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LA CASSAZIONE – Anche se si patteggia adesso c’è l’obbligo di restituire il maltolto

MESTRE – Ma i soldi li restituiranno? È l’unica domanda che si fanno tutti i cittadini a proposito del maxi scandalo del Mose. Un miliardo di euro in tangenti e consulenze, in lavori sovrafatturati e perizie. Tutti soldi pubblici che sono finiti nelle tasche di qualcuno che rischia di cavarsela con una pena di una manciata di mesi di galera e senza che il suo patrimonio sia minimamente intaccato. Ma c’è una recentissima sentenza della Cassazione che offre qualche speranza. La terza sezione penale della Cassazione infatti non ha alcun dubbio che – anche in caso di patteggiamento – l’imputato-condannato debba restituire il maltolto. Si chiama tecnicamente “confisca per equivalente” e vuol dire che si confiscano tanti beni quanto è il danno subito dallo Stato. Anche se c’è patteggiamento e cioè se c’è l’accordo tra accusa e difesa – come nel caso di Piergiorgio Baita e Claudia Minutillo – sulla pena. «In applicazione dei citati principi di diritto questa Corte ha inoltre precisato che le parti, nel cosiddetto patteggiamento, non possono vincolare il giudice con un accordo avente per oggetto anche le pene accessorie, le misure di sicurezza o la confisca… e, nel caso in cui l’accordo riguardi anche esse, il giudice non è obbligato a recepirlo o a non recepirlo per intero».
Vuol dire che il giudice è obbligato a fare comunque la confisca. La sentenza è stata depositata il 13 settembre 2013 ed era relativa ad una sentenza del Tribunale di Macerata che non aveva applicato la confisca dei beni per un mancato versamento Iva di 122 mila euro. La terza sezione della Cassazione non ha avuto dubbi ed ha “corretto” la decisione del Tribunale di Macerata obbligandolo ad incamerare beni per 122 mila euro. (m.d.)

 

Il Codacons rilancia la battaglia: subito richiesta di risarcimento dei danni per la vicenda corruzione

«Mose, finìa a festa». Il Codacons regionale, con un’iniziativa dal titolo inequivocabile, chiama a raccolta i cittadini invitandoli a sottoscrivere la richiesta danni procurati dallo scandalo Mose, costituendosi parte offesa nel procedimento penale in corso.
«Il costo iniziale dell’opera, ai tempi della lira, prevedeva l’esborso equivalente agli attuali 1,3 miliardi di euro – recita l’appello dell’associazione a tutela dei diritti del consumatore e dell’ambiente – Oggi, dopo 31 anni di mazzette e rincari, il costo dell’opera continua a lievitare ed è arrivato a superare la soglia dei 6 miliardi di euro di soldi pubblici». Secondo la Codacons, il rimborso spetterebbe anche in virtù della sottrazione di risorse dalla Legge speciale di Venezia. «Se nel 1994 venivano assegnati 397 milioni al Mose e 426 milioni alla Legge Speciale, nel 2011 si è giunti ad una forte sperequazione, che vede detti valori salire rispettivamente a quota 820 milioni contro 35 milioni» continua Codacons, che raccoglie le adesioni dal sito internet (www.codaconsveneto.it) e che nelle prossime settimane sarà nelle piazze per promuovere l’iniziativa. «Se le gravi accuse mosse dalla Procura dovessero trovare conferma – spiega il Presidente Carlo Rienzi – si configurerebbe un danno enorme per la città».

(m.fus.)

 

Riproponiamo l’intervento del procuratore aggiunto Carlo Nordio, pubblicato sul Gazzettino dell’11 ottobre 1993, in risposta all’allora vicepresidente del Senato Luciano Lama sul finanziamento illegale ai partiti. Nonostante siano passati vent’anni resta di stretta e drammatica attualità.

Niente sconti per chi ruba per il partito

di Carlo Nordio

Con tutto il rispetto per l’illustre personaggio e la sua alta carica, crediamo di dover energicamente dissentire. Vediamone il perché.
Prima di tutto, il cosiddetto giudizio morale è sempre un’intromissione arbitraria nelle coscienze altrui: la condotta individuale è il risultato e la sintesi di motivazioni confliggenti e segrete, sul cui valore etico nessuno ha il diritto di sindacare. In questo senso, il precetto evangelico del “non giudicare” riveste, anche per il non credente, una validità universale. Il ladro, come ci insegna Victor Hugo, può esser più galantuomo del proprio giudice.
In secondo luogo, non è detto che la morale di Lama sia quella degli altri cittadini. Il senatore pare far dipendere la gravità del furto dalla destinazione finale del bene sottratto: se il denaro viene sperperato tra bajadere siriache, la cose è grave; se viene consegnato al partito, lo è un po’ meno. A parte il fatto che bisognerebbe sentire prima l’opinione dei derubati, è pacifico che molti contribuenti nutrono una tale diffidenza verso queste organizzazioni da preferire, nella disgrazia, una gestione allegra del maltolto, piuttosto che una sua burocratica redistribuzione tra anonimi funzionari nelle grigie stanze di un apparato di partito.
In terzo luogo, come la morale, anche il partito per cui simpatizza Lama può essere diverso da quello cui vanno i favori degli altri cittadini. E poiché il denaro rubato alla collettività è sottratto, in parte, a ciascuno di noi, ne deriva che il singolo contribuente è costretto a finanziare, senza saperlo, e senza volerlo, non soltanto il partito che gli è indifferente, ma anche quello che gli è ostile. Al danno economico si aggiungerebbe, come ognuno può ben vedere, anche la beffa politica, alterando sostanzialmente gli stessi principi del sistema parlamentare. E questo è il punto principale.
Il fondamento della democrazia liberale poggia sulla consapevole partecipazione dei singoli alla formazione dell’indirizzo politico generale; questo significa che ogni cittadino deve poter essere lealmente informato sui programmi delle forze in campo, per dare il proprio sostegno a quelle che meglio rappresentano i propri ideali, o i propri interessi, o entrambi. Questo sostegno può essere espresso in tanti modi, e quello economico è tra i più rilevanti. Ora, se un partito si arricchisce indebitamente a danno degli ignari cittadini, il pregiudizio collettivo è ben maggiore di quello arrecato dallo sperpero in festini scellerati di amministratori rapaci e viziosi; perché esso costituisce un vero e proprio tradimento ai principi elementari di lealtà politica, in quanto costringe il cittadino a finanziare un partito che non è il suo. E non attraverso una legge liberamente elaborata e palesemente promulgata, ma con l’artifizio ed il raggiro di un subdolo trasferimento di risorse comuni. Finanziando, senza saperlo e senza volerlo, un partito ostile, il cittadino non viene soltanto derubato: viene oltraggiato nella sua dignità politica; viene truffato nella sua aspettativa ad una corretta e leale competizione; viene, in definitiva violentato nella sua libertà elettorale.
Ecco perché dissentiamo del tutto dalle opinioni del vicepresidente del Senato. E mentre ci asteniamo prudentemente da qualsiasi giudizio morale, auspichiamo con fervore che ai sottili distinguo sulle destinazioni del bottino e sulle motivazioni del latrocinio, si sostituisca il semplice e incondizionato monito del settimo comandamento: non rubare.

Carlo Nordio

 

Nel 2016 Venezia rischia di essere cancellata dai siti «Patrimonio dell’Umanità»

Lettera di Costa: «Roma decida: senza alternative gli armatori se ne vanno»

VENEZIA «Stop alle grandi navi in laguna da gennaio 2016. Altrimenti Venezia rischia di essere cancellata dai siti mondiali dell’Unesco Patrimonio dell’Umanità». L’avvertimento è stato inviato al governo sotto forma di «raccomandazione », firmata dal World Heritagecommittee riunito a Doha in Qatar. L’organizzazione mondiale delle Nazioni unite che si occupa di siti da proteggere ricorda come il traffico di navi troppo grandi provochi problemi alla laguna e anche alle rive e ai palazzi della città. «Dunque», si legge nella lettera, «occorre prendere provvedimenti al più presto per difendere la città lagunare anche dalle altre grandi opere che la minacciano e dalla pressione turistica sempre più forte». Un’iniziativa che ha riscosso il plauso di Italia Nostra e delle associazioni ambientaliste. Che invece preoccupa il Porto. «Ho letto che le navi spostano sedimenti in laguna centrale», dice il presidente dell’Autorità portuale Paolo Costa, «in realtà non è così». Costa annuncia anche di aver inviato una lettera al governo chiedendo lumi. «Il 30 giugno le compagnie americane annunciano il programma per il prossimo anno», dice Costa, «e già in febbraio ci hanno comunicato che in assenza di alternative chiare sceglieranno altri porti. Per la città potrebbe essere un danno enorme». Sul tavolo ci sono da mesi i progetti alternativi per il passaggio delle grandi navi davanti a San Marco. Dibattito intenso, che adesso per l’uscita di scena del sindaco Orsoni e della giunta dimissionaria si svolge con un protagonista in meno. L’ipotesi sostenuta dal Comune era quella di deviare le grandi navi a Marghera. Quella del Porto invece di scavare il nuovo canale Contorta- Sant’Angelo per far arrivare le navi in Marittima dalla bocca di Lido e non più da San Nicolò. Ci sono anche le proposte di Cesare De Piccoli (e della società genovese Duferco) per spostare il nuovo terminal passeggeri a San Nicolò, davanti all’isola artificiale del Mose. Stesso luogo individuato da Luciano Claut, assessore grillino della giunta di Mira, e Stefano Boato. Progetti che, per volontà del Senato, dovranno essere comparati e sottoposti alla Valutazione di Impatto ambientale. Il ciclone Mose e l’inchiesta che ha portato in carcere 35 persone ha un po’ oscurato l’argomento Grandi navi. Ma la tensione è alta. La settimana prossima si riuniscono anche i comitati “No Grandi Navi laguna bene comune” per ricordare al governo che non può essere usato il «sistema Mose».

Alberto Vitucci

 

Consorzio, bilanci e misteri

Nove milioni di liquidi, cento di debiti. Nessuno sollevò problemi

Un supertecnico accusa «Buchi neri per 25 anni»

Armando Danella, dirigente dell’ufficio Legge Speciale al comune di Venezia ha chiesto ai magistrati di essere ascoltato per raccontare la sua verità sul Mose

VENEZIA – Nominato dal governo Prodi. Ma «ostacolato» in tutti i modi dalla Regione di Giancarlo Galan. Non erano bastate due sentenze, del Tar e del Consiglio di Stato, per farlo entrare nella commissione di Salvaguardia nel 2008. Un «luogo cruciale» per il Mose dove ogni singolo voto era evidentemente decisivo. E adesso Armando Danella, per vent’anni dirigente dell’Ufficio Legge Speciale del Comune, ha deciso di raccontare quello che sa. Ha chiesto di essere ascoltato dai magistrati che conducono l’inchiesta sul Mose. Per mettere a fuoco dettagli che potrebbero rivelarsi decisivi. I momenti cruciali in cui organismi tecnici e politici davano il via libera al Mose, spazzando via dubbi e proposte alternative. I giudizi quasi sempre positivi del ministero, degli «esperti» e dei comitati tecnici. Danella ha partecipato a tutte le riunioni del Comitatone che si occupavano di Mose. E conserva carte e verbali delle sedute. Gli infermieri. Alla fine degli anni Novanta, quando il Mose sta per passare alla fase del progetto definitivo, il Comune guidato da Massimo Cacciari mette su un gruppo di lavoro che con dati e studi dimostra che l’acqua alta non è più una minaccia. Molte cose sono cambiate dal 4 novembre 1966, la città «è in sicurezza». Dunque prima di avviare le dighe è bene portare a termine gli interventi alternativi. Vengono definiti dall’allora sindaco Paolo Costa «infermieri» in confronto ai «primari» nominati dal governo Prodi per promuovere l’opera. La Via e il Tar. Nel 1998 il Mose viene bocciato dalla Valutazione di Impatto ambientale del ministero. L’Ascom fa ricorso al Tar che dà ragione al Consorzio e annulla il parere negativo. Il governo (D’Alema e poi Amato) rinuncia a ricorrere al Consiglio di Stato. Il 2006. L’anno di svolta per il Mose, racconta Danella, è il 2006. La prima pietra dell’opera era stata posta quattro anni prima, con il premier Berlusconi, il cardinale Scola, Galan, il ministro Lunardi e il sindaco Paolo Costa.Maè nel 2006che il Comune presenta soluzioni alternative. «Studi e rilievi fatti da ingegneri del calibro di Rugen e D’Alpaos.Ma trovammo una specie di muro, gli esperti del ministro Di Piero (tra cui il presidente del Consiglio superiore Angelo Balducci, gli ingegneri Burghignoli, Veca, Da Deppo, Ciaravola, Chiumarulo e Ferrante) bocciano le alternative e promuovono il Mose. Così il Comitato tecnico di Magistratura, presieduto da Patrizio Cuccioletta. La commissione di Salvaguardia. Il parere che promuove il Mose e impone di installare i cantieri per la costruzione dei cassoni a Santa Maria del Mare e la manutenzione all’Arsenale porta la firma di Giancarlo Galan. Per leggere un metro cubo di incartamenti e documenti, ricorda Danella, la commissione ha impiegato in tutto un paio d’ore. Principia. Nel 2009 la giunta Cacciari si affida alla società di ingegneria franco-canadese Principia per chiedere un parere sulla «tenuta» delle dighe. Ne esce un documento che mette in luce la criticità del sistema, che «rischia di collassare in condizioni di vento e mare agitato». Ma il presidente Cuccioletta definisce lo studio «soltanto teoria». E scrive di suo pugno una lettera al Comune di Venezia allegando il contro studio dei suoi esperti. Una storia con tanti buchi neri lunga 25 anni. Su cui adesso si comincia a far luce.

Alberto Vitucci

 

«Consorzio, è tutto a posto».

Poco dopo arresti e scandalo

A febbraio l’ultimo bilancio: Mazzacurati si era già dimesso, ma nessuno sollevò problemi

I conti: nove milioni di liquidità, cento di debiti e partecipazioni persino in centri medici

VENEZIA Che cosa ci fanno, nei conti del Consorzio Venezia Nuova, quasi nove milioni di liquidità bancaria e postale? Eche ci azzecca il Concessionario unico per la salvaguardia di Venezia con il Centro cardiovascolare di Mirano, di cui detiene una piccola quota? Soprattutto, possibile che al 31 dicembre 2011 i dipendenti di questa grande società fossero 181, di cui dodici dirigenti? L’ultimo bilancio. Il 20 febbraio 2013 il Consorzio Venezia Nuova approva lo stato patrimoniale e il conto economico del 2012, praticamente lo stato di avanzamento di una roba da cinque miliardi di euro, l’equivalente di diecimila miliardi di vecchie lire. Ci sono tutti: dal presidente Giovanni Mazzacurati al vice […………..], da Piergiorgio Baita a Pio Savioli, da Stefano Tomarelli a Vincenzo Onorato; assistono anche i dirigenti Nicoletta Doni, Valentina Croff, Maria Teresa Brotto, Lucia Dalla Vecchia, l’avvocato Alfredo Biagini. Per approvare i conti basterà mezzora: nessun intervento, votazione all’unanimità. Sarà l’ultimo bilancio a guida Mazzacurati/ Baita, i Grandi Corruttori rei confessi. I conti 2013. Non andrà molto per le lunghe nemmeno l’approvazione dei conti 2013, il 27 febbraio scorso, sotto la guida del nuovo presidente Mauro Fabris: dalle undici a mezzogiorno e dieci. Del resto, sia la società di revisione che il neo eletto Organismo di vigilanza, dicono che (quasi) tutto è a posto. Quest’ultimo, dopo le dimissioni di Lorenzo Quinzi, NicolettaDonie Valentina Croff è formato completamente da esterni (Aldo Cappiello, Massino Anitori, Pierluigi Mancuso, Pietro Pennacchi). Che fanno mettere a verbale, a proposito della tempesta giudiziaria che aveva portato in carcere Mazzacurati e Baita: «Si può difficilmente ipotizzare che i soggetti interessati abbiano agito nell’interesse del Consorzio per procurare vantaggio allo stesso». Mazzacurati e Baita avevano già confessato, ma per gli organi del Consorzio – compresa la società di revisione – era tutto a posto. Lo studio. La nuova governance affida alla società di revisione Mazars spa un approfondito studio del modello organizzativo: gli esperti approfondiscono la verifica dei profili legali inerenti l’operato degli organi societari, l’efficacia dei contratti di fornitura, il sistema di «compliance », il rinnovo dell’organismodi vigilanza. Le forbici di Fabris. Il direttivo taglia 17,5 milioni di euro di consulenze, affitti, prestazioni di servizi ritenuti non più indispensabili, abbatte del 50% i compensi agli amministratori, decide di spostare la sede legale, revoca a tutti i dirigenti le deleghe affidandole al direttore Hermes Redi. Il personale. La nuova governance si trova a limare il personale, che tocca il record (183 dipendenti) alla fine del 2011. Adesso sono poco più di 150. A Mazzacurati spetterà una liquidazione da sette milioni di euro. I conti. Lo stato patrimoniale del Consorzio conteggia il valore della produzione dall’inizio dei lavori del Mose e quindi contabilizza 5,6 miliardi di euro. Il conto economico annuale, invece, registra un fatturato che sfiora i 500 milioni di euro e un pareggio perfetto di bilancio, al netto delle tasse. Rilevante l’esposizione bancaria, così come i depositi liquidi: sono quasi nove milioni di euro a fine2013. Area Pagnan. Nel 2012 il Consorzio acquista, per 13 milioni di euro, la cosiddetta Area Pagnan a Marghera «al fine di predisporre un’area, in attesa del completamento del piano Arsenale, per lo stoccaggio paratoie e per l’installazione di tutti gli elementi maschi o delle quattro barriere». Le partecipazioni. Il Consorzio Venezia Nuova controlla il 51,181% di Thetis spa, capitale sociale 11,2 milioni di euro, iscritta a bilancio a 5,8 milioni di euro. Il 100% di Mose srl, capitale 110 mila euro, iscritta a bilancio a 2,4 milioni di euro (nel 2012 la quota è svalutata di 636 mila euro). Il 2,6% della Esercizio Raccordi Ferroviari di Porto Marghera spa, sede in via della Pila 119 a Marghera. Poi una piccola quota in Vega (lo 0,2%) e lo 0,65% del Centro cardiovascolare Mirano srl (via Macello, 2) iscritta a bilancio a 25 mila euro. Le fatture Thetis. Dal penultimo bilancio disponibile (2012) il Consorzio Venezia Nuova registra 16,5 milioni di euro di fatture non pagate emesse dalla controllata Thetis, cifra su cui stanno indagato i magistrati. I debiti. La preoccupazione dei membri del Consorzio è sempre legata all’erogazione dei finanziamenti del Ministero delle Infrastrutture. Per questo, negli ultimi due anni è costretto a ricorrere al mercato bancario. Nel febbraio 2012 delibera l’aumento del mutuo da 100 a 104 milioni di euro, apre un contratto con Cassa Depositi e Prestiti di 106 milioni, accende un finanziamento di 75 milioni ponte con Banca Nazionale del Lavoro. Più recentemente attinge a un prestito Bei per 45 milioni di euro per far fronte alle esigenze di cassa 2013. E il 13 febbraio scorso ancora la Bei mette a disposizione altri 200 milioni di euro.

Daniele Ferrazza

 

MOSE, IL RIESAME

Milanese ecco i particolari della mazzetta

Scandalo Mose, Stefano Tomarelli di Condotte resta in carcere perché “per anni compartecipe di reati diretti alla corruzione di pubblici funzionari”. È scritto così nella sentenza del Tribunale del riesame. Ricostruite anche tutte le tappe della mazzetta di 500 mila euro all’onorevole Marco Milanese. Il procuratore Delpino: 50 segnalazioni anonime al giorno, tutte archiviate.

 

«Faceva parte della cupola» E Tomarelli resta in carcere

Al Riesame il manager di Condotte: «Uno dei quattro che contavano». Ricostruita la mazzetta a Milanese. Conferme sul «finanziere incorruttibile trasferito» raccontato dalla Minutillo

VENEZIA Non dai soli Giovanni Mazzacurati presidente del Consorzio Venezia Nuova, Piergiorgio Baita per Mantovani, […………………] (Fincosit-Mazzi) era composta la “cupola” che creava e gestiva i fondi neri del Cvn per pagar tangenti e blindare i lavori del Mose, secondo «una deviata ottica imprenditoriale». Del vertice faceva parte anche l’imprenditore Stefano Tomarelli, di Condotte d’Acqua, che aveva il 19,93% del Cvn e che dovrà attendere in carcere lo sviluppo dell’inchiesta, perché «per anni «compartecipe di reati diretti alla corruzione di pubblici funzionari e al finanziamento illecito dei partiti, strumentali all’indisturbato esercizio di attività la cui congruità del prezzo è tutta da valutare ». Lo si legge nella sentenza del Tribunale del riesame, presidente Angelo Risi. La cupola. Mantovani, Fincosit, Condotte «(con Pio Savioli per Coveco anche di più) rappresentavano oltre l’80% del Cvn e quindi erano i “maggiori azionisti” del fondo extracontabile, soggetti con i quali il presidente Mazzacurati doveva rapportarsi per disporre di tali risorse». La «cupola». Quello di Tomarelli, «era uno dei 4 consensi fondamentali nell’ esecuzione dei progetti corruttivi ideati da Mazzacurati ». La tangente a Milanese. Risi cita come «sintomatica» la tangente di 500 mila euro all’on. Milanese, «necessaria a sbloccare i finanziamenti per il Mose»: «Mazzacurati nella riunione del 25 maggio2010 inserì all’ordine del giorno anche tale vicenda, essenziale per tutti i partecipanti al consorzio». Il giudice cita Baita: i fondi per il Mose erano andati benissimo al Cipe «fino a quando non era arrivato Tremonti. Poiché (poi) si era interrotto il flusso dei finanziamenti e il pellegrinaggio di Mazzacurati da Gianni Letta non aveva avuto esito(…) Mazzacurati aveva convocato i soci d’emergenza dicendo che se si volevano sbloccare i finanziamenti erano necessari almeno 500 mila euro per l’on. Milanese». Il 3 maggio Mazzacurati incontra l’allora ministro Tremonti. Il 13 maggio il Cipe stanzia 1424 milioni per opere idrauliche. Il 24 maggio Mazzacurati parlando con Mazzi dice che “la cosa è sistemata”. Il 25 maggio il Consiglio dei ministri delibera il dl 78, che stanzia 400 milioni per il Mose. Il 28 maggio «Mazzacurati assicura Meneguzzo che la tangente sarà pagata, visto l’esito positivo della vicenda» e il 14 giugno consegna a Milanese una scatola con il danaro, nella sede della Palladio a Milano. Milanese è anche accusato di aver messo in contatto Mazzacurati con l’ex generale della Gdf Spaziante, per pilotare verifiche e indagini. Finanziere incorruttibile. Trova conferma in Procura – «Fosse stato a libro paga non sarebbe stato trasferito» – il ricordo di Claudia Minutillo su un finanziere “incorrotto” trasferito d’ufficio, riportato in un’intervista al nostro giornale: si tratta del maggiore Bolis,che avviò le verifiche fiscali in Mantovani, che hanno dato inizio all’inchiesta terremoto del Mose. Le telefonate intercettate. Nel dicembre 2010 Mazzacurati & Co. sapevano di essere sotto inchiesta e intercettati. Una “pulce” negli uffici del Cvn, il 3 dicembre 2010, capta Mazzacurati dire «di essere a conoscenza dell’attività di intercettazione delle proprie utenze telefoniche da parte della Gdf», citando 2conversazioni, una con il ministro Matteoli e l’altra con il figlio Carlo, per una richiesta da rivolgere a Gianni Letta per ottenere un finanziamento ministeriale per un film. «Entrambe le circostanze sono veritiere», osserva il giudice Risi: il telefono del Mazzacurati era sotto controllo dal 22 aprile. E il 10 dicembre, all’avvocato Bruno Cannella, dice di sapere che «la verifica fiscale è collegata a un procedimento penale, indicando il cognome del pm titolare ».

Roberta De Rossi

 

«Ora basta con le lettere anonime»

Il procuratore Delpino: 50 segnalazioni dal giorno degli arresti, tutte archiviate

VENEZIA «Quanto ai libelli anonimi messi in circolazione, non devono godere di considerazione in alcun processo; infatti è prassi di pessimo esempio, indegna dei nostri tempi». Cita Traiano nel 112 Dopo Cristo – nella lettera a Plinio sui processi ai cristiani – il procuratore di Venezia Luigi Delpino, per dire «Basta» alla pioggia di lettere anonime che stanno inondando la sua scrivania, da sempre, ma dallo scoppio dell’inchiesta Tangenti Mose, in particolare: una cinquantina di missive senza firma dal giorno degli arresti, ad oggi. Un centinaio dall’inizio dell’anno. Tutte segnalazioni archiviate, quasi senza leggerle, nel senso che – a norma di regio decreto 773 del 1931 – solo quelle in cui si fa specifico riferimento a detenzione di armi o munizioni prevedono l’apertura di un’indagine. O- da tempi più recenti – segnalazioni legate alla pedopornografia e violenze ai bambini. «Siamo sommersi da lettere anonime», si sfoga il procuratore Delpino, «e per evitare perdite di tempo a tutti cito Traiano del 112 d.c. e il codice e ricordo che qui in Procura di Venezia gli anonimi non godono di alcun consenso, come 1900 anni fa: se lo facessimo sarebbe sintomo di un sistema pessimo ed inadeguato ». Alla Cittadella della Giustizia di piazzale Roma, il postino consegna una media di quattro, cinque esposti anonimi al giorno: il protocollo è intasato. In altri tempi – si ricorda – c’è anche chi ne ha mandati ben 48 in un anno: perché la firma non c’è, ma la stampante è facilmente riconoscibile come unica. Via, cestinati: anche se, in realtà, resteranno in archivio per 5 anni prima di essere distrutti. Come prevede la norma: ma non si faccia illusione l’estensore. «Il nostro è un “no” di principio», prosegue il procuratore Delpino, «persino – facendo gli scongiuri – mia madre venisse assassinata e mi scrivessero il nome del presunto omicida in un anonimo non lo prenderei in considerazione». «Le persone devono metterci la faccia, esporsi e non nascondersi e per fortuna c’è chi lo fa: le notizie di reato devono rispettare le regole», conclude Delpino mostrando la riproduzione dell’articolo 2 della Costituzione che ha appeso al muro dello studio: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». Nel disporre la distruzione degli anonimi tra 5 anni, il procuratore ricorda anche una recente sentenza della Suprema Corte: «Il documento anonimo non solo non costituisce elemento di prova, ma neppure integra notitia criminis e pertanto del suo contenuto non può essere fatta alcuna utilizzazione in sede processuale, salvo quanto disposto dall’articolo 240 del codice», salvo dunque sia “corpo di reato”, sia proveniente dall’imputato o, appunto, riguardi segnalazioni su armi e munizioni.

Roberta De Rossi

 

Fate le scuse agli ambientalisti

Chi farà le scuse ufficiali agli ambientalistiche da sempre hanno ritenuto scandalosa la gestione di tutta l’operazione criminale Mose e che sono stati etichettati ai tempi delle proteste come “sovversivi” ? Chi ringrazierà gli ambientalisti che hanno invitato, supportato, accompagnato, affidato una nutrita documentazione ai giornalisti delle tv per diffondere all’opinione pubblica gli imbarazzi degli intervistati (ora agli arresti) sulle tematiche truffaldine della gestione Mose- politici-controllori? La giustizia è lenta ma finalmente è arrivata: mazzette, controllo riimparentati con i controllati ecc. Adesso tutti i coinvolti parlano e gli ambientalisti del Lido di Venezia aspettano che il cerchio si allarghi e si faccia luce anche su tutti gli altri scandali del Lido.

Paolo Fumagalli – Ambientalista del Lido di Venezia

 

Galan annuncia: «Lunedì parlo io»

E Cinque ribatte: la mia Socostrano è reale

ROMA. «Adesso parlo io». Giancarlo Galan ha scelto questo titolo per la sua conferenza stampa, convocata per lunedì mattina alla Camera dei deputati. L’ex ministro e governatore del Veneto illustrerà la sua memoria difensiva che depositerà alla Giunta per le autorizzazioni della Camera dei Deputati, che mercoledì 25 giugno lo ascolterà, com’è nel suo diritto, prima di esprimersi sulla richiesta di arresto presentata dalla Procura di Venezia. Galan ha presentato anche un altro memoriale alla Procura della repubblica di Venezia che al momento non ha ritenuto di ascoltarlo e lunedì alle 11,30 scoprirà le sue carte. In attesa dell’autodifesa del deputato di Forza Italia, c’è da registrare la replica di Erasmo Cinque a quanto pubblicato da L’Espresso. Il settimanale sostiene che Socostramo sarebbe un’impresa virtuale specializzata nel trading di partecipazione. Erasmo Cinque ribatte: «La Socostramo di cui detengo il40% e nella quale non ricopro nessuna carica sociale, ha contratti in appalto che sta eseguendo nel rispetto delle leggi, anche con notevole impiego di personale, mezzi e capitali». Poi spiega di essere uscito dall’ Ati dell’Expo 2015 di Milano.

 

Il Codacons: «Risarcimenti, online i moduli»

MESTRE. «Il costo iniziale dell’opera, ai tempi della lira, prevedeva l’esborso equivalente agli attuali 1,3 miliardi di euro. Oggi, dopo 31 anni di mazzette e rincari, il costo dell’opera continua a lievitare ed è arrivato a superare la soglia dei 6 miliardi di euro di soldi pubblici». Il conto lo fa velocemente il presidente nazionale dell’associazione dei consumatori Codacons, Carlo Rienzi. Il percorso promosso dall’associazione per la richiesta di risarcimento danni da parte dei veneziani va avanti e, a questo punto, si entra nella fase più importante, quella operativa. «Se le gravi accuse mosse dalla Procura dovessero trovare conferma, si configurerebbe un danno enorme per la città e per i suoi abitanti, sia sul fronte economico che su quello della gestione del bene pubblico», conferma Rienzi. In un comunicato, il Codacons invita la cittadinanza a prendere attivamente parte nella lotta «contro gli sprechi e il malaffare». Online sul sito www.codaconsveneto.it è il modulo scaricabile per costituirsi parte offesa nel procedimento penale in corso. Il Codacons annuncia che sarà presto attiva in numerose piazze venete «per promuovere l’iniziativa ed invita i cittadini a cooperare concretamente nell’intervento, impegnandosi in coordinate azioni di volontariato». Per adesioni e informazioni è aperta la sede regionale retta da Ignazio Conte in Via Mezzacapo, 32/B a Marghera, oppure si potrà inviare una mail all’indirizzo info@codaconsveneto.it.

 

Malamocco, prima nave nella conca

Portacontainer lunga 147 metri esce dalla laguna malgrado i lavori del Mose

MALAMOCCO – La conca di navigazione di Malamocco – che permette l’entrata e l’uscita delle navi mercantile dal porto commerciale malgrado la bocca di porto sia chiusa per i lavori del Mose – è entrata ufficialmente in funzione giovedì scorso. Alle 18, infatti, la nave portacontainer “King Jacob”, battente bandiera portoghese e lunga 147 metri, è uscita, via conca, dalla laguna di Venezia, con l’ausilio dei rimorchiatori. Sempre giovedì a Malamocco c’è stato il varo del primo (dei 9 previsti) cassone della barriera delle dighe mobili sulla bocca di porto. Si è trattato del cassone di spalla, calato in acqua tramite un syncrolift e agganciato al mezzo speciale che lo ha trainato e affondato nello scavo predisposto lungo il canale che da Malamocco arriva a Porto Marghera. L’operazione è eseguita in fase lunare di “quadratura”, ovvero di minima escursione di marea e di condizioni meteo ottimali. Le operazioni di posa dei cassoni continueranno e saranno un intralcio e pericolo – visti gli specifici sistemi di ancoraggio in più punti – per la navigazione. Ciò significa che sarà necessario interdire temporaneamente il traffico nell’intera area della bocca di porto, in relazione alla difficoltà di manovra del cassone in galleggiamento. La posa in opera di tutti i9 cassoni si svolgeranno in più riprese nel periodo compreso tra giugno e novembre, tenendo in debita considerazione le condizioni meteorologiche.

 

E la dark lady accusò Chisso «Tu non conti più niente»

INTERCETTATI «Non va bene, stai perdendo consenso»

PARTITA SANITÀ «Sulle Asl sei uscito come lo sconfitto perché non sei riuscito a mettere Ruscitti»

PARTITA STRADE «Giorgio vuol capire se sulle tue deleghe hai abdicato a un certo ruolo»

MESTRE – Strade e sanità: l’assessore regionale alle Infrastrutture perde smalto. Si fa surclassare da Vernizzi e Zorzato e non garantisce più corsie preferenziali, commesse sicure, pedine giuste al posto giusto. A essere preoccupato è il patron di Mantovani Piergiorgio Baita. Lo spiega a Renato Chisso, Claudia Minutillo: è l’8 gennaio del 2013, verso mezzogiorno. Il loro incontro nell’ufficio di lei è ascoltato dai militari delle Fiamme Gialle.
«Si preoccupa anche Giorgio dal punto di vista utilitaristico. Perché io ho anche dell’affetto per te. Ma Giorgio dice: vorrei capire se Renato ha abdicato a un certo ruolo…, se ha deciso di non farsi valere nemmeno su quelle che sono le sue deleghe perché almeno mi regolo anch’io come muovermi». Lo scambio di battute fra i due è nervoso. Minutillo incalza: «La voce ormai gira e tu devi riflettere sulle cose, mi devi ascoltare, non t’incazzare. Ma tu stai perdendo consenso politico. Se alcune persone di riferimento si rendono conto che non vengono più da te su problematiche che interessano le tue deleghe ma vanno da altri, vuol dire che non sei più considerato». Una vera e propria paternale quella di Minutillo a Chisso che pare non essere più in grado di tutelare la squadra Mantovani-Cvn. Cinquanta giorni dopo verrà arrestata insieme a Baita, William Colombelli e Nicolò Buson. Chisso a distanza di 18 mesi. Sul tavolo la SR10, Tangenziali Venete, Pedemontana: Chisso non sta facendo abbastanza. L’ex segretaria di Galan sbotta: «Ormai lo sanno anche i muri che Vernizzi (amministratore delegato di Veneto Strade, ndr) ha fatto l’accordo e si è rinfrancato per il rapporto stretto tra lui, Zorzato e Degani. E la gente non va più dall’assessore Chisso a chiedere le cose… Va da Vernizzi e Zorzato (vice presidente Giunta regionale, ndr)».
Chisso: «Va bene e dopo?»
Minutillo: «Va bene un cazzo! Non dire va bene!».
Chisso: «Dopo? Questa qua l’ho capita, dopo?».
Minutillo: «Un’altra partita. Sui giornali ti hanno dato come sconfitto perché sui direttori generali delle Asl non è andato Ruscitti (l’ex segretario regionale alla Sanità, che avrebbe incassato una “parcella” da 200mila euro da Coveco-Cvn, ndr)».
Chisso. «E allora?».
Minutillo: «Però lì non hai messo niente, non ci sei. Hai tentato con Razzi (?) e l’hanno mandato a Feltre, che cazzo ce ne facciamo di là noi da Feltre».
I dialoghi che seguono sono a tratti incomprensibili perché Claudia Minutillo utilizza il “disturbatore” che Baita le ha imposto dopo essere venuto a conoscenza di essere intercettati.
Parlano di Mestre. Chisso: «Il mio candidato era Ruscitti, l’ho tenuto duro fino a una settimana prima. Zaia mi chiama, qua Renato, qua Ruscitti non passerà, semmai o facciamo guerra totale o facciamo un accordo. Mi fa: io metto un uomo mio però lo metti in mano tua e fai quello che devi fare. Va bene basta che non sia Dario, Claudio Dario e a me va bene Dal Ben (nuovo direttore generale Ulss 12, ndr)». E prosegue: «E mi va bene Dal Ben. Però dico mi serve anche un uomo che (incomprensibile) che su Mestre non faccio la figura del peracottaro. Quindi avemo Mirano e Mestre bono?».
Minutillo: «Quello che ha preso il posto di Rossini a Mirano?»
Chisso: «Sì Gumirato (nuovo direttore generale Ulss 13, ndr). Lo devo vedere all’una». (m.a.)

 

MOSE E DINTORNI Finanza in Regione Veneto. E la Procura di Venezia lancia l’allarme: sommersi da lettere anonime

Minutillo e Baita, nuova indagine

L’ex segretaria di Galan e il manager sotto inchiesta a San Marino per riciclaggio. Sequestrato mezzo milione

IL FASCICOLO – L’inchiesta è stata aperta sulla base dell’indagine della Procura veneziana. Anche San Marino indaga (per riciclaggio) sugli affari di Piergiorgio Baita e Claudia Minutillo.

GLI ACCERTAMENTI – Finanza e carabinieri ancora a caccia di documenti negli uffici della Regione Veneto. E la Procura lancia un appello: niente denunce anonime, finiscono nel cestino.

Nuovi guai per l’ex segretaria di Galan, Baita e Colombelli: sotto inchiesta per riciclaggio nell’antica repubblica. Sequestrato mezzo milione di euro

EFFETTO VALANGA – L’indagine prende le mosse dal fascicolo aperto a Venezia

PRELIEVI LAMPO – Bonifici alla “cartiera” contanti esportati pochi giorni dopo

Minutillo indagata a San Marino

Mezzo milione di euro sotto sequestro e l’accusa di riciclaggio. Mentre la dark lady dell’inchiesta sul Mose cerca di rifarsi un’immagine in Italia rilasciando interviste in cui vuole apparire come una sorta di vittima stritolata nell’ingranaggio infernale delle tangenti, dopo l’arresto e il patteggiamento a Venezia di un anno e 4 mesi, pena sospesa, altri guai giudiziari le arrivano dalla Repubblica di San Marino. Claudia Minutillo, ex segretaria di Galan ed ex ad di Adria Infrastrutture società satellite della Mantovani, è stata iscritta nel registro degli indagati dai magistrati sanmarinesi insieme a William Colombelli e Piergiorgio Baita con la contestazione a vario titolo anche di appropriazione indebita e concorso in fatture false. L’inchiesta prende le mosse da quella condotta dai colleghi veneziani, denominata Chalet, che a fine febbraio 2013 portò in carcere i tre, insieme a Nicolò Buson, l’allora responsabile amministrativo della Mantovani: frode fiscale l’accusa, e l’ipotesi che l’ingente movimentazione di denaro a seguito di operazioni inesistenti generata da Baita & c, nelle banche all’ombra del Titano, fosse finalizzata alla creazione di una provvista di soldi fantasma per pagare le mazzette in mezza Italia. La prova provata poco più di un anno dopo con la grande retata dello scorso 4 giugno in laguna, con gli arresti eccellenti di 35 persone. Grandi accusatori Baita, Giovanni Mazzacurati, padre padrone del Consorzio Venezia Nuova, finito ai domiciliari nel luglio scorso, e appunto Minutillo. Secondo gli inquirenti veneziani il sistema collaudato per la creazione di un “fondo cassa” nascosto ai controlli da destinare alle dazioni illecite per ottenere appalti e favori passava proprio per San Marino. E qui infatti, dove l’emissione di fatture per operazioni inesistenti ha ottenuto rilevanza penale solo dal 2010, che operava la Bmc Broker di Colombelli che a Baita fu presentato da Minutillo, con la quale oltre agli affari condivideva anche un rapporto sentimentale.
Un ufficio, un computer, una stampante, una segretaria: eppure la Bmc riceveva da Mantovani bonifici da centinaia di migliaia di euro per consulenze tecniche di altissima specializzazione nei più svariati ambiti. Gli investigatori delle Fiamme gialle hanno ricostruito oltre 400 versamenti per un ammontare complessivo di circa 17 milioni di euro ai quali seguivano quelli che sono stati definiti “prelievi lampo”. Vale a dire che alcuni giorni dopo l’accredito sul conto bancario, passava Colombelli a incassare. Come il 10 febbraio 2010 quando Mantovani versò a Bmc presso la Banca commerciale sanmarinese 677.671,85 euro e l’indomani passò Colombelli a ritirare il contante che lui stesso o Minutillo provvedevano a esportare in Veneto. E Colombelli e signora avrebbero incassato la loro quota parte creando nel 2005 a San Marino la finanziaria Infrastrutture sa, società anonima ad oggi liquidata e radiata, versando ciascuno 772.550 euro per un capitale sociale complessivo di un milione 545mila euro. Società che almeno all’apparenza non ha mai operato e che in pieno regime di blocco dei pagamenti della Bcs (ora acquisita da Asset Bank) è riuscita a ottenere il trasferimento di 1 milione e 200mila euro. Era il 15 dicembre 2011.

 

RICORSO RESPINTO – Tomarelli (Condotte) resta in carcere

IN REGIONE – Carabinieri e Finanza ancora al lavoro negli uffici. Sotto esame pc e altre carte

SCANDALO MOSE E la crisi travolge alcune figure di spicco del Comune: Agostini torna a comandare i vigili

Una pioggia di denunce anonime

Il procuratore Delpino: «Ne stanno arrivando tantissime, ma chi vuol segnalare deve metterci la faccia»

Delpino: dal 3 giugno una cinquantina di lettere, ma così non sono utilizzabili

Sommersi dalle denunce anonime. La Procura: «Metteteci la faccia»

Erano di casa prima degli arresti. E adesso ancora di più. Finanzieri e carabinieri continuano a “frequentare” gli uffici della Regione Veneto, tanto che a Palazzo Balbi e dintorni sono diventati una presenza costante. Chiedono carte, documenti, delibere. Controllano i computer. Ispezionano gli uffici. Come se l’inchiesta continuasse ad arricchirsi di novità e ci fosse bisogno di acquisire ulteriore documentazione. Del resto, sono quattro gli esponenti della Regione Veneto coinvolti nell’inchiesta delle mazzette in laguna: l’ex assessore (si è dimesso poco dopo l’arresto) ai Trasporti e alle Infrastrutture Renato Chisso, ancora in carcere. Più i tre dirigenti – tutti sospesi dagli incarichi – Giuseppe Fasiol, Giovanni Artico, Enzo Casarin, ancora in gabbia. A Palazzo Balbi la presenza della Finanza e dell’Arma fa discutere, se non altro perché si ipotizzano ulteriori sviluppi. I vertici dell’ente, tuttavia, puntualizzano che la collaborazione c’è sempre stata: un “palazzo di cristallo”, continuano a ribadire.
I CORVI – Intanto negli uffici della Procura della Repubblica di Venezia è ormai allarme delazione. Le lettere e denunce anonime – anche in forma circostanziata – sono diventate così numerose da due settimane a questa parte che il Procuratore capo Luigi Delpino si è sentito in dovere di denunciarlo pubblicamente. Il problema non è da poco, ma è essenzialmente giuridico, poiché le segnalazioni anonime non possono essere utilizzate in alcun modo in sede processuale. Quindi, anche se le notizie riportate fossero veritiere, la magistratura non aprirà nuovi fascicoli d’inchiesta per verificarlo né potrà integrare indagini già esistenti.
«Segnalazioni anonime – dice Delpino – ce ne arrivano circa duecento ogni anno e tutte fanno la stessa fine. Tuttavia, da quando sono cominciati gli arresti per via dell’inchiesta sui lavori del Mose il numero di delazioni si è impennato. Dal 3 giugno a oggi ne abbiamo già ricevute una cinquantina».
Per affermare che la delazione anonima è considerata una bestialità fin dai tempi antichi, Delpino ha scomodato l’imperatore Traiano, che in una lettera indirizzata a Plinio il Giovane riassume alcune raccomandazioni, tra cui il divieto più assoluto di dar corso a denunce anonime.
Il procuratore invita pertanto chi ha ancora intenzione di inviare lettere anonime “a non perdere il proprio tempo”. «Nella vita – conclude – ci sono dei momenti in cui bisogna metterci la faccia. Chi ritiene di aver qualcosa di importante da dirci è pregato di farsi avanti e sarà ascoltato».
Esiste, invero, un solo caso in cui si può procedere a verifica e riguarda scritti anonimi in cui si faccia riferimento alla presenza “in un determinato luogo, di armi, munizioni o materie esplodenti non denunciate, non consegnate o comunque abusivamente detenute”.
RICORSI – Il Tribunale del Riesame ha rigettato il ricorso presentato dagli avvocati Nicola Pisani e Angelo Andreatta per conto di Stefano Tomarelli, 69 anni, esponente della società Condotte, terzo azionista del Consorzio Venezia Nuova e membro del suo direttivo. Per i giudici non sussistono le ragioni per le quali Tomarelli dovrebbe lasciare il carcere. I suoi legali avevano puntato sul ridimensionamento del suo ruolo, differenziandolo da un Baita o un Mazzacurati.
I giudici però parlano di una “cupola” che gestiva un gigantesco fondo extracontabile valutato in 10 milioni, e Tomarelli sarebbe stato uno dei soggetti “con i quali necessariamente il presidente del Consorzio Venezia Nuova doveva rapportarsi nel caso in cui si dovesse disporre di tali risorse”. Anzi, per i giudici, il suo era un consenso fondamentale per le azioni portate avanti con il fondo nero.
Quanto alla possibilità di reiterazione del reato, i giudici non ritengono che Tomarelli, per il solo fatto di non ricoprire più incarichi operativi, il collegio ha rigettato la tesi della difesa, sostenendo che se fino all’estate 2013 egli ha esercitato un elevato potere discrezionale sulla società, potrebbe farlo anche oggi anche senza avere un ruolo preciso. L’altro caposaldo del ricorso riguardava il fatto che ad un certo punto egli non fu più disponibile ai versamenti in nero al Consorzio. Anche in questo caso, però, per i giudici poco conta ai fini della misura cautelare poiché ci sarebbero le prove di una sua partecipazione alle riunioni in cui si decideva l’impiego di quei fondi.

 

Galan: «Lunedì parlerò io»

ROMA – «Adesso parlo io». Lunedì mattina Giancarlo Galan depositerà la sua memoria difensiva presso la Giunta per le autorizzazioni della Camera, che dovrà discutere della richiesta d’arresto a carico dell’ex ministro, e ne illustrerà i contenuti alla stampa.

 

COOPERATIVE COINVOLTE – Rizzi: dimissioni per tutti i dirigenti coop coinvolti

VENEZIA – «Le responsabilità dei singoli non ricadano sul lavoro dei soci e dei dipendenti delle cooperative, e non facciano perdere di vista ul valore della cooperazione». Per Adriano Rizzi, presidente di Legacoop Veneto, la priorità è tutelare la continuità aziendale e il lavoro delle coop coinvolte nell’inchiesta Mose. E annuncia un’operazione pulizia: Legacoop Veneto ha chiesto a tutte le imprese interessate di «garantire la massima distinzione tra le responsabilità personali dei singoli e quelle delle imprese». «Le persone coinvolte hanno provveduto in questi ultimi giorni a dimettersi dagli organi di direzione delle loro cooperative» fa sapere Rizzi. E avverte: «Se così non accadesse per tutte, Legacoop procederà fino alla richiesta di espulsione».

 

Corte dei Conti

Lo stesso sistema per il Passante. Schema Mose anche per le autostrade

Stessa “cricca” per il Passante. Dossier della corte dei conti.

Un errore il ricorso alla procedura di emergenza

PADOVA – Il «dream team» dei grandi appalti in Veneto ha replicato lo schema Mose anche al Passante A4, che ha salvato Mestre dal caos e dall’ingorgo eterno lungo le tangenziali. Realizzato in due anni, per l’ex governatore Galan è il vero modello di efficienza della sua gestione tanto che il 20 settembre 2008 arrivò l’allora premier Silvio Berlusconi a tagliare il nastro. Per la Corte dei Conti, invece, l’opera è costata troppo: 1,4 miliardi di euro, 600 milioni in più del previsto. E soprattutto ha inaugurato la stagione delle opere con procedura d’emergenza, fonte di tanti guai: dalla ricostruzione de l’Aquila all’Expo di Milano. A raccontare come funziona il sistema è Claudia Minutillo, ex ad di Adria Infrastruttre: «So che per il Passante di Mestre è stata agevolata la cordata Impregilo- Mantovani» ha spiegato ai pm di Venezia mentre Piergiorgio Baita, ex ad della Mantovani, ha detto di aver acquistato una società in perdita dell’architetto Bortolo Mainardi, ex commissario delle Grandi opere e poi commissario della Tav in Veneto e Friuli. Baita sostiene di essersi mosso su richiesta dell’assessore Chisso: alla società Territorio di Mainardi fu assegnato un incarico professionale per la preparazione di un project per il prolungamento della A27, poi la società fu rilevata, racconta Baita. E fin qui nulla di penalmente rilevante, tant’è che nonc’è nessuna indagine. Il «dream team» del Passante, figlio delle larghe intese Pdl- Pd veneziano, colossi privati- cooperative, è invece nell’occhio del ciclone per i dossier dei comitati «Re.Common » e «Opzione Zero» che hanno presentato un esposto agli organismi di controllo Ue sui costi dei realizzazione delle opere finanziate dalla Cav, nata nel 2008 per gestire il Passante. La convenzione prevede che la Cav, controllata dalla Regione Veneto e dall’Anas, restituisca all’Anas un miliardo di euro: insomma, quanto anticipato torna a Roma, mentre la Cav aumenta i pedaggi per ripianare il buco, come si è visto a gennaio 2014. La Corte dei Conti ha chiesto chiarimenti sull’aumento dei costi, passati da 864 milioni a 1,388 miliardi di euro, e le risposte non potranno che arrivare dal Contraente generale, cioè il Consorzio Passante di Mestre. Ne fanno parte Impregilo, Grandi Lavori Fincosit (per i lavori del Mose è stato arrestato il presidente [……………..]), Fip industriale(diMauro Scaramuzza), Coveco (con gli arrestati Pio Savioli e Franco Morbiolo), la Ccc e la Cmc due colossi emiliani. La Mantovani di Baita ha ottenuto subappalti. Un sistema collaudato, che ha visto trionfare le «larghe intese» sperimentate con le quote del Consorzio Venezia Nuova che ha la concessione unica per il Mose e le opere di salvaguardia della laguna. Sull’onda della protesta, ora i comitati No Grandi Opere chiedono lo stop sia della Pedemontana che della nuova Valsugana. E annunciano battaglia sul prolungamento della A31 Valdastico. (al.sal.)

 

Mose, via il finanziere onesto

Claudia Minutillo: «Lui fu trasferito. Baita evitò l’arresto»

RETROSCENA – Galan pontificava «Trasparenza totale»

Minutillo: «Trasferito finanziere che non si faceva corrompere»

In un interrogatorio della testimone chiave il riferimento a un militare che rifiutò mazzette e favori

«Già una volta Baita evitò l’arresto». «Mi disse di una provvista per Tremonti attraverso Milanese»

A una cena Ghedini chiese a Galan di usare la sovrafatturazione per le campagne elettorali

Ero ai domiciliari, arrivò la Polizia: “Non ha paura visto che vive sola?

VENEZIA Quel giorno Berlusconi cercava affannosamente Galan senza trovarlo. Il presidente del Veneto era a pesca, almeno a venti miglia dalla costa, impossibile raggiungerlo. A tenere a bada Berlusconi al telefono c’era Claudia Minutillo, che s’inventava le scuse più verosimili: «Galan è dal dentista», «è sotto anestesia, l’intervento è lungo e difficile». Ma bisognava pure uscire dal dentista, così le viene in soccorso Vittorio Altieri buonanima, titolare all’epoca dell’omonimo studio di progettazione, presente in tutti i grandi lavori del Veneto: «Ci penso io, Claudia». E spedisce unmotoscafo a tutta manetta in alto mare, a raggiungere la barca di Galan per farlo rientrare sottocosta, a portata di telefonino. Quante ne ha viste la Claudia Minutillo, prima come segretaria- ombra di Galan per cinque anni e poi dentro ad Adria Infrastrutture, braccio armato della Mantovani di Piergiorgio Baita, che stava dentro anche al Consorzio Venezia Nuova. Le due polarità, quella politica e quella tecnica, dello scandalo del Mose. Ha passato gli ultimi due anni con l’angoscia che prima o poi doveva capitare. Ma anche con il retropensiero che poteva non capitare niente, perché tutti erano pagati. Tutti incassavano soldi: magistrati, finanzieri, politici, tecnici. Era il sistema e lei stava dentro alle due onnipotenze che lo gestivano. Così funzionava da anni: perché il meccanismo avrebbe dovuto fermarsi? Finché la mattina dell’arresto il mondo le è caduto addosso: non poteva credere che fosse successo e insieme è stata una liberazione. «Finalmente era finita», dice oggi, che non è ancora uscita dalle indagini. Ha riempito quattro verbali di cose che sono state raccontate. Altre sono ancora secretate, perché restano obiettivo dell’inchiesta. Ha patteggiato un anno e quattro mesi per fatture false ma è ancora indagata per concorso in corruzione. Claudia Minutillo ha paura. Siamo nello studio del suo avvocato, si consulta per valutare cosa dire e cosa non dire. Ha paura di sembrare quella che si vendica. Ma ha anche ha paura fisica. L’hanno minacciata. «Una mattina ero agli arresti domiciliari ed è arrivata una pattuglia della polizia. Mi hanno chiesto i documenti, poi altre cose con un tono allusivo: i vetri delle finestre non sono blindati? Non ha paura visto che vive sola? Mi parlavano controllando le telecamere, l’ho detto subito alla procura». I due agenti non erano titolati al controllo, sono stati trasferiti. «Per anni mi sono sentita dentro un film», racconta. «Baita era sicuro di farla franca. Contava sulla rete di controspionaggio che aveva messo in piedi, che gli è costata qualche milione di euro. Non per niente gli hanno trovato la copia dell’ordinanza di arresto nella borsa». Non solo. Piergiorgio Baita aveva un precedente di lusso a suo favore: un anno prima il Gip (non l’attuale Gip Alberto Scaramuzza) aveva respinto la richiesta di custodia cautelare avanzata daipm. Notizia mai uscita. Come altre del racconto della Minutillo: «Ero a cena a casa di Ghedini con Colombelli e Galan quando Ghedini disse a Galan che avrebbe potuto sfruttare la ditta di Colombelli anche per finanziare le campagne elettorali in Veneto, con il sistema della sovrafatturazione. Dicevano che fanno tutti così». Con i particolari di contorno: «Galan prendeva soldi, certo, me lo confidava lui e me lo diceva chi glieli dava. Imprenditori amici, ho fatto i nomi ai magistrati. Durante una campagna elettorale, quando ancora lavoravo con lui, gli portai una busta consegnatami da Baita. Era il 2004 mi pare. Baita in alcune occasioni diceva che bisognava preparare la provvista per Mazzacurati. Era prassi abituale quando Mazzacurati andava a Roma, dove dicono che incontrava Gianni Letta. Una volta mi disse che la provvista era per il ministro Tremonti, attraverso Marco Milanese ». Almeno uno non si faceva pagare. Val la pena sapere chi è. Questa storia salta fuori durante un interrogatorio della Minutillo, quando il pm legge i nomi dei presenti. C’è anche quello di un finanziere, il maggiore Amos Bolis. Lei ha un sobbalzo, parla all’orecchio del suo avvocato Carlo Augenti, il quale chiama fuori il pm Stefano Ancilotto: «La mia cliente non intende parlare perché ha sentito questo nome riferito da Baita». Ancilotto rientra e davanti a tutti spiega: «Il finanziere di cui parlate era il fratello del maggiore Bolis ma è stato trasferito perché nonsi è fatto corrompere». Chi l’ha fatto trasferire? Un riferimento forse si può trovare nell’interrogatorio di Piergiorgio Baita il 28 maggio2013. Baita parla di Roberto Meneguzzo, ad di Palladio Finanziaria, che aveva consegnato a Mazzacurati un telefono con una tecnologia non intercettabile. «Meneguzzo dice a Mazzacurati: ho fatto spostare questo della Finanza», dice Baita. «Adesso ti arriverà la notifica, ti interrogherà qualcuno, devi dire ecc». I pm riusciranno a scoprire il nome interrogando Mirco Voltazza.

Renzo Mazzaro

 

Cuccioletta chiede di patteggiare

L’ex presidente del Magistrato alle acque vuole uscire dal processo: Procura cauta

VENEZIA – Tra gli indagati, in particolare quelli in carcere e agli arresti domiciliari, più di qualcuno vuole seguire le orme del sindaco di Venezia e dell’ex presidente del Magistrato alle acque: ammettere quello che non si può negare perché gli inquirenti hanno prove schiaccianti e uscire non solo dalla custodia cautelare ma anche dal processo con un patteggiamento. Dopo Giorgio Orsoni anche Patrizio Cuccioletta ha avanzato la richiesta alla Procura in seguito all’interrogatorio di lunedì davanti ai pubblici ministeri Stefano Ancilotto e Stefano Buccini. I pubblici ministeri, pur essendosi battuti affinché prima il consigliere regionale Pd Giampietro Marchese poi i collaboratori di Giovanni Mazzacurati Luciano Neri e Federico Sutto restassero in carcere, è particolarmente soddisfatta di come si sono concluse le prime due udienze davanti al Tribunale del riesame (la prossime saranno lunedì 23 e venerdì 27 giugno). Nessuno degli avvocati che hanno presentato ricorso, almeno fino ad ora, ha messo in discussione l’esistenza dei gravi indizi nei confronti degli indagati, condizione necessaria perché sia emessa un’ordinanza di custodia cautelare. Tutti hanno puntato a mettere in discussione l’esistenza delle esigenze cautelari, cioè il pericolo di inquinamento delle prove e il rischio di reiterazione del reato. E i giudici del Tribunale presieduti dal giudice Angelo Risi, con le loro decisioni di mettere agli arresti domiciliari alcuni degli indagati che erano in carcere, non hanno messo in discussione le fondamenta dell’inchiesta, le indagini della Guardia di finanza, confermandone la bontà. Ha semplicemente ritoccato alcune misure cautelari. Intanto l’ex presidente del Magistrato alle acque di Venezia ha chiesto di patteggiare la pena, ma la Procura si è riservata ogni decisione per calcolarne l’entità. Nel corso dell’interrogatorio reso ai pm, Cuccioletta avrebbe ha ammesso gran parte della proprie responsabilità ma– secondo fonti della Procura – non sarebbe stato preciso nell’indicare le somme che gli sarebbero state recapitate. Il patteggiamento che la Procura potrebbe accettare è legato alla quantificazione non tanto degli aspetti economici (da discutere eventualmente in sede erariale) ma soprattutto del danno legato alla realizzazione delle opere, con carte firmate in bianco, di fatto ponendo il controllore dello Stato (il Mav è ufficio del ministero delle Infrastrutture) al servizio del controllato, ovvero il Cvn di Mazzacurati. Dalla Procura si apprende che la situazione dell’inchiesta è «in una fase di stabilizzazione». Si attende cioè l’esito dei vari ricorsi al Riesame – anche Cuccioletta ha presentato istanza l’attenuazione del provvedimento restrittivo – per poi proseguire lungo gli altri filoni che l’inchiesta ha già fatto fa intravvedere.

Giorgio Cecchetti

 

Quando Galan pontificava «Massima trasparenza»

Nell’aprile 2003 l’allora governatore parlò alla Commissione nazionale antimafia

«Investimenti il cui importo fa rabbrividire per la responsabilità che comporta»

PADOVA Non un gran che, almeno come custode delle opere pubbliche. In attesa di sapere dalla magistratura se anche lui sia o no coinvolto nei fatti denunciati, c’è già un formale impegno che Giancarlo Galan non ha saputo mantenere: quello di vigilare sulle grandi opere pubbliche, per tenerle al riparo dal virus della corruzione. Che invece, a quanto pare, le ha contagiate alla grande. Una garanzia che il presidente della Regione, all’epoca già da otto anni governatore del Veneto, aveva dato con tutti i crismi a un autorevolissimo interlocutore: la commissione parlamentare antimafia. È il pomeriggio di lunedì 7 aprile 2003, giornata segnata da un singolare maltempo: in mattinata addirittura ha nevicato perfino in laguna. La bicamerale è arrivata a Venezia espressamente per un’audizione con il presidente della Regione sui temi connessi alle possibili infiltrazioni della criminalità; la presiede Roberto Centaro, magistrato di Cassazione, dello stesso partito di Galan (all’epoca Forza Italia). Quest’ultimo affronta di petto il nodo, riferendosi espressamente alle grandi opere pubbliche: spiega che sono stati impostati cantieri destinati a far arrivare in Veneto cifre ingenti, a fronte delle quali manifesta la propria preoccupazione non disgiunta dalla consapevolezza dell’impegno da assumere: «Sono investimenti il cui ammontare mi fa rabbrividire, per la responsabilità che ci assegna nello svolgimento di tutte le operazioni collegate con la massima efficienza e trasparenza». Due termini, questi ultimi, che il presidente ribadisce poco dopo, aggiungendone un terzo: «Ci vorrà il massimo della trasparenza, dell’efficienza e della sorveglianza», perché le somme in gioco sono tali da muovere pericolosi appetiti. Le cita in vecchie lire, Galan, quasi per rinforzare il concetto: 12mila miliardi per il Mose, 2.500 per la Pedemontana, 2.000 per il Passante di Mestre; e poi ancora la futura Romea commerciale e le opere ferroviarie a partire dall’alta velocità. Il governatore si affretta comunque a tranquillizzare i suoi interlocutori: «Il Veneto è un’isola felice», assicura (e in effetti, a quanto pare, quegli investimenti hanno poi fatto la felicità di molti). È quindi la volta delle domande di alcuni commissari; rispondendo, Galan torna tra l’altro sulla questione specifica, spiegando che in vista della realizzazione delle grandi opere la Regione ha già messo in atto alcuni strumenti, tra cui un’intesa con l’Anci (l’associazione dei Comuni) per definire un prezzario relativo proprio agli appalti; e questo nell’esplicito intento di «non trovarci di fronte ad offerte anomale o ad altri accordi che fanno sì che un appalto non sia libero». Anche su questo passaggio molte imprese avrebbero magari oggi qualcosa da dire, alla luce di quanto sta emergendo dalle inchieste. A seguito di un’esplicita domanda su questo, il presidente spiega che peraltro il fenomeno delle offerte anomale non è di casa in Veneto, e assicura che oltre l’80 per cento degli appalti fino a quel momento assegnati è stato vinto da imprese locali, quindi soggetti a ferrei controlli. C’è di più: proprio riferendosi al Mose, fa presente la scelta di affidare il 60 per cento degli appalti in amministrazione diretta dello Stato tramite il concessionario (quindi il Consorzio Venezia Nuova), e di assegnare il rimanente 40 tramite gare europee. Aggiunge peraltro che «si tratta di interventi così rilevanti, sotto l’attenzione di tutto il mondo, che il nome stesso delle aziende concorrenti dovrebbe offrire una garanzia». E qui almeno in parte ci prende: che sul Mose e connessi in queste settimane si sia concentrata l’attenzione planetaria, è cosa assolutamente indiscutibile. Galan assicura alla commissione che così si farà anche per i cantieri futuri, a partire da quelli del Passante di Mestre, che sarebbe poi entrato in funzione nel 2009: i bandi di gara per gli appalti, sottolinea, «saranno eseguiti da un soggetto terzo, per garanzia di competenza e imparzialità, appartenente alla pubblica amministrazione». E da ultimo, fornisce una precisa garanzia ribadendo ancora una volta i concetti iniziali: «È assoluto interesse della nostra Regione dare una dimostrazione non solo di efficienza ma anche di trasparenza ». Trasparenza, efficienza, sorveglianza: quanto siano state assicurate, lo dice con grande chiarezza l’inchiesta della magistratura. Dalle cui pagine ci si può anche fare un’idea di quanto siano state tradotte in pratica le parole conclusive del governatore, in quell’ormai lontano aprile 2003: «Facciamo tutto quanto è nelle nostre possibilità per gestire in modo migliore ciò che comunque ci è stato elargito». Figuriamoci se fosse stato il modo peggiore…

Francesco Jori

 

IL PROCURATORE NORDIO «Il giudice non ha missioni»

MILANO «Guai a noi se volessimo, come qualcuno, far coincidere la verità processuale con la verità storica, con la verità politica».E«guai al magistrato che si sente investito di una missione etica, palingenetica ». Lo ha detto Carlo Nordio, procuratore aggiunto di Venezia, concludendo il suo intervento a Milano per i 90 anni dall’ omicidio, per mano fascista, del parlamentare socialista Giacomo Matteotti. Nordio ironizzando sul fatto che l’appuntamento milanese sia caduto subito dopo lo scandalo Mose su cui sta indagando, ha presentato il volume “I processi Matteotti”, pubblicato dalla Fondazione Kuliscioff, di cui ha curato l’introduzione.

 

L’Espresso: «Socostramo, impresa virtual specializzata nel trading di partecipazioni»

La Socostramo di Erasmo Cinque,costruttore romano «che è stato consigliere del ministro Altero Matteoli», indagato nell’inchiesta sul presunto scandalo del Mose, sarebbe stata una sorta di «impresa virtuale» che avrebbe operato «attraverso un fitto trading di partecipazioni in importanti consorzi per realizzare opere pubbliche in Veneto, Lazio e Lombardia». Lo scrive “l’Espresso” nel numero in edicola oggi. Nell’area di Venezia l’imprenditore Cinque «ha ceduto alla Mantovani di Romeo Chiarotto e Piergiorgio Baita la sua quota nei consorzi La Quado, Fagos e Talea ricavando oltre 15 milioni da attività che risultavano bloccate per il blocco dei finanziamenti statali».Mala partita finanziaria più rilevante, si legge ancora nell’anticipazione, «riguarda l’Arcea Lazio, società mista fra la Regione e un gruppo di privati fra i quali Cinque. Arcea doveva realizzare l’autostrada Roma-Latinama- scrive “l’Espresso” – si è limitata a sperperare decine di milioni di euro in consulenze e progetti». Dopo la liquidazione della società e la perdita della concessione, «Cinque ha fatto causa e ha vinto un lodo arbitrale da 43 milioni di euro contro il quale l’amministrazione pubblica ha proposto appello».

 

Controlli antimafia nei cantieri lungo l’A4

Terza corsia, acquisiti documenti a Roncade. Castagna (Autovie): «Verifiche di routine per le maxi opere»

UDINE – Fiamme gialle negli uffici del cantiere della terza corsia dell’A4 a Roncade. I finanzieri del comando di Venezia hanno acquisito documenti relativi agli interventi del primo lotto (quello che da Mestre arriva a San Donà, per una lunghezza di circa 24 chilometri) della terza corsia, e segue il sopralluogo compiuto lo scorso 10 giugno. Il primo lotto dell’opera è stato aggiudicato all’associazione temporanea di impresa tra Impregilo, Mantovani, Consorzio veneto cooperativo, So.Co.Stra.Mo e Carron. Ha un valore di circa 420 milioni ed è stato completato al 75%, tanto che si ipotizza la sua inaugurazione entro la fine dell’anno, in anticipo sui tempi di consegna. Getta acqua sul fuoco l’ad di Autovie Venete, Maurizio Castagna. «I controlli che la Guardia di Finanza ha effettuato – spiega in una nota – negli uffici di cantiere di Roncade fanno parte delle verifiche di routine previste per le grandi opere, soprattutto se si tratta di opere commissariate come, appunto la terza corsia ». Castagna precisa anche come la verifica di martedì rappresenti un prosieguo di quella attuata il 10 giugno dal Gruppo Interforze. «La Guardia di Finanza – spiega ancora l’amministratore delegato – che fa parte del Gruppo Interforze costituito per contrastare l’illegalità ha acquisito documenti riguardanti esclusivamente il primo lotto». La documentazione fornita è relativa a contratti e autorizzazioni per i subappalti. «Ricordo – conclude Castagna – che a suo tempo, per la terza corsia, è stato sottoscritto un protocollo di legalità fra il Commissario e i prefetti competenti per territorio, proprio per consentire una sinergia quanto più stretta e collaborativa. L’accordo che ha l’obiettivo di prevenire i tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata nel settore dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, prevede, per quanto di competenza del Commissario, l’inserimento negli atti di gara e nei contratti con le imprese, clausole e condizioni specifiche per rafforzare la sicurezza degli appalti e la trasparenza delle procedure. Si tratta di normative che riguardano le posizioni Inps e Inail, l’obbligo per l’impresa aggiudicataria di trasmettere l’elenco nominativo di tutto il personale operante nel cantiere; di denunciare alla magistratura ogni illecita richiesta di denaro formulata prima della gara o durante l’esecuzione dei lavori nonché i tentativi di estorsione, intimidazione o condizionamento di natura criminale».

 

Il Consorzio si pente «Tagli per gli oneri e riduzione dei costi»

Il presidente Fabris: «Oneri di concessione dal 12 al10%»

Ma anche lui finisce nel mirino. «Lavorava per Mazzacurati»

Lunedì l’ente che riunisce le imprese del Mose volterà pagina per non essere spazzato via «Collaborazione per le verifiche tecniche sul progetto»

VENEZIA Percentuale del Consorzio ridotta di almeno due punti, dal 12 al 10 per cento. Taglio di dirigenti e di personale. Riduzione dei costi e restituzione dell’Arsenale alla città. E la disponibilità a «collaborare per le verifiche tecniche sul progetto ». È il nuovo corso del Consorzio Venezia Nuova, travolto dall’indagine sulle tangenti e la corruzione. Un sistema che durava da molti anni e che ha consentito all’opera di andare avanti anche in presenza di pareri tecnici contrari. Adesso il nuovo presidente Mauro Fabris prova a girare pagina. E annuncia un «colpo di spugna » per lunedì, quando è stato convocato d’urgenza il Consiglio direttivo del Consorzio di cui fanno parte la Mantovani, Condotte, Fincosit e le cooperative. «Il commissariamento non è possibile, siamo un Consorzio privato», dice Fabris, «ho scritto a Renzi che mi ha rassicurato. Obiettivo comune è quello di portare a termine l’opera. Ma sul resto abbiamo dato la nostra disponibilità. Certo non vogliamo far finta che non sia successo nulla ». Una linea «riformatrice» che però non convince tutti. Il consigliere comunale di Venezia Beppe Caccia (ex Verdi, oggi lista «In Comune») annuncia esposti e interrogazioni. E definisce «indecente» la lettera di Fabris a Matteo Renzi. «Meglio farebbe a spiegare i suoi rapporti intercorsi negli ultimi vent’anni con la cricca che guidava il Consorzio», scrive Caccia, «renda pubblico il suo contratto di consulenza strategica di cui ha parlato l’ingegner Baita nei suoi interrogatori ». «Ho avuto una consulenza con la mia società Collina srl», spiega Fabris, «ma non la definirei strategica. Ho lavorato in Consorzio fino al 1990, poi ho fatto politica fino al 2008». Consulenza affidata mentre era sottosegretario? «No, me ne sono andato dal Parlamento nel 2008 e Mazzacurati mi aveva chiesto di dargli una mano nella politica». Un aspetto che adesso Caccia chiede di chiarire. Anche perché il nome di Fabris compare nell’ordinanza del gip Scaramuzza con cui sono state arrestate 35 persone, tra cui Galan e i presidenti del Magistrato alle Acque Piva e Cuccioletta. In una telefonata del 17 giugno 2013 Fabris parla con Mazzacurati su quale sarà il futuro presidente del Magistrato alle Acque. La fonte delle loro informazioni è Ercole Incalza, il potente dirigente del ministero dei Lavori pubblici. Mazzacurati preferiva l’ingegner Signorini – dirigente del Cipe, che eroga i fondi per il Mose – alla fine arriverà Ciriaco D’Alessio. Ma adesso, chiede il consigliere con la sua lettera inviata anche al governo, «bisogna sottoporre i cantieri del Mose a una verifica rigorosa e indipendente sulla sicurezza dell’opera. L’ex presidente Cuccioletta ha ammesso che grazie alla capillare corruzione da parte del Consorzio non c’è mai stato alcun serio controllo ». Si parla delle cerniere, ma anche dell’effetto risonanza, sollevato dalla società Principia, chiamata dall’ex sindaco Cacciari, firmataria di un rapporto durissimo sul Mose. «I miei tecnici mi dicono che tutto è a posto, ma noi siamo disposti a ogni verifica», dice Fabris, «anche per rispetto di chi ha lavorato». Intanto i lavori del Mose non si fermano: da stasera alle 22 la bocca di porto di Chioggia sarà chiusa per 37 ore per consentire la posa del grande cassone di soglia in calcestruzzo.

Alberto Vitucci

 

Pipitone (Idv): «Vicenda disgustosa, Renzi sciolga Venezia Nuova»

«Sulla gestione del Mose e dei lavori ad esso correlati le cronache quotidiane ci consegnano, se tutto fosse confermato da indagini e gradi di giudizio, immagini sconcertanti, brandelli di fango criminogeno a intrecciare politica, affari ed Enti pubblici. La prima risposta, superato il disgusto che ci coglie, di chi ha sempre interpretato la politica al servizio della collettività, con correttezza ed onestà come baluardi, è inevitabilmente una. Sciogliere il Consorzio Venezia Nuova». Così il capogruppo regionale di Italia dei Valori Antonino Pipitone, in una nota sulle vicende legate all’inchiesta della Procura di Venezia. «Lo chiediamo – prosegue il politico IdV, responsabile nazionale Enti Locali del partito – direttamente al presidente del Consiglio Renzi. Dia un segnale di discontinuità, senza temere contraccolpi. Anche se ci sono di mezzo commesse faraoniche, ministeri e boiardi di Stato, aziende ricche e potenti. Anzi, lo faccia proprio per questo. Apra le finestre, sgombri ombre e dubbi, restituisca fiducia in un meccanismo che, a leggere ogni riga del materiale probatorio, sembra architettato per aggirare le norme e usare illecitamente i soldi delle nostre tasse». «La Regione – conclude – anche se non ha competenze dirette, intervenga per quanto può, sollecitando il Governo ad agire».

 

Mose, via alla posa dei cassoni di soglia in bocca di Chioggia

VENEZIA. Inchieste e polemiche non fermano i lavori del Mose. Che proseguono secondo programma. Da stasera alle 22 la bocca di porto di Chioggia sarà chiusa al traffico navale (fino a domenica alle 23) per consentire la posa del primo grande cassone di soglia in calcestruzzo. Una struttura imponente, del peso di migliaia di tonnellate, che sarà posizionata sul fondo della bocca di porto, dove poi saranno agganciate le paratoie in metallo, il «Mose» vero e proprio. Per consentire i lavori, che impegneranno anche subacquei, la Capitaneria ha deciso la chiusura totale del traffico da stasera fino alle 11 di domenica. Da quel momento potranno transitare soltanto le imbarcazioni da diporto e da pesca di lunghezza massima fino a 19 metri. Si tratta della fase di posa dei grandi cassoni, già affondati in bocca di Lido, Dovranno essere perfettamente allineati tra loro (la tolleranza è di qualche millimetro) per far passare cavi e comandi elettrici, ossigeno e meccanismi di controllo. E per impedire movimenti non controllati del sistema. Nei prossimi mesi toccherà anche a Malamocco. Secondo il Consorzio il Mose dovrebbe essere ultimato nel 2017. (a.v.)

 

Gazzettino – Pronti nuovi avvisi di garanzia

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20

giu

2014

Da Venezia gli atti su alcuni politici verranno spediti a Roma per competenza

NEL MIRINO – Fondi ai Democratici, in tre chiamano in causa il deputato Davide Zoggia

NEL 2009 – L’asse Brentan-Marchese per raccogliere fondi in campagna elettorale

Pronti nuovi avvisi di garanzia

Il prossimo del Pd è Davide Zoggia. Che fa parte del mazzo dei deputati e senatori, di ministri e sottosegretari che sono finiti in qualche modo nelle carte dell’inchiesta sul Mose. Si sa di Altero Matteoli, si è scritto di Gianni Letta, si è parlato dei 500 mila euro dati all’ex deputato del Pdl Marco Milanese, braccio destro e sinistro del ministro Giulio Tremonti. Poi del ministro Pietro Lunardi e del fatto che ci sono una dozzina di milioni di euro che sono finiti nelle casse dei politici romani. Ora, man mano che l’inchiesta va avanti si preciseranno le responsabilità – forse solo politiche per alcuni di loro – di ognuno ed è ovvio che la Procura veneziana si limiterà a trattare i casi “nazionali” che sono interessanti per gli sviluppi veneziani, mentre spedirà tutto il malloppo sulla corruzione romana nella capitale. Ma prima di inviare gli atti a Roma alcuni politici anche di altissimo rango a giorni riceveranno l’avviso di garanzia proprio da Venezia, prima che la Procura si liberi, per problemi di competenza territoriale, di una parte dell’inchiesta, così come si libererà della parte relativa all’Expo di Milano. E, dunque, a Venezia si sta procedendo a mettere a fuoco altri passaggi e altre figure. Sul fronte del Partito democratico si sta accendendo un riflettore sulla posizione di Davide Zoggia. Lo chiamano in causa in tre: Pio Savioli, Lino Brentan per due volte e Giorgio Orsoni. In più il suo nome figura in un verbale secretato di un altro indagato. Quanto basta per costringere il deputato del Pd, ex presidente della Provincia di Venezia, nominato da Pierluigi Bersani coordinatore per il partito degli Enti locali ad andare oltre un «nego tutto».
Zoggia si è appena dimesso dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera perchè non vuole trovarsi a decidere sull’arresto di Giancarlo Galan, l’ex governatore del Veneto indicato come uno stipendiato del Consorzio venezia Nuova. Ma non è detto che ce la faccia a riprendere il suo posto perchè la Giunta della Camera potrebbe essere chiamata a decidere proprio su di lui. Del resto un avviso di garanzia a questo punto è un atto dovuto anche per dare a Zoggia la possibilità di difendersi e di spiegare come sia possibile che il suo nome sia saltato fuori da tre bocche diverse. Vediamo chi lo chiama in causa. Iniziamo con il suo compagno di partito, Lino Brentan, ex amministratore delegato della Venezia-Padova, che aveva già parlato di Zoggia due anni fa, al momento del primo arresto. Brentan, nominato Cavaliere della Repubblica da Giorgio Napolitano, racconta ai magistrati di una cena al ristorante Stella di Lova, nella primavera del 2009. «Hanno raccolto dei fondi, li hanno messi in una busta, me li hanno consegnati a me e io, senza uscire dal locale li ho consegnati alla persona che era incaricata di seguire come responsabile della campagna elettorale di Zoggia (…) Piero Marchese». Non è l’unica volta che Brentan consegna fondi a Marchese, nell’ultimo interrogatorio infatti Brentan ha parlato di altri 12mila euro. Passiamo a Pio Savioli, l’uomo delle coop. rosse: dice di non saperne niente di fondi erogati a Zoggia. Ma poi, sotto pressione, sbotta: «Se si tratta di Zoggia, che non posso soffrire, no, siccome lo odio, va bene così? Siccome Zoggia mi sta sulle palle, proprio io di avere dato 40mila euro a Zoggia non mi ricordo, li avrà decisi il Coveco e li avranno messi in conto qua, scusi. A Reolon l0mila, questo sì mi pare di ricordare.» Reolon è Sergio Reolon, consigliere regionale del Pd che ha avuto un momento di gloria ai tempi del Pci perchè, dopo una elezione che non era andata per il verso giusto, se ne uscì con un «è andata male, ma la prossima volta potrebbe andare peggio».
E fa due. Poi c’è l’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni: «I miei interlocutori nel Partito democratico erano sostanzialmente il segretario che era Mognato; poi attorno a questo c’erano un po’ tutti, diciamo, in particolare Zoggia, che era tra l’altro il delegato agli enti locali a livello nazionale». Secondo l’ex sindaco di Venezia, era proprio Zoggia ad insistere per avere finanziamenti da Mazzacurati.

 

VENEZIA «Sorpresi e amareggiati» i difensori per il diniego della Procura alle dichiarazioni spontanee dell’ex governatore

«Galan ha diritto a presentarsi»

VENEZIA «Siamo sorpresi e amareggiati per quello che, di fatto, è un diniego da parte della Procura alla presentazione spontanea dell’onorevole Giancarlo Galan, che secondo noi costituisce un diritto dell’indagato». Antonio Franchini e Niccolò Ghedini, difensori dell’ex ministro ed ex governatore del Veneto hanno dovuto incassare quel fax, spedito l’altra mattina dal palazzo di giustizia di Piazzale Roma, che chiude la porta – per il momento – all’audizione dell’illustre indagato di corruzione.
Secondo gli avvocati, l’articolo 374 del Codice di procedura penale che prevede la presentazione spontanea dovrebbe quasi automaticamente portare alla deposizione. Di diverso avviso la Procura (foprte di una sentenza della Cassazione) che ha gelato Galan, desideroso di spiegare e chiarire ai magistrati la sua posizione prima che la Giunta della Camera decida se dar corso o meno al suo arresto. I Pm hanno redatto un provvedimento, scrivendo che Galan potrà essere sentito più avanti nel tempo, essendo in corso l’indagine preliminare e quindi l’acquisizione di nuovi elementi. E lo hanno invitato, se lo riterrà, a presentare una memoria scritta, in sostituzione delle dichiarazioni, senza contraddittorio, che l’ex governatore era pronto a rilasciare. Sicuramente Galan preparerà una memoria per la Giunta della Camera dove verrà sentito il 25 giugno. I suoi legali stanno valutando se predisporre un documento simile anche per i Pm veneziani.
Nel braccio di ferro tra accusatori e accusato è ormai evidente che i primi puntino a interrogare Galan nella condizione, piuttosto scomoda, di detenuto, se la Camerà darà corso al provvedimento. Per quel momento potrebbero avere in saccoccia qualche nuova dichiarazione dei coindagati, rafforzando soprattutto l’attendibilità di chi accusa Galan di aver intascato alcuni milioni di euro.

Giuseppe Pietrobelli

 

Molto vicina a Matteoli un’impresa “virtuale”

ROMA – La Socostramo di Erasmo Cinque, un costruttore romano «che è stato consigliere del ministro Altero Matteoli», indagato nell’inchiesta sul presunto scandalo del Mose, sarebbe stata una sorta di «impresa virtuale» che avrebbe operato «attraverso un fitto trading di partecipazioni in importanti consorzi per realizzare opere pubbliche in Veneto, Lazio e Lombardia».
Lo scrive “L’Espresso” secondo cui dagli atti dell’inchiesta emerge che nell’area di Venezia l’imprenditore Cinque «ha ceduto alla Mantovani di Romeo Chiarotto e Piergiorgio Baita la sua quota nei consorzi La Quado, Fagos e Talea ricavando oltre 15 milioni di euro da attività che risultavano bloccate per il blocco dei finanziamenti statali». Ricostruiti anche lgi interessi di Cinque in Lazio e Lombardia.

 

Nel portafoglio Expo 2015 e A4

Il Consorzio Veneto Cooperative, 106 imprese associate e 548 milioni di lavori, è al centro
del sistema-tangenti che ruotava intorno al Mose. Via il cda presieduto dall’arrestato Morbiolo

 

I misteri del colosso “rosso”. Azzerato il vertice Coveco

Doveva essere un anno speciale, il 2014, quello del sessantennale dalla fondazione: invece verrà ricordato come l’annus horribilis, che passerà alla storia per l’arresto del presidente Franco Morbiolo, e di un componente del direttivo, Nicola Falconi, coinvolti nello scandalo delle tangenti legate al Mose. Ed è così che un colosso che associa 106 imprese, dà lavoro a migliaia di persone, ha appalti in tutta Italia, che nel 2012 ha partecipato a 630 gare per un portafoglio di 548 milioni e mezzo di euro, rischia di trovarsi a terra.
Stiamo parlando del Coveco, Consorzio Veneto Cooperativo (con sede legale in via Ulloa a Marghera e sedi commerciali a San Giorgio Canavese, Udine e Sesto San Giovanni), con Mantovani uno dei soci pesanti del Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico per la costruzione del Mose, e fra i soggetti più rilevanti all’interno della Lega Coop Veneto.
Coveco risulta presente in quasi tutte le grandi opere pubbliche degli ultimi anni, dal Mose alla realizzazione della Terza corsia dell’A4 nel tratto Ve-Trieste. E non si è fatto sfuggire nemmeno l’Expo 2015, dove con Mantovani è impegnata nella costruzione della piastra espositiva (costo 165 milioni di euro) e con Italiana Costruzioni e Cellini Gtc (costo 29 milioni) anche in quella di Palazzo Italia. Specializzato nella progettazione ed esecuzione di edifici civili, strade, autostrade, ponti, viadotti, ferrovie, metropolitane, opere marittime, dragaggi, reti idriche e fognarie, dallo scorso 4 giugno, l’immagine di Coveco sprofonda nelle acque del malaffare, additato come uno dei centri erogatori di mazzette attraverso l’oliato sistema di sovrafatturazioni e “retrocessioni” finalizzato alla creazione di fondi neri.
Un colpo duro, durissimo all’universo cooperativistico non solo locale, visto che venerdì scorso la questione è stata affrontata alla presenza del presidente veneto Adriano Rizzi e del direttore Franco Mognato (fratello di Michele, deputato Pd, ex segretario provinciale del partito) ma anche di quello nazionale, Mauro Lusetti, subentrato da poco più di un mese a Giuliano Poletti, chiamato da Matteo Renzi a ricoprire la carica di ministro del Lavoro. I primi atti concreti sono stati l’azzeramento del consiglio di amministrazione di Coveco, guidato appunto da Morbiolo, che faceva parte anche della presidenza della stessa Lega Coop Veneto, e fra i cui membri figurava pure Falconi.
Nomi, quelli di Morbiolo, 59 anni di Cona e di Falconi 52 anni del Lido, che figurano fra i 35 destinatari delle ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip di Venezia Alberto Scaramuzza, che li accusa di finanziamento illecito ai partiti. A preoccupare i vertici di Lega Coop Veneto, esito delle vicende giudiziarie a parte, sono soprattutto le ricadute occupazionali e il futuro al di là degli appalti in essere. Per questo ora si sta cercando di correre ai ripari tentando di formare una squadra di dirigenti in grado di traghettare Coveco fuori dalla palude. I pm Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini contestano a Morbiolo, ad esempio i contributi “in bianco” all’ex consigliere regionale Pd Giampietro Marchese e all’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni: soldi formalmente arrivati da consorziate, ma in realtà poi restituite dal Cvn attraverso false fatture per prestazioni inesistenti, quindi illegali. Stesso discorso per la “parcella” da 200mila euro saldata all’ex segretario regionale della Sanità, Giancarlo Ruscitti. Ed è sempre Morbiolo, suo malgrado, intercettato nel proprio ufficio dalla Guardia di Finanza, a diventare una pedina determinante nell’arresto per turbativa d’asta, avvenuto il 13 luglio 2013, di Giovanni Mazzacurati, il padre-padrone di Cvn, diventato uno dei grandi accusatori (insieme a Piergiorgio Baita ex amministratore delegato di Mantovani finito in cella tre mesi e mezzo prima anche con Pio Savioli, consigliere Cvn e consulente Coveco), della tangentopoli Serenissima, da lui stesso alimentata.

 

COLLEGAMENTI – Il gruppo, socio forte del Cvn, è partner di Mantovani anche nei lavori dell’Expo

Il Mose non si ferma. Il Consorzio Venezia Nuova prosegue nel cronoprogramma che dovrebbe vedere le dighe mobili terminate entro il 2016.
Ieri è stata la volta del varo del primo cassone alla bocca di porto di Malamocco, una delle tre aperture tra la laguna e il mare. Nel pomeriggio ha preso il via l’operazione di “affondamento” della struttura che, assieme ad altri 8 moduli uguali, costituirà gli alloggiamenti per le paratoie della barriera. La possa dei cassoni è già stata terminata alla bocca del Lido, ed è iniziata anche in quella di Chioggia.

 

Crialese, divieto di dimora in Veneto

Gli avvocati Fabrizio Lemme ed Alberto Bianchi, difensori di Corrado Crialese, per quanto riguarda l’articolo pubblicato ieri precisano che il Tribunale del Riesame di Venezia ha modificato l’Ordinanza del Gip sostituendo la misura cautelare degli arresti domiciliari con quella del divieto di dimora in Veneto. Il professor Crialese dunque non è più agli arresti domiciliari.

 

Acquisiti documenti del primo lotto dove sono impegnate Mantovani, Coveco e Socostramo, coinvolte nell’inchiesta Mose. La società: «Controlli di routine»

La Finanza fa visita ad Autovie per i lavori della terza corsia

È un periodo di superlavoro per le Fiamme Gialle. Dopo la megainchiesta sul Mose di Venezia, i militari hanno bussato alle porte della base operativa dei cantieri per l’allargamento dell’A4 Venezia – Trieste per acquisire documenti. I lavori (valore d’appalto 427 milioni e 400mila euro per 18 chilometri), che interessano la tratta Quarto d’Altino-San Donà gestita da Autovie Venete, sono in appalto a una cordata composta da Impregilo, Mantovani, Co.ve.co, So.co.stra.mo, Carron e sono stati completati al 70 per cento.
Questa attività investigativa, in base alle prime indiscrezioni, sarebbe da collegare in qualche modo agli sviluppi dell’inchiesta legata allo scandalo del Mose, la cui portata si sta allargando a tutte le grandi opere pubbliche del Veneto. Il denominatore comune tra il Mose e un nuovo possibile filone sarebbe rappresentato proprio dalla presenza importante della Mantovani Spa, le cui attività sono state e sono tuttora passate al setaccio per distinguere gli appalti sani da quelli in cui si sarebbero “unti” gli ingranaggi per passare avanti a insidiosi concorrenti durante la gestione di Piergiorgio Baita. Ma anche il Coveco e la Socostramo sono coinvolte, a diverso titolo, nell’inchiesta.
Dal palazzo di Giustizia veneziano non arrivano però conferme, ma solamente un silenzio che non conferma e non smentisce nulla. La smentita arriva invece dalla sede di Trieste di Autovie, il cui amministratore delegato Maurizio Castagna precisa che si tratta di controlli legati ad un’attività di routine in base agli accordi stretti con le prefetture interessate dall’opera per scongiurare in via preventiva eventuali infiltrazioni malavitose negli appalti di un certo peso. La documentazione richiesta riguarderebbe soprattutto contratti e autorizzazioni relativi ai lavori dati in subappalto.
«La Guardia di Finanza – ha spiegato Castagna in una nota – che fa parte del Gruppo Interforze costituito per contrastare l’illegalità ha acquisito documenti riguardante esclusivamente il primo lotto, peraltro richiesta proprio dalla Dia. Questo perché – ha ricordato – a suo tempo è stato sottoscritto un protocollo di legalità con lo scopo di prevenire i tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata nel settore dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture». La società conclude la nota ribadendo la “totale disponibilità a collaborare con l’azione della magistratura”.
I lavori alla terza corsia sono partiti nel dicembre 2011, con l’allora presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Renzo Tondo, nelle vesti di commissario. Dopo le regionali dello scorso anno, Debora Serracchiani è subentrata nell’incarico. Per la parte veneta, il subcommissario è stato Silvano Vernizzi, di Veneto Strade, che si è dimesso a gennaio e non è stato ancora sostituito.

 

Il Mose non si ferma. Posato ieri il primo cassone alla bocca di Malamocco

Coveco, Consorzio veneto cooperativo, sede legale Marghera. Anno di fondazione 1954. Base sociale costituita da 106 società. È aderente a Lega Coop Veneto. Portafoglio lavori 548 milioni di euro, da eseguire 316 milioni. I dati sono relativi al 31 dicembre 2012 quando il bilancio chiuse con un utile netto di 30.552 euro. Attualmente Coveco è impegnato all’Expo 2015, Mose di Venezia e terza corsia dell’A4 Ve-Ts.

 

MOSE – Nuovi cassoni a Malamocco e Chioggia. Intanto Caccia attacca il presidente Fabris.

L’operazione di “affondamento” non ha avuto intoppi. E tutto si è concluso nei tempi previsti. Il primo cassone della barriera del Mose alla bocca di porto di Malamocco è stato sistemato sul fondale. Intanto il Consorzio Venezia Nuova fa sapere che da questa sera, alle 22 si procederà alla posa dei cassoni alla bocca di porto di Chioggia che rimarrà chiusa al transito marittimo fino alle 11 di domenica prossima, quindi per 37 ore continuate, secondo un’ordinanza stabilita dalla Capitaneria di Porto. Intanto per quel che riguarda la conca di Malamocco, ieri si è tenuta una conferenza di servizi nella sede dell’Autorità portuale per le misure necessarie al transito delle navi. E in questo clima il consigliere comunale di “In Comune”, Beppe Caccia polemizza con le recenti dichiarazioni del presidente del Consorzio Venezia Nuova, Mauro Fabris, dopo l’incontro con il governo. «La lettera del presidente del Consorzio Venezia Nuova Mauro Fabris al presidente del Consiglio Matteo Renzi è una delle cose più indecenti che si siano viste nelle ultime due settimane. Innanzitutto per la posizione personale del mittente, cui andrebbe suggerito un più sobrio silenzio. Invece di pretendere garanzie dal Governo, Fabris dovrebbe dare un bel po’ di spiegazioni sui rapporti intrattenuti negli ultimi vent’anni con la cricca che guidava il Consorzio. Dovrebbe immediatamente rendere pubblico il contratto di “consulenza strategica” – di cui ha parlato l’ing. Piergiorgio Baita – che Fabris avrebbe ottenuto per sé dallo stesso Consorzio e spiegarci se il contratto era valido e retribuito anche per gli anni in cui si trovava a ricoprire il delicato incarico di sottosegretario ai Lavori Pubblici. In secondo luogo, per l’arroganza con cui pretenderebbe di salvare, insieme a se stesso, tutto il “sistema”, quello della concessione unica dello Stato per le opere di salvaguardia che ha regalato il monopolio su queste al pool di imprese private del Consorzio. Terzo per la volontà di sottrarre i cantieri delle dighe mobili a qualsiasi verifica rigorosa, autorevole e indipendente, sulla sicurezza dell’opera in via di realizzazione».

 

l’inchiesta – Cuccioletta: Mazzacurati sceglieva i collaudatori

Cuccioletta: «I collaudatori? Li sceglieva Mazzacurati»

Sistema Mose, l’ex presidente del Magistrato alle acque: «Ero imbarazzato, ma accettai 200 mila euro all’anno e la promessa di alcuni milioni». Intanto agli arresti domiciliari Sutto, Neri e Boscolo Bacheto

VENEZIA L’ex presidente del Magistrato alle acque Patrizio Cuccioletta parla e non solo dei soldi che ha incassato, ma anche di come il Consorzio Venezia Nuova faceva il bello e il cattivo tempo negli uffici del Palazzo dei X Savi dove avrebbe dovuto comandare lui e, soprattutto, chiarisce ai pubblici ministeri Stefano Ancilotto e Stefano Buccino, che lo hanno a lungo interrogato lunedì, che i collaudatori del Mose, «erano quasi sempre scelti da Giovanni Mazzacurati: in realtà le nomine le facevo io ma su indicazione e pressione di Mazzacurati con alla fine un’effettiva coincidenza tra il soggetto controllato e colui che nominava il collaudatore; una delle ragioni di tali nomine era il fatto che da tali persone dipendeva o, comunque, anche da loro, la continuità dei finanziamenti dal Consorzio » si legge nel verbale depositato ieri dal rappresentante della Procura ai giudici del Tribunale del riesame e agli avvocati della difesa (da sottolineare che i collaudatori del Mose in questi anni si sono messi in tasca ben 26 milioni di euro). E nel tardo pomeriggio di ieri, il presidente del Tribunale Angelo Risi, dopo che per un’intera giornata le parti avevano discusso i ricorsi ha depositato in cancelleria i dispositivi grazie ai quali entrambi gli stretti collaboratori di Mazzacurati Federico Sutto, difeso dall’avvocato Gianni Morrone, e Luciano Neri, difeso dall’avvocato Tommaso Bortoluzzi, sono usciti dal carcere per andare agli arresti domiciliari, come l’imprenditore chioggiotto Stefano Boscolo Bacheto, difeso dall’avvocato Antonio Franchini, mentre per l’avvocato romano Corrado Crialese, che era agli arresti domiciliari, è stato firmato il provvedimento che gli proibisce il divieto di dimora nel territorio della regione Veneto. Infine, l’imprenditore romano di «Condotte d’acqua » Stefano Tomarelli resta in carcere. Le motivazioni di queste decisioni si potranno conoscere tra alcuni giorni e la prossima udienza davanti al Tribunale del riesame è prevista per lunedì 23 giugno. Nei verbali dell’interrogatorio di Cuccioletta depositati dai pubblici ministeri ci sono numerosi omissis, nascondono quelle persone e quegli appalti sui quali gli inquirenti dovranno indagare ancora e proprio per questo devono rimanere coperti nomi e circostanze. «Quando tornai a Venezia nel 2008 a ricoprire il ruolo di presidente del Magistrato alle acque (c’era già stato per altri tre anni prima che fosse nominata a quel posto Maria Giovanna Piva)», riferisce Cuccioletta ai due magistrati veneziani, «l’ingegnere Mazzacurati mi disse che mi avrebbe corrisposto una somma di circa 200 mila euro all’anno e che alla fine del mio mandato mi avrebbe consegnato un riconoscimento ammontante ad alcuni milioni di euro. Io, imbarazzato accettai, e sin da subito iniziai a ricevere un paio di consegne di denaro all’anno effettuate dai suoi più stretti collaboratori. Ricordo in particolare che presso la mia abitazione si recarono tre volte il signor Neri tra il 2008 e il 2009 e successivamente il dottor Sutto tra il 2010 e il 2011, portandomi in contanti le somme promesse». «Corrisponde al vero il fatto che all’interno del Magistrato alle acque lavorassero dipendenti del Consorzio» conferma Cuccioletta, dopo che ne avevano già parlato Mazzacurati e Savioli. Infine, l’ex presidente inguaia chi l’aveva preceduto in quella carica, anche se Maria Giovanna Piva è finita anche lei già in carcere con la stessa accusa, quella di corruzione. Cuccioletta, infatti, sostiene di aver avuto il sentore che anche lei percepiva consistenti tangenti da Mazzacurati.

Giorgio Cecchetti

 

Il consorzio un nido di vipere, pagavano solo Baita e Coveco

L’interrogatorio di Mazzacurati svela il ruolo di Letta, Mazzi e lo scontro fra aziende

«La Technital pratica prezzi assurdi». «Lo sponsor politico di Cinque era Matteoli»

VENEZIA Il 29 luglio 2013, nel secondo interrogatorio dopo l’arresto, l’ingegner Giovanni Mazzacurati comincia a dipanare l’ingarbugliata matassa dei rapporti tra le imprese del Consorzio Venezia Nuova. È lo spaccato di un nido di vipere. Incalzato dai pm Paola Tonini e Stefano Ancilotto, Mazzacurati fa emergere il ruolo di Gianni Letta, la cui amicizia con Mazzi esonera l’impresa veronese dal pagamento delle tangenti. Fatto che fa imbufalire Baita. In compenso tutti devono passare sotto le forche caudine di Technital, studio di progettazione che impone «prezzi assurdi ». Per non parlare dell’impresa di Erasmo Cinque, un romano che rinvia ad Altero Matteoli, in Ati con Mantovani nella bonifica di Porto Marghera e nell’Expo. Ha il 5% ma non fa nulla. Incassa e basta.
R. La prima persona di cui voglio parlare è il dottor Gianni Letta. Mi ha portato da lui il presidente Galan. Poi Letta mi ha portato da Berlusconi. Ho avuto moltissime richieste da lui ma nessuna essenziale.
D. Cosa intende per richiesta essenziale?
R. Che comportassero dazioni di denaro. Mi chiese se potevo risolvere un problema all’ingegner Lunardi condannato a risarcire un milione e mezzo di euro. L’idea di Letta era di dargli un incarico che comportasse il pagamento. L’opera era la circonvallazione di Cortina: Baita aveva pensato di farne un project e si accordò con Lunardi sulla parcella.
D. Come raccoglievate i soldi?
R. Gli importi erano molto diversi. Per esempio Mazzi, all’inizio pagava poi nel 2003 ha smesso con le rimesse.
D. Perché a lui è stato consentito di smettere?
R. Diceva che non voleva correre rischi, che non aveva bisogno di altri soldi o di favori.
D. Ingegnere, quando Baita ha acquistato la quota di Impregilo nel Consorzio, lei gli ha fatto un discorso molto chiaro: c’è un accordo che dovrai rispettare, per ogni tipo di lavoro che fai devi retrocedere una certa somma. La cosa non era lasciato al buon cuore.
R. È vero… Alla fine noi prendevamo soldi solo da Baita e dal Coveco.
D. Sa se Baita e Mazzi si conoscevano?
R. Si conoscevano benissimo, però non avevano buoni rapporti. Si parlavano nel direttivo del Consorzio.
D. Avrà avuto il sospetto che si controllassero l’un l’altro.
R. Certo, Baita voleva sapere come mai Mazzi non tirava fuori i soldi.
D. Non sa se Mazzi era particolarmente legato a qualche politico e per questo poteva permettersi di non pagare?
R. Può darsi. Mazzi è una vecchia impresa, ho un ottimo rapporto con loro…
D. Lei sa se Mazzi conosce il dottor Gianni Letta?
R. Sì, molto bene.
D. La famiglia Mazzi controlla Technital?
R. La famiglia Mazzi è padrona di Technital, anche se non ufficialmente, c’è un sistema di scatole cinesi.
D. I soci del Consorzio si sono mai lamentati di Technital?
R. Continuamente. Technital è una società di ingegneria molto buona, però ha dei prezzi assurdi.
D. Costi che tutti definiscono fuori da ogni logica di mercato. Lei come rispondeva?
R. Sono intervenuto ma il vecchio Mazzi si sentiva legittimato a fare così perché si riteneva un po’ il fondatore del Consorzio.
D. Non ha mai pensato di proporre ai soci di rivolgersi ad altri progettisti?
R. Sì,ma ad un certo punto è prevalsa la necessità di finire in fretta la progettazione.
D. Lei ha detto che quando ha un problema va a Roma da Gianni Letta.
R. Sì, vado da Gianni Letta.
D. Poi dice che c’è un rapport di quasi amicizia tra la famiglia Mazzi e Gianni Letta.
R. Senza quasi.
D. Dopo di che dice che alcune imprese del Consorzio restituiscono una percentuale significativa in relazione ai lavori svolti, ma la società Technital nonostante abbia avuto dei pagamenti…
R. Non ha mai dato una lira.
D. Gli altri soci una spiegazione ce l’hanno e molto precisa. Lei non coglie il nesso? Noi abbiamo sentito e ascoltato…
R. Gente inferocita.
D. L’ingegner Baita dice che lo consideravano un bancomat: c’era un’emergenza e lui anticipava….
R. Devo ammettere che il peso di Mazzi è molto superiore a quello di Mantovani , non per la quota ma probabilmente dovuto alle amicizie e ai rapporti… Poi c’era Erasmo Cinque, entrato nel Consorzio aggregandosi a Matteoli. Un personaggio discutibile, titolare della Socostramo, che ha stretto un legame molo solido con Baita. Non ha un’impresa, fa solo affari di compravendita, come fosse un’azienda commerciale. Baita e Cinque hanno molti interessi in comune, per esempio i lavori a Milano..
D. L’Expo?
R. Baita ha preso l’Expo con un fortissimo ribasso, ma è un lotto strategico per cui ha un po’ in mano la situazione. Il rapporto con Cinque è molto importante per Baita. Io non ho molta stima di Cinque… mentre, nonostante non sempre andiamo d’accordo, riconosco a Baita capacità importanti.
D. Chi fa i lavori di bonifica a Marghera?
R. Fa tutto Baita, dall’ideazione all’esecuzione. È un tecnico molto bravo.
D. Perché allora si rapporta con questo Cinque, se è come dice lei?
R. Non lo so.
D. Scusi, chi è lo sponsor politico di Cinque?
R. Matteoli.
D. I lavori di bonifica di Marghera da che ministero sono stati pagati?
R. Dal ministero dell’Ambiente.
D. Il cui ministro all’epoca era…?
R. Era coso, sì.. . Matteoli. Sì, però sono stati pagati dalle Infrastrutture, con l’influenza del ministero dell’Ambiente, è vero.
D. Lei sa che nell’Ati Mantovani- Cinque, Socostromo ha il 5%.Ma ha fatto lavori per il 5% o per zero?
R. Lì nessuno tiene i conti…
D. Quindi è un 5% pagato a Socostramo, che è Erasmo Cinque, il cui referente è Matteoli. Nel resto d’Italia i soldi per le bonifiche vengono dati con gara d’appalto pubblica, qui a Marghera viene evitata la gara d’appalto dandoli al concessionario unico. È esatto?
R. Esatto.
D. Concessionario unico che poi affida i lavori a Mantovani, è esatto?
R. Esatto.
D. Mantovani che si prende in Ati un socio per l’esecuzione, il quale non fa nessun lavoro. È esatto?
R. Assolutamente.

Renzo Mazzaro

 

Claudia Minutillo: «Eravamo onnipotenti il sistema mazzette ci sembrava normale»

«Eravamo onnipotenti, far girare le tangenti ci sembrava normale, il sistema, le mazzette, le buste con i soldi, ci sembrava una cosa normale». Lo afferma Claudia Minutillo (nella foto) in una intervista a Fabio Tonacci de «la Repubblica»: l’ex segretaria di Giancarlo Galan, già presidente della Regione Veneto, finita sotto inchiesta per le tangenti legate al Mose ha confermato quanto dichiarato ai magistrati nel suo interrogatorio. E aggiunge: «Siamo immersi in un sistema di corruttela troppo strutturato, troppo consolidato, nella pubblica amministrazione e nella magistratura, nella corte dei Conti e nei Tar fino anche al Consiglio di Stato e ovunque funziona così. Se vuoi i lavori pubblici devi fare queste cose. Tant’è che i ricorsi per le gare li vinceva chi pagava di più». Alla domanda su come si sente oggi, Claudia Minutillo risponde: «Né vittima né carnefice, sono uno dei tanti ingranaggi». L’ex segretaria di Galan è stata arrestata il 28 febbraio 2013 e dopo un lungo silenzio ha deciso di raccontare tutto il sistema ed ha patteggiato i suo conto con la giustizia. «Ci sentivamo onnipotenti, sì ma non sono una ‘tangentara’, nè la dark lady descritta dai giornali, concentrati solo su dettagli stupidi e privati. Sono stata trattata in modo sessista dai media, solo perché sono una donna. Avevo potere solo perché Galan mi usava come filtro, dovevano tutti passare da me per avere un appuntamento . Poco prima di andarmene mi ero accorta di un certo andazzo», dice a proposito dei rapporti fra Galan, Baita e il Consorzio Venezia, «ma non posso entrare nei dettagli, c’è un’indagine in corso». L’arresto è stato per lei una «liberazione: sapevamo da tempo di essere indagati, ce lo aveva detto Baita».

 

«Stop a Consorzio e concessione unica»

Italia Nostra a Roma chiede anche una commissione che valuti i lavori sulle dighe mobili

VENEZIA Lo scioglimento del Consorzio Venezia Nuova e la fine del concessionario unico per le opere di salvaguardia in laguna. Una moratoria dei cantieri in corso. La nomina di una commissione d’indagine di esperti «terzi» che valuti lo stato effettivo dei lavori del Mose e anche il modo in cui essa sta venendo realizzata, esaminando anche le possibili criticità – dal funzionamento delle cerniere all’uso dei materiali – già emerse in alcune occasioni. Perché il sospetto è che se numerose irregolarità sono state commesse nell’uso dei fondi per la realizzazione dell’opera – come sta accertando l’inchiesta in corso della Procura veneziana – questo possa essere avvenuto anche per quanto riguarda aspetti tecnici e uso dei materiali legati al progetto di dighe mobili. È quanto chiede al Governo la sezione veneziana di Italia Nostra che ha convocato ieri a Roma un incontro-stampa sul tema «Mose, malaffare, che fare? », proprio per fare il punto della situazione dal fronte dell’associazione ambientalista che da anni si batte contro la realizzazione dell’opera. Era presente il presidente Lidia Fersuoch, il consigliere Cristiano Gasparetto ed esperti come Andreina Zitelli, Luigi D’Alpaos e Armando Danella, che da anni seguono la questione Mose. Perplessità sono state invece espresse da Italia Nostra riguardo allo scioglimento del Magistrato alle Acque disposto dal Governo dopo l’inchiesta Mose, perché uomini e strutture che lo componevano sono rimasti gli stessi, assegnato al Provveditorato alle Opere Pubbliche, mentre è sull’organizzazione del lavoro e non sulla soppressione di un’antica istituzione che andrebbero accesi i fari. Per quanto riguarda inoltre la gestione della laguna e del suo territorio, si chiede inoltre il passaggio di competenze dal Ministero delle Infrastrutture e quelli dei Beni Culturali e dell’Ambiente e un ruolo riconosciuto del Comune di Venezia e degli altri Comuni di gronda nella gestione delle opere che li riguardano. Chiesta anche una revisione del progetto Mose, che non garantisce la reversibilità prevista dalla legge. Annunciata anche la presentazione di un esposto alla Corte dei Conti per danno erariale e sottolineato come l’Unesco,, nel convegno mondiale in corso a Doha abbia dato allo Stato italiano tempo fino al 2016 per risolvere le criticità di Venezia: dal passaggio delle grandi navi in laguna ai flussi turistici incontrollati. (e.t.)

 

Mose, Fabris a Renzi: «Disposti a tagli, ma no a commissariamenti»

VENEZIA. Il Consorzio Venezia Nuova è «disponibile a porre in essere tutte le attività necessarie» per portare a termine il Mose, ma ha dato parere negativo all’ipotesi di un commissariamento della struttura. Lo afferma il presidente del Cvn, Mauro Fabris, che ha scritto al premier Matteo Renzi una lettera in questo senso. «Fin dal primo momento in cui, la scorsa estate, la nuova governance del Cvn si è insediata, producendo necessaria discontinuità con il passato – afferma Fabris – ci siamo posti il problema di un profondo rinnovamento, con il nuovo direttivo che ha dato ampio mandato al nuovo direttore Hermes Redi di procedere a una complessiva riorganizzazione del Consorzio». Fabris ricorda la recente convocazione a un tavolo di confronto con il Governo presso il Ministero delle Infrastrutture «per discutere quali opportune iniziative intraprendere, come l’eventuale rinnovo della governance e la possibile ulteriore riduzione dei costi finali dell’opera, oltre ad ogni altra attività che si renderà necessaria per mettere a riparo il Mose dalle conseguenze delle inchieste in corso. Abbiamo preso impegno di formulare una proposta, che presenteremo nei prossimi giorni. Allora, alla domanda se fosse intenzione del Governo prendere in considerazione l’ipotesi di commissariamento, la risposta è stata negativa. Ciò detto – conclude Fabris – ci rimetteremo alle decisioni del Governo».

 

Galan: il 25 giugno la mia difesa

Il deputato di Fi si presenterà in Giunta per l’autorizzazione a procedere

ROMA Scandalo Mose: Giancarlo Galan, deputato di Forza Italia, ex ministro della Cultura e governatore del Veneto dal 1995 al 2010, sarà ascoltato il 25 giugno dalla Giunta delle autorizzazioni della Camera dei deputati, chiamata a decidere sulla richiesta di arresto formulata dalla Procura di Venezia nei confronti dell’ex ministro. La conferma arriva dal presidente Ignazio La Russa (FdI) e da Mariano Rabino (Sc) relatore del caso: «Abbiamo preso atto che Galan intende presentarsi in Giunta mercoledì prossimo alle ore 13 ed esercitare il suo diritto alla difesa. In questi giorni si procede nell’analisi della documentazione pervenuta a tutti i colleghi», spiega Mariano Rabino (Sc). «La documentazione è stata davvero utile, è una inondazione di documenti perché tutte queste informative della polizia giudiziaria, i verbali degli interrogatori e delle intercettazioni sono spesso conferma documentale di ciò che è evocato nell’ordinanza del Gip. Finora la Giunta delle autorizzazioni a procedere è venuta a conoscenza di una parte nel caso esaminato, cioè l’accusa rappresentata dalla procura della Repubblica di Venezia. Spetterà ora al deputato azzurro dimostrare che da parte dei magistrati ci sia fumus persecutionis nei suoi confronti » conclude Rabino. David Ermini, avvocato e deputato di Firenze del Pd, ritiene che ci siano le condizioni per arrivare al voto entro il 4 luglio per consentire poi alla Camera di votare l’autorizzazione a procedere prima delle ferie di agosto. Anzi, a sentire il presidente La Russa, l’assemblea di Montecitorio si può esprimere il giorno dopo il voto della Giunta, dipende solo dall’ordine del giorno deciso dalla presidenza dell’Aula. Insomma, non si sta perdendo tempo. «Stiamo seguendo lo stesso iter che ha portato all’arresto di Genovese, è evidente che il gruppo Pd darà un’indicazione di voto a favore della richiesta di custodia cautelare di Galan, ma il nostro ruolo non è quello di istruire un processo parallelo ma di valutare se esiste o meno il fumus persecutionis. A giudicare dalla relazione fatta in aula dal collega Rabino mi pare ci siano tutte le condizioni per dare il via libera alla richiesta del Gip di Venezia, nel rispetto dei 30 giorni previsti dal regolamento. Sto leggendo come tutti i miei colleghi i documenti ricevuti dalla Procura e sono profondamente amareggiato, deluso e disgustato da quanto emerge dall’inchiesta del Mose», conclude Ermini. Ieri in Giunta ha «debuttato» Laura Garavini al posto di Davide Zoggia: il deputato veneziano ha fatto un passo indietro per evitare gli evidenti «conflitti di interessi» legati al caso Mose. Quanto all’onorevole Galan, sta ultimando le due memorie difensive: una da depositare in Giunta prima della sua audizione e l’altra in procura a Venezia. Al momento, riferiscono i suoi legali, i magistrati veneti non hanno ancora fissato una data per la deposizione, richiesta dallo stesso Galan.

 

Mose, altri tre ai domiciliari

Lasciano il carcere dopo quindici giorni Sutto, Neri e Boscolo Bacheto

Inchiesta sulle tangenti per il Mose, il Tribunale del Riesame ha disposto gli arresti domiciliari per Federico Sutto, Luciano Neri (entrambi stretti collaboratori di Mazzacurati) e il chioggiotto Stefano Boscolo Bacheto.

 

i lavori continuano

Malamocco, oggi varo del primo cassone

bocca di porto

Oggi il varo del primo cassone a Malamocco

Condizioni meteo ottimali in laguna, gli interventi del Mose proseguono a pieno ritmo

VENEZIA Intanto i lavori del Mose vanno avanti. Inizia questo pomeriggio l’operazione di varo del primo cassone della barriera del Mose alla bocca di porto di Malamocco. Intorno alle 14 il cassone di spalla, in movimento all’interno del cantiere già da ieri, verrà calato in acqua tramite il syncrolift e verrà agganciato al mezzo speciale che lo trainerà e lo affonderà nello scavo predisposto lungo il canale di Malamocco. L’operazione è eseguita in fase lunare di “quadratura”; ovvero di minima escursione di marea (“morto d’acqua”) e di condizioni meteo ottimali. L’affondamento, infatti, avviene nel periodo di inversione della marea, quando la corrente è quasi nulla. Il cassone cala alla velocità di 40 centimetri al minuto e raggiunge il fondo marino dopo una discesa di circa un’ora. Il movimento viene controllato con tolleranze inferiori al centimetro. Inizia così tutta la fase di installazione dei 9 cassoni (7 di alloggiamento e 2 laterali, di “spalla”) previsti per la barriera di Malamocco. Le operazioni di posa necessitano di specifici sistemi di ancoraggio in più punti che costituiscono intralcio e pericolo per la navigazione, pertanto è necessario interdire temporaneamente il traffico nell’intera area della bocca di porto, in relazione alla difficoltà di manovra del cassone in galleggiamento. Il provvedimento di interdizione totale è limitato a poche ore, circa tre, a partire dalle 15 circa di giovedì pomeriggio, durante il primo lasso di tempo successivo al varo: è importante garantire la sicurezza della navigazione salvaguardando nel contempo la sicurezza del personale e dei mezzi impegnati nelle operazioni di varo. A partire dalle 18 circa di oggi, l’entrata e l’uscita dal Porto di Venezia di tutte le navi che ne hanno chiesto l’autorizzazione avverrà attraverso la conca di navigazione. Le attività connesse alla posa in opera di tutti i 9 cassoni si svolgeranno in più riprese nel periodo compreso tra giugno e novembre 2014 e sono programmate tenendo in debita considerazione le condizioni meteorologiche.

 

Gazzettino – Mose, caccia a 12 milioni di tangenti

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19

giu

2014

L’INCHIESTA – Cuccioletta (Magistrato acque) confessa: intascati 1,3 milioni. Il governo al Consorzio: riducete i costi

Mose, caccia a 12 milioni di tangenti

Individuata solo una parte dei destinatari delle mazzette, gli investigatori puntano sulla pista romana

IL FILONE – L’ex presidente del Magistrato alle acque, Patrizio Cuccioletta, conferma di essere stato pagato dal Consorzio Venezia Nuova. E all’appello mancano 12 milioni di mazzette: finiti a Roma?

I LAVORI – Il Consorzio si dice pronto a rivedere i costi del Mose. E anche a darsi una nuova governance come chiesto dal governo.

RICOSTRUZIONE – I pagamenti nel secondo mandato, dal 2008 al 2011

«Mazzacurati mi fece dare circa 200mila euro all’anno e 500mila dopo la pensione»

LA CONFESSIONE – Furono i “postini” Sutto e Neri a portargli i soldi a casa in almeno tre occasioni

ALL’INCASSO – Ecco a quanto ammontano le tangenti pagate all’ex Magistrato alla Acque

Il prezzo di Cuccioletta? 1,3 milioni

«Quando tornai a Venezia nel 2008 a ricoprire il ruolo di Presidente del Magistrato alle acque di Venezia, l’ing. Mazzacurati mi disse che mi avrebbe corrisposto una somma di circa 200 mila euro all’anno e che alla fine del mio mandato mi avrebbe consegnato un riconoscimento finale ammontante ad alcuni milioni di euro». Così Patrizio Cuccioletta, Magistrato alle acque negli anni cruciali di crescita del Mose, tra il 1 ottobre 2008 e il 31 ottobre 2011. Cuccioletta ha confessato di tutto e di più davanti ai pubblici ministeri Stefano Ancillotto e Stefano Buccini. E la confessione di Cuccioletta incastra anche definitivamente Luigi Neri e Federico Sutto, i due “postini” di Mazzacurati, gli uomini che si incaricavano della consegna delle mazzette. Il patron del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, aveva raccontato nel dettaglio questa storia di Cuccioletta – e pure dell’altro Magistrato alle acque, Maria Giovanna Piva – che erano a libro paga e aveva pure specificato che il pagamento lo avevano materialmente effettuato prima Neri e poi Sutto quando Neri era andato in pensione. Dunque si sapeva che i soldi erano passati dalle mani di Mazzacurati a quelle di Neri e Sutto e adesso sappiamo anche che Cuccioletta li ha ricevuti proprio da Neri e Sutto. Dunque, non c’è più niente da scoprire su questo punto della corruzione di alti funzionari dello Stato lautamente pagati due volte, dallo Stato per controllare, e da Mazzacurati per non controllare. Un doppio stipendio che ha portato nelle tasche di Cuccioletta circa mezzo milione di euro l’anno. Con la confessione di Patrizio Cuccioletta dunque la Procura porta a casa l’ennesimo punto a suo favore dimostrando la solidità del suo impianto accusatorio. «Fin da subito iniziai a ricevere un paio di consegne di denaro all’anno effettuate dai più stretti collaboratori di Mazzacurati.» Patrizio Cuccioletta ricorda almeno tre occasioni in cui i due “postini” consegnarono le mazzette a casa sua, segno evidente che la prassi di portare i soldi a casa non è poi così balorda. Anzi, quel che si capisce è che la modalità di consegna a domicilio faceva parte proprio del modus operandi, come direbbero i carabinieri. Cuccioletta ricorda che Neri gli consegnò le buste tra il 2008 e il 2009 e che successivamente venne sostituito da Sutto tra il 2010 e il 2011, «portandomi in contanti le somme promesse.» 200 mila euro all’anno per 4 anni fa 800 mila euro. «Dopo il mio pensionamento ricevetti su un conto estero l’accreditamento di somme per quasi 500 mila euro». E siamo a 1 milione e 300 mila euro. E si capisce che Cuccioletta era proprio sul libro paga del Consorzio e come tutti i dipendenti fedeli aveva pure incassato il trattamento di fine rapporto. Ma siccome il Consorzio – anzi lo Stato – era una immensa slot machine che non smetteva mai di girare, ecco che Cuccioletta a volte scroccava un passaggio in aereo e altre volte una cena o una vacanza premio. E perchè nessuno della dinastia Cuccioletta fosse lasciato fuori dal banchetto a spese del contribuente, Cuccioletta aveva chiesto a Mazzacurati incarichi per il fratello Paolo e pure l’assunzione della figlia al Consorzio Venezia Nuova. Insomma non c’era limite.
E la valanga di soldi che aveva inondato Cuccioletta non solo portava al fatto che, come dice lo stesso Magistrato alle acque «non ricordo del respingimento di riserve presentate dal Consorzio» e vuol dire che il Magistrato, cioè l’organismo del Ministero incaricato anche di controllare e approvare tutte le soluzioni tecniche indicate per il Mose, approvava tutto. Del resto Pio Savioli, l’uomo delle coop. rosse ricorda che il Magistrato firmava qualsiasi cosa anche la carta igienica e assumeva come collaudatori gli uomini che venivano indicati da Mazzacurati.

 

RIESAME – Mitigato il regime della detenzione a due imputati per ragioni di salute e di età

Sutto e Neri, dalla galera ai domiciliari

Dalla galera agli arresti domiciliari. Ma solo per motivi di salute (Federico Sutto) e per età (Luigi Neri). Questo per quanto riguarda i “postini” del sistema Mose, quelli che secondo l’accusa avevano l’incarico da Mazzacurati di consegnare le tangenti del Consorzio Venezia Nuova. Luigi Neri, che ha 73 anni, è stato graziato dall’anagrafe e Federico Sutto, che gli era succeduto nell’incarico, va a casa “grazie” ad un cuore ballerino. Lo ha deciso ieri il Tribunale del riesame di Venezia, presieduto da Angelo Risi, che ha così rimodulato le esigenze cautelari dei due arrestati – non più carcere, ma domiciliari – senza smontare di fatto l’impianto accusatorio. La Procura, anzi, si è giocata un’altra carta, quella della confessione di Patrizio Cuccioletta. I verbali dell’interrogatorio sono stati depositati, pur con omissis, a ulteriore riscontro del coinvolgimento dei due uomini del Consorzio. Il Tribunale ha concesso i domiciliari anche a Stefano “Bacheto” Boscolo, consigliere della cooperativa San Martino, in questo caso con il consenso della Procura. Respinti, infine, i ricorsi di Stefano Tomarelli, del direttivo del Consorzio, e dell’avvocato Corrado Crialese, che restano rispettivamente in carcere e ai domiciliari.
Un giornata lunga, quella di ieri, con gli avvocati impegnati soprattutto a riportare a casa i loro assistiti. Alcuni, Sutto e Neri, ci sono riusciti, ma per motivi che non hanno nulla a che vedere con le posizioni processuali, che restano non solo gravi, ma addirittura vengono confermate dalle confessioni di Cuccioletta. E veniamo agli altri indagati. I difensori di Tomarelli, gli avvocati Nicola Pisani e Angelo Andreatta, avevano sostenuto un ruolo più defilato del loro assistito. Per l’accusa, Tomarelli, in qualità di membro del direttivo del Consorzio Venezia Nuova per Condotte, avrebbe partecipato in pieno alla costituzione dei fondi neri finalizzata alla corruzione e al finanziamento illecito. L’impressione è che Tomarelli voglia rivendicare un ruolo di secondo piano, rispetto a Baita, ma anche a Mazzi e Savioli, che non gli avrebbe consentito di avere una piena consapevolezza del “sistema” Mose. Ma per il momento resta in carcere.
Infine la posizione di Crialese, avvocato costituzionalista, accusato di aver millantato conoscenze in Consiglio di Stato e al Tar del Veneto, facendosi consegnare soldi da Baita e Minutillo con il pretesto di pagare i giudici. «Il mio assistito non ha mai chiesto o ricevuto soldi dal gruppo Mantovani per corrompere un giudice» ha sostenuto il suo difensore, l’avvocato Fabrizio Lemme. I pubblici ministeri Ancillotto e Buccini hanno replicato producendo un’intercettazione in cui la Minutillo parla con un corriere di una consegna per Crialese da effettuare in un albergo di Roma.

Roberta Brunetti

 

PAGATI 26 MILIONI DI EURO

«L’ingegnere sceglieva i collaudatori del Mose»

«I collaudatori del Mose erano quasi sempre scelti da Mazzacurati, in realtà le nomine le facevo io, ma su indicazione e pressione di Mazzacurati, con alla fine una effettiva coincidenza tra il soggetto controllato e colui che nominava il collaudatore.» Questo dice ai magistrati il Presidente del Magistrato alle acque dal 2008 al 2011, Patrizio Cuccioletta. Il problema è che i collaudatori «quasi tutti nominati da Mazzacurati» si sono portati a casa in questi anni qualcosa come 26 milioni di euro. Si tratta di 272 persone – non tutte nominate da Cuccioletta, ovviamente, ma anche da altri Magistrati alle acque tra i quali Maria Giovanna Piva, accusata anche lei di essere sul libro paga del Consorzio. Il record della parcella va all’ex presidente Anas Vincenzo Pozzi (nella foto) con 1 milione e 200 mila euro. Poi c’è l’altro presidente Anas, Pietro Ciucci che ha incassato oltre 70 mila euro.

 

La doccia fredda dei magistrati: «L’indagato può scrivere un memoriale»

Delpino e Nordio attendono l’epilogo degli interrogatori di tutti i ricorsi

NEL LIBRO-PAGA – Viaggi in aereo, cene e anche vacanze premio. Poi l’assunzione della figlia

ROMA – La giunta per le autorizzazioni della Camera ascolterà l’ex governatore Giancarlo Galan il 25 giugno. Ieri, l’organismo presieduto da Ignazio La Russa ha discusso la posizione del deputato Francantonio Genovese, pur essendo all’ordine del giorno il caso Mose. È confermata comunque per la prossima settimana l’audizione di Galan.

 

VENEZIA – L’ex ministro pronto a presentarsi spontaneamente, la Procura prende tempo

STRATEGIA – Voleva rilasciare dichiarazioni prima del voto sull’arresto in Parlamento

I Pm non sentono Galan

LA STRATEGIA – I pm dicono no alla richiesta di Galan di essere ascoltato

I pubblici ministeri sembrano intenzionati a tenere a bagnomaria l’ex governatore del Veneto, ex ministro e ora deputato di Forza Italia, Giancarlo Galan. Non lo sentiranno subito, nonostante le pressanti richieste del politico padovano su cui pende la misura dell’arresto in carcere, sospesa in attesa che la Camera conceda o meno l’autorizzazione. Proprio ieri doveva cominciare l’esame di fronte alla Giunta delle immunità parlamentari, ma tutto è slittato di qualche giorno.
Nel frattempo gli avvocati Niccolò Ghedini e Antonio Franchini, difensori di Galan, hanno formalizzato la richiesta di presentazione in Procura a Venezia. Lo avevano fatto una prima volta il lunedì successivo agli arresti del 4 giugno, presentandosi di buon mattino dal procuratore capo Luigi Delpino. Lo avevano informato che l’illustre indagato per corruzione era pronto ad avvalersi dell’articolo 374 di Procedura Penale. E avevano dato disponibilità, agenda alla mano, per alcune date utili al faccia a faccia.
Secondo la norma, un indagato «ha facoltà di presentarsi al pubblico ministero e di rilasciare dichiarazioni». È quello che Galan voleva fare (senza contraddittorio), anche perchè nel frattempo si stava per mettere in moto la procedura parlamentare che potrebbe concludersi con un voto a favore dell’arresto. Il comma terzo dello stesso articolo specifica però che «la presentazione spontanea non pregiudica l’applicazione di misure cautelari».
Proprio la libertà di Galan è in gioco in queste settimane. Ma dalla Procura è venuta una mezza doccia fredda. Ricevuta la richiesta degli avvocati, i Pm hanno di fatto detto di no. L’incontro, se ci sarà, non avverrà in tempi brevi. Hanno risposto che Galan può condensare, anche nel suo stesso interesse, in una memoria le argomentazioni difensive. Anche perchè è ormai a conoscenza delle accuse che gli vengono contestate.
Ovvero di aver ricevuto soldi dal Consorzio Venezia Nuova e da Piergiorgio Baita, addirittura uno stipendio annuale di un milione di euro.
È evidente che tra la Procura e l’imputato forse più importante dell’inchiesta è in corso una partita di mosse e contromosse. Se Galan sperava di andare in Procura prima che in Giunta si decida il suo destino, magari per dichiarare subito dopo di aver chiarito tutto, dovrà probabilmente rivedere i propri piani. I Pm non hanno interesse ad accelerare i tempi, anche perchè si deve chiudere il giro dei ricorsi degli arrestati di fronte al Riesame e si profilano confessioni a catena, il che potrebbe portare acqua al loro mulino.
Intanto il procuratore aggiunto Carlo Nordio, intervenuto ieri sera a un dibattito televisivo ad Antenna Tre, coordinato dal direttore Domenico Basso, pur non entrando nei dettagli dell’inchiesta, ha detto: «Èirresponsabile la distruzione di risorse della collettività, genera nei cittadini sfiducia e un senso di ribellione». Ha denunciato come dopo Mani Pulite la Politica non abbia fatto nulla per debellare la corruzione e semplificare norme troppo farraginose in materia di appalti e opere pubbliche. È lì la culla delle tangenti.

Giuseppe Pietrobelli

 

Il filone delle mazzette nazionali parte dai 500mila euro a Milanese, ex braccio destro di Tremonti

Quei 12 milioni diretti a Roma

IL CASO – Il Consorzio voleva i fondi che il ministro aveva bloccato Letta: non riesco a fare niente

MAZZACURATI «I soldi del Mose arrivarono ma indipendentemente da questa operazione»

Mancano all’appello una dozzina di milioni di euro. E possono essere andati solo in un posto: a Roma. Secondo i racconti di Baita, Mazzacurati e Minutillo, infatti, i politici locali erano già annegati nella melassa dei milioni di euro erogati dal Consorzio Venezia Nuova per tenerseli buoni. E dunque, facendo i conti dei soldi che ha pagato Baita e mettendoli semplicemente in colonna con quelli consegnati da Mazzacurati e da Pio Salvioli per conto delle coop rosse, la somma aritmetica dice che i conti non tornano, mancano tra i 10 e i 12 milioni di euro. Dove sono finiti esattamente? Nella capitale, d’accordo, ma chi li ha incassati? Il filone romano finora è stato poco seguito e poco indagato, come se la Procura di Venezia fosse cosciente che scoperchiare quel vaso vuol dire trovarci dentro di tutto e di più e ai massimi livelli. Ecco dunque che la figura di Marco Milanese, l’ex deputato del Pdl e braccio destro del ministro Giulio Tremonti (che non è indagato), diventa determinante per dare una svolta all’inchiesta e arrivare al Terzo livello, quello della politica alla massima quota. In questi giorni circolano insistenti le voci su una sua possibile collaborazione, voci che la Procura di Venezia smentisce categoricamente, ma quel che alimenta il sospetto è il fatto che Milanese non sia stato arrestato. Eppure sia Mazzacurati che Baita sono precisi nell’indicare in Milanese l’uomo che si era presentato come “risolutore” dei problemi del Consorzio. Nel momento in cui Giulio Tremonti diventa ministro del Governo Berlusconi, infatti, il Consorzio ha un sacco di problemi a farsi finanziare il Mose. I finanziamenti vengono bloccati al Cipe. E li blocca proprio Tremonti.
Nemmeno il potentissimo Gianni Letta riesce a far nulla. Mazzacurati va ad un incontro con il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e torna scornato. «Il dottor Letta dice: “Io non riesco a fare niente, anzi ci siamo scontrati in Consiglio dei Ministri col Ministro Tremonti, che è stato anche particolarmente sgradevole, accusandomi di avere qualche interesse personale sul Consorzio Venezia Nuova”, e dice a Mazzacurati: “Dovete trovare una strada per contattare Tremonti”. Mazzacurati trova la strada chiedendo consiglio all’onorevole Lia Sartori, che indica il dottor Meneguzzo». Si tratta di Roberto Meneguzzo, il quale guida una società, la Palladio Finanziaria, che ha “contatti” con mezzo mondo. È lui che fa da tramite tra Mazzacurati e Tremonti, che poi si incontrano.
Successivamente, il Consorzio versa una mazzetta di 500mila euro nelle mani di Milanese. Ma il caso vuole che proprio il giorno fissato per la consegna, la Finanza faccia un controllo nell’ufficio di Luigi Neri, il cassiere di Mazzacurati. Neri prende il malloppo con il mezzo milione di euro e lo butta dietro un armadio. I finanzieri non trovano il pacchetto, sigillano l’armadio e i soldi vengono recuperati in nottata e portati poi a Milanese. Questa è la storia raccontata da Mazzacurati, Baita e confermata da Claudia Minutillo. Fatto sta che il Cipe sblocca la tranche milionaria per far avanzare i lavori del Mose. Mazzacurati è tutt’altro che convinto che siano stati quei 500mila euro a fare il miracolo e racconta ai giudici: «I finanziamenti poi sono arrivati, ma io ho avuto il fondato sospetto che fosse stato indipendente da… che i soldi siano arrivati indipendentemente da questa operazione».
Tutto questo spiega perché Milanese è importante per la Procura di Venezia ed ecco perché nell’ordinanza che porta in galera 25 persone, manca il nome di Milanese. Non è stato arrestato – ancora – e questo significa che la Procura sta aspettando maturi la decisione se collaborare o meno. Potrebbe dunque parlare da libero o da carcerato, spetta a lui decidere. E se parla Milanese potrebbero tremare anche diversi politici di rango non ancora sfiorati dall’inchiesta.

Maurizio Dianese

 

ANTICORRUZIONE – Il magistrato alla Camera: una norma di questo tipo inserita nei contratti risolverebbe molti problemi

Cantone alza il tiro: se paghi tangenti perdi l’appalto

ROMA – Paghi una tangente? Perdi l’appalto. Sembra una cosa ovvia, lapalissiana.Ma così non è, se il presidente dell’Autorità Anticorruzione, Raffaele Cantone arriva a dire che una clausola di questo tipo inserita nei contratti d’appalto «risolverebbe molti problemi». A pochi giorni dal decreto che ha affidato poteri più ampi al numero uno dell’Anticorruzione, Cantone è stato sentito ieri dalla commissione Ambiente della Camera. Cantone, che potrà richiedere il commissariamento di singoli appalti e prenderà in carico anche l’Authority dei contratti pubblici, è atteso ora alla prova dei fatti ed Expo sarà il primo banco di prova. «Lasciamo lavorare Cantone. Credo ci incontreremo la settimana prossima. La prima mossa ovviamente deve farla lui, così recita il decreto e quindi aspettiamo un attimo che prenda posizione», sottolinea il commissario unico di Expo 2015, Giuseppe Sala: «Cantone sa benissimo che bisogna coniugare rapidità con il massimo della legalità».
Nell’evocare la possibilità di perdita dell’appalto per chi paga mazzette, Cantone torna sul nodo della revoca: un potere che non gli è stato riconosciuto. I Cinque Stelle colgono al volo e ribattono: «Cantone smentisce il governo sulla revoca degli appalti pubblici in caso di tangenti. Revoca necessaria, senza se e senza ma. Il Movimento 5 Stelle ha presentato un ordine del giorno che impegna il governo a revocare gli appalti pubblici alle società implicate in casi di corruzione». Ma la revoca è in realtà un terreno scivoloso. Per prevenire la corruzione Cantone indica anche altre strade: dagli standard di trasparenza che dovrebbero essere applicati alle società private a capitale pubblico, alle white liste che dovrebbero sostituire la certificazione antimafia, alla scelta dei componenti delle commissioni di gara, «uno degli aspetti più complicati», per aggirare il quale si potrebbe procedere a un’estrazione a sorte per evitare accordi, suggerisce il magistrato.
Cantone cita poi una norma presente nel decreto che ha anche rafforzato le sue funzioni: il divieto per lo Stato di fare transazioni con società controllate da paradisi fiscali. «Se questa norma resta, è un segnale di trasparenza vero», osserva. C’è poi l’inasprimento di alcune misure penali, che dovrebbe arrivare la prossima settimana, compresa la reintroduzione del falso in bilancio.

 

«Mazzacurati è in Senato», anzi no

«Mi hanno detto di aver visto Mazzacurati, quello coinvolto nell’inchiesta sul Mose, oggi al Senato. Chissà cosa è venuto a fare e con chi si è incontrato…», diceva ieri Loredana De Petris (Sel) al termine della conferenza dei capigruppo. Trattasi di bufala, per l’avvocato Giovanni Battista Muscari Tomaioli, legale dell’ex presidente del Consorzio: «Mazzacurati si trova da tre mesi negli Stati Uniti, anche per ragioni legate a terapie mediche».

 

DIGHE MOBILI – Il governo: no al commissario, l’opera va completata Malamocco, varo dei cassoni

Fabris: Mose, pronti a tagliare i costi

Il presidente del Cvn: a breve un nuovo piano operativo. Rinnoveremo la governance

Le voci erano infondate: niente commissariamento del Consorzio Venezia Nuova. Lo ha ribadito l’altro giorno il Governo Renzi ad una delegazione dell’ente concessionario per i lavori del Mose. Ma non solo. Il premier ha ribadito non solo l’importanza dell’opera giunta all’85 per cento, ma allo stesso tempo ha dato il via libera per concludere il progetto atteso da anni. È quanto conferma il presidente del Consorzio Venezia Nuova, Mauro Fabris che, nei giorni scorsi, ha partecipato a Roma ad un tavolo di confronto al ministero delle Infrastrutture nel quale è stato fatto il punto della situazione.
«Di fronte alle recenti indagini giudiziarie, – ha spiegato Fabris – pur in assenza di alcun coinvolgimento per quel che riguarda il nuovo assetto dell’ente, avevamo chiesto un incontro al premier Renzi dichiarando la nostra piena disponibilità a concludere l’opera. Di conseguenza, al termine di una riunione al ministero, abbiamo preso l’impegno di discutere tutte le più opportune iniziative come il rinnovo della governance e la possibile riduzione dei costi finali, rispetto anche ai tagli già decisi dal governo, per mettere al riparo il Mose dalle conseguenze delle inchieste in corso. In questo senso ci siamo presi l’onere e l’onore di redigere quanto prima una nuova proposta operativa che presenteremo nei prossimi giorni».
Fabris ha smentito categoricamente ogni voce di “commissariamento” del Consorzio Venezia Nuova, ipotesi circolata su alcuni giornali negli scorsi giorni. «Durante quello stesso incontro – rivela il “numero uno” del Cvn – abbiamo chiesto quale fosse l’intenzione del Governo. La risposta è stata indicativa: nessuna ipotesi di commissariamento».
Intanto a Roma, ieri mattina, Italia Nostra, insieme ai Comitati No Mose, ha rilanciato la propria battaglia contro il Mose puntando il dito sui costi: «Per completarlo – ha sottolineato l’associazione – occorrerà ancora un miliardo e mezzo di euro. Per gestirlo nei prossimi cento anni, occorreranno tra i 40 e i 60 milioni di euro all’anno». Durissimo Luigi D’Alpaos, ordinario di Idrodinanica all’università di Padova: «Esistono due obiezioni ancora aperte – ha detto – quelle delle paratoie e quelle delle cerniere che, a causa del moto ondoso, potrebbero disarticolarsi».
E mentre infuriano le polemiche e le prese di posizione, dal canto suo il Consorzio Venezia Nuova darà il via oggi pomeriggio all’operazione di varo del primo cassone della barriere del Mose alla bocca di porto di Malamocco. Attorno alle 14, un cassone di spalla verrà fatto scivolare in acqua con il meccanismo del “syncrolift” e adagiato sul fondo del canale di Malamocco in un’operazione complessa che durerà circa un’ora. Complessivamente verranno posati 9 cassoni (7 di alloggiamento, due laterali), che verranno posizionati tra giugno e novembre prossimo. Attorno alle 18, il transito alle navi verrà nuovamente consentito, in entrata e in uscita, a tutti quei mercantili che avranno chiesto l’autorizzazione al passaggio.

Paolo Navarro Dina

 

LA RICHIESTA «Vogliamo esercitare il controllo che ci compete»

PARLA IL PRESIDENTE – Magistrato alle acque in difesa «La soppressione è un autogol»

Roberto Daniele: «Un errore prendersela con l’istituzione e non con chi ha sbagliato, qui ci sono grandi professionalità»

«Una mossa nè utile nè opportuna, quella di cancellare dal 1° ottobre prossimo il Magistrato alle Acque. Perchè prendersela con l’intera istituzione e non solo con le persone che hanno sbagliato?».
Il presidente del Magistrato alle Acque Roberto Daniele, a poco meno di un anno dal suo insediamento, si trova oggi a traghettare la secolare istituzione veneziana verso una fase successiva di cui ancora non sono chiari i contorni, eppure annunciata con enfasi nei giorni scorsi da Palazzo Chigi e contenuta nel decreto legge sulle misure urgenti per la crescita del Paese.
«Non vedo il risparmio economico – sbotta Daniele – e neppure dal punto di vista delle procedure perchè comunque gli uffici del Provveditorato alle opere pubbliche restano intatti. A Venezia si tratta di un punto di riferimento che esiste dai tempi della Serenissima». Eliminato in più occasioni e poi rimesso in piedi.
«Segno che la sua esistenza – aggiunge – era avvertita come una necessità dalla popolazione veneziana». Il dubbio che si insinua è che si tratti semplicemente di un’operazione di facciata “ad effetto”, più che di una manovra specifica.
E Daniele precisa: «La carica di presidente del Magistrato alle Acque e di provveditore alle opere del Triveneto non hanno una retribuzione che si cumula, e comunque gli uffici continueranno a lavorare nel campo della salvaguardia della laguna abbiamo delle professionalità specifiche importantissime che non devono essere sprecate. Anzi, la carenza di organico che avvertiamo è sempre forte».
Per questo il Magistrato alle acque è ricorso negli anni all’appoggio di professonalità esterne, spesso proprio del Consorzio Venezia Nuova anche a causa della rigidità della pubblica amministrazione di assumere dipendenti. E si è instaurato così come consuetudine un doppio legame controllato-controllore che in qualche caso ha portato a uno sconfinamento delle singole prerogative, come hanno messo in luce le recenti inchieste giudiziarie.
Ora, proprio nel momento in cui il Mose va a completamento viene soppresso il Magistrato alle Acque, “controllore” per sua natura.
«Il completamento del Mose non è in discussione nonostante le vicende giudiziarie – conclude Daniele – ma è necessario che vengano lasciati i poteri di alta sorveglianza e di controllo che competono al Magistrato alle Acque. Del resto per funzionare a pieno regime avremmo bisogno di altre venti-trenta persone qualificate da inserire nel nostro organico. Ad esempio biologi e chimici per i laboratori di analisi e per i campionamenti dell’acqua della laguna, visto che uno dei nostri compiti è anche la tutela dall’inquinamento».

 

Italia Nostra: «Mose da modificare»

«Secondo gli studi del prof. D’Alpaos un sistema fragile per quanto riguarda cerniere e paratoie»

ROMA – La loro è una battaglia decennale. Combattuta nell’interesse di Venezia. Italia Nostra, l’associazione di tutela italiana, da ben 25 anni sta portando avanti la sua campagna contro il Mose, senza, tuttavia, riuscire a farsi ascoltare. La loro opposizione, al netto degli scandali delle ultime settimane, si concentra da sempre su pareri scientifici e tecnici di esperti e riguarda le procedure con cui la grande opera è stata valutata e decisa. Un’opera faraonica, eccessivamente dispendiosa – attualmente ferma all’85%, che investe la manodopera di oltre cinque mila lavoratori – e destinata, avverte l’associazione, a gravare ancora economicamente sullo Stato per i costi necessari alla sua manutenzione. Così, ieri, in un incontro svoltosi all’hotel Nazionale di Roma, Italia Nostra è tornata a denunciare quello che dovrebbe esser cambiato, proprio in un momento in cui, tra scandali, corruzione e malaffare, un progetto come il Mose ha ancora la possibilità di essere rivisto ed eventualmente sospeso. «Il Mose è un’opera – a loro dire – completamente sbagliata», pericolosa per la Laguna, stando anche alla valutazione d’impatto Ambientale, elaborata, nel lontano 1998, dal ministero guidato oggi da Gian Luca Galletti e disattesa «proprio dalla politica». Per completare il Mose, fa di conto Italia Nostra, occorreranno ancora tra gli uno e l’1,5 miliardi di euro. Per gestirla, nei cento anni a venire, il costo oscillerebbe, invece, tra i 40 e i 60 milioni di euro l’anno. E non è solo un’analisi puramente economica, la loro. Stando alle valutazioni compiute da Luigi D’Alpaos, ordinario di Idrodinamica all’Università di Padova, il progetto è destinato a naufragare. «Esistono due obiezioni ancora oggi aperte», spiega il professore. «E riguardano le paratoie e le cerniere». Secondo il docente, le prime, sollecitate dal motondoso e dal vento, potrebbero iniziare a oscillare «fino a disarticolarsi», disattendendo, dunque, le finalità iniziali. Mentre per quanto riguarda le cerniere, «nonostante un nutrito gruppo di progettisti sia ancora d’accordo con tali strutture – aggiunge ancora D’Alpaos – discutibile resta la loro capacità di fissare le barriere mobili alle bocche della laguna». E ancora, chiedendo che la gestione della laguna di Venezia passi dal ministero delle Infrastrutture a quello dei Beni e delle attività culturali, oltre che al dicastero dell’Ambiente, l’associazione chiama in causa l’esempio Rotterdam, «completamente trascurato dal controllore primario del Mose, e cioè il Magistrato alle Acque». Per la realizzazione del canale navigabile della città dei Paesi Bassi, fu attivato un organismo di controllo, che prevedeva un’equa ridistribuzione di responsabilità, tra progettisti, fisici, matematici e modellisti numerici. «Guardare a quel modello forse – conclude Italia Nostra – avrebbe giovato anche a Venezia».

Camilla Mozzetti

 

IL NUOVO POLO OSPEDALIERO – Un’opera avviata da Galan e Padoan che apre nei giorni della bufera giudiziaria

Dal project al blocco. Ora lo Jona accelera. Sarà pronto a luglio

LA CONSEGNA – Prevista per domani ma i cantieri continuano

LA PRIMA PIETRA NEL 2010 – Cacciari, Galan e Padoan concordi nel difendere il project financing

IL NUOVO DIRETTORE GENERALE «È importante affidare ai privati le attività non strettamente sanitarie»

Se ne parla dal 2000, quando il vecchio Jona fu chiuso dopo il crollo di un controsoffitto. Seguirono dieci anni di discussione su come ricostruire il padiglione, fino al 2010 quando – nell’ultimo anno di Giancarlo Galan alla guida della Regione e con Antonio Padoan direttore generale dell’Ulss 12 – gli attesi lavori furono assegnati con l’ennesimo project financing. Quei project ormai criticatissimi e che ora sono anche al centro delle indagini scaturite dallo scandalo Mose. Per il momento di Jona, nelle carte dell’inchiesta, non si parla. Ma almeno il cantiere – ripartito dopo un lungo stallo, un anno e mezzo fa, con la nuova gestione dell’Ulss – è finalmente arrivato alle battute finali. Ed ecco le prime immagini di questo padiglione tanto atteso, destinato a dare un nuovo baricentro all’ospedale Civile.
INAGURAZIONE IN VISTA – Come aveva annunciato il direttore generale, Giuseppe Dal Ben, sarà inaugurato per il Redentore. «Abbiamo fatto un grande sforzo sulle strutture, ma anche perché queste siano accoglienti, oltre che nuove» sottolinea ora il dg, soddisfatto per aver portato a termine un cantiere «in un contesto storico eccezionale e per molti aspetti delicato. Abbiamo lavorato, però, anche con una grande attenzione per gli utenti: il nuovo Jona nasce moderno e funzionale, ma abbiamo fatto il possibile perché fosse soprattutto accogliente – è questo il senso dei percorsi coperti, per fare un esempio, e della “Piazza” – verso coloro che verranno qui a curarsi o a visitare i propri cari».
CINQUE PIANI – In questi giorni, in cantiere, è una corsa contro il tempo per rispettare la scadenza. Cinque piani più pianoterra per ospitare tutta l’area medica, quella materno-infantile, compresa la ginecologia, con oltre 180 posti letto complessivi, decine di ambulatori e studi medici. Di fatto qui traslocherà tutto l’ospedale ancora ospitato nell’area monumentale del San Giovanni e Paolo, attorno ai Mendicanti.
TEMPI STRETTI – Il gruppo del project financing consegnerà l’opera all’Ulss domani, il 20 giugno. Entro quella data dovranno essere completate le rifiniture di tutti i piani, smontate le impalcature, intonacate le pareti esterne (tranne quelle centrali, conservate dal vecchio Jona come richiesto dalla Soprintendenza, che resteranno con i mattoni a vista), smontata l’enorme gru. Poi sarà l’azienda sanitaria a doversi occupare delle pulizie e degli arredi per arrivare al taglio del nastro con un padiglione tirato a lucido. Il trasloco è rinviato ad settembre-ottobre, per lasciare all’Ulss il tempo necessario a completare tutte le pratiche per l’apertura.
LE STANZE – Oggi ci si muove tra il via vai degli operai. Ma l’impianto della nuova struttura si capisce bene. Il quinto piano è praticamente pronto. Le stanze da uno o due posti, con servizi in camera e porte molto ampie (per consentire lo spostamento dei letti), si affacciano sulla laguna o sull’interno. Sono tutte molto luminose, con finestre terra cielo, gli infissi in alluminio, ma all’interno in legno. Niente serramenti, solo un sistema a due tende, una per ombreggiare, l’altra per oscurare la stanza.
VECCHIO E NUOVO – Resta l’anomalia del terzo piano, con le finestre interrotte a metà, per rispettare l’allineamento con le pareti centrali del vecchio padiglione, “salvate” dalla Soprintendenza. Un’impresa, quella di coniugare vecchio e nuovo, ammette chi ha seguito i lavori in questi anni. Le due vecchie pareti hanno superato due scosse di terremoto, ora sono state inglobate alla nuova costruzione con un apposito telaio. Altro “ricordo” del vecchio Jona, la struttura ottagonale centrale che è stata riprodotta anche nel nuovo padiglione. In quest’area, nei diversi piani, è stata ricavata una zona infermieristica, di incontro professionale, con tanto di tisaneria.
UN PADIGLIONE A COLORI – L’Ulss ha anche chiesto di giocare con i colori. E così ogni piano avrà una sua tonalità: al quinto pavimenti e porte verde, con pareti pesca. Scendono si ritroveranno l’azzurro, il giallo, il lilla… E anche i mobili saranno a colori: armadi bianchi, letti e comodini sull’arancio. Una rivoluzione anche nei colori, pronta tra due mesi.

Roberta Brunetti

 

I NUMERI – Un’opera da 48 milioni metà a carico dei privati

Costo: 48 milioni
Finanziamento a carico del concessionario: 24,3
Finanziamento Ulss: 11
Altro finanziamento pubblico: 12,6
Canone servizi 2014: 11,2
Canone disponibilità 201: 2,7
Durata concessione: 22 anni
Servizi in concessione: manutenzione e gestione opere edili, conduzione e manutenzione impianti, gestione e manutenzione apparecchiature elettromedicali, pulizia, ristorazione dipendenti e degenti, servizi alberghieri, gestione natanti per trasporto malati, trasporti interni, gestione archivi, smaltimento rifiuti, guardaroba lavanderia e sterilizzazione biancheria.

 

Nella cordata per il padiglione anche Gemmo e Coveco, coinvolte nell’inchiesta sul Mose

Dal Ben: «Massima vigilanza»

Giuseppe Dal Ben, direttore generale dell’Ulss 12, subentrato a Padoan, assicura massima vigilanza sulla gestione dei servizi dell’ospedale affidati ai privati con il sistema del project

Era il 20 marzo del 2010 quando, al Civile, venne organizzata la “posa della prima pietra” del nuovo Jona. In pieno clima elettorale, a Venezia, si ritrovarono l’allora governatore Giancarlo Galan e il sindaco Massimo Cacciari, entrambi in scadenza. Tutti concordi, con il direttore generale dell’Ulss 12 dell’epoca, Antonio Padoan, nel difendere la necessità del project financing per un’opera del genere. A quattro anni di distanza, il clima è decisamente cambiato. E il nuovo direttore generale dell’Ulss 12, Giuseppe Dal Ben, è molto più prudente e assicura massima vigilanza. Per la cronaca, il project veneziano se l’era aggiudicato la società Nuova ospedale di Venezia, con capofila Siram, che si occupa di gestione di servizi, più varie società di costruzioni e altro: Sacaim, Gemmo, Consorzio cooperativo costruzioni, Ingegneria biomedica Santa Lucia, Consorzio Veneto cooperative, Studio Altieri. Nomi, a cominciare da Gemmo e Coveco, citati a vario titolo nell’inchiesta sul sistema Mose.
Direttore Dal Ben, i project sono nel mirino della magistratura: lei come si è comportato con quello “ereditato” dello Jona?
«Con tutte le attenzioni possibili verso un contratto importante, per un’opera importante, peraltro minore come dimensione e come complessità rispetto a quelle di certe “grandi opere”. Il corretto funzionamento del project poi va verificato anche in seguito, ovviamente, ed è quello che faremo».
Come valuta i prezzi dei servizi affidati ai privati? C’è il rischio che il pubblico ci possa rimettere?
«No, se si garantisce l’equilibrio tra quanto si realizza attraverso il project e quanto si concede in gestione. Soprattutto, è importante che le attività concesse in gestione siano quelle “non sanitarie”; e ancora che il monitoraggio su queste attività sia costante e puntuale, a tutela dell’interesse degli utenti».
Perché i lavori si erano fermati così a lungo e come avete rilanciato il cantiere?
«La gestione di un cantiere è sempre un’operazione complicata. Non entro nel merito di quanto è accaduto quando non ero direttore. Però sono contento di portare a termine un’opera in tempi certi, e di riuscire a farlo nonostante i ritardi che questa aveva accumulato negli anni: è un risultato che vale doppio, e che condivido con tutti coloro che hanno contribuito a conseguirlo». (r. br.)

 

IL DETTAGLIO – Una “piazza” coperta di raccordo al centro del “nuovo” Civile

Doveva essere una piazza semi-coperta che conservava al suo interno uno spazio aperto per i grandi alberi che ombreggiavano questa zona del San Giovanni e Paolo. Peccato che quegli alberi, compreso un cedro del Libano, tutti vincolati, oggi non ci siano più. Un paio d’anni fa, forse anche a causa dell’abbattimento dello Jona che li ha esposti al vento, sono caduti. E ora l’intenzione dell’Ulss 12 è di coprire tutta la piazza, per trasformarla in una grande hall di smistamento all’interno dell’ospedale. I contatti con la Soprintendenza sono già avanzati per definire i dettagli di questo ulteriore intervento.
Per l’inaugurazione di luglio dello Jona, però, questa parte sarà consegnata come da progetto iniziale. Quindi con i passaggi aerei che collegano il primo piano del nuovo padiglione con il Semerani, il Gaggia e il neuro-derma. E con al di sopra la copertura in vetro e il buco al centro per il verde che non c’è più. «Abbiamo valutato a fondo la possibilità di piantare nuovi alberi – spiegano i tecnici dell’Ulss – ma qui sotto abbiamo trovato una grande quantità di sottoservizi e altri ne abbiamo dovuti mettere. Soprattutto abbiamo commissionato un’indagine botanica che ha escluso la possibilità di avere verde duraturo in queste condizioni». Ed ecco la decisione di creare questa nuova hall, di fatto al centro del nuovo Civile, che diventerà uno snodo di smistamento tra l’ingresso dalla Fondamente nuove e i quattro padiglioni moderni dove si concentrerà l’ospedale. (r. br.)

 

L’INCHIESTA MOSE

La società Thema Italia le indagini della Procura e la “galassia” Galan

Thema Italia Spa, in persona del proprio Presidente del consiglio di amministrazione e socio di riferimento, Roberto Bonetto, chiede che vengano rettificati i contenuti degli articoli pubblicati su questa testata fra i giorni 8 e 11 giugno. In essi è stata prospettata la riferibilità all’ex governatore Galan di affari milionari riguardanti il settore della distribuzione del gas in Indonesia, assumendosi in particolare che a quest’ultimo fosse riconducibile Thema Italia Spa. Le indagini effettuate dalla Procura di Venezia e i successivi provvedimenti della magistratura danno invece atto della totale estraneità di Thema Italia Spa e del signor Roberto Bonetto alla cosiddetta “Galassia Galan” e ad ogni altra alla vicenda del Mose.
Le prime ed errate informazioni di un coinvolgimento di Thema nella cosiddetta “galassia Galan” trovano spiegazione nel fatto che Thema si è avvalsa dell’assistenza del commercialista padovano Paolo Venuti (ora fra i 35 destinatari degli ordini di custodia cautelare) per la cessione, avvenuta nell’agosto del 2013, della quote di una primaria società operante nella distribuzione del gas in Indonesia (la Pt Isargas) appartenenti a Thema Italia Spa, ad altra socia indonesiana della medesima, e alla circostanza che nel dicembre 2010 Sirefid Spa (che secondo la Procura risulterebbe essere riconducibile a Galan, mediante rapporto fiduciario) aveva sottoscritto, assieme ad altre importanti società padovane, un prestito obbligazionario (di 1.100.000 euro), emesso da Thema e da questa estinto – al pari dei prestiti ottenuti dalle altre società – il primo ottobre 2013.
Roberto Bonetto conferma che né lui né gli altri soci di Thema sono mai stati ascoltati dagli organi inquirenti e dai magistrati, e precisa di non aver mai conosciuto né incontrato Giancarlo Galan, spiegando che gli affari indonesiani di Thema sono sempre stati compiuti alla luce del sole e sviluppati unicamente con i soci stranieri, con cui vengono intrattenuti rapporti commerciali radicati dai primi anni 2000 in settori diversificati.
avv. Piero Belloni Peressutti

———————————————
1. In nessun articolo de “Il Gazzettino” viene citato il signor Roberto Bonetto, nè lo stesso è collegato all’inchiesta in corso a Venezia, non essendo mai stato accostato ad alcun capo di imputazione.
2. I fatti che abbiamo raccontato, e che riguardano esclusivamente Giancarlo Galan e il commercialista Paolo Venuti, nonchè le ipotesi investigative dell’inchiesta, sono confermati da informativa 285411 (31 luglio 2013) del Gico della Guardia di Finanza, dalla richiesta di misure cautelari (2 dicembre 2013) del procuratore della Repubblica di Venezia Luigi Delpino, del procuratore aggiunto Carlo Nordio e dei sostituti procuratori Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini, nonchè dall’ordinanza di custodia cautelare del gip del Tribunale di Venezia, Alberto Scaramuzza, eseguita il 3 aprile 2014.
3. Sono gli inquirenti a raccontare del sequestro di documenti (riguardanti un affare da 50 milioni di dollari in Indonesia riferibili a Thema Italia spa) al commercialista Venuti, avvenuto all’Aeroporto Marco Polo di Venezia nel luglio 2013, delle intercettazioni telefoniche e ambientali (prima e dopo il sequestro), nonchè di una cena di Venuti e Galan, dopo il rientro del primo dall’Indonesia durante la quale si sarebbe parlato degli affari indonesiani. Tali elementi, secondo il gip, dimostrerebbero la «riferibilità al Galan delle operazioni economiche gestite dal Venuti nel sudest asiatico la cui documentazione è stata sequestrata a Tessera».
Non abbiamo scritto nulla più di questo. Ci spiace che il signor Bonetto si sia sentito, immotivatamente, tirato dentro una vicenda giudiziaria da cui è assolutamente estraneo.

G.P.

 

Gazzettino – Santa alleanza contro la “Nuova Valsugana”

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18

giu

2014

GRANDE VIABILITÀ – Luca Ferazzoli ha incontrato il presidente della Comunità del Tesino: «Salvaguardiamo assieme il territorio»

Dandrea: «La Ss. 47 sia completata dallo Stato, senza pedaggi». Imminente una presa di posizione della Provincia di Trento

“PROGETTO ABNORME” – Secondo Italia Nostra per giustificare la Nuova Valsugana nel Project é stato ipotizzato un passaggio di 39/40.000 veicoli giornalieri.

In attesa di sviluppi delle indagini sul Mose di Venezia, i comuni della Valsugana, in territorio sia veneto che trentino, sono allineati contro il Project financing della “Nuova Valsugana”. Dall’incontro dei presidenti dell’Unione montana Valbrenta, Luca Ferazzoli, e della Comunità Valsugana Tesino, Sandro Dandrea, è emersa la volontà “di chiedere l’intervento dello Stato per il completamento della Ss. 47 della Valsugana, da realizzarsi senza imposizione di pedaggio a carico degli utenti, sulla scorta del progetto preliminare redatto dalla Provincia di Vicenza e condiviso dall’Anas e da tutti gli enti locali interessati”. Quanto richiesto e motivato da Ferazzoli al presidente del Consiglio Matteo Renzi è pienamente condiviso da Dandrea, «perché va nella direzione di tutelare e salvaguardare tutto il territorio della Valsugana, sia quello veneto, che quella trentino». Sulla questione sarà chiesto anche alla Provincia di Trento di assumere una posizione netta.
Posizione condivisa da sempre dalla sezione bassanese di Italia Nostra e dal Coordinamento comitati “Per vivere in Valbrenta”. «Già in un incontro pubblico del 2010, il presidente di Italia Nostra, ing. Rinaldi, si era pronunciato a favore del progetto della Variante Ss. 47 già esistente e contro il Project financing, paventandone i possibili, non chiari, retroscena». Un progetto ritenuto «abnorme e insensato». «Per giustificare la realizzazione della Valsugana – informa il comunicato di Italia Nostra – nel Project é stato ipotizzato un passaggio di 39/40.000 autoveicoli giornalieri, quando i dati relativi all’anno 2010 di Imonitraf.org, per il Brennero, davano un passaggio giornaliero di meno di 4.000 autoveicoli pesanti e inferiore a 18.000 veicoli leggeri e quando il bilancio, relativo al 2013, della A4 Holding è diminuito di un ulteriore 6,5%, rispetto al 2012».
Ora, però, qualcosa dovrebbe cambiare in seguito alle indagini dello scandalo del Mose di Venezia e l’arrivo nella sala dei bottoni di Matteo Renzi. «Con il sostegno dei 45 comuni veneti che invitano Renzi, con il decreto ’Sblocca Italia’, a completare la Valdastico Nord – prosegue il comunicato – con le complicazioni scandalistiche dei Project e con la determinata presa di posizione dell’Unione montana Valbrenta e dei sindaci della Valle contro il Project financing, speriamo e riteniamo che la Regione debba fare un passo indietro”. Italia Nostra e il Coordinamento concludono con un appello ai sindaci della Valbrenta e del Trentino: «Nell’eventualità che il progetto della Ss.47 della Valsugana non possa essere finanziato, raccomandiamo di trovare una soluzione al problema di Carpané, pretendendo dallo Stato la realizzazione di una breve galleria che da località Merlo arrivi oltre la cava di Carpané».

 

L’agenda segreta del Mose

Mazzacurati: la contabilità delle dazioni in un libretto cifrato

Tutti i segreti del Mose sull’agenda di Mazzacurati

Il drammatico interrogatorio al presidente del Consorzio Venezia Nuova

Il pm: «Lei ha la contabilità di questi soldi?» Risposta: «Ho un libretto di appunti»

VENEZIA – Arrestato il 12 luglio 2013, l’ingegner Giovanni Mazzacurati viene interrogato quattro giorni dopo, dai pm Paola Tonini e Stefano Ancilotto. Lo assistono gli avvocati Alfredo Biagini e Giovanbattista Muscari Tomaioli. È un confronto drammatico. L’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova cerca di eludere le risposte, si rifugia in continui non ricordo. Ma i pm lo incalzano, hanno prove circostanziate, decine di riscontri sulle cifre erogate. Gli chiedono dove teneva la contabilità che non gli è stata trovata in ufficio. Mazzacurati ammette di avere «un libretto con dei riferimenti, delle annotazioni diciamo di tipo simbolico». Insomma un’agenda segreta che solo lui riusciva a decifrare. I suoi avvocati lo consigliano di consegnarla. Nel successivo interrogatorio del 29 luglio l’ingegnere porterà la documentazione e farà i nomi di Meneguzzo, Tremonti, Spaziante, Milanese, Galan, Bergamo, Orsoni, Cacciari, Giuseppone, Mazzi (in riferimento alla Technital), Matteoli, Martinat. E si spalancherà la tangentopoli veneta (avvertenza: domande e risposte sono sintetizzate). D. Quando lei ha un problema a Roma da chi va? R. La persona alla quale mi riferisco è il dottor Gianni Letta. Questo non toglie che quando era ministro delle infrastrutture Matteoli, mi abbia fatto dei favori e io ho corrisposto finanziando la campagna elettorale. D. Direttamente o tramite qualche imprenditore romano? R. Direttamente. D. Ha corrisposto somme di denaro? R. Sì. Un ordine di grandezza di 400-500 mila euro negli anni dal2009 al 2012-13. D. Lei ha una contabilità di tutto questo? R. No. Tengo degli appunti… Come per il magistrato alle Acque, per esempio abbiamo avuto un presidente, una signora Piva che ci ha dimostrato subito una pesante ostilità e noi l’abbiamo corretta con soldi. D. Scusi, lei ha detto che ha appunti di tutto ciò. R. No… ho detto… non so se ho fatto capire questo, io non ho tenuto un elenco preciso. D. Come faceva, a memoria? R. Quella non è più… D. Appunto, com’è possibile che non abbia la contabilità di tutto ciò? R. Cercavo di tenere degli appunti a memoria… D. No, guardi, a memoria è impossibile. Ci teniamo la contabilità per i conti di casa, figuriamoci per una situazione di questo tipo. Lei ce l’ha sicuramente. Cos’è questo libretto? R. Questo è un libretto in cui ho degli appunti. Questo qui è l’ultimo, quindi c’è scritto poco. Degli appunti con dei riferimenti anche che.. con notazioni di tipo simbolico che non.. D. Ci mostri un pagina, vediamo se la comprendiamo. R. Capisco che è difficile farsi credere, però io potrei tentare di ricostruire al 90%…perché questa è diciamo la risposta alla domanda che soldi ho dato. D. Da dove venivano i soldi? R. Da dove è la cosa più semplice, perché la stragrande maggioranza provenivano dall’ingegner Baita… D. Meglio sarebbe che lei consegnasse la contabilità. R. Non ho la contabilità D. Non le credo. Non può essere che lei, o una persona di sua fiducia, non abbia la contabilità di tutto questo. La partenza di una sua chiamiamola collaborazione sarebbe consegnare la documentazione. Avv. Biagini,. Ingegnere, se lei ce l’ha gliela deve dare. R. Io non ce l’ho. D. Ci pensi bene, perché è stato perquisito e non le è stata trovata. Lei lo sapeva già? R. No, nessuno è venuto a dirmi che sarei stato arrestato. D. Magari non in modo così esplicito, ma che si sarebbero stati controlli o perquisizione della GdF. Vedo che lei si rivolge sempre al suo difensore… R. Se lei me lo chiede vuol dire che ha degli elementi… D. L’elemento chiave è che non le è stato trovato nulla. R. Se fossi stato avvisato … ma mi avete trovato…. D. Abbiamo trovate lei ma non le sue carte. Noi abbiamo raccolto dichiarazioni di chi veniva a consegnarle i soldi e vedevano che lei aggiornava, faceva conti. Non è che la gente veniva a portarle centinaia di migliaia di euro e si fidava solo della sua memoria. R. Non è contabilità tradizionale… Possiamo ricostruirli. D. No, no, lei li deve consegnare, ha capito? R. Però devo renderli intellegibili. Faccio un tentativo. D. No, non è un tentativo. Basta prendere le carte e portarle, ha capito? Basta chiamare la persona cui le ha date e dire: «dammele indietro che le devo esibire».

Renzo Mazzaro

 

L’INCHIESTA – Cuccioletta confessa di aver preso i soldi

Confessate le mazzette al Magistrato alle Acque

Cuccioletta avrebbe ammesso sia lo stipendio annuo di 400 mila euro che la maxi-tangente

Domani Federico Sutto e Luciano Neri al Tribunale del riesame. Lunedì tocca a Chisso

VENEZIA – C’è più di un avvocato della difesa a far la fila da lunedì scorso davanti alla porta dei pubblici ministeri Stefano Ancilotto e Stefano Buccini (la terza, Paola Tonini, è in ferie per alcuni giorni). Tra i 35 indagati, chi in carcere chi agli arresti domiciliari, c’è più di qualcuno che vorrebbe imitare il sindaco di Venezia: sono intenzionati a parlare per ottenere la scarcerazione e addirittura l’uscita dall’inchiesta prima possibile. Il primo che ha scelto la collaborazione è l’ex presidente del Magistrato alle acque Patrizio Cuccioletta; interrogato negli uffici giudiziari di piazzale Roma, a Venezia, lunedì pomeriggio, ha parlato per più di tre ore:che abbia collaborato non c’è più dubbio, visto che il pm Ancilotto ha secretato il verbale. Ha confermato, presumibilmente, viste le accuse, di aver percepito addirittura uno stipendio annuo di 400 mila euro e di aver incassato in un colpo solo 500 mila euro, finiti nel conto di una banca svizzera intestato alla moglie. In cambio, dal 2008 al 2011, quando c’era Cuccioletta al Palazzo dei X Savi, controlli addomesticati sui lavori del Mose e nessuna segnalazione di irregolarità. «C’è una battuta, dottoressa, che girava allora, se non si offende la faccio: basta portare là anche la carta igienica usata che te la firmano» racconta del Magistrato alle acque Pio Savioli, di dirigente del Consorzio Venezia Nuova, al pubblico ministero Paola Tonini. E Piergiorgio Baita aggiunge che i presidenti del Magistrato erano «a libro paga». Si racconta un altro episodio, che gli inquirenti hanno seguito attimo per attimo grazie alle intercettazioni: il 19 maggio 2010 il presidente della Regione Veneto Giancarlo Galan organizza un convegno a Venezia; Cuccioletta, che si trova in vacanza a Malaga (Spagna), intendendo assolutamente partecipare all’evento, si accorda (come riferisce Flavia Faccioli nella telefonata a Mazzacurati) per avere a spese del Consorzio un aereo privato per recarsi a Venezia e nella stessa serata rientrare nella località spagnola. «Mazzacurati ha un profondo debito di riconoscenza nei confronti di Cuccioletta, che gli ha consentito in totale arbitraria autonomia, in assenza di qualsivoglia controllo, la costruzione del Mose e la gestione degli oltre cinque miliardi di euro stanziati in quel momento dallo Stato» scrivono i pubblici ministeri nella loro richiesta di custodia cautelare. Domani, intanto, seconda udienza del Tribunale del riesame presieduto dal giudice Angelo Risi: due le posizioni importanti che verranno prese in esame, quelle di Luciano Neri e di Federico Sutto, coloro che avrebbero avuto il compito di consegnare le tangenti, anche di considerevoli cifre. Lunedì 23 giugno, inoltre, i magistrati del Tribunale hanno predisposto un’udienza speciale, in cui prenderanno in esame ben otto delle 35 posizioni degli indagati, sono quelle del dirigente regionale Giuseppe Fasiol, dell’imprenditore di Chioggia Gianfranco Boscolo Contadin, dell’imprenditore vicentino Roberta Meneguzzo, del commercialista di Padova Paolo Venuti e di quello veneziano Francesco Giordano, dell’ex presidente del Magistrato alle acque Maria Giovanna Piva. Infine, venerdì 27 saranno presi in considerazione tra gli altri i ricorsi presentati dagli avvocati dell’assessore regionale di Forza Italia Renato Chisso, del suo segretario Enzo Casarin, dell’ingegnere del Consorzio Maria Teresa Brotto, dell’ex amministratore delegato di Autostrada Venezia Padova Lino Brentan, dell’architetto veneziano Dario Lugato e del dirigente regionale Giovanni Artico.

Giorgio Cecchetti

 

L’INTERVENTO – E se fosse nata una nuova loggia P5?

di Alessandro D’Angelo – Brigadiere capo della Guardia di Finanza in congedo

Solo un network del malaffare può sapere tutto di tutti e gestire le informazioni per arrivare alla corruzione. Impossibile che in un sistema così non ci sia una vera regia

I fatti di questi giorni, le notizie di corruzione di pubblici ufficiali di ogni rango, fanno sorgere fondati dubbi sulla esistenza di una regia o, meglio, di una Spectre (per dirla con Ian Fleming) dietro gli innumerevoli episodi di corruzione che attanagliano il nostro Paese. Voler limitare la corruzione a semplice contrattazione tra le “parti” (ovvero costruttore corruttore e generale fellone) non spiega, purtroppo, le innumerevoli e oscure dinamiche dietro a quello che sembra apparire come un singolo reato, al più collegato ad altri per mera connessione geografica. Quando porto il mio cane a spasso e questi ne incrocia un altro, prima si annusano e poi decidono se scodinzolare o attaccare. Voler riportare questo ragionamento ai fatti del Mose appare arduo, ma non assurdo, anche se non si può certo dire che tra corrotto e corruttore vi sia unsemplice “annusamento”. Però, c’è un però. Questi manager, per quanto potenti, non potevano, nel modo più assoluto, da soli essere in grado di tessere una tela così fitta come viene raccontata dai giornali, pur essendo nella ovvia condizione di conoscersi facilmente l’uno con l’altro. L’annusamento, insomma, non basta. Appare improbabile che essi siano stati in grado, da soli, di corrompere un così alto numero di altissimi funzionari pubblici. Non per i soldi, ovviamente, ma per la oggettiva difficoltà, di sapere chi corrompere (e piegarlo, quindi, ai propri scopi) e chi non avvicinare per non rischiare di essere da questi denunciato. Ora, di generali in grado di dare informazioni la Guardia di Finanza ne è piena, ma solo uno, a quanto emerge, si è reso disponibile. Come hanno fatto a scegliere la persona giusta senza correre il rischio di essere denunciati? E il giudice della Corte dei Conti? Il vicequestore? Il Magistrato alle acque? Un assessore Regionale? L’ex presidente della Regione? E tutti gli altri che stiamo scoprendo? Ecco che solo un network del malaffare in grado di sapere tutto di tutti (soprattutto sulle persone che “contano”) poteva gestire le informazioni da dare a questi “manager”, soprattutto con riguardo all’atteggiamento che “chi di dovere” avrebbero assunto di fronte a un tentativo di corruzione. Questo ci porta a considerare un’altra questione: qual è il collante che li tiene uniti? Il semplice interesse per i soldi? Un ricatto? La ricerca di potere fine a se stesso? Credo che solo una “nuova loggia P5” (come ultimamente è giornalisticamente in uso definire vere e proprie associazioni per delinquere finalizzate agli scopi suddetti), tutta da scoprire, possa gestire queste informazioni e riunire un così alto numero di funzionari pubblici “a disposizione” della causa comune su tutto il territorio nazionale, considerati gli intrecci che stanno emergendo. L’accordo tra corrotto e corruttore altro non è che la sintesi del “pactumsceleris” di chi sta alla cabina di regia. Se fossi ancora in servizio e a disposizione dei magistrati inquirenti è lì che andrei a cercare.

 

Baratta: «Quella commissione l’ho solo proposta»

Gentile Direttore, nell’articolo “Lo scandalo che travolge la politica”, a firma di Alberto Vitucci, comparso ieri sul suo giornale, si fa riferimento alla commissione di esperti internazionale nominata per l’impostazione dello studio di impatto ambientale e lo sviluppo della procedura di impatto ambientale per il Mose. Si fanno affermazioni che per il tono e per il contenuto impongono una netta precisazione. a) Innanzitutto la commissione non fu “nominata dal Ministro Baratta” ma solo proposta, e solo dopo discussione e approvazione in Comitatone nominata dal Presidente del Consiglio dei Ministri; essa era presieduta dal Prof. F.J. Boudeaux, Presidente del Comitato Scientifico dell’Agenzia Europea dell’Ambiente; 2) non fu nominata in uno stanco e distratto “pomeriggio estivo”,ma il 1° febbraio del 1996; 3) all’art. 4 di quel decreto si diceva che “Alla liquidazione degli oneri … e alle spese di viaggio e soggiorno degli esperti, provvede il Ministero dei Lavori pubblici – Magistrato alle acque…”. Al maggio dello stesso anno lasciai il ministero per subentrato nuovo governo e ministri. Debbo aggiungere, per informazione del lettore, che in quel periodo si cominciava a discutere sull’opportunità di mettere a carico delle stesse imprese proponenti (in questo caso del Cvn) tutti o in parte gli oneri istruttori per la procedura di valutazione di impatto ambientale. Una siffatta norma attualmente governa l’ordinamento.

Con viva cordialità

Paolo Baratta

 

IL FUTURO – Consorzio, in arrive un commissario

PRIMO PASSO PER TORNARE NELL’ALVEO DELLA LEGGE ORDINARIA

Consorzio, il governo nomina il commissario?

Il 9 settembre 2013 Palazzo Chigi stanziò 973 milioni per la prosecuzione del sistema Mose

VENEZIA Il governo Renzi intende commissariare il Consorzio Venezia Nuova, che è al centro dell’inchiesta della Procura di Venezia sul caso Mose? L’ipotesi è stata lanciata ieri da Il Sole 24 Ore: per il quotidiano di Confindustria questo sarebbe il primo passo di un percorso finalizzato a riportare la società che si occupa della realizzazione delle opere di salvaguardia della laguna, di cui è presidente da un anno l’ex sottosegretario Mauro Fabris (già Dc, Ppi, Cdu, Ccd, Cdr e Udeur), nell’alveo di una legge ordinaria (o al più di una legge speciale), abbandonando così quella legge Obiettivo che avrebbe permesso al Cvn di elargire finanziamenti e di affidare cantieri senza gare pubbliche. La prospettiva di un commissariamento non è stata commentata ieri dai vertici del Consorzio Venezia Nuova. Va detto però che un intervento pesante dell’esecutivo sembrerebbe contraddire quello che solo domenica è stato anticipato dal presidente dell’autorità Anticorruzione, Raffaele Cantone. «I centodieci articoli del decreto anticorruzione», ha spiegato Cantone, «non comprendono formalmente il Mose, ma non lo escludono a priori. Al momento non dovrebbe essercene bisogno, ma ci sono comunque alcune misure che possono essere certamente estese anche ai cantieri delle dighe mobili». Va ricordato che già da tempo Franco Miracco, per 15 anni responsabile delle relazioni esterne del Cvn, poi portavoce di Giancarlo Galan in Regione, ora assessore alla Cultura del Comune di Trieste, sostiene la necessità della nomina, da parte del governo, «di un commissario al vertice del Consorzio perché c’è da gestire una delle più grandi opere in Italia. Dev’essere una persona capace, com’è accaduto per la Parmalat e per l’Ilva». Certo che è Palazzo Chigi ci penserà bene prima di assegnare nuovi stanziamenti al Mose. L’ultimo finanziamento venne deliberato il 9 settembre 2013, al termine della quinta seduta del Comitato interministeriale per la programmazione economica del governo Letta. Quel giorno il Cipe, convocato anche per accelerare i lavori dell’Expo, assegnò circa 973 milioni di euro, derivanti dalla legge di stabilità 2013, per la prosecuzione del sistema Mose. La legge di stabilità per il 2014 ha invece stanziato risorse per il riavvio del sistema Mose «sino alla sua completa e definitiva realizzazione». Sono pertanto previsti finanziamenti di 200 milioni per il 2014; di 100 milioni di euro per il 2015; di 71 milioni di euro per il 2016; di 30 milioni di euro per il 2017. Infine i parlamentari di Sel Giulio Marcon, Alessandro Zan, Serena Pellegrino e Filiberto Zaratti hanno presentato una proposta di legge per l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta (dieci deputati e dieci senatori) sul Sistema Mose e sulle attività del Consorzio.

 

Stop alle società participate

La Regione approva in commissione il divieto di costituire nuove controllate

VENEZIA – Stop alle società partecipate regionali. Con il voto in commissione Affari istituzionali (astenuti Caner e Pettenò) la Regione si appresta a votare in aula il progetto di legge presentato da Costantino Toniolo (Ncd). Il progetto prevede che agli enti pubblici regionali, ivi comprese le aziende sanitarie e le amministrazioni controllate dalla Regione, non sia più consentito costituire società e detenere partecipazioni in società, salvo espressa autorizzazione da parte della Giunta regionale in ragione dell’accertata convenienza economica della partecipazione. «Dopo la legge per regolare il funzionamento e limitare le spese della società partecipate direttamente dalla Regione – spiega Toniolo – ora interveniamo sulle partecipate degli enti regionali. La proposta fa seguito ad una serie di normative approvate nell’ultimo anno e volte alla riduzione delle spese, all’introduzione di trasparenza e meritocrazia nella macchina regionale. Le società partecipate dagli enti regionali, come Arpav, Iov, Istituto Zooprofilattico, Esu, Ater, Enti Parco, Comunità montane, Consorzi di Bonifica e Veneto Agricoltura, sono circa un’ottantina, senza contare quelle partecipate dalle ULSS. E’ indubbio – conclude Toniolo – che, qualora questo progetto di legge venisse approvato dall’aula consiliare, per la Regione vi sarebbe un buon ritorno economico in termini di minori costi diretti ed indiretti ». Saluta con favore il via libera in commissione anche Diego Bottacin, consigliere regionale di Verso Nord: «Questo progetto di legge va benissimo, l’ho firmato e l’ho votato in commissione. Ma ora all’igiene segua la bonifica». Il consigliere chiede che la stessa logica valga anche per le società regionali: «Teniamo solo quelle che risultano davvero indispensabili. Tutti gli Enti parco possono essere raggruppati in uno solo, tutte le Ater possono diventare un’unica agenzia e Veneto Agricoltura va’ chiusa, giusto per fare qualche esempio». La «deforestazione» dell’albero delle partecipate, dunque, sembra prendere forma anche sotto la spinta delle ripetute discussioni sull’opportunità o meno di conservare l’attuale proliferazione di società partecipate. Giusto poche settimane fa, per mettere ordine alle partecipate di Veneto Agricoltura, in larga parte in perdita, la Regione stessa ha provveduto ad incaricare Veneto Sviluppo di proporre un progetto di valorizzazione e dismissioni delle partecipazioni non strategiche. Adesso il progetto di legge Toniolo è destinato ad approdare in aula, dove è atteso dopo la pausa estiva.

 

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