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Gazzettino – Lancio di soldi falsi nella villa di Galan

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21

ott

2014

LE ACCUSE – Copiate integralmente le bozze scritte dai tecnici di Mazzacurati

INCHIESTA MOSE Secondo gli inquirenti l’ex ministro avallava le decisioni e seguiva le raccomandazioni delle imprese

Matteoli «asservito al Consorzio»

La firma è quella dell’allora ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Altero Matteoli. Ma il testo di quella lettera, inviata nel dicembre del 2008 al presidente della Corte dei Conti, era stato in realtà predisposto in precedenza dagli uffici del Consorzio Venezia Nuova per sostenere il Mose e “raccomandarsi” in merito al buon esito dell’indagine, all’epoca in via di conclusione da parte dei giudici contabili.
Ha dell’incredibile quanto emerge dalla relazione del Tribunale dei ministri con la quale è stata chiesta l’autorizzazione a procedere al Senato per Matteoli per il reato di corruzione: secondo i giudici è la prova dell’asservimento agli interessi del Cvn del politico di Alleanza nazionale, poi passato al Pdl e ora a Forza Italia.
L’allora ministro risulta aver copiato integralmente la bozza preparata da Luciano Neri e Maria Brotto, fedeli collaboratori del presidente Cvn, Giovanni Mazzacurati, salvo la formula “Egregio presidente” (nella bozza era Illustrissimo), e i saluti finali. La bozza del Cvn, recepita e firmata da Matteoli, fu inviata al presidente Tullio Lazzaro: il ministro si augura che la delibera conclusiva dell’indagine condotta dalla sezione Controllo della Corte dei conti «possa esprimere, oltre all’apprezzamento per l’azione sviluppata, con grande impegno dal Magistrato alle acque in un contesto straordinario e complesso, lo stimolo per i competenti Organi istituzionali a far sì che le risorse finanziarie ancora da acquisire vengano messe tempestivamente al servizio della sollecita realizzazione dell’opera».
Non è l’unica ingerenza sulla Corte dei conti da parte del Consorzio Venezia Nuova: nei computer del Cvn gli inquirenti hanno rinvenuto altri due files dal titolo “delibera finita pulita” e “delibera ing. Neri con correzioni”, il cui testo corrisponde ad alcuni passaggi della relazione conclusiva dei giudici contabili sul progetto Mose. L’ultima modifica eseguita dal Cvn su quei files è datata 12 dicembre 2008: due mesi dopo l’adunanza in cui la Corte dei conti discusse il caso e due mesi prima del deposito della delibera, avvenuto il 20 febbraio del 2009: «Evidente a questo punto l’azione di ingerenza del Consorzio Venezia Nuova sulla delibera della Corte», scrive il Tribunale dei ministri.
Il terzo esempio di «totale asservimento» ai voleri e agli interessi del Consorzio Venezia Nuova riguarda Patrizio Cuccioletta, allora presidente del Magistrato alle acque, l’organismo che avrebbe dovuto controllare il Cvn nella realizzazione del Mose. Nei computer del Cvn è stata trovata un’altra bozza, creata il 4 dicembre del 2008, redatta direttamente con l’intestazione del Mav e già firmata da Cuccioletta: è il testo di una missiva destinata a Matteoli, con la quale il ministro veniva sollecitato ad attivarsi in vista dell’immiente deposito della relazione della Corte dei conti. Il file word contente la bozza risulta creato da Alfredo Biagini, legale di riferimento del Consorzio Venezia Nuova.

Gianluca Amadori

 

PATTEGGIAMENTI – Per Chisso lo stesso gip che disse no a Orsoni

Sarà il giudice per l’udienza preliminare Massimo Vicinanza a doversi pronunciare sull’istanza di patteggiamento presentata dall’ex assessore regionale alle Infrastrutture, Renato Chisso. Il presidente dell’Ufficio Gip-Gup, Giuliana Galasso, gli ha trasmesso ieri il fascicolo con la pena concordata tra il suo legale, l’avvocato Antonio Forza, e i rappresentanti della pubblica accusa: il procuratore aggiunto Carlo Nordio e i pm Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini.
Vicinanza è il giudice che, lo scorso giugno, ha rigettato il patteggiamento all’allora sindaco Giorgio Orsoni ritenendo troppo bassa la pena concordata tra accusa e difesa: 4 mesi per il reato di finanziamento illecito ai partiti.
Oltre alla posizione di Chisso (per il quale l’accordo è stabilito in un anno, 6 mesi), il gup Vicinanza dovrà pronunciarsi anche sull’istanza di patteggiamento del segretario dell’ex assessore, Enzo Casarin (un anno e 8 mesi) e, probabilmente, su quella di Federico Sutto, l’ex segretario dell’allora presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, che sta ancora trattando con i pm.
L’udienza potrebbe essere fissata per fine mese, ma in realtà non vi è alcun termine e, se necessario, potrebbe anche slittare più avanti. A Chisso la Procura non ha sequestrato alcun bene, salvo 1500 euro sul conto corrente: uno dei nodi da sciogliere in vista del patteggiamento potrebbe essere quello relativo alla confisca.

 

LA PROTESTA – Mazzette di banconote gettate in cortile, la manifestazione documentata con foto e video

Lancio di soldi falsi nella villa di Galan

Blitz dei forconi nella dimora di Cinto Euganeo dove l’ex governatore è agli arresti domiciliari

Altro che buen ritiro: a Cinto Euganeo non c’è pace per Giancarlo Galan, che sta scontando a villa Rodella, agli arresti domiciliari, la pena patteggiata due settimane fa. Domenica pomeriggio l’ex governatore del Veneto ha ricevuto la “visita” dei forconi, che sono tornati di fronte alla magione euganea del Doge dopo la manifestazione del dicembre scorso. La prima volta avevano portato un cannone della prima guerra mondiale, con il quale avevano sparato salve di fiori sotto gli occhi di un’inviperita donna Sandra.
L’altro ieri, invece, una decina di attivisti del Movimento 9 Dicembre ha portato un cesto pieno di mazzette di soldi. Tutti euro finti, intendiamoci, con tanto di fac-simile stampigliato in grande. Un po’ di contante è finito nel giardino della villa in seguito ai lanci effettuati dai forconi, provenienti quasi tutti dal vicentino. Altre banconote da 50 euro sono state attaccate al filo di un paio di canne da pesca portate per l’occasione e i manifestanti hanno dato vita a una sorta di pesca miracolosa nel cortile di villa Rodella. Il gruppetto ha documentato la visita con foto e video che sono stati diffusi ieri mattina.
Nella bagarre sono state coinvolte anche parecchie auto di passaggio: la tenuta di Galan sorge su una strada di collegamento fra i Berici e l’area dei colli Euganei, e nei giorni di festa è sempre molto trafficata. Gli automobilisti sono stati fermati dai forconi, che hanno spiegato loro il motivo della protesta. Come già era accaduto in occasione del rientro dell’ex ministro da Opera, gran parte dei passanti ha inveito contro di lui e contro la “casta”. Prima di andarsene, gli organizzatori del presidio hanno preso di mira il merlo indiano che trascorre le sue giornate nella voliera di villa Rodella. Hanno tentato di insegnargli a dire la parola “ladro” – con un ovvio riferimento alle recenti vicende giudiziarie di Galan – e nel video diffuso ieri sostengono di aver sentito il pennuto ripetere distintamente l’epiteto.
Il pomeriggio si è chiuso con l’arrivo dei carabinieri della compagnia di Abano Terme, che hanno identificato i presenti. L’assemblea si è sciolta senza ulteriori problemi, salvo rivalse legali da parte della famiglia Galan.

 

IL COMMENTO – Blitz dei Forconi a Cinto: soldi falsi lanciati nella villa di Giancarlo Galan

Hanno fatto strabenissimo. Mentre il sig. Galan si “gode” i domiciliari in una dimora di lusso, e probabilmente con risparmi ben occultati tanto da rendergli un futuro prospero, noi siamo ridotti quasi alla povertà. I carabinieri li hanno identificati? Siamo arrivati all’assurdo.

Lettrice61

 

Nuova Venezia – Quei patteggiamenti sono una vergogna

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21

ott

2014

Vergognosa è la situazione di tutti questi eccellenti che patteggiano; leggere che abbiano qualche problema a pagare è proprio insignificante per la gente qualunque. Sicuramente avranno poco “pensiero ” che toglie il sonno, la tranquillità, l’autostima, di quel costruito con sudore, il sudore vero. Gente comune che affonda e non riemerge mai più, gente eccellente che invece è serena e non prova vergogna alcuna per aver procurato qualche problema alla stragrande maggioranza che si trova dall’altra parte della strada.

Rossella Centenaro – Venezia

 

Dopo i patteggiamenti

Mose, Nordio: «Non gestiremo quei 12 milioni»

Il procuratore aggiunto di Venezia, Carlo Nordio, in un’intervista a Sky ha parlato dell’inchiesta Mose. «Non abbiamo il potere di gestire i 12 milioni incassati con i patteggiamenti. La gente per strada mi chiede di gettare le chiavi nel pozzo».

Il procuratore aggiunto di Venezia: «Delirio legislativo fonte di corruzione

Dopo i patteggiamenti la gente mi chiede di gettare le chiavi nel pozzo»

Mose, recuperati 12 milioni. Nordio: non li gestiamo noi

PADOVA «Non abbiamo il potere di gestire i 12 milioni di euro incassati con i patteggiamenti del Mose». Parole di Carlo Nordio, procuratore aggiunto di Venezia, ospite dell’Intervista, la trasmissione condotta da Maria Latella su Sky Tg 24. In 25 minuti i temi spaziano dal Mose, allo scontro tra il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati e il suo vice Alfredo Robledo fino alle dimissioni del giudice Enrico Tranfa dopo la sentenza di assoluzione di Berlusconi nel processo Ruby. Ma il cuore dell’intervista è la corruzione, dall’Expo di Milano al Mose di Venezia. Maria Latella pone la prima domanda con una lunga premessa: la corruzione non si ferma perché sia i politici che gli imprenditori contano sull’impunità. Prendiamo il caso Mose: Galan restituirà 2,6 milioni di euro ma tutti hanno capito che la magistratura ha accertato un patrimonio assai più rilevante. Che reazioni ha riscontrato Nordio nell’opinione pubblica? «Le reazioni riscontrate dopo i patteggiamenti dei 19 indagati sono di due tipi: ampio consenso alle scelte della Procura da parte di chi ha una preparazione giuridica e conosce la materia, mentre l’ordinary people ha una reazione sanguinaria: ci chiedono di chiuderli in cella e di gettare le chiavi nel pozzo. Ora dev’essere chiaro che la magistratura non ha ruoli salvifici, la pena dev’essere ragionevole e garantire un buon incasso per lo Stato», risponde Carlo Nordio. E qui sta il punto: dove finiranno quei 12 milioni di euro che i 19 imputati dovranno restituire, chiede Maria Latella? «Noi abbiamo il potere di riscossione ma non quello di gestione. Quei 12 milioni di euro vengono buttati nel mare magnum degli introiti pubblici e magari destinati ad altre cose. Una delle riforme utili sarebbe quella di dare autonomia patrimoniale agli uffici giudiziari in modo da poter gestire le riserve che hanno acquisito», spiega Nordio. Ma come si fa a contrastare la corruzione, l’ultimo arresto all’Expo di Milano è di giorni fa, incalza Maria Latella. «La corruzione ha molti padri, tra cui l’avidità umana, ma ha una madre sola, il delirio del legislatore che ha prodotto leggi complicate che sembrano fatte apposta per incitare chi deve amministrarle a farsi corrompere. Vent’anni fa, come pm a Venezia, ho svolto le indagini sulla tangentopoli in Veneto, mentre a Milano ha operato il pool di Borrelli: siamo stati accusati di aver demolito la prima repubblica, ma la lezione non è servita e meno ancora la detenzione come deterrenza perché chi ha la propensione a delinquere non si ferma: un rapinatore sa che lo possono arrestare, ma va all’assalto alle banche» dice Nordio. Ultimo capitolo: l’evasione fiscale alla luce della norma appena approvata sulla voluntary disclosure, che dovrebbe consentire il rientro di 30 miliardi: «Il rientro capitali? Utile, ma è resa dello Stato. E’ un utile compromesso per implementare le finanze, ma certamente è sempre una resa dello Stato perché ancora una volta si arrende a chi esporta capitali all’estero. Le leggi penali non servono perché i capitali vanno dove gli investimenti rendono di più e dove ci sono più garanzie e allora bisogna creare quelle condizioni e i capitali non scapperanno più».

Albino Salmaso

 

IL CASO MOSE – Il procuratore aggiunto di Venezia parla delle pene e dei patteggiamenti

VENEZIA – Il dilemma se sia meglio una condanna severa domani, o una pena più leggera, ma concordata oggi, se lo sono posto i pubblici ministeri che hanno condotto l’inchiesta sul Mose. Per quello scialo colossale di denaro pubblico, con arricchimenti personali davvero scandalosi, si è giunti già ad una ventina di patteggiamenti. E gli inquirenti veneziani hanno dimostrato in qualche modo di accontentarsi, anche se dall’opinione pubblica veniva una richiesta ben diversa, almeno nei confronti di un politico-simbolo del potere del calibro di Giancarlo Galan.
Ieri il procuratore aggiunto di Venezia, Carlo Nordio, è stato intervistato da Maria Letella su Sky Tg24. E ha parlato a ruota libera di questi temi. Ha detto di aver colto «grande consenso» tra chi segue con maggiore attenzione e preparazione i problemi della giustizia, ma anche «reazioni più sanguinarie e un po’ emotive tra la gente». «Per la strada ti fermano e ti dicono che forse era meglio gettare le chiavi nel pozzo» ha spiegato. «Ma la magistratura penale – ha aggiunto – non deve avere fini salvifici, e tantomeno sanguinari. Deve comporre vari interessi, compreso quello della certezza della pena, del tempo ragionevole, della serietà della pena e anche, come in questo caso, di un buon incasso per l’Erario».
A proposito di soldi, Nordio ha detto che la norma sul rientro dei capitali, approvata dalla Camera, è «uno dei tanti compromessi necessari, certamente utile per implementare le finanze», ma è anche «una sorta di resa da parte dello Stato». Per il pm veneziano, che ha condotto molte importanti inchieste sulla corruzione, la norma è tuttavia la dimostrazione «dell’assoluta inefficacia della misura penale come arma deterrente: non funziona nei confronti di chi ha deciso di delinquere». Come evitare la fuga di capitali? «Con una seria politica fiscale e finanziaria, che renda più semplice e attrattiva la norma per gli investimenti». Nordio si è anche detto dell’opinione che tra i motivi che alimentano la corruzione vi siano la difficoltà di arrivare «a una pena certa» e «il delirio proliferativo e disordinato di leggi» che affligge l’Italia. Insomma, «il legislatore ha prodotto leggi complicate fatte apposta per farsi corrompere».
Nordio ha anche affrontato il caso del giudice milanese Enrico Tranfa, dimessosi dopo la sentenza d’appello del caso Ruby, perchè non d’accordo con gli altri due giudici che lo avevano messo in minoranza. «Ha violato clamorosamente ogni regola deontologica e ordinamentale, perché nel momento in cui si fa parte di un collegio si accetta il principio di essere messo in minoranza». E ha spiegato: «La legge consente l’opinione dissenziente, che va messa in busta chiusa e sigillata, ma non consente affatto di dare le dimissioni per una divergente opinione rispetto a colleghi di un collegio che hai accettato di presiedere».
Nordio ha concluso che «un magistrato può andarsene quando è costretto ad applicare leggi che confliggono con la sua coscienza. Ma questo è un caso diverso. La decisione, se sono vere le ragioni asserite, perché sono ancora incredulo di fronte all’enormità di questa notizia, metterà in grande difficoltà gli altri due colleghi che hanno fatto il loro dovere, perché la decisione collegiale, proprio perché è tale, deve essere unitaria».

Il lavoro del pm Nordio è vanificato da leggi assurde ma fatte dai politici per salvare se stessi. Galan e Chisso andavano tenuti in carcere 20 anni. E’ uno scandalo immane che siano già a casa, specialmente quello che è stato il governatore e poi ministro per tanti anni.
Michele e Roberta

 

POLITICA – SE CI FOSSERO I GIACOBINI

L’ex portavoce di Galan, Franco Miracco, in un’intervista dell’11 ottobre, esprimeva costernazione per i fischi e gli insulti rivolti dai cittadini all’ex ministro, tacciandoli di giacobinismo. Mi sono chiesto se l’ex comunista Miracco ha sorvolato lo studio della rivoluzione francese del 1789 passando per amor di patria a quella d’ottobre del 1917. In ogni caso, non ultimo quello di Genova, auguro a tutta la classe politica – sia quella rottamata con vitalizio, sia quella in servizio, analogamente ai burocrati, in primis quelli della Liguria – di provare (per il bene di tutti noi) il vero giacobinismo, per questo Paese non è mai troppo tardi.

Giancarlo Parissenti – Mestre

 

Punturine

Si vantano di aver chiesto di patteggiare la pena ma si proclamano innocenti. Nel diritto il patteggiamento equivale invece a una sentenza di condanna
Spegnete i riflettori, per favore. Non raccontate più nulla di loro. Dove vanno, cosa fanno, come vivono. Se sono dimagriti, se hanno la pressione bassa, il colesterolo alto, la barba lunga e i capelli in disordine. Fortuna che i cittadini se ne sono liberati. E che lorsignori, come Fortebraccio chiamava, con altezzoso distacco, i trafficoni del potere, almeno per un po’ si vergogneranno a farsi rivedere in giro. Almeno fino al momento in cui la gente comincerà a dimenticarsi i loro volti e i loro nomi. Perché ce ne vuole. Non basta che per lunga pezza abbiano menato il can per l’aia davanti ai propri sudditi, dispensando fanfaluche in pubblico e incassando sacchetti di baiocchi in privato, magari all’insaputa. Ora, suscitando vortici di irrefrenabile comicità, i tangentari delle dighe veneziane tentano di spiegare al colto e all’inclita, con spericolate quanto arzigogolate argomentazioni, che i patteggiamenti ai quali si sono allegramente sottoposti in massa pur di evitare il processo, non sono condanne, come qualche sempliciotto sarebbe portato a credere, ma semplici chiarimenti, modi del tutto legali, inventati apposta per uscire indenni da una fastidiosa vicenda in cui sono inciampati per sbaglio e per la quale sono stati accusati ingiustamente. E questo nonostante che i sacri testi del diritto affermino, in modo piuttosto esplicito, che una sentenza di patteggiamento “ha l’equiparazione legislativa della sentenza di condanna” (AltalexPedia, enciclopedia giuridica). Sembra dunque del tutto evidente che si patteggi una condanna, e non un’assoluzione o una gita in montagna. Le nuove tendenze, invece, supportate da ragguardevoli slanci di fantasia di alcuni avvocati considerati di grido, fanno dire, senz’ombra di pudore, che gli imputati hanno scelto la via del patteggiamento anche se sono innocenti. Divertente. Normalmente uno patteggia quando è colpevole. Patteggiare significa infatti ammettere la propria colpa. Se uno si ritiene innocente, si difende nel processo. Non si è mai visto uno che dica: “Sono innocente, signor giudice, ma mi condanni lo stesso. Se è d’accordo, patteggerei due annetti”. L’ex primo cittadino della città che fu Serenissima, che ha chiesto di essere condannato senza processo, ma la sua proposta di patteggiamento è stata respinta perché la condanna era troppo bassa, e quindi salirà sul banco degli imputati dove rischia una bastonata più forte, si è dichiarato innocente da ogni accusa, e ha detto di aver cercato il patteggiamento solo per uscire dal processo. I ragionamenti sono simili per gli altri imputati. Anche l’ex governatore della Regione si dichiara innocente. Però preferisce farsi condannare a due anni e dieci mesi di carcere (non li farà, bastano i domiciliari e forse i servizi sociali), e a restituire 2,6 milioni di euro, per motivi “assolutamente privati e di salute”. Esattamente come il suo fedelissimo ex assessore alle Infrastrutture. Dice inoltre di non essere nelle condizioni di poter affrontare un processo che magari potrebbe andare per le lunghe, nonché il clamore mediatico che ne seguirebbe. Come se proprio sul clamore mediatico non avesse costruito una carriera. Restano gli insulti della gente. Non sono accettabili, nei confronti di chiunque. Come non erano accettabili le monetine lanciate a suo tempo contro un ex presidente del consiglio. Gli insulti non sono civili né educativi. Sono un reato, e come tutti i reati vanno puniti. Ma i fischi no. I fischi sono leciti. Come il pubblico che paga il biglietto a una partita di calcio ha tutto il diritto di fischiare i giocatori se non gradisce lo spettacolo, così il cittadino che paga le tasse ha il diritto di fischiare un politico corrotto. Almeno quello.

r.bianchin@repubblica.it

 

Mose, per ogni cassone stecca da 150mila euro

L’incredibile confessione del manager Tomarelli (Condotte): incassava una tangente dalle imprese subappaltatrici per ciascun “affondamento”

Ora spuntano i soldi anche per i “cassoni”. Non c’erano soltanto fondi neri e false fatture per pagare le “mazzette” destinate a corrompere politici e funzionari pubblici. Nelle pieghe del “sistema Mose” ciascuno cercava di fare affari in proprio, adeguandosi all’andazzo generale. Qualcuno spingendosi perfino ad imporre alle imprese subappaltatrici di versare nelle sue mani somme ingenti di denaro pur di poter ottenere una commessa; di poter lavorare, insomma. A raccontare un episodio finora inedito è stato l’ingegnere romano Stefano Tomarelli, per anni referente a Venezia dell’azienda Condotte, una delle principali aziende italiane di costruzioni, tra i soci principali del Consorzio Venezia Nuova. Nell’interrogatorio sostenuto lo scorso 25 giugno, davanti ai sostituti procuratore Stefano Buccini e Stefano Ancilotto, Tomarelli ha ammesso di aver preteso 150 mila euro per ciascuno dei “cassoni” da affondare nelle bocche di porto della laguna di Venezia (“cassoni” ai quali saranno poi “incernierate le paratie mobili destinate a difendere la città dall’acqua alta”). Condotte, infatti, non realizzava in proprio tutte le opere: al pari degli altri soci di Cvn, grazie al notevole margine di guadagno garantito al Consorzio dalla convenzione che lo ha reso concessionario unico per la realizzazione del Mose, era prassi che i lavori venissero subappaltati ad altre ditte. E Tomarelli ha ammesso di aver preteso soldi per sè (60-70mila euro) e di aver consegnato il resto al presidente della società, che nel frattempo è deceduto e non ha potuto replicare. Tanti soldi, ma nessun reato, in quanto la richiesta di “tangenti” da privato a privato non configura l’ipotesi di corruzione. Sicuramente, però, è un comportamento disdicevole: tanto più che a pagare il conto, alla fine, è stata la collettività, in quanto il costo dell’opera è lievitato sensibilmente anche per consentire alle varie imprese di rientrare dagli esborsi “anomali”.
Il verbale di Tomarelli è stato depositato dagli inquirenti in occasione dei patteggiamenti ratificati giovedì dal gip Giuliana Galasso. Al dirigente di Condotte sono stati applicati due anni di reclusione, con la sospensione condizionale, e confiscati ben 700mila euro: almeno una parte dei soldi indebitamente incassati dalle ditte che fornivano i “cassoni”.
Conclusi i primi 19 patteggiamenti (con la confisca di un ammontare complessivo di quasi 12 milioni di euro), l’inchiesta non si può dire conclusa. Dopo gli arresti del 4 giugno sono emersi spunti relativi a nuovi interessanti filoni che saranno sviluppati e approfonditi nei prosismi mesi: primo fra tutti quello degli appalti per la Sanità.
Prima, però, i magistrati della pubblica accusa devono chiudere le indagini nei confronti degli indagati che non hanno chiesto il patteggiamento – una ventina in tutto – tra cui figurano l’ex eurodeputato, Lia Sartori e l’ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, entrambi accusati di finanziamento illecito (Orsoni aveva chiesto di patteggiare ma, lo scorso giugno il gip ritenne troppo bassa la pena di 4 mesi); l’ex presidente del Magistrato alle acque, Maria Giovanna Piva, l’ex presidente dell’autostrada Venezia-Padova, Lino Brentan, nonché professionisti, funzionari pubblici e qualche imprenditore, accusati di corruzione e altri reati. Nel frattempo, nei prossimi giorni, toccherà ad altri due indagati discutere l’applicazione della pena concordata con la Procura: si tratta dell’ex assessore regionale alle Infrastrutture, Renato Chisso, e del suo segretario, Enzo Casarin.

 

MESTRE / OSPEDALE ALL’ANGELO

L’ex assessore Chisso ricoverato per l’operazione

Ieri mattina Renato Chisso è stato ricoverato all’ospedale dell’Angelo. L’ex assessore regionale alle Infrastrutture, a casa da lunedì 13 dopo 4 mesi e mezzo passati nel carcere di Pisa, ha iniziato una serie di controlli che preparano la coronografia fissata per martedì prossimo. Il suo legale, l’avv. Antonio Forza, dice che Chisso è apparso tranquillo e rinfrancato dagli attestati di solidarietà. Ieri mattina davanti a casa ha trovato un cartello appeso durante la notte che recitava: «Ti vogliamo bene”, firmato “gli amici di Renato”. Intanto si attende la fissazione dell’udienza per il patteggiamento prevista per l’ultima settimana di ottobre.

 

GALAN E IL MOSE

COMMENTI DISCUTIBILI

Desidero fare alcune considerazioni, in merito al processo a Galan e ai commenti espressi dagli avvocati di lui.
È sbalorditivo. Secondo l’avvocato Franchini, il loro assistito è innocente, si è dovuto però patteggiare. Viene detto, nell’articolo, che il patteggiamento può sembrare contraddittorio rispetto all’idea di innocenza. Effettivamente, anche a me è difficile pensare in diverso modo.
L’avvocato Ghedini, inoltre, si dice amareggiato che il processo sia finito così.
Vorrei replicare che, da parte mia, non provo amarezza ma decisa acredine. L’avvocato, inoltre, sostiene che ci sia, nel frattempo, una causa pendente contro la legge Severino presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Trattandosi di norme che stabiliscono l’ineleggibilità a cariche parlamentari, di persone condannate con sentenza passata in giudicato per reati come concussione e peculato, io mi auguro davvero che tale richiesta non sia pendente, piuttosto che sia stata archiviata.
Mi sembra infatti ragionevole pensare che la violazione ci sarebbe, se questa legge non fosse stata mai introdotta nel nostro ordinamento giuridico o fosse abrogata. Altri reati, in quel processo, risultavano già prescritti.
Di certo ciò non smentisce l’ipotesi della legislazione avvenuta su misura, a soccorso di chi è imputato di tali reati.

Antonio Sinigaglia

 

Ciambetti e Fabris: quei 401 milioni servono.

Mose, stop. Romea Commerciale, stop. Doveva essere una riunione di “pre Cipe” senza ostacoli. Ieri a Roma, i rappresentanti (i tecnici) dei ministeri Tesoro e Infrastrutture dovevano dare il rispettivo benestare e le cosiddette “parti interessate” incassare e attendere la riunione del Cipe per vedere riconosciute le richieste dei finanziamenti necessari, o mancanti, per terminare o avviare i lavori delle due grandi opere del Veneto.
La cronaca: l’inviato del ministro Maurizio Lupi (Infrastrutture) conferma: al sistema di paratoie mobili contro l’acqua alta in costruzione a Venezia, va confermato il finanziamento per il triennio 2014-2017. Allo stesso modo per la nuova autostrada Mestre-Orte (è proposta dal gruppo privato che fa capo a Vito Bonsignore, ma lo Stato concorre con una quota al finanziamento). Il rappresentante del ministro Pier Carlo Padoan chiede la parola: in presenza dei tagli alla finanza pubblica decisi dal governo, bisogna verificare se i fondi annunciati nella Legge di Stabilità 2014 sono ancora disponibili. Per la Mestre-Orte: occorre valutare la segnalazione della Corte dei Conti che ha sollevato dubbi sulla concessione di agevolazioni fiscali per chi farà i lavori.
Gelo in sala. Interviene l’assessore regionale al Bilancio, il leghista Roberto Ciambetti: «Ma come … il Mose è concluso per l’80% e adesso si dice che per quest’anno non ci sono i soldi? I 401 milioni necessari per terminare tutti i lavori sono indispensabili». E racconta dopo che dopo l’incontro Luca Lotti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, è alquanto preoccupato per l’opposizione del dicastero del Tesoro.
La riunione va in archivio con un rinvio ad una prossima seduta, il 29 ottobre, sperando che il ministero del Tesoro abbia avuto risposte ai suoi dubbi. «Ma non ci sono problemi – assicura Mauro Fabris, presidente del Consorzio Venezia Nuova, concessionario dello Stato per la realizzazione del Mose – tutti sono convinti dell’utilità dell’opera, questo è importante». E chiarisce: «Non c’entra lo scandalo delle tangenti, il rinvio c’è arrivato anche per altre grandi opere in tutta Italia… come per un lotto della Salerno-Reggio Calabria». E poi, ricorda, anche «lo scorso anno con la Legge di Stabilità 2013 sono stati depennati 100 milioni, poi arrivati con la Finanziaria di quest’anno». Però, di quei 401 milioni il Consorzio Venezia Nuova ha bisogno per rispettare i termini di fine lavori e per la consegna dell’opera. Anche se, spiega il presidente, sono spalmati in tre anni: 151 per quest’anno, 100 per il 2015, 71 per il 2016, 79 per il 2017.
Di sicuro, la frenata dei tecnici ministeriali al pre-Cipe di ieri, costringe il concessionario del Mose a rifare i conti. Considerando l’impegno di restituire i mutui (totale 700 milioni) con la Banca Europea Investimenti ed altri istituti di credito italiani. Esposizione che comporta il pagamento annuale di 35 milioni per interessi. A conti fatti, sottolinea Fabris, quest’anno «dobbiamo sborsare 128 milioni per i prestiti e garantire con 270 milioni la continuazione dei lavori». Totale, 395 milioni per il 2014. E se non arrivano? «Sono stato chiaro nella riunione pre-Cipe di ieri: bisogna evitare altri slittamenti dei finanziamenti. Abbiamo preso l’impegno di chiudere i cantieri nel 2016 e consegnare il Mose nel 2017…».
Chiaro il messaggio: senza soldi il ritardo è scontato.

Giorgio Gasco

 

Nuova Venezia – Rischio tagli sui fondi per il Mose

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

18

ott

2014

Ieri Fabris (Consorzio Venezia Nuova) al Cipe: «Ora servono almeno 130 milioni»

I tagli lineari ai finanziamenti in ogni settore che il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha promesso, incideranno anche sul Mose? Ieri il presidente del Consorzio Venezia Nuova Mauro Fabris è volato a Roma per incontrare i componenti del Cipe, il Comitato interministeriale per la programmazione economica, che stabilisce le linee generali della politica economica e finanziaria. La riunione ufficiale è prevista per lunedì 27 ottobre. Quel giorno, Fabris e i veneziani sapranno quanti di quei 401 milioni che la legge di stabilità del 2014, stando alle vecchie promesse, arriveranno davvero per concludere i lavori alle bocche di porto della laguna. Negli incontri di ieri, quasi un pre Cipe, il presidente Fabris ha voluto chiarire che cosa è davvero necessario per il 2015 e che cosa può essere rinviato al prossimo anno, alla legge di stabilità 2015. «Ho spiegato che se vogliamo che i lavori del Mose si concludano nel 2016, come ribadito più volte», spiega il presidente del Consorzio, «ci devono dare 128 milioni per pagare gli interessi sui mutui bancari e almeno 270 milioni per i lavori sulle bocche di porto». In tutto, quindi, 398 milioni di euro, ma va tenuto presente che arriveranno i 269 milioni del 2013 e quindi la cifra su cui non si potrà scendere è di 130 milioni di euro. «Il ministro delle infrastrutture Maurizio Lupi ci ha detto che c’è la volontà di mantenere i finanziamenti per rispettare la scadenza del 2016», conclude il presidente Fabris, «e quindi affronteremo la riunione del 27 ottobre con grande speranza».

 

Nuova Venezia – Caso Mose, patteggiano tutti

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

17

ott

2014

Trentatré anni totali di carcere, 12 milioni allo Stato

Caso Mose, patteggiano tutti

Trentatré anni di carcere e nuova maximulta ai Boscolo di Chioggia. Il giudice Galasso ammette il Comune di Venezia come parte civile

Patteggiano tutti. Allo Stato 12 milioni

VENEZIA – Trentatré anni di carcere e undici milioni e 708 mila euro di risarcimenti allo Stato. Queste le pene «certe», ha sostenuto il procuratore aggiunto Carlo Nordio alla fine della mattinata, patteggiate ieri da 19 dei 35 indagati arrestati il 4 giugno per la corruzione per il sistema Mose. La presidente dei giudici delle indagini preliminari di Venezia Giuliana Galasso è stata veloce ed efficiente: in quattro ore ha liquidato l’udienza che in molti temevano potesse durare fino al tardo pomeriggio. A queste pene, comunque, andranno aggiunte – l’udienza davanti al giudice di Milano fissata per il 5 novembre prossimo, e – quelle su cui già l’ex vicecomandante della Guardia di finanza Emilio Spaziante e l’imprenditore vicentino Roberto Meneguzzo si sono accordati con la Procura di Milano: quattro anni di reclusione per il primo, due e mezzo per il secondo. Nell’aula della cittadella della giustizia di Piazzale Roma, ieri, si sono alternati i pubblici ministeri Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini, per Giancarlo Galan e qualche altro si è aggiunto anche Nordio. Ci sono altri due indagati che hanno raggiunto l’accordo con la Procura, l’ex assessore regionale Renato Chisso (due anni e mezzo di reclusione) e il suo segretario Enzo Casarin (un anno e otto e 115 mila euro), per i quali un altro giudice dovrà decidere la congruità delle pene tra una decina di giorni (l’udienza non è ancora stata fissata) e un terzo indagato, Federico Sutto il braccio destro dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova e grande accusatore Giovanni Mazzacurati, sul quale accusa e difesa stanno trattando. Oltre ai sedici avvocati delle difesa, che in aula si sono alternati, erano presenti anche i legali del Comune di Venezia, gli avvocati Fabio Niero e Alvise Muffato: l’amministrazione lagunare, infatti, ha deciso di agire come parte offesa. Uno dei difensori dell’imprenditore romano Stefano Tomarelli, l’avvocato Nicola Pisani si è opposto a quella presenza, chiedendo al magistrato di escludere i rappresentanti della parte offesa. La giudice Galasso pochi minuti dopo ha letto un’ordinanza in cui ha scritto che il Comune «pur non avendo subito un danno diretto, ha però patito quale ente territoriale un danno d’immagine dai reati che hanno visto il coinvolgimento di soggetti pubblici e un rilevante sperpero di risorse economiche e fondi pubblici nella realizzazione del Mose». «Per questo motivo», ha concluso, «rigetta l’eccezione e ammette la partecipazione del Comune quale parte offesa, che può presentare memorie in ogni momento del procedimento». I risarcimenti allo Stato, comunque, non si fermano agli undici milioni e 708 mila euro, nei prossimi giorni aumenteranno di certo: già ieri, lo stesso avvocato Antonio Franchini, per conto dei due Boscolo Bacheto e dei due Boscolo Cucco (i vertici della cooperativa San Martino di Chioggia) ha depositato un modulo F24 – il bollettino bancario dei pagamenti – con il quale hanno versato poco più di un milione e 500 mila euro per chiudere il loro conto con l’Agenzia delle entrate. Già avevano pagato un milione e 200 mila euro a causa della verifica fiscale nei loro uffici da parte dei finanzieri del Nucleo di polizia tributaria veneziana, una delle due verifiche dalla quale è partita l’intera indagine sul Mose. Ieri, hanno patteggiato il pagamento di altri 776 mila euro.

Giorgio Cecchetti

 

Il pm: risultati molto soddisfacenti, non sono sentenze sanguinarie o esemplari

Nordio: «Pene certe e rieducative»

VENEZIA «Abbiamo raggiunto delle pene non sanguinarie o esemplari, ma pene certe, serie e anche rieducative». Sono le parole del procuratore aggiunto Carlo Nordio, al termine della maxi-udienza che ieri ha visto patteggiare 19 indagati a vario titolo accusati di corruzione concorso in corruzione e finanziamento illecito dei partiti. Nordio si è affiancato ai tre pubblici ministeri titolari dell’inchiesta dopo la pausa di mezzogiorno, quando il giudice Galasso doveva esprimersi sugli indagati eccellenti, tra i quali l’ex presidente del Magistrato alle Acque Patrizio Cuccioletta, l’ex consigliere regionale del Pd Giampietro Marchese e l’ex governatore Giancarlo Galan. E al termine dei 19 patteggiamenti, nel primo pomeriggio, Nordio commenta così: «Si è concluso come ritenevamo giusto che si concludesse, con risultati che posso definire molto soddisfacenti anche per l’erario e con la prova che con la buona volontà la giustizia può essere più rapida». Con pene giuste e certe, riflette Nordio, ma non sanguinarie. E a chi gli chiede se l’ondata di patteggiamenti non corra il rischio di nascondere almeno una parte della verità di quello che è accaduto, risponde: «La verità giudiziaria rappresenta solo una parte dell’accertamento della verità storica, che spetta agli storici e che per il presente spetta invece ai giornalisti. La verità giudiziaria mira a reprimere i delitti e a punire i colpevoli, l’altra verità è compito degli storici». Resta il fatto che, nonostante il patteggiamento, alcuni dei coinvolti continuano a professarsi innocenti. «Le scelte strategiche della difesa sono insindacabili, ma i patteggiamenti con pene abbastanza elevate e con la restituzione di somme ingenti possono anche essere considerati contradditori» rispetto alla professione di innocenza da parte di alcuni. E ancora: «Il sigillo che ha dato il gip, che è un organo terzo rispetto all’accusa e alla difesa, sugli accordi dei patteggiamenti raggiunti costituisce la conferma del buon lavoro fatto dai pubblici ministeri». Già nei giorni scorsi Nordio aveva sottolineato come la procura non debba essere investita da un ruolo salvifico ma garantire, rispetto alla gravità delle accuse, una ragionevole severità che porti alle casse dello Stato una somma congrua. Risultati che, con i patteggiamenti di ieri, sono stati raggiunti.

(f.fur.)

 

LA VERITÀ CHE NON SI PUÒ NASCONDERE

Una raffica di patteggiamenti. Gli imputati illustri escono dal processo. E un grande velo copre il clamore dello scandalo Mose, quattro mesi dopo la retata e gli arresti. Tutto a norma di legge, previsto dal codice. L’imputato che ammette le proprie responsabilità può scegliere di concordare la pena con il giudice. Evitando così il processo. Tutti soddisfatti: pm, imputati e avvocati che chiudono il capitolo prima del tempo, evitando le lunghezze – e i rischi – del dibattimento. Ma oltre alla verità processuale e penale c’è un’altra verità. È la verità politica e storica, che non può essere così facilmente archiviata. L’indagine durata tre anni e avviata dalla Guardia di Finanza ha scoperto quello che in tanti sapevano, pochi denunciavano e ancor meno combattevano. Un sistema diffuso, non soltanto di corruzione e di uso illecito del denaro pubblico. Un sistema che la politica ha sostenuto e usato con alleanze trasversali e ha portato negli ultimi vent’anni a ignorare completamente critiche e proposte di modifica del progetto Mose. Proprio l’altro ieri a Malamocco è stato affondato l’ultimo cassone in calcestruzzo che dovrà sostenere le paratoie delle dighe mobili. Uno dei 35 bestioni grandi come un grattacielo costruiti dov’era la spiaggia di Santa Maria del Mare e adesso affondati in laguna, dopo averne scavato otto milioni di metri cubi di fanghi. Ventennio in cui ogni critica politica o tecnica al progetto veniva respinta mettendo in campo la forza delle lobby e della concessione unica, dei finanziamenti garantiti e affidati senza bisogno di gare, della politica che appoggiava la grande opera «a prescindere». Delle commissioni ministeriali e dei tecnici trasformati in «cricche». Che davano il via libera a volte senza nemmeno guardare le carte. Qualcuno allora dovrà pur spiegare ai cittadini – fatto salvo il merito di chi nella grande opera ci ha messo onestà e competenza – se davvero quelle decisioni siano state prese «per il bene comune» e non sulla spinta di «consulenze» strapagate con i fondi neri. Far luce, al di là delle responsabilità penali, sul perché le critiche di tecnici indipendenti venivano respinte senza discuterle. E si decideva sempre di andare avanti, anche in presenza di dubbi evidenti. Ne sanno qualcosa gli ingegneri Di Tella, Vielmo e Sebastiani, che avevano criticato le paratoie del Mose. Il Consorzio Venezia Nuova aveva chiesto un milione di euro, poi un giudice civile aveva stabilito trattarsi di diritto di critica e li aveva assolti. Bisognerà sicuramente far luce su quelle riunioni molto veloci della commissione di Salvaguardia. Dove il monumentale progetto del Mose veniva approvato in due ore con il voto di fiducia, senza nemmeno leggere i 63 volumi di allegati. «Non dobbiamo discutere nel merito, solo ratificare una decisione già presa», disse quel giorno di gennaio 2004 il presidente Galan. E di quelle riunioni spesso secretatate dei comitati ministeriali e del Comitato tecnico di magistratura. Dove tecnici e consulenti nominati dal Magistrato alle Acque davano il via libera anche in presenza di critiche pesanti. Lorenzo Fellin e Armando Memmio, tecnici di fama internazionale, avevano sollevato seri dubbi sulla tenuta delle cerniere del Mose. «Succedevano cose strane, erano i progettisti a pagare i consulenti che dovevano giudicare i loro progetti», avevano denunciato, «potrebbero esserci dei problemi». Si erano dimessi, subito rimpiazzati dal presidente Cuccioletta. Finito sotto inchiesta come Maria Giovanna Piva, come il presidente della Regione Galan e l’assessore alle Infrastrutture Chisso, il presidente del Consorzio Giovanni Mazzacurati e la direttora Maria Teresa Brotto e un bel gruppo di dirigenti della Regione, funzionari del ministero, finanzieri. La domanda è ancora quella: calato il sipario sulla vicenda giudiziaria dei singoli,chi farà luce sulle responsabilità politiche e sui tanti «buchi neri» della vicenda Mose? «La responsabilità politica c’è e rimane», dice l’ex sindaco Massimo Cacciari, unico a votare «no» al Mose dopo che il governo Prodi aveva bocciato senza nemmeno studiarli tutti i progetti alternativi, «ma gli italiani dimenticano in fretta. E se anche questa vicenda sarà dimenticata la colpa non è dei giudici né di Galan. Certo sarebbe una beffa se ad andare a processo fosse il solo ex sindaco Orsoni, che sul Mose di responsabilità ne ha molto meno di altri».

Alberto Vitucci

 

MESTRE – Chisso stamattina in ospedale per fare una coronarografia

il rebus

Calato il sipario sulla vicenda giudiziaria, chi farà luce su responsabilità politiche e “buchi neri”?

MESTRE Questa mattina l’ex assessore Renato Chisso sarà ricoverato nel reparto di Cardiologia dell’ospedale Dell’Angelo di Mestre dove dovrà essere sottoposto a una coronarografia, un esame di tipo invasivo che consente di visualizzare direttamente le arterie coronarie che distribuiscono sangue al muscolo cardiaco. È un esame al quale l’ex assessore Chisso avrebbe dovuto sottoporsi già quando era in carcere a Pisa, che però non era abilitato per questo tipo di esame. «La richiesta di potersi sottoporre all’esame una volta agli arresti domiciliari», spiega il legale di Chisso, l’avvocato Antonio Forza, «era già prevista nell’istanza di patteggiamento. Chisso ha un’occlusione all’80% di una delle due coronarie e non è escluso che, nel corso dell’esame, si renda necessario anche un intervento». L’ex assessore regionale resterà in ospedale per quattro, cinque giorni, destinati a diventare di più nel caso sia necessario un intervento. Chisso è agli arresti domiciliari da lunedì scorso, dopo l’accordo raggiunto con i pm per un patteggiamento di 2 anni, 6 mesi e 20 giorni mentre non è stato raggiunto l’accordo sulla cifra che dovrà restituire.

(f.fur.)

 

Gianfranco Bettin interviene sull’indagine che coinvolge l’ex ministro Matteoli

«È lo scandalo più ignobile, sulla pelle di lavoratori, cittadini e del territorio»

Mazzette sulle bonifiche «Il Comune parte civile»

MARGHERA – Non solo Mose. Sul fronte delle inchieste della magistratura veneziana, legate alle mazzette pagate dal Consorzio Venezia Nuova che sta realizzando le dighe mobili contro l’acqua alta, ci sono anche le bonifiche (in gran parte ancora da realizzare) dei terreni e delle falde inquinate a Porto Marghera, per le quali è indagato l’ex ministro dell’Ambiente, Altero Matteoli. Per questo l’ex assessore comunale all’Ambiente, Gianfranco Bettin, chiede che «il Comune di Venezia (ora commissariato, ndr) che in questi anni ha duramente lavorato per risanare e rilanciare Porto Marghera dovrebbe costituirsi parte civile in modo specifico contro gli imputati» che avrebbero «lucrato su fondi destinati a risanare un ambiente avvelenato per decenni sottraendo fondi derivanti dalle transazioni che le aziende, responsabili dell’inquinamento e delle malattie e morti dei lavoratori e dei cittadini, avevano dovuto mettere a disposizione dello stato, cioè della collettività». Nell’istruttoria condotta dal Tribunale dei ministri sulla richiesta di poter indagare sull’ex ministro, i magistrati scrivono, infatti, nelle conclusioni: «È dimostrato l’asservimento di Matteoli alle politiche del Consorzio Venezia Nuova, nella veste di ministro dell’Ambiente e di ministro delle Infrastrutture». L’istruttoria è stata condensata in dieci faldoni di atti che sono stati inviati pochi giorni fa alla presidenza del Senato: l’aula dovrà decidere se autorizzare la Procura di Venezia a procedere nelle indagini oppure no contro l’ex ministro e attualmente senatore del Pdl-Forza Italia. Lo stesso presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, nell’interrogatorio a cui è stato sottoposto per rogatoria in California il 17 settembre scorso, ha confermato di conoscere l’imprenditore Erasmo Cinque, socio della Socostramo srl di Roma, alleata del gruppo Mantovani in una Ati creata per le attività di bonifica, Erasmo Cinque – secondo gli atti dell’istruttoria del Tribunale dei ministri – era ed è «un grande amico dell’allora ministro Matteoli che si è molto speso per fargli ottenere una parte nel maxi appalto milionario delle bonifiche di Porto Marghera». «Di tutte le infamie che l’inchiesta Mose e dintorni ha rivelato», dice Bettin, «la più schifosa è quella sulle truffe nell’ambito delle bonifiche e delle messe in sicurezza a Porto Marghera che coinvolge, tra gli altri, l’ex ministro Altero Matteoli. La truffa sarebbe consistita nel dirottare, come tangente di fatto e con la solita complicità attiva del Consorzio Venezia Nuova, parte di questi fondi a ditte direttamente controllate o nella sfera d’influenza dei politici incriminati. Un comportamento da vampiri».

Gianni Favarato

 

SCANDALO in laguna

CHISSO E CASARIN – Slitta la decisione per l’ex assessore e il suo segretario

Mose, sì ai patteggiamenti. 31 anni per Galan e soci

Trentuno anni di carcere in tutto e quasi 12 milioni di euro recuperati allo Stato. Si è conclusa in meno di tre ore, ieri mattina, l’udienza di patteggiamento dei primi 19 imputati nell’inchiesta sul cosiddetto “sistema Mose”, che hanno preferito evitare il processo scendendo a patti con la Procura. Il giudice Giuliana Galasso ha iniziato a decidere poco prima delle 11 chiamando, una ad una, tutte le difese ed emettendo sentenza per ciascun singolo imputato. Poi una breve pausa attorno a mezzogiorno. Gli ultimi a definire il patteggiamento sono stati i legali dell’ex presidente della Regione, Giancarlo Galan, usciti dal Palazzo di giustizia attorno alle 13 e 45.
Nessuno dei principali imputati si è presentato in aula. Non c’era l’ex Governatore del Veneto e deputato di Forza Italia, che si trova agli arresti domiciliari nella lussuosa villa di Cinto Euganeo, messa sotto sequestro durante le indagini. I pm Stefano Ancilotto, Paola Tonini, Stefano Buccini lo accusano di corruzione in relazione a vari episodi: di aver ricevuto uno stipendio annuale di un milione di euro dal 2008 al 2011, equivalente a 4 milioni di euro dall’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati; nonché 900mila euro nel 2006-07 e 900mila euro nel 2007-08; di aver ricevuto quote di società da Piergiorgio Baita della Mantovani (il 70% di Nordest Media; 7% di Adria Infrastrutture) nonché un conto corrente a San Marino con 50mila euro, finanziamenti elettorali e la ristrutturazione villa Cinto Euganeo per 1 milione e 100 mila euro. Gli episodi precedenti al 22 luglio 2008 sono stati dichiarati prescritti e, dunque, esclusi dall’accordo. Prima di discutere il patteggiamento, gli avvocati Antonio Franchini e Niccolò Ghedini hanno chiesto al gup, in via preliminare, di prosciogliere Galan per evidente insussistenza di prove, in particolare per quanto riguarda l’asserito stipendio di cui ha parlato solo Mazzacurati. «In modo confuso, e contraddetto da Baita», hanno sostenuto in aula. Ma il giudice ha rigettato l’istanza, applicando la pena concordata in precedenza: 2 anni e 10 mesi di reclusione e la confisca di 2,6 milioni di euro. I legali di Galan hanno annunciato che ricorreranno in Cassazione.
Galan è l’unico dei 19 imputati di ieri ad essere ancora sottoposto a misura cautelare: gli altri sono stati tutti rimessi in libertà dopo la richiesta di patteggiamento. Alcuni hanno ammesso gli addebiti, almeno in parte. Tra questi figura il commercialista padovano Paolo Venuti, il quale ha riconosciuto di aver agito in qualità di prestanome di Galan nelle due società cedute da Baita al Governatore. Ampia la confessione dell’ex presidente del Magistrato alle acque, Patrizio Cuccioletta, il quale ha confessato di essere stato al soldo di Mazzacurati che gli garantiva uno stipendio annuale per lasciare carta bianca al Cvn e, al momento del pensionamento, gli fece bonificare 500 mila euro su conto in Svizzera, intestato alla moglie.
Dalle indagini è emerso un quadro esteso di malaffare: per garantire la prosecuzione dei lavori per il Mose, il Consorzio Venezia Nuova aveva creato un meccanismo di corruttele a tutti i livelli, di cui hanno ampiamente parlato sia Mazzacurati che Baita, ma anche altri soci del Cvn. I fondi da destinare alle mazzette provenivano da false fatturazioni. Insomma, per molti anni lo Stato ha pagato i lavori del Mose a prezzo maggiorato per consentire al Consorzio di corrompere i controllori o i politici che dovevano garantire autorizzazioni e flussi finanziari all’opera.
All’udienza di ieri ha partecipato anche il Comune di Venezia (assistito dagli avvocati Fabio Niero e Alvise Muffato) che è intenzionato a chiedere un risarcimento: non potendo costituirsi parte civile in questa fase processuale, il Comune ha presenziato in qualità di parte offesa e il giudice ha riconosciuto a Ca’ Farsetti di aver subìto, in qualità di ente territoriale, «un danno di immagine dai reati che hanno visto il coinvolgimento di soggetti pubblici e un rilevante sperpero di risorse economiche e fondi pubblici nella realizzazione del Mose, opera di sicuro impatto nel territorio comunale…»
I patteggiamenti concordati dall’assessore regionale alle Infrastrutture, Renato Chisso (due anni e 6 mesi) e dal suo segretario, Enzo Casarin (un anno e 8 mesi) saranno presi in esame da un altro giudice nelle prossime settimane. Poi la Procura dovrà chiudere le indagini nei confronti dei rimanenti indagati (una ventina), tra cui figurano l’ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, e l’ex europarlamentare di Forza Italia, Amalia Sartori, entrambi accusati di finanziamento illecito.

Gianluca Amadori

 

Il giudice accetta 19 pene concordate e rimette in libertà quasi tutti gli imputati

Confermati per l’ex governatore due anni e 10 mesi e la confisca di 2,6 milioni

PROCURATORE «Pene certe, giustizia rapida»

LE REAZIONI – Nordio: «Pene serie, non sanguinarie»

Franchini, avvocato di Galan: «Il nostro cliente è innocente, ha patteggiato per motivi privati e di salute»

VENEZIA – «Si è concluso come speravamo che si concludesse e come ritenevamo giusto che si concludesse: questa indagine è stata condotta in tempi brevi con risultati soddisfacenti per l’Erario, e abbiamo avuto pene certe e serie, non sanguinarie o esemplari, ma anche rieducative».
Il procuratore aggiunto Carlo Nordio ha commentato così i patteggiamenti di ieri: «Il sigillo del gip alla nostra indagine e alle proposte di patteggiamento costituisce una conferma di quanto abbiamo fatto finora. L’andamento dell’inchiesta ha dimostrato che con professionalità e volontà, la giustizia può essere anche più rapida di quanto succeda solitamente».
Quanto alla scelta di molti indagati di patteggiare pur dichiarandosi innocenti – primo fra tutti Galan – il procuratore aggiunto ha dichiarato che «le scelte delle difese sono insindacabili e sacrosante». Per poi aggiungere, però, che «patteggiare pene abbastanza elevate con multe ingenti a qualcuno potrebbe sembrare contraddittorio con l’innocenza».
Sul fronte difensivo, l’avvocato Antonio Franchini ha spiegato che per l’onorevole Galan «al patteggiamento siamo arrivati attraverso un percorso molto sofferto, perché noi riteniamo che il nostro cliente sia innocente. Noi avevamo richiesto un proscioglimento, tuttavia motivi assolutamente privati e di salute invece hanno portato a questa strada», ha precisato.
«C’è grande amarezza, sono convinto che da un processo sarebbe emersa la sua estraneità», ha aggiunto il secondo difensore dell’ex Governatore, Niccolò Ghedini, il quale ha spiegato che, sulla base della legge Severino, Galan «tecnicamente decadrà quando ci sarà il provvedimento della Camera, dopo che la sentenza sarà passata in giudicato». Ghedini ha ricordato, tuttavia, che sono pendenti i ricorsi alla Corte dei diritti dell’Uomo al fine di ottenere l’annullamento della legge Severino.

 

PORTO MARGHERA

Bettin attacca «Bonifiche-truffa. Il Comune sia parte civile»

PORTO MARGHERA Per l’ex assessore Bettin è lo scandalo più ignobile uscito dall’inchiesta Mose

«Truffa sulle bonifiche. Comune parte civile»

Quello della truffa sulle bonifiche di Porto Marghera «è lo scandalo più ignobile» denuncia il sociologo ed ex assessore comunale all’ambiente Gianfranco Bettin: «Di tutte le infamie che l’inchiesta Mose e dintorni ha rivelato, la più schifosa è proprio questa. È l’inchiesta che coinvolge tra gli altri l’ex ministro Altero Matteoli ed altri esponenti legati soprattutto ad Alleanza Nazionale e all’ex Pdl, ora Forza Italia».
È una cosa vergognosa, secondo Bettin, perché non è solo una questione economica di sperpero di denari pubblici, già grave di per sè, ma è soprattutto grave perché «si sarebbe lucrato su fondi destinati a risanare un ambiente avvelenato per decenni, sottraendo fondi derivanti dalle transazioni che le aziende, responsabili dell’inquinamento e delle malattie e morti dei lavoratori e dei cittadini, avevano dovuto mettere a disposizione dello stato, cioè della collettività».
Perciò l’ex assessore invita il Comune a costituirsi parte civile «in modo specifico contro gli imputati».
Tecnicamente questa truffa avrebbe funzionato così: parte dei fondi destinati alle bonifiche venivano dirottati («come tangente di fatto, e con la solita complicità attiva del Consorzio Venezia Nuova») a ditte direttamente controllate o nella sfera d’influenza dei politici incriminati. «Un comportamento da vampiri, tipico di chi cioè si nutre letteralmente di ciò che avrebbe dovuto risarcire la città e i lavoratori degli immani guasti subiti per decenni» continua Gianfranco Bettin che aggiunge pesanti dubbi anche sulla gestione burocratica dell’intera vicenda: «In questo quadro si irrobustisce il sospetto che la stessa farraginosità delle procedure, labirintiche e burocratiche, e l’accentramento ministeriale insopportabile che per anni hanno impedito l’avvio reale delle bonifiche, fossero non casuali bensì voluti, per tenere sotto controllo, alla mercé dei faccendieri e dei loro protettori e/o mandanti politici, un affare lucroso».
Per l’ex assessore si tratta, insomma, del capitolo più ignobile dell’intero scandalo, «ragione in più per essere grati alla magistratura che lo ha scoperchiato. E ragione anche per continuare nel lavoro avviato di recente per riformare radicalmente procedure e contenuti relativi alle bonifiche, restituendo speranza e certezza all’intero polo industriale e portuale e all’intera città».

 

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