere stato il prestanome dell’ex presidente della Regione Veneto, agli arresti da fine luglio nel carcere di Opera. Fedeli alla regola che si sono dati “chi parla torna a casa”, i pm hanno preso nota degli «importanti chiarimenti» ricevuti da Venuti sul patrimonio del deputato pdl e hanno dato parere favorevole alla richiesta di patteggiamento avanzata dalla difesa e alla scarcerazione. Detto, fatto: il giudice per le indagini preliminari Scaramuzza ha revocato la misura cautelare e Paolo Venuti, ieri, alle 18.40, è tornato un uomo libero. Accusa e difesa hanno concordato una pena a 2 anni di reclusione e 70 mila euro di multa, sulla quale l’ultima parola spetta però al giudice per le udienze preliminari Vicinanza, mentre la morsa della Procura si stringe sempre più attorno all’ex governatore veneto, accusato dal presidente Mazzacurati di essere stato “a stipendio” per un milione l’anno dal Consorzio Venezia Nuova per agevolare le procedure sul Mose e dall’ex presidente Mantovani Piergiorgio Baita e dall’ex segretaria-manager Claudia Minutillo di essere stato pagato con restauri della sua grande villa storica a Cinto Euganeo e azioni di società, per seguire project financing dei privati. Lo stesso Galan, nel suo memoriale difensivo aveva detto che il suo più grande errore è stato di aver pensato di fare l’imprenditore entrando in Adria Investimenti, interessata a project financing regionali. Certamente, però, Venuti deve aver aggiunto qualcosa in più rispetto quello che la Procura già sapeva, sui conti correnti all’estero dei quali parlava nei colloqui intercettati con la moglie. Sulle azioni, infatti, il Tribunale della Libertà aveva già scritto: «È documentalmente provato in atti e non smentito dalla difesa che a pagare il 7% delle azioni dell’Adria per 237 mila euro, formalmente acquistate dalla società Pvp, riconducibile al commercialista Venuti, ma realtà riconducibile all’indagato Galan» – fu «la Mantovani con liquidità proprie. Non vi era ragione alcuna che giustificasse una tale “donazione”». Azioni poi convertite nel 70% di Nordest media, del valore valutato da Claudia Minutillo in 9 milioni di euro. In carcere ora restano solo Galan e l’assessore Renato Chisso, la cui difesa continua a sostenere l’incompatibilità con il carcere per le sue «crisi anginose notturne; sviluppo di una franca psicopatologia depressiva e ansiosa; deficit di perfusione accertato; gravi scompensi pressori di difficile controllo; marcata perdita ponderale di 10 chili in breve tempo», come ripete l’avvocato Forza nella memoria presentata alla gip Marchiori che dovrà decidere sull’istanza di scarcerazione, ma che ha già sul tavolo il parere negativo dei suoi tre periti che come i tre consulenti della Procura ritengono le condizioni di Chisso compatibili con il carcere.

Roberta De Rossi

 

L’intercettazione: «In Svizzera li tengo io quelli in Croazia lui: siamo i prestanome»

In un’intercettazione ambientale di una conversazione tra il commercialista padovano Paolo Venuti e la moglie Alessandra Farina, il succo dell’intesa. Venuti è il consulente dell’ex governatore del Veneto e con la moglie parla liberamente dei soldi di Galan, fa riferimento ad un milione e 800 mila euro, «Per cui alla fine in Svizzera li tengo io e quelli in Croazia li tiene lui» sostiene, confermando di fatto che l’esponente di Forza Italia soldi all’estero ne ha e su più conti correnti. E ancora, questa volta è la donna che al marito spiega che se Galan «Morisse domani, io potrei anche tenermeli, ma non riuscirei a fare questa roba perché so che sono suoi e di sua figlia e tutti dobbiamo rispettare questo, anche sua moglie (…) sono la prestanome». Confermando i sospetti degli investigatori della Guardia di finanza sul fatto che Venuti non è semplicemente il commercialista dell’uomo politico, ma anche il prestanome.

 

Paolo Venuti ha aiutato gli inquirenti a fare chiarezza sul patrimonio dell’ex governatore

Anche il commercialista padovano Paolo Venuti ha deciso di parlare e, da ieri pomeriggio, è stato rimesso in libertà: i suoi legali, gli avvocati Merlini e Iavicoli, hanno concordato con la Procura il patteggiamento di due anni di reclusione.
Il parere favorevole alla scarcerazione è stato dato dai pm Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini dopo un lungo interrogatorio avvenuto qualche giorno fa, nel corso del quale il professionista cinquantasettenne ha ammesso di aver fatto da prestanome dell’ex presidente della Regione, Giancarlo Galan, aiutando gli inquirenti a fare chiarezza sulla consistenza del suo patrimonio e sulla destinazione di svariate somme di denaro.
Venuti ha assicurato ai pubblici ministeri di essere stato all’oscuro del fatto che il patrimonio a lui affidato dall’amico Galan potesse essere di provenienza illecita. Sulla base delle sue dichiarazioni, gli inquirenti hanno avviato una serie di ulteriori accertamenti e approfondimenti, svolti dagli uomini della Guardia di Finanza.
Con la remissione in libertà del commercialista, sono restati soltanto due gli indagati ancora detenuti in carcere: uno è l’ex Governatore del Veneto Galan, rinchiuso un una stanza nel Centro medico dell’ospedale di Opera, a Milano; l’altro è l’ex assessore regionale alle Infrastrutture, Renato Chisso, detenuto in un altro Centro medico, quello dell’ospedale di Pisa.
La Procura veneziana sta lavorando in queste settimane per chiudere la prima tranche dell’inchiesta chiedendo il rito immediato, la procedura attraverso la quale è possibile “saltare” l’udienza preliminare e approdare direttamente davanti al Tribunale. Con molte probabilità il rito immediato sarà chiesto soltanto per i detenuti, e dunque per Galan e Chisso. In realtà c’è un terzo indagato che si trova agli arresti domiciliari: si tratta di Federico Sutto, ex stretto collaboratore dell’allora presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati).
Nel frattempo, il prossimo 16 ottobre, è in programma, davanti al presidente della sezione Gup, Giuliana Galasso, l’udienza per definire una ventina di patteggiamenti già concordati tra difesa e pubblica accusa. Hanno chiesto l’applicazione della pena, tra gli altri, […………………………….], socio di peso del Cvn, Mario e Stefano Boscolo Bacheto della Cooperativa San Martino, Gianfranco Boscolo Condadin della Nuova Coedmar, l’ex presidente del Magistrato alle acque di Venezia, Patrizio Cuccioletta, l’ex coordinatrice della progettazione del Mose, Maria Teresa Brotto, l’ex consigliere regionale del Pd, Giampietro Marchese, l’imprenditore svizzero                 , e Franco Morbiolo, ex presidente del Coveco. Ma anche gli imputati nello stralcio milanese dell’inchiesta sono scesi a patti con la Procura: l’ex amministratore delegato di Palladio Finanziaria, il vicentino Roberto Meneguzzo, ha trovato un accordo per due anni e sei mesi, mentre l’ex generale delle Fiamme Gialle, Emilio Spaziante, vorrebbe patteggiare 4 anni.

 

Scandalo Mose, il Tribunale dei ministri invia gli atti al Senato. I verbali di Mazzacurati: «Gli consegnai 300-400 mila euro due o tre volte»

«Matteoli asservito alle politiche Cvn»

VENEZIA «Le indagini eseguite hanno dimostrato l’asservimento del politico Matteoli Altero alle politiche del Consorzio Venezia Nuova, nella veste di ministro dell’Ambiente e di ministro delle Infrastrutture. Il Tribunale dei ministri del Veneto dispone la trasmissione degli atti al procuratore della Repubblica per l’immediata trasmissione al presidente del Senato che ha la competenza». Queste sono le ultime righe dell’ordinanza di 200 pagine con la quale la presidente Monica Sarti e i giudici Priscilla Valgimigli e Alessandro Girardi hanno sciolto la riserva: non c’è alcun dubbio che per loro la notizia di reato che riguarda l’esponente di Forza Italia, ora senatore, è fondata. Gli atti, oltre all’ordinanza e agli accertamenti svolti dai pubblici ministeri Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini, sono raccolti in una decina di faldoni all’interno dei quali ci sono anche le indagini compiute dal Tribunale dei ministri in tre mesi (il tempo concesso dalle norme). Si tratta dell’interrogatorio del presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati, quelli di alcune segretarie dell’anziano ingegnere, dell’ex presidente del Magistrato alle acque Patrizio Cuccioletta, dell’imprenditore romano di «Condotte d’acqua» Stefano Tomarelli e dell’ex direttore vicario del Consorzio Roberto Pravatà. Inoltre, tutta la documentazione che la Guardia di finanza ha acquisito presso la sede della società romana «Socostramo» di Erasmo Cinque. La documentazione partirà tra qualche giorno per raggiungere Roma, dove verrà presa in carico dalla Giunta delle autorizzazioni a procedere del Senato, i cui componenti dovranno leggere, discuterne e poi decidere se dare il via libera alle indagini della Procura lagunare. Matteoli è indagato per corruzione: Mazzacurati aveva già riferito di avergli consegnato in diverse occasioni più di 400 mila euro, provenienti dalla casse del Consorzio, per le sue campagne elettorali, e, inoltre, di aver inserito nell’appalto per i lavori di bonifica e marginamento della zona industriale di Marghera l’azienda di Cinque, compagno di partito dell’ex ministro, su richiesta pressante di Matteoli. E Cinque avrebbe intascato una parte degli utili degli interventi pur non avendo mosso un dito, insomma pur non avendo mai lavorato. Nelle 44 pagine del verbale d’interrogatorio sostenuto da Mazzacurati in California davanti a un giudice federale per rogatoria, l’ingegnere tra pause per riposare e non ricordo (ha 82 anni e tra i vari acciacchi, secondo il suo difensore Giovanni Battista Muscari Tomaioli, soffre di demenza senile) ha sottolineato di ricordare gli interrogatori resti ai tre pm veneziani e ha confermato tutto. «Gli ho dato sull’ordine di 300, 400 mila euro da due a tre volte, li ho dati personalmente a Matteoli in contanti nel 2013. Ho consegnato i soldi una volta al ministero a Roma e in qualche altro posto, non c’erano testimoni» afferma. E ancora: «Con quei soldi ha finanziato la sua campagna elettorale e in cambio avrei ottenuto che venivano accelerato i tempi dei finanziamenti delle varie tranches di lavori del Mose . Lo scopo era sempre quello dell’urgenza di avere i fondi. Sono andato anche a trovarlo in casa sua, in provincia di Lucca». Infine, la «Socostramo»: «Cinque aveva una quota percentuale e in base a quella veniva coinvolto, però come lavoro non ne faceva. Dunque, apparentemente faceva il lavoro però lui mezzi non ne portava, era una cosa fittizia».

Giorgio Cecchetti

 

 

TRIBUNALE DEL RIESAME – Decorsi i termini, scarcerato Casarin

VENEZIA – Il segretario dell’ex assessore regionale Renato Chisso, il veneziano Enzo Casarin, è stato scarcerato ieri dopo la decisione del Tribunale del riesame di Venezia presieduto dal giudice Angelo Risi. Per i tre giudici veneziani i termini di custodia cautelare per l’ex sindaco socialista di Martellago (in questa veste nel 2005 aveva patteggiato una pena di due anni di reclusione) sono scaduti. I fatti che gli sono contestati dalla Procura veneziana sarebbero antecedenti al 28 novembre 2012, giorno in cui è cambiata la norma sulla corruzione: prima la pena prevista era più bassa e la custodia cautelare scadeva solo dopo tre mesi. Casarin, dunque, sarebbe dovuto uscire un mese fa dal carcere di Pistoia, dove era rinchiuso dal 4 giugno. A presentare ricorso era stata l’avvocato Carmela Parziale, che sosteneva la tesi dei tre mesi, mentre i rappresentanti della Procura sostenevano che la scadenza era di sei mesi. Ieri, in aula, a rappresentare la Procura c’era il pubblico ministero Stefano Buccini, che ha depositato un nuovo verbale con numerosi omissis, tra i quali uno degli interrogatori dell’indagato Luigi Dal Borgo, il bellunese trapiantato nella capitale che, assieme agli altri romani, si occupava di raccogliere informazioni e della sicurezza per conto di Piergiorgio Baita. Dal Borgo ha raccontato agli inquirenti che, in più di un’occasione, si sarebbe recato in Austria con Casarin e che aveva notato che l’allora collaboratore di Chisso aveva, in una banca austriaca, più di una cassetta di sicurezza. Il sospetto dei pm veneziani è che Casarin, oltre al suo denaro, gestisse e depositasse anche quello di Chisso, che però, almeno fino ad ora, la Guardia di finanza non è riuscita a rintracciare e a sequestrare. Per quanto riguarda Chisso, tocca ora al giudice veneziano Roberta Marchiori decidere sulla base dell’istanza presentata dal difensore, l’avvocato Antonio Forza, il quale ha chiesto la sua scarcerazione per incompatibilità con la detenzione per motivi di salute. Il magistrato ha già ricevuto un primo e provvisorio parere dei tre periti da lei nominati: sostengono che non via sia alcuna incompatibilità, ma il giudice attende il loro parere definitivo, che deve arrivare entro il 13 ottobre prossimo. Nel frattempo il dirigente regionale Giovanni Artico, che il 4 giugno era stato arrestato per concorso in corruzione ed era stato scarcerato ventitrè giorni dopo grazie al Tribunale del riesame, che aveva annullato l’ordinanza di custodia cautelare, ha chiesto e ottenuto dal Tribunale civile di Venezia un’ingiunzione di pagamento per tutte quelle somme che durante la detenzione non ha ricevuto. Mentre era in carcere era stato naturalmente sospeso e il suo stipendio era stato ridotto del 50 per cento. Ora Artico chiede innanzitutto quel 50 per cento che – stando a lui – gli spetta. Inoltre, chiede la differenza tra il suo stipendio attuale – è stato reintegrato in Regione anche se non allo stesso posto che occupava prima – e quello precedente, che sarebbe stato maggiore.

(g.c.)

 

Gazzettino – “Chisso puo’ restare in carcere a Pisa”

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3

ott

2014

«Chisso può restare in carcere a Pisa»

Anche i periti medici del Gip non ritengono incompatibili con la prigione le sue condizioni di salute

IN CELLA – L’ex assessore alle infrastrutture del veneto Renato Chisso resterà a Pisa: Quel carcere, per i periti, è attrezzato anche per emergenze sanitarie

Renato Chisso resta in carcere. Fino a Natale, come minimo. «Esaminate le condizioni cliniche attuali del detenuto ed esaminate nel dettaglio le risorse sanitarie complessive della struttura carceraria di Pisa, si ritiene che il signor Chisso Renato possa proseguire la detenzione preso la sede ove è attualmente ristretto». Questo scrivono i periti nominati dal Gip Roberta Marchiori. Dunque, il terzo team di medici messo in campo per giudicare le condizioni di salute di Chisso si schiera con i periti della Procura i quali avevano giudicato il carcere “compatibile” con le condizioni di salute dell’ex assessore regionale alle Infrastrutture. E adesso il ritorno a casa per motivi di salute di Chisso è appeso ad un corsivo. Il termine attuali, riferito alle sue condizioni cliniche, testimonia infatti che i periti oggi non hanno dubbi, domani si vedrà.
Ma che cosa può succedere domani? I periti della Difesa possono presentare i loro rilievi e l’avv. Antonio Forza ha allegato alle sue richieste una relazione firmata dal primario di Cardiologia dell’ospedale dell’Angelo che ha curato Chisso a settembre 2013 in seguito ad un infarto. Ebbene, secondo il dottor Fausto Rigo, Chisso ha bisogno subito di una coronografia per impiantare un paio di stent ed aprire una arteria che si sta chiudendo.
Secondo il dottor Antonello Cirnelli – perito della Procura – invece la coronografia non è urgente. In ogni caso, che sia urgente o meno, Chisso può essere operato a Pisa. Non hanno dubbi, infatti, i periti nominati dal Gip: a Pisa c’è tutto quello che gli può servire, anche in caso di infarto. Scrivono infatti Silvia Tambuscio, Davide Roncali e Paolo Ius, che a Pisa sono a disposizione: «1- le risorse cliniche e terapeutiche di cui necessita abitualmente il paziente; 2 – le adeguate risorse di monitoraggio sanitario, sia cardiologico che psicopatologico, rispetto ad eventuali variazioni gradualmente peggiorative dello stato di salute; le risorse cliniche utili a gestire eventuali condizioni peggiorative acute sia che richiedano l’eventuale spostamento temporaneo del detenuto presso il Centro clinico carcerario della medesima Casa circondariale, sia che richiedano il suo eventuale trasferimento presso una struttura sanitaria esterna, tra le varie strutture viciniore a disposizione presso la città di Pisa».
Insomma, secondo i medici nominati dal Gip il carcere di Pisa è super attrezzato per qualsiasi emergenza. E dunque la Procura di Venezia lo ha scelto con attenzione, proprio prevedendo la richiesta di arresti domiciliari per motivi di salute. Dunque, per Renato Chisso si profila un futuro tutt’altro che breve dietro le sbarre. Se la libertà – come ormai pare certo, leggendo la relazione dei periti del Gip – non verrà concessa per motivi sanitari, infatti, all’avvocato difensore di Chisso, Antonio Forza, non resta che la strada maestra del processo, quando in aula si confronteranno le prove raccolte dalla Procura con quelle a discarico che sta preparando ormai da mesi la difesa e che, secondo Forza, sono in grado di smontare l’accusa rappresentata dalle dichiarazioni di Giovanni Mazzacurati, di Piergiorgio Baita, di Claudia Minutillo e di Pierluigi Alessandri. Se ne riparla nel 2015.

 

RICHIESTA AL SENATO – La Procura insiste: «Matteoli va processato»

La Procura di Venezia insiste: deve essere inoltrata al Senato la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex ministro Altero Matteoli, accusato di aver ricevuto in varie occasioni più di 400mila euro dall’allora presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, nonché di aver ottenuto come favore l’inserimento dell’azienda di un imprenditore a lui vicino, Erasmo Cinque, nell’appalto per i lavori di bonifica e marginamento della laguna.
Il sostituto procuratore Paola Tonini lo ha chiesto al Tribunale dei ministri, che in questi giorni si appresta a concludere le indagini su Matteoli, che viene chiamato in causa proprio in qualità di ministro. Spetta al collegio presieduto dal giudice veronese Monica Sarti il compito di trasmettere il fascicolo d’inchiesta al Senato per formalizzare la richiesta di autorizzazione a procedere, senza della quale Matteoli non potrà essere processato. In teoria il Tribunale dei ministri potrebbe anche chiedere l’archiviazione, ma l’esito dei tre mesi di indagini fa pensare che chiederà di procedere contro Matteoli: tutte le testimonianze assunte hanno infatti confermato le accuse che già erano state rivolte all’ex ministro davanti ai pm Ancilotto, Tonini e Buccini.

 

MOSE – L’ex generale, ai vertici della Guardia di Finanza, avrebbe ricevuto i soldi da Mazzacurati

Spaziante pronto a patteggiare 4 anni

L’accusa: 500mila euro per fornire al Consorzio informazioni sulle indagini e ammorbidire i controlli fiscali

L’ex generale della Guardia di Finanza, Emilio Spaziante, chiede di patteggiare una pena di 4 anni di reclusione per poter uscire dall’inchiesta sul Mose. I legali dell’alto ufficiale delle Fiamme Gialle, oggi in pensione, hanno presentato l’istanza ieri mattina: la Procura di Milano, alla quale la scorsa estate i magistrati veneziani hanno trasferito il fascicolo per competenza territoriale, non ha ancora dato il suo parere sulla richiesta. L’inchiesta a carico di Spaziante è coordinata dai pm Roberto Pellicano e Luigi Orsi.
La richiesta Spaziante arriva dopo quella dell’ex amministratore delegato e vicepresidente di Palladio Finanziaria, il vicentino Roberto Meneguzzo, che ha trovato un accordo con la Procura per patteggiare una pena a due anni e sei mesi ed è in attesa della decisione del gip.
L’ex generale della Finanza e l’imprenditore e Meneguzzo sono accusati di concorso in corruzione assieme all’ex deputato del Pdl, Marco Milanese, in uno stralcio dell’inchiesta sul cosiddetto “sistema Mose”, condotta dai sostituti procuratore Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini. A Spaziante viene contestato di aver ricevuto 500mila euro dall’allora presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, per “ammorbidire” i controlli fiscali alle imprese che si stavano occupando della realizzazione del Mose e per ottenere informazioni in merito alle iniziative assunte dalla Procura. A creare il contatto tra i due ero stati Meneguzzo e Milanese, all’epoca il più stretto collaboratore del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti.
Milanese a sua volta è accusato di aver ricevuto una “mazzetta” di 500 mila euro, sempre versata da Mazzacurati (a lui presentato da Meneguzzo) e finalizzata ad ottenere un aiuto per lo sblocco di alcuni fondi per il Mose da parte del Cipe.
Milanese, a differenza dai due coimputati, non ha chiesto il patteggiamento: il processo a suo carico inizierà il 4 novembre prossimo, davanti alla quarta sezione penale del Tribunale di Milano.

 

Sull’ex generale della Finanza deciderà il gip. Oggi Riesame su Casarin, ex segretario di Chisso

E la procura di Venezia conferma al Tribunale dei ministri la volontà di indagare sul senatore Matteoli

VENEZIA – La Procura di Venezia ha confermato, ieri, al Tribunale dei ministri la sua volontà di avviare un’indagine per corruzione a carico dell’ex ministro dell’Ambiente Altero Matteoli, accusato dall’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati di aver ricevuto 400 mila euro per le sue campagne elettorali. Mazzacurati ha poi parlato di pressioni ricevute da Matteoli – accuse confermate da Piergiorgio Baita, ex presidente di Mantovani – per inserire nel grande affare delle bonifiche di Porto Marghera l’impresa del romano Ernesto Cinque, che avrebbe incassato parte degli utili senza aver mai mosso una benna. Al termine della sua lunga inchiesta – con l’acquisizione della testimonianza di Mazzacurati, per rogatoria in America, ma anche gli interrogatori di coindagati come Baita e l’ex magistrato alle acque Cuccioletta – il Tribunale dei ministri ha trasmesso gli atti alla Procura, perché esprima un suo parere: ieri, i pm dell’inchiesta Mose Ancillotto, Buccini e Tonini hanno ribadito per iscritto la loro volontà di indagare sull’ex ministro. Entro domani è attesa la decisione dei Tribunale, che pare andare verso l’autorizzazione a procedere, dal momento che tutti i testi hanno confermato le loro dichiarazioni. In ogni caso, in caso di via libera del Tribunale dei ministri, la Procura dovrà poi attendere dal Senato l’autorizzazione ad indagare. Un percorso ad ostacoli verso la possibile prescrizione. Intanto s’ingrossa la lista degli indagati eccellenti che chiedono di patteggiare. Da Milano – dov’è approdato uno stralcio dell’indagine – l’ex generale della Guardia di Finanza Emilio Spaziante ha chiesto di patteggiare la pena a 4 anni di carcere. Lunedì, era stato l’ex ad di Palladio Finanziaria Marco Meneguzzo a presentare una proposta di patteggiamento della pena a 2 anni e 6 mesi. Nessuna richiesta invece è arrivata da Marco Milanese, l’ex braccio destro di Giulio Tremonti, il quale invece – ritenendosi estraneo ai fatti contestati – ha deciso di affrontare il dibattimento che si aprirà davanti alla quarta sezione penale del Tribunale di Milano il prossimo 4 novembre. A Milano, Venezia ha passato l’indagine sulla mazzetta da 500 mila euro che Mazzacurati sostiene di aver pagato a Milanese – tramite Meneguzzo – per agevolare i nuovi finanziamenti del Mose da parte del Cipe. Altri 500 mila euro sarebbero invece stati pagati a Spaziante per avere informazioni sulle indagini e alcune verifiche fiscali. Mentre si attendono a giorni le decisioni del giudice per le indagini preliminari Roberta Marchiori in merito alla richiesta di scarcerazione per motivi di salute presentate dal difensore dell’ex assessore Renato Chisso, oggi il Tribunale della libertà discuterà l’appello presentato dalla difesa di Enzo Casarin (ex segretario di Chisso), contro la custodia in carcere. Il 7 ottobre toccherà all’appello del commercialista Paolo Venuti, accusato di essere il prestanome di Galan: l’ex governatore attende in carcere di conoscere la data del ricorso in Cassazione contro il suo arresto.

Roberta De Rossi

 

Trovato il tesoro di Chisso nascosto dal segretario

Trovato il tesoro di Renato Chisso. O almeno la strada che porta lì: l’ex assessore regionale alle Infrastrutture non aveva soldi sui conti italiani. Sono passati di conto in conto e aver trovato la traccia, secondo la Guardia di finanza, equivale ad aver trovato il tesoro: più o meno 8 milioni nascosti dall’ex segretario. Anche se i soldi fisicamente non ci sono più, è possibile contestarli a lui.

 

Corsa alle rogatorie internazionali per i “tesori” di Galan e Chisso

Caccia ai soldi in Slovenia, Ucraina, Moldavia, Austria e Svizzera

L’EX EURODEPUTATA – Lia Sartori libera dopo 3 mesi ai domiciliari: può espatriare

L’EX GOVERNATORE – Gli investigatori in attesa di risposte dalla Croazia

TRACCE I giudici sulle piste del denaro che Chisso avrebbe portato all’estero

Mose, le indagini si spostano all’estero

Non solo Luigi Dal Borgo. La Procura di Venezia è alle prese sì con il controllo dei conti correnti delle banche indicate dall’imprenditore bellunese, ma anche e soprattutto con le rogatorie internazionali. A partire dal 4 giugno, data della maxi retata del Mose, i pm veneziani Paola Tonini, Stefano Buccini e Stefano Ancilotto hanno inondato di richieste i Tribunali di mezza Europa. Non solo Slovenia, Ucraina e Moldavia, ma anche Austria e Svizzera. Adesso giorno dopo giorno stanno arrivando le prime risposte e i magistrati le stanno vagliando assieme alla Guardia di finanza. Resta il fatto che il filone certo è quello indicato da Luigi Dal Borgo – che assieme a Mirco Voltazza si faceva pagare fior di quattrini da Baita dicendo di essere in grado di fermare le inchieste della Finanza e della Procura contro la Mantovani e il Consorzio Venezia Nuova – che ha parlato di soldi portati all’estero da Enzo Casarin. La Procura è certa che Casarin abbia portato quattrini all’estero anche per conto di Renato Chisso, di cui era segretario personale in Regione Veneto. Ma qualcosa sta saltando fuori anche dalle altre rogatorie che riguardano pure l’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan. Stando alle intercettazioni telefoniche di Paolo Venuti, il commercialista di Galan, all’estero ci sono almeno 1 milione e 800 mila euro sparsi in conti vari, tutti riferibili a Galan. «Quelli in Svizzera li tengo io – diceva il commercialista alla moglie riferendosi a Galan – quelli in Croazia li tiene lui». E alla domanda della moglie: «Ma quanti sono i suoi?», la risposta era stata precisa: «Un milione e otto». Galan ha sempre smentito e siccome Paolo Venuti finora non ha aperto bocca bisogna per forza attendere che la rogatoria con la Croazia porti a casa i risultati che la Procura si aspetta.
Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini si preparano a chiedere il rito immediato per tutti coloro – e sono una piccolissima minoranza – che non hanno patteggiato e che sono ancora in galera. Si tratta di Renato Chisso, di Giancarlo Galan, di Enzo Casarin – che ha il Riesame domani – e di Paolo Venuti – che sarà sentito il 7 ottobre. Il rito immediato significa che i 4 andranno a processo direttamente dalla galera, senza passare per casa. I tempi sono stretti per Chisso – la scadenza termini della carcerazione è il 4 dicembre – e ancora più stretta per Galan, 22 ottobre. Dunque già entro la metà di ottobre ci saranno le prime richieste di rito immediato. Tutti loro saranno processati con le prove raccolte fino ad allora, visto che c’è stata una proroga delle indagini e fra le prove che la Procura conta di portare in Tribunale ci sono pure i conti correnti con i soldi.
E anche per Lia Sartori è arrivata la libertà dopo tre mesi di domiciliari. Per lei la Procura non ha chiesto il processo con rito immediato e il giudice ha concesso anche il diritto all’espatrio, non ritenendo che vi sia pericolo di fuga. L’ex eurodeputata era stata arrestata il 2 luglio, con l’accusa di aver ricevuto finanziamenti illeciti da parte di alcuni imprenditori coinvolti nel Consorzio Venezia Nuova, ipotesi respinta sempre con forza dalla Sartori.
Intanto si attende di capire se lo Stato ha intenzione o no di costituirsi parte civile nei confronti dei corrotti così come ha già fatto il Comune di Venezia, che ha avviato le procedure con l’avvocatura civica. Dall’Avvocatura dello Stato invece non è arrivata nemmeno una velina che lasci intravvedere l’intenzione della presidenza del Consiglio di costituirsi in giudizio contro gli ex amministratori accusati di aver intascato milioni di euro in mazzette: soldi provenienti dalla sovrafatturazione dei lavori del Mose. E dunque pubblici.

Maurizio Dianese

 

MILANO – Accordo tra la difesa dell’ex ad di Palladio e la Procura: 2 anni e 6 mesi. Deciderà il gip

Meneguzzo, patteggiamento in vista

LISA SARTORI – Accusata di finanziamenti illeciti da parte di imprenditori. Ma lei ha sempre negato tutto

MILANO – Roberto Meneguzzo punta al patteggiamento per uscire dal filone milanese dell’inchiesta sul Mose e gli appalti del Consorzio Venezia Nuova. I legali dell’ex amministratore delegato e vicepresidente di Palladio Finanziaria hanno trovato un accordo con i pm Roberto Pellicano e Luigi Orsi per una pena di due anni e sei mesi. La proposta di patteggiamento dovrà essere ora vagliata da un Gip del tribunale di Milano.
Il manager, tra i fondatori di quella che è stata definita la Mediobanca del Nordest, è accusato di concorso in corruzione, insieme all’ex parlamentare del Pdl Marco Milanese e al generale in pensione della Guardia di Finanza Emilio Spaziante, in uno stralcio della più ampia inchiesta della procura di Venezia, trasmesso a Milano per competenza territoriale. Meneguzzo è accusato di concorso in corruzione in merito al presunto pagamento di due tangenti da 500mila euro ciascuna da parte del Consorzio Venezia Nuova a Milanese e al generale Spaziante, per avere, nel primo caso lo sblocco di alcuni fondi da parte del Cipe per il Mose e, nel secondo episodio contestato, per avere controlli «morbidi» da parte delle Fiamme Gialle. Secondo l’accusa, ha fatto da tramite tra l’allora presidente del Cvn, Giovanni Mazzacurati, con Milanese e Spaziante.
Questo filone di indagine è stato trasmesso da Venezia a Milano, in quanto si ritiene che lo scambio di denaro sia stato effettuato nell’ufficio milanese della Palladio Finanziaria e per questo la competenza territoriale è del capoluogo lombardo. Alla luce della richiesta di patteggiamento di Meneguzzo, se l’accordo questa verrà ratificato, saranno processati solamente Milanese e Spaziante.

 

IL CASO – La fondazione del patriarcato di Venezia sfiorata dallo scandalo Mose

Dalla Regione 200 mila euro al Marcianum ed è polemica

CHIARIMENTI – La delibera oggi in commissione Marotta (Idv): devono spiegare

È stata la tempistica ad alimentare la polemica. Perché se il contributo di 200mila euro fosse uscito dalle casse di Palazzo Balbi a inizio anno, nessuno avrebbe trovato da ridire: in fine dei conti è dal 2008 che la Regione Veneto finanzia il Marcianum, la Fondazione sorta nel 2007 con lo scopo di “promuovere il patrimonio culturale e religioso del Patriarcato di Venezia”. Dal 2007 al 2013 la Regione ha dato un milione e seicentomila euro al Marcianum di Venezia. E adesso altri 200mila euro per il 2014. Il punto è che il Marcianum, dopo essere stato sfiorato dallo scandalo del sistema del Mose, è stato completamente ridimensionato dal Patriarcato d’intesa con il Vaticano, tanto che già da quest’anno alcune attività saranno dismesse e ci saranno forti tagli del personale. La cura dimagrante è stata annunciata dal Patriarcato lo scorso luglio: “Già dall’anno corrente non verranno attivati i corsi dei primi anni della facoltà di diritto canonico e dell’istituto superiore di scienze religiose”. E allora com’è che la giunta regionale del Veneto il 9 settembre – quindi dopo lo scandalo e dopo l’annuncio del ridimensionamento – ha deciso di continuare l’erogazione dei fondi per il Marcianum? Chiaro che erano fondi già previsti, ma l’argomento sarà comuqnue oggetto di discussione questa mattina a Palazzo Ferro Fini, durante la riunione della sesta commissione consiliare. All’ordine del giorno c’è la delibera numero 135 della giunta approvata il 9 settembre, un provvedimento che per diventare operativo ha bisogno di un passaggio in commissione. Tra l’altro al Ferro Fini stamattina è prevista l’audizione di Paolo Lombardi, il nuovo amministratore delegato della Fondazione Marcianum nominato dal collegio dei fondatori lo scorso 17 luglio. Gennaro Marotta, consigliere regionale dell’Idv, vuole capire: «Se il patriarca Francesco Moraglia decide di chiudere la Fondazione Marcianum, perché la Regione stacca un assegno da 200mila euro? Sarò in commissione Cultura per capirne di più». L’esponente dell’Idv, tra l’altro veneziano, precisa: «Non dubitiamo che dal punto di vista normativo ed amministrativo sia tutto in ordine, ma da quello politico ci pare sia una scelta dalla dubbia opportunità. La Regione ha già sovvenzionato con cifre importanti, negli ultimi anni, la Fondazione Marcianum: 1,6 milioni di euro dal 2008 ad oggi, contando anche il contributo del 2014. Con i fondi regionali per la cultura in affanno, perché la giunta Zaia non pensa di dividere questo ingente contributo con altre associazioni più piccole e sfortunate, così da mantenerle in vita?».

 

Nuova Venezia – Matteoli, accuse verso il voto del Senato

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2

ott

2014

Il Tribunale dei ministri: fondata l’ipotesi di corruzione a carico del parlamentare. Tesoro di Chisso: ricerche in cinque Paesi

VENEZIA – Il Tribunale dei ministri del Veneto presieduto dal giudice veronese Monica Sarti ha concluso il suo lavoro e ha mandato gli atti alla Procura veneziana per il suo parere. I tre magistrati sembrano intenzionati a inviare gli atti alla Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato: stando al loro giudizio, dopo le indagini durate per tre mesi, la notizia di reato che riguarda l’ex ministro Altero Matteoli, ora senatore di Forza Italia e indagato per corruzione, sarebbe fondata e quindi ora tocca al Senato dare o meno il via libera alla Procura lagunare perché le indagini sul conto dell’esponente politico proseguano. Se avessero deciso il contrario avrebbero dovuto archiviare il fascicolo. La decisione sarebbe stata presa nei giorni scorsi dopo che il Tribunale ha visionato il dvd inviato dal giudice federale della California che ha interrogato per rogatoria l’accusatore di Matteoli, l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati. L’anziano ingegnere, avrebbe confermato le accuse nei confronti dell’ex ministro: ai pubblici ministeri Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini aveva già riferito di aver consegnato in diverse occasioni più di 400 mila euro, proveniente dalla casse del Consorzio, per le campagne elettorali di Matteoli e, inoltre, di aver inserito nell’appalto per i lavori di bonifica e marginamento l’azienda di Erasmo Cinque, compagno di partito dell’ex ministro, su richiesta pressante di Matteoli. E Cinque avrebbe intascato una parte degli utili degli interventi pur non avendo mosso un dito, insomma pur non avendo mai lavorato. Ieri, intanto, i tre pm che coordinano le indagini avevano convocato per un interrogatorio Federico Sutto, il braccio destro di Mazzacurati ed ex socialista, che è ai domiciliari. Sutto aveva già rilasciato lunghe dichiarazioni accusatorie, confermando le accuse nei confronti dell’imprenditore vicentino Roberto Meneguzzo, del generale della Guardia di finanza Emilio Spaziante e del braccio destro dell’ex ministro Giulio Tremonti Marco Milanese. Forse c’era la speranza che riferisse circostanze che riguardano Giancarlo Galan e Renato Chisso, ma non è stato così (gli amici sostengono che Sutto avrebbe sempre sostenuto che Chisso è un amico e vecchio compagno di partito e non l’avrebbe mai accusato) e ieri, difeso dall’avvocato Gianni Morrone, si è avvalso della facoltà di non rispondere. La caccia ai conti correnti di Chisso, intanto, prosegue. La Guardia di finanza sta cercando da mesi di ricostruire movimenti e passaggi, i pubblici ministeri hanno avviato rogatorie in 5 paesi stranieri (Svizzera, Austria, Slovenia, Croazia e Moldavia), chiedendo se vi siano conti intestati a lui o a parenti e amici nelle banche di quelle nazioni, ma ancora non ci sono state risposte. Sulle dichiarazioni dell’indagato Luigi Dal Borgo, che individua nel segretario di Chisso Enzo Casarin colui che avrebbe portato i soldi dell’assessore all’estero c’è scetticismo da parte degli inquirenti, i quali ricordano che un altro indagato, Mirco Voltazza, ha riferito loro che proprio Chisso gli aveva chiesto di controllare Casarin perchè temeva che gli sottraEsse considerevoli somme di denaro.

Giorgio Cecchetti

 

All’assessore consegnai trentamila euro che lui intascò come fosse una cosa dovuta e senza stupirsi minimamente. Subito dopo vincemmo un appalto con Sistemi

VENEZIA – Pierluigi Alessandri, imprenditore veneziano e un tempo titolare della «Sacaim» che in laguna ha realizzato la nuova Fenice e le Gallerie dell’Accademia e tanto altro, ma che ora per evitare il fallimento è stata acquisita dalla friulana Rizzani De Eccher, con le sue confessioni ha aperto un nuovo filone d’indagine. Nel mondo delle imprese e della politica l’azienda veneziana è sempre stata considerata molto vicina al centro sinistra, tanto da aver vinto e acquisito appalti dal Comune e dall’Autorità portuale di Venezia. Ma non solo, ha lavorato per la Soprintendenza ai beni architettonici e paesaggistici di Venezia, per il ministero per i Beni culturali e per altri. Nei lunghi interrogatori Alessandri ha raccontato ai pubblici ministero Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini come è riuscito a vincere numerosi lavori. Nell’interrogatorio del 30 luglio, quello che è in parte noto perché la Procura l’ha prodotto al Tribunale del riesame che doveva decidere sul ricorso dei difensori di Giancarlo Galan che fu respinto, tanto che l’ex presidente della giunta regionale è ancora in carcere, ha riferito dei suoi rapporti con l’ex ministro di Forza Italia e con l’assessore regionale Renato Chisso, anche lui ancora detenuto. «Ho consegnato a Giancarlo Galan in tutto 115 mila euro», ricorda Alessandri, «Una prima tranche di 50 mila euro nel maggio-giugno 2006, poi 15 mila nel dicembre e 50 mila nei primi mesi 2007…. I soldi sono stati consegnati in luoghi diversi: a casa sua a Cinto Euganeo e una parte a casa di mia figlia che abitava a Monticelli di Monselice. Non ho consegnato io i soldi, ma mia figlia con una busta chiusa, lei non sapeva il contenuto, e Galan mi ha poi ringraziato delle somme ricevute… Ho pagato per entrare nella schiera di imprenditori amici che poteva fruire di trattamenti particolari nell’assegnazione dei lavori». «Ho eseguito gratuitamente lavori nella villa di Galan a Cinto Euganeo», prosegue l’imprenditore veneziano, «Opere di decoro, stuccatura, affrescatura con il mio personale. Ho emesso una modesta fattura di 25 mila euro che non mi è stata pagata, per giustificare la presenza del personale, ma l’entità dei lavori era di almeno 100 mila euro… Danilo Turato era perfettamente al corrente dell’accordo tra me e Galan». Turato è l’architetto che Galan aveva scelto per i lavori nella sua villa ed è stato arrestato con gli altri il 4 giugno scorso (poi ha ottenuto gli arresti domiciliari). In quell’interrogatorio, infine, Alessandri parla di Chisso. «La Sacaim», attacca, « non ha mai avuto un riferimento in Regione e siamo stati estromessi da lavori importanti, io ne ho parlato con Galan e mi disse che eravamo una delle imprese di riferimento dei Ds. A me interessava solo lavorare e lui rispose che avrebbe valutato il caso a patto che io fossi stato disponibile a far parte della cerchia di imprenditori a lui vicini, cioè quelli disponibili a elargire somme di denaro… Dissi poi a Galan che con Chisso non riuscivo a instaurare un rapporto, io chiedevo di far parte di alcune cordate ma l’assessore mi fece capire che Baita osteggiava la mia impresa. Galan mi suggerì di corrispondere delle somme a Chisso e dopo che mi “accreditai” ho incontrato l’assessore molte volte…». Prima che Chisso lo riceva e lo ascolti, però, Alessandri riferisce di essere andato per almeno tre volte ad insistere da Galan, il quale gli aveva spiegato che accreditarsi presso di lui era necessario ma non sufficiente e che doveva accreditarsi anche presso Chisso, sostenendo esplicitamente che doveva essere generoso con l’assessore. «Per questo motivo quando mi presentai al Laguna Palace di Mestre, Chisso prese i 30 mila euro come fosse una cosa dovuta, senza minimamente stupirsi. Dopo questa vicenda, che risale al febbraio 2010, abbiamo acquisito un lavoro con la Sistemi Territoriali, una delle società della Regione: vinsi l’appalto in Ati con il Coveco».

Giorgio Cecchetti

 

politica e affari»la tangentopoli veneta

Sartori e Maltauro rimessi in libertà

VICENZA – Tornano in libertà due degli indagati eccellenti dei due maggiri scandali di appalti e mazzette del Nord Italia nella nuova tangentopoli: Enrico Maltauro e Amalia «Lia» Sartori. Il primo finito in carcere in seguito all’inchiesta sugli appalti dell’Expo Milano 2015; la seconda, arrestata appena insediato il nuovo parlamento di Strasburgo, per un finanziamento illecito che l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, sostiene di averle consegnato. L’imprenditore vicentino Enrico Maltauro, una delle persone arrestate nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Milano sulla presunta «cupola degli appalti», è ritornato in libertà, in quanto il gip milanese Fabio Antezza, su richiesta della difesa e con parere negativo dei pm, ha revocato gli arresti domiciliari a cui Maltauro era stato posto prima dell’estate. L’imprenditore vicentino era finito in carcere lo scorso 8 maggio assieme, tra gli altri, all’ex parlamentare Gianstefano Frigerio, all’ex funzionario del Pci, Primo Greganti, all’ex senatore del Pdl Luigi Grillo e all’ex esponente ligure dell’Udc-Ndc Sergio Cattozzo per presunte irregolarità nella gestione di alcuni appalti tra cui anche quello chiamato “Architettura dei servizi” indetto per Expo. Maltauro è il primo degli arrestati a ritornare libero (gli altri sono ancora ai domiciliari). Si presume, secondo quanto è stato riferito, che siano venute meno le esigenze cautelari. Anche Lia Sartori da stamattina è una donna libera. Dopo tre mesi agli arresti domiciliari, nel suo attico in centro a Vicenza, l’ex eurodeputata di Forza Italia oggi rimette piede fuori casa. È infatti scaduta, senza che la procura chiedesse per lei il processo con rito immediato, che avrebbe allungato i tempi della detenzione, la carcerazione preventiva. Era stata catturata il 2 luglio scorso dalla guardia di finanza: lei aspettava i detective in casa, visto che sapeva da un mese che il giudice Scaramuzza aveva firmato a suo carico un’ordinanza di custodia cautelare ipotizzando l’illecito finanziamento nell’ambito della maxinchiesta sul Mose. Ieri, il giudice del tribunale di Venezia ha decretato che sono decorsi i termini, per cui Sartori da oggi è libera. Non solo; mentre la procura aveva chiesto che alla politica di centrodestra venisse applicato il divieto di espatrio, il giudice lo ha negato ritenendo che non vi fosse alcun pericolo di fuga. «Ora aspettiamo con serenità il processo», ha detto l’avvocato Alessandro Moscatelli, che difende Sartori con Franco Coppi di Roma. La vicenda giudiziaria di Sartori, 66 anni, a lungo presidente del consiglio regionale del Veneto, e dal 2000 europarlamentare (non è stata rieletta alla tornata di maggio scorso), è nota. Gli inquirenti lagunari, con il procuratore aggiunto Carlo Nordio, le contestavano di avere incassato, in cinque diverse occasioni, delle somme di danaro senza registrarle, o senza indicare correttamente chi gliele aveva consegnate. In realtà, il tribunale del Riesame (molto duro: le aveva confermato i domiciliari, perchè non doveva entrare in contatto con imprenditori) aveva cassato due di queste dazioni, ritenendole non provate.

 

Gazzettino – Mose, e’all’Est il tesoro di Chisso

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1

ott

2014

L’INCHIESTA – A portare il denaro in contanti oltrefrontiera era Enzo Casarin, il segretario dell’ex assessore

Mose, è all’Est il tesoro di Chisso

Ammonterebbe a 8 milioni. La Finanza avrebbe trovato tracce evidenti del passaggio dei soldi su conti esteri

L’INCHIESTA – Indagini informatiche per controllare depositi e movimenti di capitali

La Procura ha trovato tracce evidenti dei passaggi di denaro su conti esteri. Ma per ora i soldi non spuntano. Nel mirino i “tour” nell’ex Europa comunista del segretario dell’ex assessore

LO “SPALLONE” – Era Enzo Casarin a portare oltrefrontiera il denaro in contanti

TESTE CHIAVE – Dal Borgo prometteva di fermare la Finanza

«Opere per 100mila euro e fattura solo di 25mila: non pagò nemmeno quelli»

Il tesoro di Chisso 8 milioni nascosti a Est

Mercoledì 1 Ottobre 2014, Trovato il tesoro di Renato Chisso. O almeno la strada che porta al tesoro dell’ex assessore regionale alle Infrastrutture, perché soldi nei conti non ne sono stati trovati, ma tracce evidenti del passaggio, sì. E siccome i soldi sono passati di conto in conto, aver trovato la traccia, secondo la Guardia di finanza, equivale ad aver trovato il tesoro. Anche se i soldi fisicamente non ci sono più, è possibile contestarli a Chisso. La Procura di Venezia in questi giorni sta ricostruendo la mappa dei giri che hanno fatto i quattrini. Parliamo di milioni di euro in contanti che sono usciti dall’Italia ed hanno preso la via dei Paesi dell’Est Europa. La Procura di Venezia sta seguendo questi giri, conto dopo conto, banca dopo banca, seguendo le tracce lasciate da Enzo Casarin, il segretario particolare dell’ex assessore alle Infrastrutture, Renato Chisso, arrestato il 4 giugno nell’ambito della maxi inchiesta della Procura sul Mose. Perché è lui, Casarin, il punto di snodo e cioè l’uomo che ha portato i soldi all’estero. Gli investigatori infatti sono convinti che abbia fatto lo “spallone” sia per conto proprio sia per conto di Chisso perché la quantità di quattrini di cui si parla è tale da far pensare che non si possa trattare solo di mazzette incassate – e nascoste all’estero – da Casarin. La Guardia di finanza conteggia che i reati commessi da Chisso gli abbiano fruttato circa 8 milioni di euro – anche se finora non è stato trovato nulla, nè beni immobili nè soldi in contanti a parte qualche migliaio di euro nel conto corrente.
Ora, la Finanza avrebbe trovato la traccia del tesoro. Questa parte dell’inchiesta sul tesoro di Chisso parte da Luigi Dal Borgo, un ingegnere che si improvvisa 007. Di Dal Borgo, Piergiorgio Baita della Mantovani dice: «… è un mio compagno di classe, al quale non abbiamo mai dato grande credito finché eravamo all’università, perché copiava i compiti e poi ha fatto una serie di mestieri…». Quando le strade di Dal Borgo e di Baita si incrociano di nuovo è perché Dal Borgo propone un contratto di “protezione” a Baita. «Voltazza e Dal Borgo chiedevano 500mila euro all’anno per coprire la cosiddetta protezione del Consorzio Venezia Nuova e 300mila euro all’anno per coprire la protezione di Mantovani» – racconta Baita al p.m. Stefano Ancilotto. Che cosa promette Dal Borgo? Di fermare o rendere innocue le inchieste della Guardia di finanza contro il Consorzio Venezia Nuova e contro la Mantovani. Infatti. C’è riuscito perfettamente come dimostra l’inchiesta che ha portato in galera una cinquantina di persone e ha fatto crollare mezzo mondo imprenditoriale e politico del Veneto. Dal Borgo, vista la mala parata, adesso ha deciso di gettare la spugna e ha iniziato a parlare. Che cosa racconta a verbale? Che spesso andava con Enzo Casarin all’estero per tour non proprio da giovani marmotte. E diciamo che, andando a caccia di educande in vena di arrotondare la paghetta, capitava che Enzo Casarin gli parlasse. Non solo, è capitato pure che tra una sosta e l’altra nel tour a luci rosse – ma sempre e solo per dare un occhio, con curiosità, come dire?, antropologica – Enzo Casarin abbia chiesto di fermarsi in quella tal banca che doveva fare una cosa. E poi un’altra cosa la faceva in un’altra banca. E via così. Dal Borgo evidentemente ha registrato il tutto mentalmente e ne ha riferito in Procura. E dagli uffici di piazzale Roma è partito l’ordine per la Guardia di finanza, che da sempre è sicura di riuscire a mettere le mani sui conti di Renato Chisso. I finanzieri stanno controllando i passaggi, stanno verificando i conti, stanno seguendo quel sottile filo di “bit” ovvero di input tecnologici che consentono di spostare capitali da un Paese all’altro in un clic. Ma traccia di quei clic è stata trovata e la traccia porta al tesoro.

 

RIVELAZIONI – Le mazzette raccontate da Alessandri (Sacaim)

«Lavori gratis a villa Galan e 30mila euro per Chisso»

MESTRE – Accanto a Villa Rodella sarebbe sorto l’agriturismo. E poi un albergo pluristellato. Aveva progetti faraonici Giancarlo Galan e non ne faceva mistero. Voleva che Villa Rodella, dove Galan contava di continuare ad abitare, fosse al centro di un vero e proprio “quartiere” di lusso.
Del resto non gli costava un centesimo pensare in grande. E nemmeno costruire. Lo racconta l’ennesimo imprenditore finito, dice lui, nel tritacarne delle mazzette. Si tratta di Pierluigi Alessandri, ex presidente della Sacaim. «Ho fatto lavori di decoro e stuccatura per un importo di circa 100mila euro. Ho emesso regolare fattura, ma di 25mila euro e non mi hanno pagato nemmeno quella». Cornuto e mazziato perché sulla fattura emessa, la Sacaim ha pure pagato le tasse, senza incassare un centesimo. Alessandri aveva una squadra di operai in pianta stabile a villa Rodella e la fattura lui la spiega così: «Era più che altro un sistema per cautelarsi nel caso di incidenti sul lavoro oppure se arrivava qualche controllo». Ma siccome lui era solo uno dei tanti che si spaccavano la schiena gratis a costruire la dimora nella quale il governatore del Veneto avrebbe celebrato le sue nozze sibaritiche – basti dire che il solo Mazzacurati del Consorzio Venezia Nuova regalò cristalleria per 12mila euro – Galan più di tanto non gli badava. C’era Baita, che contava – e pagava – molto più di lui, ad esempio. E così Alessandri dice che per lavorare era costretto a mettere mano continuamente al portafoglio. «Nel 2009 io avevo trovato l’accordo con Galan e qualche lavoro arrivava. Poi si ferma tutto». Siamo nel 2010 e Alessandri va da Galan. Gli ricorda tra il lusco e il brusco, come si usa tra uomini di mondo, che qui si paga si paga, ma il cammello non si vede. «Galan mi ha spiegato che lui non bastava, che dovevo “accreditarmi” con l’assessore Chisso. E che dovevo mostrarmi generoso anche con Chisso, così da poter entrare a far parte degli imprenditori “vicini”» – detta a verbale Alessandri di fronte al pm Stefano Ancilotto. Alessandri ragiona tra sé e sé che se Galan viaggia sui 100mila a botta, un assessore regionale quanto potrà valere? Facciamo un terzo? E così si presenta all’incontro con Renato Chisso al Laguna Palace di Mestre con una busta che contiene 30mila euro in contanti. Siamo a febbraio del 2010. Da quel momento qualcosa si sblocca, poca roba, si lamenta Alessandri, ricordando che la Sacaim fu esclusa dal primo lotto della terza corsia dell’autostrada Venezia-Trieste. L’associazione temporanea di imprese che si aggiudicò i lavori era composta da Impregilo, Carron, Coveco e Mantovani. Come mai?

M.D.

 

IL CANTIERE – Affondato anche l’ultimo cassone

VENEZIA – Affondato anche l’ultimo “cassone di soglia” alla bocca di porto di Malamocco. Le altre schiere di cassoni – a Lido e Chioggia – sono già state completate. Il cantiere del Mose si avvia così al completamento definitivo di tutte le barriere entro il 15 ottobre. Ai “cassoni di soglia”, alloggiati nelle trincee sott’acqua, verranno quindi incernierate le paratoie. L’affondamento avviene durante il “morto d’acqua” (marea costante, onde basse e vento fermo) attraverso il syncrolift: il più grande ascensore mobile al mondo di questo tipo, largo oltre 50 metri e lungo più di 70 metri, dotato di 26 potenti argani.

 

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