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Orsoni vola a incontrare in Usa il presidente del World Monument Fund che ha inserito Venezia tra i 67 siti mondiali a rischio, proprio per i troppi arrivi

Numero chiuso (con o senza ticket) per i turisti in città, ormai non è più un tabù e il sindaco Giorgio Orsoni, incontrando dopodomani a New York – nel viaggio promozionale legato al Mose di cui riferiamo a parte – il presidente del World Monument Fund Bonnie Burnham, proverà a “stoppare” anche in questa chiave gli effetti negativi a livello mediatico del clamoroso inserimento – deciso pochi giorni fa – dal prossimo anno della nostra città da parte dell’organismo statunitense nell’elenco dei 67 siti storici e archeologici di rilevanza mondiale più a rischio.

Proprio a causa della pressione turistica e delle grandi navi che fanno di Venezia, per il World Monument Fund un “drammatico esempio” di un modello economico di sviluppo che rischia di distruggere la città, invitando gli enti pubblici interessati – a cominciare evidentemente dal Comune – a riconsiderare le proprie politiche che stanno avendo un impatto negativo molto forte su di essa.

Aveva cominciato Anna Somers Cocks – a lungo responsabile del Venice in Peril Fund, il Comitato britannico di salvaguardia per Venezia – qualche mese fa, con un articolo sulla New York Review premiato poi pochi giorni fa dall’Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti come miglior articolo dell’anno su Venezia. Per la gestione dei flussi turistici sempre più incontrollati, Somers Cocks proponena appunto l’introduzione del ticket d’ingresso come estrema misura di controllo, oltre che di sostegno alla salvaguardia della città.

«Finché io sarò sindaco di Venezia», aveva replicato Orsoni sullo stesso giornale, «non istituirò mai un biglietto d’ingresso per limitare il numero dei turisti perché non è un museo, ma ho bisogno anche del sostegno della comunità internazionale e delle sue tante voci».

Ma solo poche settimane più tardi – a margine del problema grandi navi – era stato il sottosegretario Ilaria Borletti Buitoni, già presidente del Fai, il Fondo per l’ambiente Italiano a riproporre il controllo degli accessi turistici a Venezia.

«So che mi attirerò i commenti negativi di qualcuno», ha dichiarato, «ma Venezia è un fragilissimo museo a cielo aperto e una città che sta morendo. Per questo, visto che la massa dei turisti in città è destinata ad aumentare in modo insopportabile nei prossimi anni, non mi scandalizza affatto l’idea dell’istituzione di un biglietto d’ingresso alla città, il cui ricavato serva anche al suo mantenimento. Venezia va difesa, migliorando contemporaneamente la qualità del turismo che la frequenta».

Non c’è due senza tre e il terzo appello fa ancora più rumore, perché a lanciarlo non è la “solita” associazione ambientalista, ma il presidente dell’Autorità portuale Paolo Costa, già sindaco di Venezia.

«La pressione turistica su Venezia è troppa», ha dichiarato al convegno sul Porto all’Istituto Veneto, «deve essere normata. Quando ero sindaco, si era iniziato a lavorare sul progetto del numero chiuso. Ora, con tecnologie più moderne, ci vorrebbe niente a realizzarlo».

Orsoni da domani proverà a spiegare al presidente del World Monument Fund e anche ai comitati di salvaguardia per Venezia americani Save Venice e Venetian Heritage come pensa di difendere la città dall’aggressione turistica ormai incontrollata, chiedendo anche il loro aiuto. Ma, come sta avvenendo per i provvedimenti sul traffico acqueo in Canal Grande, auspici e propositi non bastano più. È arrivato il momento di agire e se per Orsoni – a differenza di Costa – il numero chiuso non è una soluzione praticabile per il controllo dei flussi, dovrà comunque spiegare come intende fare.

Enrico Tantucci

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Una delegazione da oggi a Sabato

Venezia a New York in trasferta con il Mose

Venezia a New York in trasferta con il Mose, per mostrare le caratteristiche del progetto al sindaco Michael Bloomberg, ma accompagnandolo anche con tutta l’offerta turistica, culturale e imprenditoriale veneziana.

Il sindaco ha infatti il problema delle piene del fiume Hudson, che complice l’aumento continuo del livello dei mari rischiano di mettere in difficoltà la città. Di qui l’interesse a conoscere da vicino il progetto delle dighe mobili, che sarà presentato dal Consorzio Venezia Nuova. La trasferta guidata dal sindaco Giorgio Orsoni inizierà oggi e durerà fino a sabato 19 ottobre. Della delegazione fanno parte Confindustria Venezia, Consorzio Venezia Nuova, Fondazione La Fenice, Fondazione Musei Civici, Università Ca’ Foscari, Vela, Comitato Expo Milano/Venezia 2015.

Obiettivo della missione di sistema, che avrà il suo clou nell’incontro con Bloomberg, sarà, tra gli altri, quello di presentare Venezia come l’icona mondiale non già della fragilità, ma della resilienza rispetto le sfide dei cambiamenti globali. La visita alla Grande Mela sarà l’occasione per approfondire e discutere le tematiche che intorno a Venezia raccolgono l’attenzione della comunità internazionale, oggetto della conferenza che si terrà all’Istituto italiano di Cultura dal titolo. Il dibattito con Orsoni sarà avviato da un panel composto di alcuni fra i principali esponenti del mondo artistico-culturale newyorchese. La conferenza sarà inoltre preceduta da un incontro fra Orsoni ed i presidenti dei Comitati privati degli Stati Uniti d’America, per discutere insieme di più efficaci forme di collaborazione.

 

 

«Navi cargo pronte a lasciare Marghera»

L’allarme di Costa: compagnie spaventate dall’ipotesi del trasloco delle crociere nelle banchine del porto commerciale

MARGHERA – La premessa del Porto è che – se la navi da crociera dovessero essere portate dalla Stazione marittima a Porto Marghera come chiede il Comune – notizie come queste non si potrebbero più avere. Cinque navi tra domenica e ieri, quattro con merci alla rinfusa più un traghetto merci carico di container arrivato e ripartito domenica per la Turchia e l’Egitto, hanno attraccato al Terminal Rinfuse Italia (Euroports). Tre navi trasportavano farina di soia e semi per un totale di quasi 88 mila tonnellate di merce mentre la quarta rinfusiera – come si chiamano le navi che portano merci sfuse – ieri ha scaricato oltre 15 mila tonnellate di antracite. Un nuovo record sul piano della capacità ricettiva per Marghera – sottolinea il Porto – dopo aver accolto in estate le navi container e portarinfuse più grandi mai entrate nello scalo lagunare. «Un altro effetto positivo degli investimenti nell’adeguamento dei fondali del Canale Malamocco -Marghera ai limiti del Piano regolatore Portuale (-12 metro)», sottolinea il presidente del Porto, Paolo Costa e aggiunge: «Una dimostrazione di come il mercato abbia immediatamente reagito scegliendo Venezia per le sue eccellenze e quanto il lavoro svolto in questi anni per rafforzare le capacità ricettive del nostro scalo commerciale stiano dando buoni frutti. Dobbiamo continuare a sostenere la vocazione logistico-portuale di Marghera, è questo che l’economia del Nordest ci chiede, è questo che dobbiamo garantire». Vocazione che, sostiene Costa, fa a pugni con la proposta di cui si discute di portare le grandi navi, quelle da crociera, proprio a Porto Marghera. Una soluzione promossa dal sindaco Giorgio Orsoni e che pare non dispiacere anche al ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, che proprio oggi sarà in città, in prefettura a Venezia, anche se ufficialmente non per parlar delle grandi navi che, in base al decreto Clini-Passera, devono essere allontanate dal bacino San Marco. «Parliamoci chiaro», dice Costa, «se tra domenica e ieri ci fossero state dalle navi da crociera, che hanno la precedenza in ingresso, le navi cargo con un pescaggio di 11 metri o 11 metri e mezzo avrebbero potuto perdere l’onda di piena per entrare e se ne sarebbero andate da un’altra parte. Le compagnie ce lo hanno già fatto sapere: se Porto Marghera fosse aperto anche alle navi da crociera molte sono pronte a valutare l’ipotesi di andare in altri porti, in altri città, proprio ora che stiamo raccogliendo i frutti degli investimenti fatti in questi anni. Le navi da crociera, oggi, sono incompatibili con il porto. Stiamo cercando di dirlo in tutti i modi». Il Porto potrà essere aperto alle navi crociera non adesso, dice Costa, ma tra qualche anno, quando sarà pronto il terminal off-shore per le porta-container e a Marghera ci sarà spazio per tutti.

Francesco Furlan

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ACQUA ALTA»LA PRIMA MOVIMENTAZIONE

Dopo trent’anni di studi e polemiche le dighe mobili superano il primo test

Ma permangono i problemi legati agli alti costi di gestione dell’opera

Le paratoie si alzano. E ci mancherebbe, dicono i comitati. Quello è il principio di Archimede. Adesso bisognerà vedere se il sistema funziona, quali saranno i suoi effetti sull’equilibrio della laguna.

Quanto costeranno manutenzione e gestione. Il giorno dopo la grande cerimonia del Mose si tirano le prime somme. Soddisfazione al Consorzio Venezia Nuova, che dopo gli scandali giudiziari ha voluto voltare pagina. Bombardamento mediatico per giornali, tv e fotografi, oltre un centinaio, giunti anche dall’estero. Riscontri positivi, con la presenza del ministro Lupi che ha garantito i finanziamenti per completare l’opera nel 2017. Soddisfazione per le maestranze, e adesso si prova a vendere la «tecnologia tutta italiana» a New York per un progetto simile. Ma tanti problemi restano aperti.

La manutenzione della città. «Abbiamo assistito alle prove delle prime paratoie del Mose», dice l’assessore all’Ambiente Gianfranco Bettin, «sappiamo che se il meccanismo funzionerà, nel 2017, la città sarà al riparo da qualche acqua alta. Non sappiamo ancora se funzionerà in caso di aumento del livello dei mari e soprattutto non vogliamo che la manutenzione della città sia abbandonata».

Negli ultimi anni quasi tutti i fondi a disposizione della Legge Speciale sono stati assorbiti dalla grande opera. Per il restauro degli edifici, lo scavo dei rii, il rifacimento di rive e ponti le risorse sono vicine allo zero. «Vi abbiamo dato cento milioni», ha detto il ministro il giorno del Mose. «I conti non tornano», ha risposto il sindaco.

Gestione del Mose. Un problema, una volta che fra tre anni i lavori di costruzione saranno conclusi, per la gestione del sistema. Chi deciderà sulle aperture, chi coordinerà i lavori per la manutenzione. Da progetto, ogni paratoia delle 78 messe sui fondali delle tre bocche di porto dovrà essere rimossa e portata all’Arsenale ogni cinque anni. Una ogni 23 giorni. Costi che secondo il Consorzio sono fermi a 45 milioni di euro l’anno. Forse non sufficienti, comunque pari ai fondi che arrivavano ogni anno in laguna per la manutenzione. Il costo del Mose, inizialmente di un miliardo e mezzo di euro, è arrivato adesso a quasi sei miliardi di euro.

Le critiche. «Invece di venire a inaugurare le prove di quattro paratoie», dice il senatore del Pd Felice Casson, «il ministro Lupi farebbe bene a rispondere alle interrogazioni che abbiamo presentato. Sulle cerniere e la tenuta del sistema in caso di mare agitato, sulle inchieste che hanno portato in carcere esponenti del Consorzio, sui costi».

Gli inviti. «Dopo tutti i disagi imposti agli abitanti del Lido e di Punta Sabbioni potevano almeno invitare una rappresentanza di cittadini», dice l’avvocato Mario d’Elia, a nome dei consumatori. Tra gli invitati del resto, non c’erano il padre del Mose Giovanni Mazzcurati, di recente indagato per turbativa d’asta, né Piergiorgio Baita, ex presidente della Mantovani (primo azionista del Consorzio) e coordinatore dei lavori fino al febbraio scorso. E nemmeno il primo presidente Luigi Zanda, oggi capogruppo dei senatori Pd a palazzo Madama.

Alberto Vitucci

 

i materiali

De Simone: «Vernici intaccate dal salso»

Aggressione salina già in azione. Materiali scelti «che non sono i migliori». Cerniere saldate e non fuse, lamiera a protezione catodica con anodi sacrificali al posto dell’acciaio. Fernando De Simone, architetto ed esperto di costruzioni marittime, è da sempre uno dei grandi critici del progetto Mose. Qualche anno fa aveva presentato un progetto alternativo – mai esaminato dal ministero – sul modello delle barriere già costruite a Rotterdam. Adesso attacca l’uso dei materiali e parla della difficile manutenzione di un meccanismo destinato a restare per sempre sott’acqua.

«Come dimostrano le foto, dopo pochi giorni di immersione l’aggressione salina ha già attaccato la vernice protettiva», dice, «hanno garantito le paratoie per cento anni ma le paratoie saranno tutte sostituite ogni cinque anni».

De Simone lancia l’allarme costi e chiede: «Cosa succederà se due paratoie si dovessero bloccare? Si aprirebbe una falla di 40 metri».

 

VENEZIA – Il sindaco chiede la riforma del Magistrato alle Acque

Il Comune mette le mani avanti. Il sindaco Giorgio Orsoni rivendica la priorità della decisioni per la futura “stanza dei bottoni” che regolerà l’attività del Mose e rilancia: «Ora la riforma del Magistrato alle Acque per dare più competenze a Ca’ Farsetti. Indispensabile che l’ufficio del Magistrato diventi un organismo consortile tra i comuni della Gronda»

«Indispensabile ridiscutere le competenze in laguna»

SALVAGUARDIA – Dopo la prima movimentazione delle paratoie, il sindaco rilancia la questione

«Magistrato alle acque, ora la riforma»

Orsoni: «Nella futura gestione del Mose, il Comune deve avere un ruolo di assoluta priorità»

«É evidente che il Comune deve essere il primo della lista. Ca’ Farsetti vuole entrare di diritto e di fatto nella gestione del Mose. E per questo, al di là dei soggetti interessati, chiede la revisione delle competenze in laguna e la piena riforma dell’ufficio del Magistrato alle Acque che deve diventare un organo consortile tra tutti i comuni che si affacciano sulla gronda lagunare, con la partecipazione della Regione».

All’indomani della prima movimentazione delle prime quattro paratoie del Mose alla bocca di porto di Lido, il sindaco Giorgio Orsoni rilancia la “battaglia” per il riconoscimento delle peculiarità e specificità di Venezia. Insomma occorre rivedere le competenze territoriali in laguna.

«Non c’è dubbio che il Comune – ribadisce – dovrà sedere nella “stanza dei bottoni” del futuro Mose, ma soprattutto all’interno di essa dovrà avere un ruolo importante. Non c’è solo lo Stato e gli altri soggetti che insistono sulla laguna (Porto, Capitaneria, etc.), ma proprio perchè è Venezia al centro di tutto, è indispensabile che vi sia un ruolo prioritario da parte dell’Amministrazione comunale con tutte le proprie competenze e conoscenze, basti pensare al ruolo fondamentale dell’Istituzione Centro Maree, un patrimonio unico di conoscenze in materia. Non posso più tollerare, come è accaduto in passato, che ci siano riunioni tra Capitaneria di Porto e Autorità Portuale che di fatto escludano il Comune da ogni forma di trattativa sulla gestione delle acque lagunari».

Per il sindaco Orsoni, quindi, proprio in virtù delle recenti vicende del Mose, si pone la questione con forza.

«Venezia e la sua laguna sono un tutt’uno che va tutelato e difeso nel suo insieme. Dobbiamo evitare che disegni estranei alla città, stabiliscano una “regola” che non è: la laguna corpo estraneo alla città. Non è così. Ed è per questo che rivendichiamo con forza il ruolo del Comune nella gestione delle acque lagunari, in sintonia con i Comuni di gronda. E a questo aggiungiamo la necessità di una riforma dell’ufficio del Magistrato alle Acque che deve diventare organo consortile, anche in una visione metropolitana, in modo che possa essere riconosciuta la specificità della Laguna veneta, da Chioggia a Cavallino-Treporti. Solo così Venezia e i comuni limitrofi potranno essere, come lo è sempre stato in passato, “padroni” del proprio territorio».

 

LA POLEMICA – Miracco: «Il Consorzio Venezia Nuova va commissariato»

«É indispensabile ridefinire il ruolo del Consorzio Venezia Nuova e credo che il mondo migliore sia quello di formulare un’ipotesi di commissariamento dell’ente concessionario delle opere di salvaguardia in laguna».

É questa la richiesta di Franco Miracco, già consigliere del ministero per i Beni culturali ed ex portavoce dello stesso Consorzio negli anni Ottanta.

«É quanto mai simbolico – sottolinea Miracco – che proprio nei giorni in cui si commemora il Vajont, si sia organizzato un altro importante appuntamento come quello della movimentazione delle paratoie mobili del Mose. É altresì evidente che proprio la tragedia del Vajont, e poi quella dell’acqua alta del 1966 abbiano condizionato pesantemente le scelte del Mose, ma questo – ora che si vedono i primi risultati – dovrebbe trovare una nuova forma di partecipazione da parte dello Stato. E in questo senso sarebbe auspicabile, visto anche le recenti vicende giudiziarie, che si stabilissero nuove regole anche con il commissariamento dell’ente Consorzio in modo che si possa sgombrare il campo da ogni soluzione discutibile».

 

Gazzettino – Venezia. Il Mose si alza. Il futuro divide.

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13

ott

2013

LA POLEMICA  – Ma ora è scontro su chi gestirà le dighe mobili

BUONA LA PRIMA – Show in pompa magna per il sollevamento delle barriere mobili

Il ministro sale sulle dighe «Tutti i soldi arriveranno»

Scoppia il caso dell’ente gestore

E pensare che, per anni, il MOdulo Sperimentale Elettromeccanico, per tutti Mose, aveva avuto le sembianze di un baldacchino rosso, una specie di capitello in ferro che, non era ben chiaro come, avrebbe dovuto in un lontano futuro salvare Venezia dalle acque alte.  E invece eccoci qua, alle tre di un caldo pomeriggio di ottobre, con il sole che splende e un cielo così terso da far vedere in lontananza le montagne, tutti schierati sui ponti della motonave “Lady Giò” ad aspettare che l’acqua si increspi e dal fondale emergano le prime quattro paratoie gialle con i bordini rossi. Che poi all’inizio non danno neanche l’idea di poter fermare l’acqua: quando poco dopo le alle 15 (per la precisione 15 07’ 53″ – data e orario da segnare, non fosse altro perché se ne parla da 25 anni) si alza il primo parallelepipedo e poi subito sembra riaffondare, beh, sembra un mattoncino giallo del Lego sperso in mezzo all’acqua davanti alla bocca di porto del Lido. Poi però emerge il secondo. E dopo un altro quarto d’ora il terzo. E il quarto. E insieme formano una fila che dà l’idea della barriera e si capisce che, quando ci saranno tutte le 78 paratoie, l’acqua dell’Adriatico soffiata dallo scirocco troverà davanti a sé davvero un muro.
Per questa “Prima movimentazione delle paratoie del Mose” il Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico dello Stato, ha fatto le cose in grande. Ha aperto le porte al ministro alle Infrastrutture Maurizio Lupi. Ha invitato giornalisti da mezzo mondo (103 accreditati di cui un terzo stranieri, tra cui il New York Times, Al Jazeera, Il Quotidiano del Popolo di Pechino). Ha affittato una motonave e un pullman per i tour nei cantieri prima alla bocca di porto di Malamocco, poi del Lido (ci sarebbe stata anche Chioggia, ma non c’era tempo), per non parlare del contorno di motoscafi di supporto. La comunicazione per l’occasione (ma la collaborazione potrebbe anche continuare) è stata affidata allo studio di Enrico Cisnetto. Tutto è stato studiato nei minimi dettagli. Ad esempio: metti mai che piovesse, come facevano le autorità e i 100 e passa invitati, oltre ai giornalisti, a restare un’ora sotto la pioggia? E allora ecco gli scatoloni pieni di impermeabili Muji, due colori, o bianco o nero, prezzo di listino 15 euro l’uno. E le brochure e i video illustrativi perché, come raccontava l’ingegner Alberto Scotti, il “papà” del Mose, il progettista delle dighe mobili, «la cosa più difficile in tutti questi anni è stata spiegare ai politici, ma non solo a loro, il funzionamento del sistema di paratoie». (Tra parentesi: al Consorzio precisano che le spese per la comunicazione non provengono dai fondi per la salvaguardia di Venezia, sono soldi messi da parte ogni anno dalle imprese sulla base dei fatturati. Così, tanto per chiarire). Insomma, tutto in pompa magna per mostrare che il Mose funziona e funzionerà ogni qualvolta l’acqua salirà a 110 centimetri e dunque le dighe si alzeranno al massimo sette volte all’anno.
Tutte queste cose le spiega in mattinata ai giornalisti Hermes Redi, il direttore del Consorzio. Poi, nel pomeriggio, quando ci sono le autorità e in prima fila sul ponte più alto della motonave siedono il ministro Lupi, il governatore del Veneto Luca Zaia, il sindaco Giorgio Orsoni, la presidente della Provincia Francesca Zaccariotto, è il presidente del Consorzio Venezia Nuova, Mauro Fabris. Peccato che il rumore dell’elicottero che volteggia in cielo per riprendere dall’alto l’evento copra la voce di Fabris. Tant’è, sono immagini che faranno il giro del mondo. Come le rassicurazioni di Lupi: «L’obiettivo tassativo è il completamento dell’opera entro il 2016». Perché prima che parlasse il ministro, era stato Zaia a introdurre il poco nobile argomento dei soldi: «Il Mose funziona solo se sarà completato. E oggi è finanziato per l’87%». Ergo, ai 4,9 miliardi di euro già impegnati bisogna trovare gli altri 600 milioni. Il che, in tempi di crisi, non è scontato. Ma il ministro, appunto, rassicura: «I 120 milioni che erano stati tolti saranno reintegrati con la prossima Legge di Stabilità, ma anche le altre risorse per far andare avanti l’opera fino al termine della parte realizzativa ci saranno».
Bene, ma dopo cosa succederà? Nel 2016, una volta che saranno realizzate le quattro dighe con le 78 paratoie alle tre bocche di porto di Chioggia, Malamocco e Lido, chi deciderà quando premere il bottone per azionare il sistema di difesa dell’acqua alta? Chi gestirà il Mose? Chi sarà il cosiddetto Ente Decisore? «È una scelta che dobbiamo affrontare tutti assieme – dice il sindaco Orsoni – La gestione del Mose non può essere affidata solo al Magistrato alle Acque né solo al Porto né solo al Comune o alla Regione. Deve esserci un organismo che metta assieme in modo paritario tutti questi soggetti. Ma non dimentichiamo che il Mose nasce per difendere la città di Venezia». Il ministro alle Infrastrutture non si sbilancia: «Spetta al Parlamento decidere». E i soldi per la gestione? «Governo e Enti locali dovranno lavorare assieme per capire come individuare le risorse necessarie», dice Lupi. Che poi provoca: «Sennò il sindaco di Venezia si inventerà una nuova tassa, ma noi siamo le sentinelle anti-tasse».

Alda Vanzan

 

Venezia, il Mose supera l’esame  «Segnale al mondo»

Positivo test per le paratoie mobili che dal 2016 proteggeranno la città dalle acque alte: un muro che verrà alzato alle tre bocche di porto lagunari

Dieci anni di lavoro, già spesi 4,9 miliardi

Le dighe si alzeranno con acque superiori ai 110 centimetri: meno di 10 volte all’anno

BOTTA E RISPOSTA

Orsoni: «Costituire un organismo»

Lupi: «Deve decidere il Parlamento»

Mancano ancora 600 milioni per completare il progetto entro il 2016

Il sindaco: ora bisogna individuare chi governerà il sistema di difesa

Mazzacurati, il padre del Mose travolto dallo scandalo «L’avevamo invitato a una prova, ma non è venuto»

Flavia Faccioli, responsabile delle relazioni esterne del Consorzio Venezia Nuova, è aggrappata alla balaustra della motonave. Stanno alzando la prima delle quattro paratoie, quella identificata con il numero 7, e mentre la radio gracchia gli ordini che i tecnici stanno impartendo, lei non stacca gli occhi dalla striscia di mare. Sussurra: «Sono ventun anni anni che aspetto questo momento».
Anche l’ingegner Giovanni Mazzacurati forse avrebbe voluto esserci, ma l’ex numero uno del Consorzio Venezia Nuova, prima direttore, poi presidente e direttore insieme del concessionario unico delle opere di salvaguardia di Venezia, non si è fatto vedere. Né nessuno l’ha nominato, anche se tutti sanno che il Mose in un certo senso gli appartiene.
Mauro Fabris, il nuovo presidente del Consorzio Venezia Nuova, lo ammette: «Mazzacurati è il padre del Mose, una storia lunga 35 anni non si può cancellare».
Coinvolto in una vicenda giudiziaria che la scorsa estate (dopo le dimissioni dal Consorzio avvenute il 28 giugno) gli è costata l’arresto, l’ingegner Mazzacurati non è stato invitato alla prima movimentazione delle paratoie alla bocca di porto del Lido.
«Non abbiamo invitato nessuno dei precedenti presidenti del Consorzio Venezia Nuova», chiarisce Fabris. Che però ammette: «L’ingegner Mazzacurati l’abbiamo invitato in un precedente momento per le prove della movimentazione. Però non ha accettato, non ha voluto venire».

Al.Va.

 

IL CONSORZIO – Fabris: non subiremo le pretestuose polemiche di chi si oppone all’opera

Ore 15,37 dalla laguna esce il Mose

In azione le prime quattro paratoie, 47 anni dopo l’”acqua granda”. Operazione riuscita

Data e ora da ricordare: 15.37, 12 ottobre 2013. Tutto si è risolto in pochi minuti. Dall’acqua verdognola, tra le onde dolci della laguna alla bocca di porto di Lido, pur con qualche apprensione, il Mose ha preso forma. Tra i flutti, come in un film di 007, è spuntato un grande contenitore giallo con le strisce rosse; e poi un altro ancora. Alla fine hanno fatto capolino 4 grandi paratoie. A 47 anni dall'”acqua granda” del 1966, dopo 25 anni di progetti e polemiche, e dieci dalla posa della prima pietra, il sistema Mose con tutta la sua potenza è spuntato dalle acque. Quasi una simbologia biblica.
Ma, ieri pomeriggio, con i cassoni, si è vista solo la punta dell’iceberg, ma sotto il livello dell’acqua, a 12 metri di profondità, era all’opera una vera città realizzata lungo un tunnel che collega la riva di Lido con quella di Treporti, e che ospita tutti gli alloggiamenti per i cassoni. Un lavoro faraonico che unirà anche le bocche di porto di Malamocco e di Chioggia per un totale di 78 paratoie di diverse proporzioni (215; 320; 380 e 330 tonnellate). E poi 27 strutture di alloggiamento ovvero i cassoni, veri e propri condomini costruiti sul fondale della laguna (si varia da 13 mila a 22.500 tonnellate). E poi 156 cerniere che vincoleranno le paratoie agli alloggiamenti e che consentiranno poi il movimento di alzata e discesa delle paratoie in sette minuti. E oltre a tutto questo tre conche di navigazione, una per zona per grandi navi; imbarcazioni e pescherecci. Numeri da capogiro per un’opera di ingegneria idraulica “made in Italy” che, quando sarà ultimata nel 2016, potrà difendere Venezia dalle alte maree. Il tutto per 5 miliardi e mezzo di euro.
«Si è stabilito che le paratoie potranno alzarsi – spiega il direttore del Consorzio Venezia Nuova, Hermes Redi – quando si raggiungerà la quota di marea di 1.10. Quindi, cinque, sei, sette volte all’anno. E in tutti i casi di emergenza».
E all'”alzata” delle dighe mobili – con il ministro Maurizio Lupi, il governatore Luca Zaia, la presidente della Provincia Francesca Zaccariotto, il sindaco Giorgio Orsoni, Roberto Daniele per il Magistrato alle Acque oltre ai rappresentanti del Comitatone e molti imprenditori che hanno partecipato con le loro aziende al progetto – è toccato al presidente del Consorzio Venezia Nuova, Mauro Fabris, tracciare un primo bilancio. «Un’opera originata dall’acqua alta del 1966 – ha detto – e da allora si sono succedute 14 legislature, 44 governi, 10 sindaci di Venezia. Lo Stato ha fatto tre leggi speciali, e 48 riunioni del Comitatone. Qui, oggi, si è avuta la prova che si sta realizzando un grande progetto. Noi siamo concentrati su questo, nonostante vicende estranee al Consorzio rischino di condizionare l’operatività, intenzionati a non subire le pretestuose polemiche di chi da 50 anni si oppone e che ora pensa di strumentalizzare quelle stesse vicende per ottenere con altri mezzi ciò che in decenni di confronti tecnici, scientifici e politici non ha ottenuto».

Paolo Navarro Dina

 

LA TECNOLOGIA – Il sindaco Bloomberg vuole difendere così New York

COSTI E TEMPI – Nel 2016 l’opera idraulica più complessa al mondo sarà costata 5,5 miliardi

LE POLEMICHE – Il “fronte del No” la città spesso spaccata le ultime inchieste

Così in 35 anni il “Progettone” si trasformò in Mose

Alla fine saranno passati 13 anni e saranno stati spesi 5 miliardi e mezzo di euro: l’equivalente di una manovra finanziaria. Ma nel 2016 «la più bella città del mondo, sarà anche la più forte», come citava – chiudendo con uno slogan da curva da stadio, “Venezia for ever” – il video celebrativo dei lavori del Mose, proiettato ieri durante la cerimonia di innalzamento delle prime paratoie del sistema che difenderà Venezia e laguna dalle acque alte. Tredici anni per realizzare la più complessa opera di ingegneria idraulica del mondo e per chiudere il più massiccio intervento di modifica della morfologia lagunare che si ricordi.

 

Gli anni del Progettone

Nel 2016, a Mose finito, saranno ben 35 gli anni trascorsi da quando, nel 1981, sette professori universitari scelti dal governo consegnarono il “Progettone” con cui si prevedeva di regolare le maree con restringimenti alle bocche di porto, integrati da dighe mobili. E saranno 32 gli anni trascorsi da quando il Comitatone del 1984 decise di affidare le opere di salvaguardia della laguna a un concessionario unico, il Consorzio Venezia Nuova. Sono stati decenni di polemiche, scontri con il fronte del No-Mose che ha messo in campo tecnici, periti, esperti. Con la città di Venezia spaccata in due, spesso dilaniata all’interno di una compagine governativa costituita per anni da un polo rossoverde contrario all’opera (lo stesso ex sindaco Massimo Cacciari disse: «C’è l’acqua alta? I veneziani usino gli stivali…»). Contestazioni tecniche, di carattere ambientale, ma anche politiche. A partire dalla procedura di affidamento al concessionario, un affidamento diretto a un unico soggetto gestore di una marea di soldi pubblici.

 

L’isola del tesoro

Scriveva nel 2004 l’ex vicesindaco ed ex parlamentare del Pd, Michele Vianello, nel libro “Un’isola del tesoro”, riferendosi alla nascita del Consorzio: «La tutela dei diversi interessi politici ed economici veniva garantita (nel rispetto della prassi dell’epoca) seguendo un metodo spartitorio, attraverso la presenza dell’Iri (che doveva rappresentare l’interesse pubblico), del Gruppo Fiat, di altre aziende private e nazionali e locali e delle imprese cooperative. Sempre presenti minoritariamente, le cooperative dovevano probabilmente garantire all’interno del Consorzio il mondo legato alla sinistra e, particolarmente, al Partito Comunista Italiano». Quanto il Mose è stato pensato ad arginare la forza della marea verso la laguna, tanto il Consorzio ha dovuto far fronte, dopo gli anni dei No-Mose, alle inchieste della magistratura degli ultimi tempi. L’inchiesta per fondi neri su Piergiorgio Baita, manager della Mantovani (uno dei colossi imprenditoriali del Consorzio) e quella su Giovanni Mazzacurati, per 30 anni al vertice di Venezia Nuova, hanno aperto uno squarcio sulla gestione di buona parte dei 4.867 milioni di euro spesi finora per il Mose. A partire, ad esempio, dal rapporto con il Magistrato alle acque, organo statale incaricato di vigilare sull’operato del concessionario privato. «L’ente ministeriale appare da un lato approfittare della potenza economica del Consorzio che dovrebbe controllare, dall’altro appare ad esso succube». Così la Guardia di finanza, nell’inchiesta su Mazzacurati, descrive il rapporto tra controllore e controllato. Lui, il “grande vecchio”, l’ingegnere che dopo Luigi Zanda (attuale capogruppo Pd al Senato) ha guidato il Consorzio, è un uomo libero dopo la revoca degli arresti domiciliari.

 

Il Consorzio volta pagina

Chissà per quanto tempo ha sperato di essere presente a un giorno come quello di ieri. Ma il Consorzio ha voltato pagina, alzando le proprie “dighe” e blindandosi nei confronti di inchieste che riguardano imprese associate, come le piccole cooperative sorprese dalla Finanza a costituire fondi neri in Austria gonfiando le fatture della posa dei massi per la costruzione delle dighe, O come l’ultima, quella che riguarda la Fip di Selvazzano, l’azienda che ha costruito le “cerniere” a cui le paratoie si agganciano, il cui amministratore è accusato assieme a un ingegnere di collusione con la mafia per l’appalto di una strada in Sicilia.
Proprio sulle cerniere il Magistrato alle acque si era spaccato a suo tempo, con tre tecnici dimessisi in contrasto con la scelta fatta che, ha ammesso ieri l’ingegner Alberto Scotti, progettista del Mose, «sono costate ben di più dell’alternativa a fusione che ci era stata prospettata». Vicende di cui Maria Giovanna Piva, ex presidente del Magistrato alle acque, non vuole più parlare. Eppure il Mose va avanti, inaugurazione dopo inaugurazione, resistendo alle folate e alle mareggiate delle polemiche, come dovrà fare quando sarà chiamato a difendere Venezia dall’acqua alta. Il Consorzio ha dato chiari segnali di discontinuità con il passato, costituendosi anche parte offesa per parare gli “schizzi di fango” piovuti negli ultimi tempi. Il concessionario unico ha voltato pagina, ha un nuovo management, ha anche mandato a casa il vecchio cda di Thetis, società controllata che in una intercettazione veniva definita «un baraccone spaventoso» da Pio Savioli, un altro degli ex dirigenti arrestati. Il Mose visto ieri fa impressione per l’imponenza e la tecnologia. Così come fa impressione l’enorme mole di interventi di compensazione e recupero ambientale realizzati in laguna. Ci lavorano 4mila addetti, il che equivale a 4mila famiglie. Non c’è dubbio che l’opera è e sarà sempre all’attenzione del mondo. La vuole pure Michael Bloomberg, sindaco di New York, per difendere la Grande Mela dagli uragani. “Un progetto italiano”, recitava ieri il video di presentazione. Nel bene e nel male.

Davide Scalzotto

 

IL PROGETTO – Quell’idea del tram sublagunare dentro le gallerie dei cassoni

LA GESTIONE – La cabina di regia sul Mose sarà decisa dal Parlamento. Lo ha specificato il ministro Lupi, affrontando uno dei nodi più importanti riguardanti il futuro del Mose. Il sindaco Orsoni ha però puntualizzato che nella gestione dovranno essere coinvolti tutti gli enti della città, dal Comune al Porto. Le paratoie, ha detto il direttore del Consorzio Venezia Nuova, Hermes Redi si alzeranno a quota 110: praticamente una media di 6-7 volte l’anno.

LA DIFESA DI VENEZIA – Il sindaco: «Segnale al mondo».

Pronto nel 2016, le barriere si solleveranno 6-7 volte l’anno

Il Mose si alza. Il futuro divide.

LA PROVA – Il Mose funziona. È andata a buon fine la prima prova in acqua delle gigantesche paratoie che, adagiate sul fondale, si dovranno alzare quando Venezia e la sua laguna saranno minacciate dall’acqua alta. Il sindaco Orsoni, presente al test assieme al ministro Maurizio Lupi e ad altre autorità, parla di una sorta di segnale al mondo che parte da Venezia: «La città – ha detto dimostra di essere capitale della contemporaneità, non un parco giochi».

Dieci anni di lavori, costo di 5.5 miliardi

IL RICORDO   «I problemi maggiori: far capire il piano ai politici

IL SINDACO  «Momento di svolta. Venezia capitale della modernità non parco giochi»

LA PROVA ALLE PARATOIE – Il ministro Lupi in sopralluogo ai cantieri delle dighe mobili. Sperimentato l’innalzamento delle gigantesche barriere idrauliche

 

I NUMERI DEL MOSE

Inizio lavori: 2003
Messa in funzione prevista: 2016
Stato di avanzamento attuale: 80 %
Costo totale dell’opera: 5.493 milioni di euro
Finanziamenti già stanziati: 4.867 milioni di euro
Addetti ai lavori: 4.000 (diretti e indiretti)
Dighe mobili: 4, per uno sviluppo totale di 1,6 km
Paratoie: 78 del peso complessivo di 1.245 tonnellate
Cassoni: 27 del peso complessivo di quasi 75.000 tonnellate
Cerniere: 156, ciascuna del peso di 42 tonnellate
Conche di navigazione: Malamocco, 1 per grandi navi, Lido, 1 per barche da diporto, Chioggia 2, per pescherecci e barche da diporto
Marea massima sostenibile: 3 metri (la marea record finora è stata di 1.94 nel 1966)
Rialzo del livello del mare previsto: 60 cm in 100 anni

 

IL PROGETTISTA DEL MOSE, ALBERTO SCOTTI

«Le cerniere? Funzionano ma abbiamo speso di più»

IL SISTEMA DELLE DIGHE – Un progetto ingegneristico che non ha uguali al mondo

Se ne è stato in disparte per buona parte della “missione” annunciata per vedere le prime paratoie mobili spuntare dall’acqua, ma poi non ce l’ha fatta. Alberto Scotti, ingegnere della Tecnital spa, è probabilmente uno dei “padri” del Mose. E ieri ha sicuramente gioito nel vedere le prime paratoie uscire alla luce del sole.
«Per Venezia i problemi maggiori – dice l’esperto – sono dovuti alle frequenze delle acque alte, anche perchè gli eventi eccezionali si verificano ogni dieci/quindici anni. I pochi centimetri di alta marea si possono gestire anche senza chiudere tutte le paratoie. Abbiamo cominciato a lavorare al progetto nel 1987, iniziammo a parlare con il ministro Prandini, ma io per la prima volta ho visto il suo successore Franco Nicolazzi». Scotti ricorda il suo lavoro: «É uno di quei progetti – sottolinea – che capita una volta nella vita. Devo dire che il Consorzio Venezia Nuova ha dato ampio seguito alle idee del progettista. Ho avuto la possibilità di fare quello che volevo, tenendo conto di tutte le problematiche e non solamente quelle costruttive, delle opere, o di quelle ambientali-sociali. La cosa importante è che funzioni. Non posso comunque nascondere che il lavoro per il Mose è stato anche un’ottima credenziale per altri lavori e per la mia professione».
Scotti non dimentica la peculiarità del sistema anti-acque alte: «Questo piano è una novità mondiale per la complessità – aggiunge – per la necessità di integrare più cose. L’idea iniziale riduceva molto lo scambio mare/laguna, ma poi abbiamo cambiato i criteri. Per quel che mi riguarda quanto è stato realizzato risponde pienamente all’idea progettuale». Infine il momento più delicato quando Scotti racconta dell’impegno profuso per spiegare il progetto a tecnici e politici: «É stato impegnativo spiegarlo. Certo: non solo ai politici, ma anche a molti tecnici. Per quel che riguarda le cerniere ricordo la discussione sull’ipotesi di fusione o quella di saldatura. Si decise per la prima opzione, ma i costi indubbiamente lievitarono».

P.N.D.

Il Mose si alza, ora l’obiettivo è il 2016

Il test va a buon fine: il sistema sarà attivato a quota 110, praticamente 6 o 7 volte l’anno

Improvvisamente il pelo dell’acqua ha iniziato ad incresparsi. A muoversi sempre di più, come se stesse spuntando fuori un sottomarino. Una scena da film di 007. E così è stato: alle 15.37, sette minuti dopo l’annuncio delle operazioni, il Mose si è materializzato con uno, due, tre, quattro paratoie di colore giallo e strisce rosse. A 47 anni dall’«acqua granda» del 1966; 14 legislature e dieci sindaci di Venezia, il Sistema di difesa della laguna di Venezia dall’acqua alta, ha fatto capolino dalle acque placide alla bocca di porto di Lido e Treporti. Un momento di suspence che si è risolto nel giro di qualche minuto con l’applauso dei rappresentanti delle istituzioni, alla presenza del ministro per le Infrastrutture Maurizio Lupi; del governatore del Veneto, Luca Zaia; della presidente della Provincia, Francesca Zaccariotto e del sindaco Giorgio Orsoni, oltre ai membri del Comitatone, degli imprenditori e delle maestranze. «Le dighe mobili – ha raccontato il direttore del Consorzio Venezia Nuova, Hermes Redi – si alzeranno cinque, al massimo sette volte all’anno in condizioni di emergenza». Gli ha fatto eco il presidente del Cvn, Mauro Fabris: «Ora speriamo che nella prossima Legge di Stabilità – ha detto – si possano garantire le risorse per finire questa grande opera». Una preoccupazione che è stata subito rimossa dal ministro Lupi: «I soldi ci saranno: arriveranno i 120 milioni che avevamo tolto nel “Decreto del Fare” e ci impegniamo fin d’ora a garantire il termine dei lavori nel 2016». Il ministro ha risposto anche sul caso Grandi Navi: «Ci ritroveremo al più presto con gli enti interessati. E partiremo dal decreto Clini-Passera che deve essere applicato». Dal canto suo, la presidente della Provincia, Francesca Zaccariotto ha sottolineato l’emozione: «Dopo quanto visto – ha detto – non possiamo che essere orgogliosi di quanto è accaduto». E anche il sindaco Giorgio Orsoni non ha nascosto la soddisfazione: «Siamo senz’altro di fronte ad un momento di svolta – ha detto il primo cittadino – Quest’opera cambierà in modo radicale il modo di approcciarsi alla città e alla laguna che sono un tutt’uno. Il Mose ci permetterà di consegnare al mondo un messaggio importante: questa città non è un parco giochi. Questa è una città viva, vitale. É una città della contemporaneità e quest’opera lo dimostra». E anche la Regione ha avuto la sua parte. «Si tratta di una pietra miliare per Venezia – ha detto il governatore del Veneto, Luca Zaia – Ora però dobbiamo finirlo. Il Mose non è importante solamente sul piano ingegneristico, ma anche perchè finora ha dato lavoro a oltre quattromila persone». E poi ha rilanciato sui fondi a disposizione per completare l’opera: «Noi paghiamo 18 miliardi di euro all’anno di tasse a Roma, siamo una delle cinque regioni che hanno un residuo fiscale attivo, per cui 20-30 milioni di euro che saranno necessari all’anno penso che a Roma già ci sono, e sono nostri».
E ora si guarda al futuro, dopo le tempeste giudiziarie dei mesi scorsi che si sono abbattute sul Consorzio Venezia Nuova e pure le recenti vicende che hanno visto una ditta, la Fip Industriale di Selvazzano, una delle aziende costruttrici delle cerniere del Mose, finire in odore di mafia. Ma oggi (ieri ndr) non è stato il giorno delle preoccupazioni, ma quelle di una sfida rinnovata alle acque alte. In difesa di Venezia.

 

 

VIAGGIO NEL CUORE DEI CASSONI

Quelle gallerie dove si poteva far passare il tram sublagunare

L’idea iniziale prevedeva anche un collegamento sommerso da Punta Sabbioni a Chioggia.

«Adesso non si può più»

Da Chioggia a Jesolo in bicicletta. O in tram. Sott’acqua. A dodici metri di profondità. Hermes Redi, direttore del Consorzio Venezia Nuova, sorride: «Noi lo avevamo proposto. Ci hanno detto di no e adesso non si può più». Manca poco a mezzogiorno, la motonave “Lady Giò” ha appena attraccato alla bocca di porto di Malamocco ed è qui che ai 103 giornalisti giunti da tutto il mondo l’ingegner Redi mostra il “Syncrolift”, l’ascensore sincronizzato che trasporterà i cassoni e li farà immergere nell’acqua, così da poter poi agganciare le paratoie. Il direttore del Consorzio mostra i cassoni montati su pilastri, sembrano enormi condomini di calcestruzzo, spiega che all’interno ci sono delle celle, delle stanze di fatto comunicanti. Insomma, sott’acqua, per far emergere all’occorrenza le paratoie contro l’acqua alta, c’è un tunnel. E questo tunnel poteva essere utilizzato come mezzo di trasporto. Solo che bisognava deciderlo a tempo debito.
«Si sarebbe potuto andare da Chioggia a Jesolo in bicicletta – dice l’ingegner Redi – O anche far passare un tram. Certo, bisognava deciderlo all’epoca. Ma quando è stata fatta la proposta, venne detto no». Il direttore non lo dice, ma è il senso chiaro: qualsiasi cosa provenga dal Consorzio Venezia Nuova trova contrarietà e contestazioni. Salvo, poi, rilanciare quando il tempo, le decisioni progettuali e lo stato di avanzamento dei lavori non lo consentono più. Ossia: inutile, oggi, chiedere di utilizzare i 27 cassoni lunghi 60 metri l’uno, per far correre le biciclette. O le macchine.
Fabio Pinton, direttore dei lavori, sgrana gli occhi appena gli si formula la domanda: «Far passare le persone qui sotto? Impossibile». La visita ai cassoni avviene nel tardo pomeriggio. Le autorità hanno già lasciato la motonave, resta solo un gruppetto di giornalisti che, caschetto in testa e giubbetto di sicurezza indossato, si cala con i tecnici sotto terra. Anzi, sott’acqua. Si scendono due, tre, quattro rampe di scale. Si è dodici metri sott’acqua, proprio all’interno dei cassoni che collegano due sponde della bocca di porta del Lido, solo qui sono 420 metri di lunghezza. Pare di stare in un bunker di cemento, un lungo corridoio che si collega a sinistra con delle stanzette a chiusura ermetica dove dentro ci sono le cerniere che fanno alzare e abbassare le paratoie e, per sicurezza, una camera iperbarica in ogni sala, mentre a destra ci sono altri due analoghi corridoi, i cosiddetti locali secondari. Quelli di “scorta”, dovesse mai capitare qualcosa. Le paratoie sono agganciate proprio sul “tetto” di questi cassoni. Chi verrà qui? Operai? Tecnici? Ingegneri? Praticamente nessuno, spiega Pinton, perché i comandi per azionare le dighe si trovano all’Arsenale e in ciascuna delle tre bocche di porto e questi corridoi serviranno solo per la manutenzione. Si potevano usare diversamente, certo, bastava allargarne uno. Solo che – dice il direttore del Consorzio Venezia Nuova – bisognava deciderlo a tempo debito.

HERMES REDI  «Anche il Porto dovrà far parte del gruppo di controllo»

LE CONCHE – Ospiteranno le medie stazze I colossi staranno in mare aperto

GESTIONE & IMPATTO – Il direttore generale del Consorzio «Le grandi navi? Saranno avvisate con tre giorni di anticipo quando il Mose entrerà in funzione»

Dighe mobili, la cabina di regia divide

Il ministro Lupi: «Deciderà il Parlamento».

Orsoni: «Coinvolgere tutti gli enti della città»

Devono ancora dargli un nome, figuriamoci se hanno deciso chi ne farà parte. Dunque, per ora è genericamente l’Ente Decisore. Non si sa chi rappresenterà. Non si sa da dove prenderà i fondi. L’unica cosa certa è che sarà l’Ente Decisore a stabilire quando le paratoie dovranno alzarsi. E, soprattutto, a gestire l’intero sistema di difesa di Venezia dalle acque alte. Per farla breve: quando nel 2016 il Mose sarà finito (ammesso che lo sia), il Consorzio Venezia Nuova uscirà di scena e farà il suo ingresso l’Ente Decisore.
Sarà un ente pubblico? privato? si faranno gare? da dove arriveranno i soldi per far funzionare per cent’anni il Mose? Secondo Hermes Redi, direttore del Consorzio Venezia Nuova, dovrà essere «un ente pubblico». Il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, non intende stare in un angolo: «È una decisione che dobbiamo affrontare tutti assieme perché la gestione del Mose non può essere affidata solo al Magistrato alle Acque né solo al Porto né solo al Comune o alla Regione. Deve esserci un organismo che metta assieme in modo paritario tutti questi soggetti. Ma – avverte Orsoni – non dimentichiamo che il Mose nasce per difendere Venezia». Della serie: la città deve avere voce in capitolo.
Il ministro alle Infrastrutture, Maurizio Lupi, dice che non tocca al Governo: «Spetta al Parlamento decidere. Ci sono quattro proposte di legge, quella di Gianpiero Dalla Zuanna ha già visto l’avvio dell’iter al Senato, in ogni caso tocca al Parlamento decidere le modalità di gestione di questa opera». E i soldi per la gestione del Mose? «Governo e Enti locali dovranno lavorare assieme per capire come individuare le risorse necessarie», dice Lupi. Che, peraltro, non si sbilancia neanche sui fondi per la manutenzione della città lagunare: «Partiamo da quello che stiamo facendo. Poi, in dialogo continuo con il Comune di Venezia, lavoriamo assieme per individuare le altre priorità».
È chiaro che se il Comune non vuole stare in un angolo, lo stesso varrà per l’Autorità portuale. Il primo a dire che il Porto dovrà far parte del futuro “gruppo di controllo” è l’ingegner Redi. Che spiega anche cosa succederà con le navi da crociera quando entreranno in funzione le paratoie: «Le navi da crociera potranno organizzare tranquillamente il loro tragitto perché noi sapremo con tre giorni di anticipo quando saranno azionate le paratoie, conosceremo data e ora di apertura e chiusura. E quindi l’avviso sarà dato in anticipo». Nel caso, le navi da crociera potranno trovare rifugio nelle conche di navigazione: ma solo quelle di media stazza – ha detto Redi – i colossi staranno in mare aperto.

 

I NO MOSE  «Non c’è proprio nulla da festeggiare»

(G.P.B.) «Non c’è davvero niente da festeggiare». Così i simpatizzanti del centro sociale Morion hanno energicamente protestato, ieri alle Zattere, mentre gli ospiti e le autorità si imbarcavano verso il cantiere del Mose.
«Non ci interessava andare con loro anche se con tutti i soldi versati dai contribuenti magari i cittadini potevano anche essere invitati – ironizza Tommaso Cacciari – la nostra era solo una protesta colorata per ricordare anche quello che accaduto sul fronte giudiziario. Insomma, che i problemi emersi non passassero inosservati».
Il Mose, secondo il centro sociale Morion e il No Grandi navi, non è preparato ad affrontare le conseguenze dei cambiamenti climatici. «Nessuno ha mai dato risposta ai dubbi sulla tenuta delle paratoie in presenza di forti correnti – affermano i No Mose – perchè nessuno ha mai chiarito se le cerniere sono sicure e affidabili. Sta venendo alla luce anche il meccanismo infernale della concessione unica al Consorzio Venezia Nuova. È stato creato un meccanismo politico-affaristico». Nel ricordare le recenti inchieste della magistratura, i No Mose evidenziano che fino ad oggi sono stati spesi sei miliardi. «Il ministro Lupi invece di festeggiare – concludono – dovrebbe preoccuparsi di dare immediate risposte alla comunità che chiede l’allontanamento della Grandi navi. Bisogna riconvocare il vertice del governo e decidere subito sulle alternative».

 

Nuova Venezia – Le paratoie del Mose superano il primo test.

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13

ott

2013

Mose, le paratoie funzionano

Superato il primo test: le quattro dighe mobili (su 79) si sono alzate

Le paratoie del Mose si sono alzate. Alle 15, 07 e 53 secondi sono affiorate dall’acqua: la prima prova generale delle dighe mobili, quattro su 79 totali, ha funzionato. Il ministro Lupi: «Simbolo della grandezza d’Italia».

Le paratoie del Mose superano il primo test

Prova fra gli applausi a Santa Maria del Mare: «Sono le 15.07, funzionano»

Il ministro Lupi entusiasta: «Lavori tassativamente conclusi entro il 2016»

IL CONSORZIO VENEZIA NUOVA – I dubbi sulle cerniere sono stati superati, questo congegno difenderà la città fino a una quota di marea di tre metri

il sindaco orsoni – È un’opera che cambierà il modo di vedere Venezia Non siamo un parco giochi ma una città della contemporaneità

VENEZIA «Si alza!» Alle 15.07 e 53 secondi, come annunciato con un filo di emozione dall’ingegner Giovanni Cecconi, responsabile delle operazioni di cantiere, la prima paratoia giallorossa emerge dall’acqua. Il Mose entra nella sua fase «operativa». Dopo trent’anni di studi, polemiche non ancora sopite e contestazioni ecco la prima schiera di 4 paratoie che vengono su. 158 metri cubi di aria compressa sollevano in 7 minuti lo «scatolone» di acciaio di 20 metri per 30 largo 5. Primo esperimento pubblico riuscito, tra gli applausi delle autorità, la curiosità di fotografi, giornalisti e tv invitati da mezzo mondo. «Un simbolo della grandezza italiana», commenta il ministro per le Infrastrutture Maurizio Lupi, appena arrivato dalla commemorazione delle vittime del Vajont. L’adunata in grande stile è stata voluta dai nuovi dirigenti del Consorzio Venezia Nuova. Per «inaugurare» le prime quattro paratoie su un totale di 78. Ma soprattutto per voltare pagina e far dimenticare gli scandali che hanno portato negli ultimi mesi agli arresti dell’ex presidente Giovanni Mazzacurati e dell’ex presidente della Mantovani Piergiorgio Baita (i padri del progetto Mose, ieri nemmeno invitati) e all’arresto di un manager della padovana Fip, l’azienda che ha costruito le cerniere, cuore del sistema Mose. «Ma l’evento era già programmato da tempo», dice il neopresidente Mauro Fabris.

I cassoni. Il lungo viaggio in laguna dei cento giornalisti e operatori invitati comincia di buon mattino. Destinazione Santa Maria del Mare, dove sono stati costruiti i giganteschi cassoni in calcestruzzo che saranno calati sul fondo per ospitare cerniere e paratoie. Sul terrapieno di 13 ettari davanti alla spiaggia ce ne sono allineati 18. I più grandi pesano fino a 22 mila tonnellate. Un quartiere grigio dove sono allineati i blocchi alti come palazzi di dieci piani, con l’incavo per le paratoie, le gallerie. Saranno sollevati da una gru speciale con giunti idraulici, poi calati in mare con il «Syncrolift», meccanismo con motori Rolls Royce. «Un lavoro che ci ha impegnato per anni», dice Enrico Pellegrini, direttore del cantiere.

La conca. Quasi ultimata a Malamocco è anche la conca di navigazione, costruita dopo la demolizione della vecchia diga per far entrare le navi in porto nei periodi di chiusura del Mose. Ma in pochi anni è già obsoleta, le grandi navi non ci passano più.

Redi. Tocca al nuovo direttore Hermes Redi illustrare con foto e filmati il lavoro fatto dal Consorzio negli ultimi trent’anni. barene, rive, difese a mare. E, soprattutto, Mose. «I dubbi sollevati sulle cerniere sono stati superati», assicura, «il Mose difenderà la città fino a una quota di marea di tre metri, e sarà in grado di sopportare l’aumento del livello dei mari fino a 60 centimetri.

L’isola del bacàn. La grande motonave con ospiti e giornalisti arriva all’isola artificiale del bacàn. In mezzo alla bocca di Lido, l’isola artificiale di 12 ettari ospita nuovi edifici e la centrale elettrica che deve azionare i meccanismi delle paratoie. Immettere l’aria compressa per sollevarle, pompare l’acqua di mare per rimetterle adagiate sul fondo.

Il sollevamento. La prima volta, nel giugno scorso, una paratoia non si era alzata. «Mi raccomando», sibila Fabris ai suoi tecnici prima di imbarcarsi con il ministro. L’operazione va liscia. Mare calmo, assenza di vento, condizioni climatiche ideali. Cosa succede in caso di mare agitato? «Nessun problema», rassicura Redi, «ogni paratoia deve tenere un peso relativamente piccolo». A distanza di sette minuti una dall’altra – il tempo necessario per riempirle di aria compressa – si alzano una dopo l’altra le paratoie 4, 5, 6 e 7. Nel canale di Treporti, tra Punta Sabbioni e l’isola, sono quattro adesso le paratoie montate sui cassoni e in funzione su un totale di 20.

Le autorità. Il ministro Lupi scherza e si diverte. «Questa, dice, «è la migliore risposta a chi ha criticato la Legge Obiettivo. Adesso garantiremo i fondi necessari per completare l’opera e anche quelli per la manutenzione». «Un’opera importante», commenta il sindaco Giorgio Orsoni, «che cambierà il modo di vedere Venezia. Non siamo un parco giochi ma una città della contemporaneità». Per Francesca Zaccariotto, presidente della Provincia siamo «all’ingegneria che tocca l’emozione». Per il presidente della Regione Luca Zaia i cantieri del Mose sono stati un grande volano per la nostra economia. Tecnologìa che va esportata». «Adesso vediamo», mormora il giovane sindaco grillino di Mira Alvise Maniero, «la Serenissima puniva severamente gli ingegneri che sbagliavano».

L’opera finita. La fine dei lavori del Mose, per il ministro Lupi, sarà il 2016. Data «tassativa». «E intanto penseremo, tutti insieme, alla gestione». Ogni paratoia mostra davanti i due grandi fori con cui dovrà essere sollevata (in media una ogni 23 giorni) per essere trasportata da navi speciali all’Arsenale per la manutenzione. Fine lavori prevista per il 2016, e intanto occorrerà monitorare («Lo faremo, anche con gli enti pubblici», ha garantito Redi) gli effetti della grande opera sull’equilibrio lagunare.

Alberto Vitucci

 

Manifestanti fermati alle Zattere «Nessuna festa»

«Non c’è niente da festeggiare. Invece di fare propaganda per rilanciare tutte le grandi opere inutili e devastanti del nostro Paese il ministro Lupi farebbe bene a rispondere alle domande della nostra comunità. A far luce sugli intrecci del malaffare che sono emersi nella concessione unica e darci presto risposte sulle grandi navi».

I comitati Ambiente Venezia, No Mose, No Grandi navi, Laboratorio occupato Morion, hanno provato ieri a seguire la cerimonia del varo delle prime paratoie al Lido. Ma alle Zattere, dove volevano imbarcarsi, sono stati bloccati dalla polizia. «Nessuno ha mai garantito che le paratoie siano sicure», dicono, «un nuovo Vajont su Venezia sarebbe disastroso».

(a.v.)

 

Uno spettacolo sobrio

Politici in passerella a favore di telecamere

Cento giornalisti da tutto il mondo, elicottero e barconi

Ma sull’evento aleggiano inchieste giudiziarie e arresti

VENEZIA – La sobrietà è proporzionata all’evento, non ancora biblico ma spettacolare quanto basta, quanto deve e quanto può. Per la prima movimentazione delle quattro paratoie del Mose, in una giornata che sembra ordinata direttamente a chi regola il sole, il Consorzio Venezia Nuova raccoglie autorità e stampa, conia un nuovo slogan dal sapore obamiano («Venezia forever») e nel verde della laguna, in un ribollire d’acqua da mostro di Loch Ness, fa spuntare come denti le prime barriere gialle. Alle 15.07, trent’anni dopo che il Mose era stato immaginato per la prima volta, tre mesi dopo il repentino cambio dei vertici e tre giorni dopo la notizia di un’altra inchiesta che ha coinvolto l’azienda costruttrice delle cerniere delle paratoie, arriva l’applauso liberatorio con un vago sentore apotropaico perchè l’opera è onestamente molto complicata.

Dimagrita per via dei tempi, delle circostanze e del buon gusto, la festa del Mose non rinuncia all’elicottero, che ronza come una mosca su Punta Sabbioni, a un’intera motonave con un centinaio di giornalisti arrivati da tutto il mondo (inclusa Al Jazeera) e portati in giro in laguna per sette ore, e a un’altra che all’ora di colazione fa apparire tutti quelli che ci devono essere. Il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, il governatore Luca Zaia, la presidente della Provincia Francesca Zaccariotto, il sindaco Giorgio Orsoni, il presidente della Biennale Paolo Baratta, quello del Porto Paolo Costa, e ancora il presidente del Magistrato alle Acque Roberto Daniele, il responsabile dell’Ufficio salvaguardia Fabio Riva, il presidente della fondazione Venezia 2000 Marino Folin, svariati consiglieri regionali, provinciali e comunali, e un drappello di assessori in un vorticoso rotear di targhette sulle sedie, incroci di mani e qualche silenzio di troppo. Mai nominato, nemmeno per un ringraziamento a distanza considerata la primogenitura del Mose, l’ex presidente Giovanni Mazzacurati. «Non abbiamo invitato nessun presidente precedente – mormora lievemente tirato il nuovo Mauro Fabris – L’ingegnere è il padre del Mose, la storia non può essere cambiata. L’avevamo invitato a vedere le prove tecniche ma non è venuto». Per mettere insieme tutto l’ambaradan, in un lavoro di settimane day & night, l’ufficio stampa del Consorzio è stato affiancato da Enrico Cisnetto (e dalle sue collaboratrici molto Charlie’s Angels) che ora magari medita un Venezia InConTra. La sobrietà evidentemente non esclude il nuovo nè l’improvvido tacco a spillo su calza a rete di un’ospite che confonde la motonave con un red carpet. Include invece tre scatoloni di impermeabilini Muji che non servono ma fanno molto chic. Ed è quindi raggiante nel sole, pago e quasi commosso, che il direttore Hermes Redi annuncia: «E, con questo, tutto quello che c’era da tirare su l’abbiamo tirato su».

Manuela Pivato

 

Domani la commissione d’inchiesta a Ca’ Farsetti

Orsoni parla della Mantovani

Audizione del sindaco sui rapporti della società con il Comune

Sarà il sindaco Giorgio Orsoni a riferire domani su tutti i rapporti intercorsi tra il Comune e l’impresa Mantovani negli ultimi anni, di fronte alla Commissione d’indagine consiliare che si è già costituita da qualche mese a Ca’ Farsetti – dopo l’inchiesta della magistratura per frode fiscale che ha portato nei mesi scorsi all’arresto dell’ex presidente della società Pier Giorgio Baita – proprio stabilire se ci sia eventualmente qualche zona d’ombra nelle trattative che hanno riguardato Ca’ Farsetti e l’impresa.

Orsoni riferirà in particolare delle trattative che riguardano il Mercato ortofrutticolo di Mestre, la sponsorizzazione per la Coppa America, la vendita di una quota minoranza della società autostrade Venezia-Padova – che contribuì due anni fa ad evitare l’uscita dal Patto di Stabilità – e ancora le vicende che riguardano la vendita poi fallita dell’ex Ospedale al Mare (in cui Mantovani era in cordata con EstCapital per l’acquisto) e dello stesso Mose, limitatamente agli aspetti che possono riguardare l’Amministrazione comunale.

La Commissione d’indagine sulla Mantovani si riunirà poi nuovamente giovedì per ascoltare anche una relazione dei dirigenti comunali in particolare sull’operazione del Mercato ortofrutticolo di Mestre.

Tra le successive audizioni, previste quella con il nuovo presidente del Consorzio Venezia Nuova Mauro Fabris – che ha da poco preso il posto dell’indagato Giovanni Mazzacurati – con il direttore Ermes Redi, con i sindaci uscenti Massimo Cacciari e Paolo Costa, con gli ultimi tre presidenti del Magistrato alle Acque (Maria Giovanna Piva, Patrizio Cuccioletta e Ciriaco D’Alessio).

(e.t.)

 

Nuova Venezia – Gruppo Mantovani ancora nel mirino.

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12

ott

2013

I rapporti sospetti di un’azienda-gioiello

VENEZIA – Il gruppo che fa capo alla famiglia degli imprenditori padovani Chiarotto è finito mercoledì, ancora una volta, nel mirino della magistratura. Questa volta non sono stati i manager della Mantovani a finire sotto inchiesta, ma quelli della Fip Industriale di Selvazzano, il cui presidente è Donatella Chiarotto, figlia dell’anziano Romeo. L’azienda è considerata un fiore all’occhiello del gruppo, nonostante spesso fosse in perdita. I guai arrivano dalla Sicilia, E sono guai pesanti. Infatti iI carabinieri di Caltagirone, coordinati dai pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia di Catania, hanno arrestato l’amministratore delegato della società padovana, il 55enne mestrino Mauro Scaramuzza, e l’ingegnere padovano di 39 anni Achille Soffiato, responsabile del cantiere siciliano di Caltagirone dove l’impresa partecipava alla costruzione di un tratto di strada lunga quasi nove chilometri. Con loro sono finiti in manette i catanesi Gioacchino Francesco La Rocca, 42 anni, il figlio di “Ciccio”, il capo dell’omonimo clan mafioso di Caltagirone, Giampietro e il fratello Gaetano Triolo, rispettivamente 53 e 42 anni, il primo cognato di La Rocca. Le accuse sono pesanti, a vario titolo devono rispondere di associazione a delinquere di stampo mafioso, intestazione fittizia di beni e concorso esterno nell’associazione mafiosa. Gli arresti arrivano appena a tre giorni dall’inaugurazione ufficiale e in grande stile, oggi, alla presenza di almeno due ministri delle prime quattro paratoie del Mose, una delle grandi opere ideate e costruite dal Consorzio Venezia Nuova, opera alla quale hanno collaborato sia la Mantovani sia la Fip Industriale. Quest’ultima ha infatti ideato le cerniere che permettono alle paratoie di alzarsi in caso di maree particolarmente alte e poi di abbassarsi.

 

La difesa dei manager Fip «Mai fatto favori alla mafia»

Interrogati gli arrestati Scaramuzza, guida operativa dell’azienda di Selvazzano, e Soffiato «Non abbiamo alcun legame con il clan di Francesco La Rocca e con i boss di Caltagirone»

VENEZIA – Ha negato di conoscere e di sapere chi veramente è Gioacchino Francesco La Rocca, appartenente all’omonimo clan di Caltagirone. Mauro Scaramuzza, ad della Fip di Selvazzano arrestato tre giorni fa con l’accusa di concorso esterno in associazione di stampo mafioso, inoltre ha sostenuto al gip che lo interrogava, che di sicuro gli appalti non sono stati spezzettati per evitare di dover chiedere la certificazione antimafia alla prefettura di Catania e che addirittura è stata la stessa Fip ad aver richiesto la certificazione per tutti i contratti di fornitura del cantiere di Caltagirone. Sulla stessa linea le risposte dell’ingegnere Achille Soffiato. Ieri, per i due, interrogatorio di garanzia a Catania davanti al gip Anna Maggiore. Ad assisterli gli avvocati Alessandro Rampinelli (Scaramuzza) e Carlo Augenti (Soffiato). L’interrogatorio del primo è durato quaranta minuti, quello del secondo quarantacinque. Alla pesante accusa di aver agevolato il clan mafioso “La Rocca” di Caltagirone, i due manager hanno cercato di spiegare come quanto riportato nell’ordinanza di arresto, sia lontano dalla verità. In particolare Soffiato, responsabile del cantiere aperto a Caltagirone per realizzare un tratto di strada che vale 122 milioni di euro, ha ricordato che non è ipotizzabile per un dirigente che arrivi sul posto al lunedì e riparta il giovedì, possa conoscere la genesi e le parentele di tutti coloro che hanno rapporti di lavoro con l’azienda. Proprio per questo la Fip stessa, avrebbe chiesto alla Prefettura l’applicazione delle norme antimafia su tutti gli appalti e subappalti. Un’autotutela della società padovana arrivata al punto di applicare lo stesso criterio a tutti i contratti di fornitura di materiali al cantiere e non solo dei subappalti. Soffiato ha spiegato che la sta procedura della sua azienda valeva per qualsiasi importo di contratto o appalto. Il professionista ha ricordato al giudice che lui stesso assieme a Chiarotto padre una prima volta e poi a Donatella Chiarotto, la presidente della Fip, si sono recati in Prefettura a Catania per chiedere la documentazione antimafia. Ma dalla Prefettura, stando a quanto ha detto Soffiato, non è mai arrivata una risposta per motivi interni allo stesso ufficio territoriale di governo. Sempre secondo il responsabile del cantiere, la documentazione sui vari subappalti, oltre ad essere inviata alla Prefettura è stata consegnata, secondo legge, all’Anas che ha risposto dando il proprio assenso nei tempi previsti. Nessuna risposta negativa è mai arrivata, sostiene l’ingegnere, dalla Prefettura. Quindi la Fip ritiene quel silenzio un assenso. Sempre Soffiato ha fatto presente al giudice che proprio con il suo arrivo al cantiere è stata installata una garrita all’entrata del cantiere con una persona a guardia dell’accesso. Questa aveva il compito di controllare tutti coloro che entravano in cantiere chiedendo i documenti e spiegazioni sul motivo della loro presenza. Ma non solo. Sempre secondo il dipendente dell’impresa padovana, proprio lui ha fatto installare delle telecamere per la videosorveglianza del cantiere, consegnando la password di accesso al sistema remoto a polizia e carabinieri che in qualsiasi momento potevano controllare le presenze in cantiere. «Tutto quanto ha detto il mio assistito» spiega l’avvocato padovano Carlo Augenti, «è dimostrabile con documenti che forniremo al giudice. Di certo chi voleva agevolare un clan mafioso non si sarebbe comportato in questa maniera».

Carlo Mion

 

Paratoie del Mose, prove in diretta

Il ministro Lupi, il governatore Zaia e il sindaco Orsoni saranno presenti oggi all’evento. Si alzeranno una alla volta

Il momento forse non è dei migliori. La crisi, gli arresti per mafia che hanno toccato anche i tecnici della Fip di Padova, l’azienda che ha costruito le cerniere. E poi, il cinquantenario della tragedia del Vajont, diga perfetta costruita sotto la frana. Le indagini della Finanza che continuano, le richieste di «trasparenza» e gli antichi oppositori che riprendono fiato. Per il Mose, progetto da 6 miliardi di euro che dovrebbe salvare Venezia dalle acque alte, la fine dei lavori è ancora lontana. Ma a dieci anni dalla prima pietra – posta nel 2003 da Silvio Berlusconi – si è arrivati al punto. Quasi ultimati gli interventi preliminari, le dighe foranee, gli scavi e le trincee. Sono finiti anche i cassoni in calcestruzzo, le gigantesche basi che dovranno sostenere le 78 paratoie nelle tre bocche di porto. Adesso tocca al «software»: le prime quattro paratoie in acciaio (venti metri per trenta, spesse quasi cinque metri) sono state calate sui fondali della bocca di Lido, lato Treporti. Le «prove in bianco» sono cominciate a giugno. E al primo esperimento, per la verità, una delle paratoie ha fatto cilecca. «Problemi dell’aria compressa, abbiamo provveduto», diceva allora il Consorzio Venezia Nuova. Adesso le prove sono quasi finite, e il pool di imprese responsabile del progetto Mose ha deciso di mostrarle al mondo. Oggi giornata in laguna per centinaia di giornalisti, imbarcati alla Marittima su una motonave che li porterà prima a Malomocco a visitare il cantiere dove sono stati costruiti i cassoni. Undici blocchi in calcestruzzo da 22 mila tonnellate, grandi come un condominio di dieci piani, lunghi fino a 50 metri e larghi 26. Saranno «varati» nei prossimi mesi, trainati e affondati alle bocche di porto di Lido e poi di Malamocco. Il cantiere di Santa Maria del Mare ha ospitato per quasi dicei anni le lavorazioni dei megacassoni, per questo il Consorzio è finito anche nel mirino dell’Unione europa. Diapositive e conferenze a bordo per istruire chi il Mose non sa nemmeno cosa sia. Poi alle 14.30, alla presenza del ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, del sindaco Giorgio Orsoni, del presidente della Regione Luca Zaia, la prova di sollevamento. I tecnici premeranno il bottone e le paratoie si alzeranno, una alla volta. È prevista pioggia, ma il cielo non preoccupa i progettisti che intendono mostrare al mondo l’orgoglio di un’opera «tutta italiana» e la loro estraneità alle recenti vicende giudiziarie. In molti, consiglieri e senatori, hanno rifiutato l’invito. «Prima di serimonie di questo tipo», dicono, «occorre dare risposte ai dubbi tecnici sollevati dagli esperti sul funzionamento delle paratoie». I dubbi degli ingegneri come Lorenzo Fellin, esperto idraulico che si era dimesso dopo aver criticato le modalità di costruzione delle cerniere. O quelli della società di ingegneria Principia. Contatta dal Comune (giunta Cacciari) nel 2008 aveva scritto che in caso di eventi estremi (scirocco e mare agitato) le paratoie non danno garanzia. Dubbi espressi molti anni prima dal cinese Chang Mei nel parere dei cinque esperti internazionali che avevano promosso (con riserva) il progetto preliminare del Mose. «Tutto superato», assicurano i tecnici del Consorzio. La «parata» di oggi e il giro in laguna – già organizzato altre volte alla presenza di ministri e governatori – hanno prima di tutto lo scopo di inaugurare il «nuovo corso» del Consorzio. I padri del progetto – l’ingegnere Mazzacurati e Piergiorgio Baita – non sono nemmeno stati invitati. Quasi una presa di distanza da una storia cominciata oltre trent’anni fa. E adesso forse vicina al suo epilogo.

Alberto Vitucci

 

INTERROGAZIONE PARLAMENTARE – Cerimonia in pompa magna «Fare chiarezza sulle spese»

Tre arresti eccellenti. Ma per il Consorzio «non c’entrano con il Mose». E la nuova dirigenza si è costituita parte offesa nelle inchieste in corso. Dopo gli arresti dell’ex presidente della Mantovani Piergiorgio Baita e del presidente del Consorzio Giovanni Mazzacurati, due giorni fa il supertecnico della Fip di Padova (l’azienda che ha costruito le cerniere del Mose) Mauro Scaramuzza accusato di legami con la mafia. C’era da dare una svolta mediatica. Ed ecco la grande cerimonia. «Inaugurazione del Mose» l’hanno già titolata molti giornali nazionali. In realtà si tratta delle prime prove in pubblico di quattro paratoie su 78. Le prime che sono state ancorate sul fondo in calcestruzzo, da qualche mese sotto osservazione. Si alzeranno le paratoie? «Ridicola farsa per utili idioti», la definisce senza mezzi termini l’associazione Ambiente Venezia, «le paratoie si alzano immettendo aria compressa, si abbassano immettendo acqua del mare: è solo il principio di Archimede che non ha certo bisogno di conferma». Per invitare centinaia di giornalisti, ministri e autorità, parlamentari e consiglieri, il Consorzio ha fatto ricorso a una società di comunicazione esterna, diretta da Enrico Cisnetto. «Ma solo per questo grande evento», precisa il direttore Hermes Redi. «Tutte le necessità logistiche sono in carico all’organizzazione», c’è scritto nell’invito. Spese «extra» per un grande evento sui cui il senatore del Pd Felice Casson ha annunciato una interrogazione parlamentare. «Sarebbe meglio invece fare chiarezza e rispondere a quesiti ancora irrisolti», dice. L’europarlamentare di Sel Andrea Zannoni ha presentato una nuova interrogazione a Bruxelles. «Chiedo che il Parlamento europeo indaghi anche sull’utilizzo dei fondi europei e sul possibile non funzionamento di questa mastodontica opera». Una indagine è già stata aperta dal presidente della commissione europea Potocnik.

(a.v.)

 

Il ministro delle Infrastrutture, oggi a Venezia alla “prima” delle paratoie mobili: «È in gioco la  credibilità del governo. Anche i 120 milioni utilizzati per abolire l’Imu saranno restituiti»

GRANDI NAVI  «No al passaggio in canale della Giudecca, ma non possiamo perdere
due milioni di turisti»

ALTA VELOCITA’ «Il raddoppio dei binari si deve fare. E questo è il compito di Mainardi. Altrimenti lasci»

Il ministro delle Infrastrutture:«Garantiti i fondi necessari, anche i 120 milioni utilizzati per l’ Imu saranno restituiti. E’ una grande sfida che si concretizza

L’EVENTO – Oggi la “prima” delle paratoie mobili per proteggere Venezia dall’acqua alta

L’OMAGGIO «Senza la legge Obiettivo, voluta da Berlusconi, tutto ciò non sarebbe avvenuto»

L’INTERVISTA infrastrutture

Lupi: «Mose, è in gioco la credibilità del governo

Sarà finito entro il 2016»

CANTIERI – Il ministro Maurizio Lupi garantisce che il Mose sarà completato entro il 2016. E la Tav «va fatta»

Maurizio Lupi, dopo 30 anni di polemiche, oggi si muovono le prime quattro paratie del Mose.
«Sono soddisfatto», risponde il ministro alle Infrastrutture che questo pomeriggio partecipa alla “prima” delle dighe mobili pensate e realizzate per salvare Venezia dalle acque alte. Un evento epocale «che concretizza ciò che sembrava una sfida impossibile. La grande sfida di una capacità ingegneristica, di una certezza che i lavori vadano avanti rispettando i tempi.

Un orgoglio per una legge, quella Obiettivo, che porta la firma di Berlusconi, la cui mancanza avrebbe portato il Paese a non avere l’Alta Velocità e il Mose».
Fine dei lavori il 31 dicembre 2016. Sarà così?
«Certo, ne va della credibilità delle istituzioni. È l’inizio di un nuovo passo, di un cambiamento per il sistema Paese, cosa per il quale mi batto da cinque mesi al ministero: se si decide di fare un’opera, questa va realizzata in tempi certi, con i costi previsti, nella massima trasparenza Il governo farà di tutto perché la scadenza sia rispettata».
Però, il Cipe ha disatteso la Legge di Stabilità triennale del 2012, tagliando 120 milioni rispetto ai 1.094 promessi. Operazione giustificata per contribuire a coprire l’abolizione Imu. Non è stato un bel gesto.
«Vero. Nella definizione del “Decreto del Fare” dicevo che dobbiamo avere la capacità di lavorare sia per le risorse che sono date per competenza, cioé assegnate ad un’opera ma che non vengono spese subito, sia per la risorse che, in caso di emergenze, possono essere prese dalla competenza e assegnate per cassa. Così, abbiamo preso quei 120 milioni che non servivano oggi per il lavori del Mose per creare il fondo per il piano casa. Abbiamo comunque destinato altri 924 milioni per la continuazione del Mose…».
Quei 120 milioni torneranno alla giusta collocazione?
«L’ho promesso, saranno restituiti con la Legge di Stabilità».
Oltre a questi 120 milioni, saranno anche garantiti i 506 che mancano per completare il sistema di paratoie?
«Il compito del governo è perché questo avvenga, i lavori non possono procedere per cassa. In un momento come questo dobbiamo avere la capacità di utilizzare al meglio tutte le risorse che abbiamo. Su questo si gioca la credibilità di chi governa».
Grandi navi: si va verso lo stop al passaggio in Bacino San Marco.
«Come abbiamo già detto, dobbiamo attuare il decreto legge che prevede l’interdizione del canale della Giudecca».
C’è un braccio di ferro tra il sindaco che vuole l’approdo a Marghera e il presidente del porto Paolo Costo sponsor della Marittima.
«Entro fine ottobre il governo si assumerà le sue responsabilità: confronteremo tutte le ipotesi e poi si deciderà con il territorio».
Le compagnie di navigazione non vogliono perdere la “vendita” della “cartolina” di Venezia.
«I turisti che arrivano in Laguna sono una risorsa per il sistema Italia. Le grandi compagnie, da Costa a Msc, hanno dato assoluta disponibilità. La città di Venezia e il governo non possono permettersi di perdere quei 2 milioni di passeggeri che nel 2013 sono arrivati in Laguna. Con intelligenza e responsabilità si può salvare questo patrimonio, ma non lo si può fare se non prendendo decisioni».
Alta velocità. La Francia ha dei ripensamenti sulla linea transalpina che attraversa la Val di Susa.
«Notizia infondata. Ho incontrato il ministro francese dei trasporti e il commissario Ue Callan, tra un settimana ci sarà un incontro trilaterale Francia-Italia-Ue; stiamo ratificando il trattato internazionale nei parlamenti italiano e francese… non c’é nessun passo indietro di Roma e Parigi. L’alta velocità Torino-Lione si sta realizzando,entrambi i Paesi la vogliono. Anche la Ue».
C’é però polemica in Veneto. La commissione nazionale Via ha dato il placet al progetto del 2010 che prevede il passaggio della linea lungo il litorale dicendo che non era a conoscenza delle indicazioni del commissario di governo per il tratto veneto-friulano Mainardi: prima l’ammodernamento della linea esistente, utilizzata solo al 60%, e solo in un secondo momento, se necessario, raddoppiare i binari affiancandoli alla linea storica.
«Sarebbe irresponsabile da parte del governo non proseguire nella realizzazione del corridoio Ovest-Est. I lavori stanno arrivando a Brescia e proseguiranno fino a Verona per poi proseguire, i finanziamenti saranno in Legge di Stabilità. Quanto al commissario, è stato nominato con la mission di attuare il progetto previsto dalla Legge Obiettivo (raddoppio, ndr.). Se ritiene che questo progetto non sia più utile ha due strade: non fare più il commissario o aiutare a procedere. Se ci sono modifiche, devono venire dalle Ferrovie. Personalmente ritengono che va completata la dotazione della rete ferroviaria che non deve arrivare solo a Venezia. A questa va poi collegata la dorsale adriatica, il corridoio Baltico-Adriatico. Il cerchio si chiuderà con la messa in relazione di porti, aeroporti e aree urbane con la grande rete ferroviaria. Senza dimenticare la sfida del trasporto regionale a vantaggio dei pendolari».
Vista la scarsità di fondi, gli industriali veneti chiedono: lasciate fare a noi l’alta velocità.
«Credo nella collaborazione pubblico-privato, e spero di dare un segnale forte applicando per la prima volta la legge sulla defiscalizzazione per realizzare la Orte-Mestre. Per il momento le risorse per l’alta velocità rientrano nelle Legge Obiettivo, si va avanti su questa strada».
Orte-Mestre. Da un anno il progetto deve essere valiato dal Cipe. Intanto il consorzio di impresa ha ottenuto la promessa di sconti fiscali.
«Sarà la prima arteria che potrà beneficiare della legge sulla defiscalizzazione. Al prossimo Cipe porteremo il progetto».

Giorgio Gasco

 

«L’antimafia? Doveva muoversi l’Anas»

Il difensore di Scaramuzza ha chiesto l’immediata scarcerazione dell’ingegnere mestrino

«Si tratta di ipotesi da fantascienza». Così l’avvocato Alessandro Rampinelli ha definito le accuse in base alle quali la procura di Catania ha chiesto e ottenuto mercoledì l’arresto di Mauro Scaramuzza, 55 anni, di Mestre, amministratore delegato della Fip di Selvazzano, società che fa capo al gruppo padovano Chiarotto, lo stesso che controlla la Mantovani spa. Ieri mattina il manager da lui assistito, detenuto nel carcere di Catania, è stato interrogato dal gip Anna Maggiore e per circa un’ora ha fornito tutti i chiarimenti necessari, negando di aver mai avuto contatti con la famiglia mafiosa di Caltagirone, diretta da Francesco La Rocca, e documentando di aver svolto il proprio lavoro in totale trasparenza, rispettando tutte le procedure antimafia, tanto da decidere di applicare il protocollo di legalità proposto dalla Prefettura prima ancora che venisse formalmente adottato.
«Abbiamo fornito tutte le spiegazioni – precisa l’avvocato Rampinelli al telefono, di rientro dalla Sicilia – Agli atti dell’inchiesta non c’è un solo elemento che faccia pensare che la Fip sapesse che La Rocca fosse mafioso. A tutt’oggi il certificato antimafia di una delle società a cui furono affidati i lavori, la Edilbeta, risulta assolutamente “pulito”; in quello della seconda società, la To Rivive, risultò qualcosa solo a partire dal 2012 e subito la Fip interruppe i rapporti».
Scaramuzza ha spiegato al giudice che non vi fu alcun “frazionamento” dei lavori finalizzato ad evitare le comunicazioni all’antimafia. Al contrario, la comunicazione fu fatta anche in relazione a quegli appalti, inferiori a 150mila euro, per i quali non sarebbe stata necessaria. Se ritardi ci sono stati nell’inoltro della richiesta, non sono addebitabili alla Fip, ha proseguito il manager di Mestre: era l’Anas a dover trasmettere alla Prefettura i documenti ricevuti dalla società di Selvazzano.
A conclusione dell’interrogatorio l’avvocato Rampinelli ha chiesto al gip la revoca della misura cautelare. E lo stesso ha fatto l’avvocato Carlo Augenti, difensore dell’altro indagato veneto, l’ingegnere padovano Achille Soffiato, di 39 anni, responsabile del cantiere di cui la Fip si stava occupando in Sicilia, per la realizzazione di un’opera viaria, la cosiddetta “variante di Caltagirone”. Anche Soffiato ha respinto ogni accusa, ribadendo l’assoluta regolarità e trasparenza dell’attività svolta dalla Fip. «Nessuna collusione o appoggio esterno alla mafia», ha ribadito l’avvocato Augenti, rivelando che l’attenzione alle procedure antimafia era talmente alta che fu lo stesso Chiarotto, a sollecitare la Prefettura di Catania. «Confido nell’onestà giuridica e culturale dei magistrati che si stanno occupando dell’inchiesta per la revoca della misura cautelare. Altrimenti presenteremo ricorso al Tribunale del riesame», ha concluso il legale.

 

IL GIORNO DEL COLLAUDO – Oggi alla bocca del Lido la prova della prima paratoia del sistema di dighe mobili col ministro delle Infrastrutture

Il governatore: «L’opera non può restare un’incompiuta»

Lettera di un ex tecnico del Magistrato alle acque sui consulenti

Zaia chiede garanzie per completare il Mose. Lupi: i soldi ci sono

RASSICURAZIONE – Il ministro conferma il mantenimento dei finanziamenti

CHIARIMENTI – Fellin: «I verificatori non possono essere dipendenti della Regione»

PERPLESSITÀ – L’eurodeputato Andrea Zanoni: «Forte odore di malaffare»

Botta e risposta a distanza tra il governatore Luca Zaia e il ministro Maurizio Lupi. «Se il Mose non verrà finanziato fino all’ultimo centesimo significherà che quelle dighe non funzioneranno più». Così il presidente della Regione, a proposito di possibili complicazioni che l’inchiesta che coinvolge l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, potrebbe avere sul percorso di realizzazione del sistema di dighe mobili. «Il Mose – ha aggiunto Zaia – non può restare un’incompiuta, vorrebbe dire che avremo sprecato una marea di miliardi di euro. Quest’opera dev’essere terminata e messa in funzione».
La richiesta di blocco dei lavori del Mose era stata formulata con un’interpellanza parlamentare del Movimento 5 Stelle in cui il parlamentare Emanuele Cuzzolino, primo firmatario in compagnia di altri 11 colleghi, traendo spunto dai recenti arresti eccellenti aveva chiesto al ministro Maurizio Lupi di bloccare i lavori del Mose in attesa della conclusione delle inchieste e di accertare se tutti i controlli di competenza ministeriale sull’opera siano stati svolti correttamente. Il ministro, che oggi sarà a Venezia con Zaia e Orsoni per la prova di innalzamento della prima paratoia alla bocca di porto del Lido, ha tuttavia garantito che i finanziamenti per il Mose e i cantieri proseguiranno fino alla conclusione dell’opera (intervista a pagina 5 nel fascicolo nazionale).
Nel frattempo giace come lettera morta un documento a firma dell’ing. Lorenzo Fellin, già membro esperto del Comitatone dimessosi in polemica con le scelte del Magistrato alle Acque nel tre anni fa, in cui al presidente della Regione chiedeva di verificare l’opportunità di assegnare a funzionari regionali, già lautamente retribuiti, l’incarico di collaudatori di opere così importanti, dalle quali avrebbero ricevuto anche provvigioni proporzionali all’importo dei lavori. «Come fa un dipendente regionale a svolgere bene il proprio compito – chiedeva Fellin – e anche a seguire i collaudi di opere che avrebbero richiesto una presenza in cantiere assidua per verificarne il perfetto andamento?».
Infine sulla vicenda Mose prende posizione il parlamentare europeo Alde Andrea Zanoni, alla vigilia della dimostrazione uffiale della movimentazione delle paratoie prevista per oggi e dopo l’annunciata apertura di un’indagine europea sulle opere di mitigazione.
«La Banca Europea degli Investimenti apra un’indagine sull’utilizzo dei fondi europei stanziati per la realizzazione del progetto Mose – denuncia Zanoni – e la Commissione europea approfondisca il possibile futuro mancato funzionamento dell’opera visto che sono ancora possibili modifiche in corso al progetto».
«Sul Mose il puzzo del malaffare è così forte, alla luce delle indagini della Magistratura, che bisogna accertare al più presto che i fondi erogati dall’Europa per l’opera, pari a quasi un miliardo di euro, non siano finiti in attività illecite».

Raffaella Vittadello

 

RIVOLUZIONE NELLA SOCIETÀ – Il cda di Thetis ratifica la nomina di Astaldi

Come annunciato ieri, è Duccio Astaldi il nuovo “timoniere” di Thetis spa. Ieri pomeriggio si è riunito in consiglio di amministrazione della società. Astaldi ha sostituito l’amministratore delegato uscente Maria Teresa Brotto.
La nuova compagine risulta composta, oltre che da Astaldi, dal vicepresidente Alessandro Mazzi, dai consiglieri Mauro Gnech, architetto, Gianfranco Zoletto, ingegnere e Hermes Redi, che è anche direttore del Consorzio Venezia Nuova. Nel corso della riunione sono state analizzate le problematiche relative alla situazione della società e alla sua mission futura con l’obiettivo di promuovere e realizzare il processo di miglioramento continuo e di mettre in ulteriore evidenza i caratteri distintivi e i fattori critici di successo di Thetis.
Il consiglio di amministrazione è stato ridotto da sette a cinque membri, una rivoluzione che era nell’aria da parecchio tempo: nel vecchio cda sedevano infatti, prima della bufera giudiziaria, Giovanni Mazzacurati come presidente, consiglieri Piergiorgio Baita, Claudia Minutillo, Pio Savioli, Federico Sutto oltre ad altri manager in rappresentanza degli altri soci. Thetis è una società di ingegneria incaricata di sviluppare progetti e applicazioni tecnologiche per l’ambiente e il territorio, direttamente coinvolta nel progetto Mose, e che ha sede all’Arsenale Nord, non distante dai Bacini. Tra i suoi soci annovera Actv, Adria Infrastrutture Spa; Co.Ve.Co.; Grandi Lavori Fincosit; Ing. E. Mantovani Spa; Ing. Mazzacurati Sas; Palomar Srl; Società Condotte Spa; VI Holding Srl.

 

L’INTERROGATORIO – Il manager della Fip si è difeso davanti al Gip negando di aver avuto rapporti con Cosa Nostra

LE REAZIONI – Consiglieri comunali prudenti: «L’inchiesta faccia il suo corso»

(m.f.) Tiepida l’accoglienza riservata alla notizia degli arresti legati all’appalto siciliano dai capigruppo in Consiglio comunale. La maggior parte di loro è rimasta molto prudente e ha preferito non sbilanciarsi in attesa di notizie più certe.
«A questo punto – è il commento di Renzo Scarpa, gruppo misto – emerge il fatto che le giunte Cacciari bene avevano fatto a tenersi lontani dal Mose».
Simone Venturini (Udc) è più prudente: «Attendiamo i doverosi sviluppi delle indagini, ma da consigliere comunale non me la sento di fare riflessioni su una vicenda che direttamente non riguarda il Mose. La città comunque deve essere informata».
Dello stesso avviso Luigi Giordani, Psi: «Prendo atto per il momento dell’azione della magistratura».
«Spero – aggiunge Sebastiano Costalonga, Fratelli d’Italia – che l’inchiesta siciliana non riguardi anche il Mose, cosa che al momento non è assodata».
«Il più bello deve ancora venir fuori – dice invece Giovanni Giusto, Lega – credo che questo sia l’inizio dell’apertura di un nuovo scenario sul caso Mose. Ne vedremo delle belle».
Claudio Borghello, Pd, è per una riflessione profonda sul caso Mose: «È chiaro ormai che su quest’opera esiste un sistema che non ha garantito la correttezza dei passaggi. La magistratura faccia il suo corso e su tutte le situazioni. Noi attendiamo. Quanto alle cerniere, il problema non è tanto quello ingegneristico sul fatto che siano migliori quelle saldate o quelle fuse, quanto se è corretto il prezzo pagato per le cerniere saldate».
La commissione d’indagine sui rapporti tra amministrazione comunale e il sistema Mose, presieduta da Luca Rizzi (Pdl), si riunirà lunedì 14, data per la quale il sindaco Giorgio Orsoni ha dato la sua disponibilità a rispondere alle domande su Mose, Mof, Coppa America, Ospedale al Mare e altro ancora.

 

Nuova Venezia – Il ministro Lupi alle prove delle paratoie.

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11

ott

2013

VENEZIA – Ci sarà soltanto il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, in rappresentanza del Governo a osservare domani i primi movimenti delle prime quattro paratoie incernierate sui cassoni del Mose, ma ci sarà una platea internazionale di giornalisti, esperti e autorità ad osservare il «debutto« in acqua del sistema di dighe mobili, alla prova del funzionamento. Il cerimoniale è stato stabilito dal nuovo presidente del Magistrato alle Acque Roberto Daniele e dai nuovi vertici del Consorzio, che assicurano, con il presidente Mauro Fabris, che sarà comunque all’insegna della sobrietà. In mattinata tutti a Malamocco, a vedere da vicino i grandi cassoni in calcestruzzo. Sono alti da 17 a 26 metri, lunghi 50. Una serie di blocchi in calcestruzzo che saranno gettati in acqua e poi trainati da rimorchiatori per essere affondati, ai primi di novembre nella bocca di porto di Lido. Lavori per chiudere il secondo varco della bocca di Lido, la più grande delle tre con i suoi 900 metri di larghezza. In mezzo è stata costruita la grande isola artificiale dove troveranno posto gli edifici di controllo, la centrale elettrica, i servizi. Domani la prima movimentazione delle paratoie, dopo le prove che hanno coinvolto i tecnici della Mantovani e della Fip – che ha costruito le cerniere – per mesi. Nel giugno scorso le prime prove, dopo che le paratoie in metallo sono state fissate sul fondale appunto attraverso le cerniere, meccanismo delicato e complesso. Domani la «parata» per mostrare a tutti il funzionamento delle prime quattro paratoie – a regime saranno 78 sulle tre bocche di porto – che dovrebbero chiudere la laguna in caso di acqua alta eccezionale. Lavori che si dovevano concludere nel 2009, poi spostati al 2014, infine adesso slittati al 2016. In mattinata la visita del cantiere a Santa Maria del Mare, dove sono stati costruiti i grandi cassoni che andranno sul fondale delle tre bocche di Lido, Malamocco e Chioggia. Alle 14.30 all’isola del bacàn il sollevamento delle quattro barriere a uso dei fotografi. Sarà possibile visitare anche la galleria subacquea a piedi sotto la bocca di porto di Lido. Si andrà dall’isola artificiale del bacàn a Punta Sabbioni passando sott’acqua. Fra tunnel, impianti, cunicoli e i meccanismi in acciaio per il sollevamento della paratoie. Passando, appunto, da una riva all’altra attraverso il tunnel subacqueo del Mose, a tredici metri di profondità.

 

In funzione con marea superiore a 110 cm

VENEZIA – Il Mose è costituito da schiere di paratoie mobili, poste alle tre bocche di porto, che separano temporaneamente la laguna dal mare in caso di alta marea. Complessivamente 78 paratoie divise in 4 schiere: alla bocca di porto di Lido, quella più ampia, due schiere di paratoie, rispettivamente di 21 e 20 elementi, collegate da un’isola artificiale; una schiera di 19 paratoie alla bocca di porto di Malamocco; una schiera di 18 alla bocca di porto di Chioggia. Le paratoie sono costituite da strutture scatolari metalliche (larghezza 20 metri per tutte le schiere, lunghezza variabile da 18,5 a 29 metri e spessore da 3,6 a 5 metri) connesse ai cassoni di alloggiamento in calcestruzzo attraverso le cerniere, il cuore tecnologico del sistema, che vincolano le paratoie ai cassoni e ne consentono il movimento. Il funzionamento è molto semplice: in condizioni normali di marea, le paratoie sono adagiate nei loro alloggiamenti, piene d’acqua; quando è prevista un’alta marea, le paratoie vengono svuotate dall’acqua mediante l’immissione di aria compressa e in questo modo si sollevano, ruotando sull’asse delle cerniere, fino a emergere per fermare la marea entrante in laguna. Quando la marea cala, le paratoie vengono di nuovo riempite d’acqua e rientrano nella loro sede. Il tempo di chiusura delle bocche di porto è in media tra le 4 e le 5 ore, compresi i tempi di sollevamento delle paratoie (30 minuti circa) e di abbassamento (15 minuti circa). Per assicurare la navigazione e non interrompere l’attività del Porto anche quando le barriere mobili saranno in funzione, alla bocca di porto di Malamocco C’è una conca di navigazione per il passaggio delle grandi navi; alle bocche di Lido e a Chioggia saranno invece in funzione conche di navigazione più piccole. È stato deciso che le paratoie entrino in funzione per maree superiori a 110 centimetri. Inoltre, il Mose è un sistema assolutamente flessibile e, in base ai venti, alla pressione atmosferica e all’entità di marea, potrà far fronte alle acque alte in modi diversi: con la chiusura contemporanea delle tre bocche di porto in caso di maree eccezionali, oppure con la chiusura di una bocca per volta o con chiusure parziali di ciascuna bocca.

 

Il pm di Catania: gli arrestati Scaramuzza e Soffiato conoscevano il ruolo dei La Rocca «Consapevoli che gli appalti venivano frazionati con la finalità di eludere i controlli»

VENEZIA – Il pubblico ministero veneziano Stefano Ancilotto ha già sul suo tavolo tutte le carte raccolte dai carabinieri di Caltagirone sulla «Fip Industriale spa» di Selvazzano e sui rapporti dei suoi vertici con la famiglia mafiosa dei La Rocca. Fino ad ora l’impresa padovana era rimasta fuori dalle due inchieste giudiziarie veneziane, anche se in uno dei suoi lunghi interrogatori Piergiorgio Baita, ex presidente dell’ammiraglia dell’impero industriale della famiglia Chiarotto di Padova (la «Mantovani spa»), aveva parlato dell’azienda di Selvazzano spiegando che era considerata il «gioiellino» tecnologico del gruppo tanto che l’anziano patron Romeo ci aveva messo la figlia Donatella alla presidenza del Consiglio d’amministrazione. Ma Baita aveva aggiunto che più volte la «Mantovani» aveva dovuto coprire i buchi di bilancio della «Fip», che lavorava soprattutto grazie agli incarichi che l’ammiraglia dei gruppo gli procurava. Ora il pm lagunare leggerà attentamente le carte catanesi – soprattutto le intercettazioni – per capire se ci sdiano riferimenti e nomi utili alla sua indagine e a quella della collega Paola Tonini. I due arrestati veneti, come del resto quelli siciliani, sono stati rinchiusi nelle carceri siciliane e, dunque, verranno interrogati presumibilmente dal giudice Anna Maggiore, che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare. Il mestrino Mauro Scaramuzza, amministratore delegato «Fip», e Achille Soffiato, ingegnere padovano e capo del cantiere della strada che stavano costruendo a Caltagirone, devono rispondere di concorso esterno in associazione mafioso perché avrebbero favorito l’infiltrazione della cosca di cui Francesco Gioacchino La Rocca era il capo mandamento provvisorio visto che il padre è in carcere anche per omicidio, nell’appalto da 112 milioni che avevano vinto. In particolare, avevano subappaltato i lavori alla «To Revive» e alla «Edilbeta», due ditte che pur formalmente intestate ad altri facevano capo al giovane bosso di Cosa nostra. E per evitare i controlli antimafia avevano frazionato i lavori con un sistema illecito. «È previsto il divieto di un frazionamento di contratti al di sopra della soglia dei 154 mila euro», si legge nell’ordinanza del giudice catanese, «in subcontratti di importo inferiore , frazionamento detto artificioso ovvero non giustificato da ragioni obiettive, perché altrimenti sarebbe evidentemente elusivo della normativa in quanto impedirebbe alla Prefettura di avviare i relativi controlli». La «Fip», oltre a dare lavori in subappalto, ha anche acquistato dalla «Edilbeta» l’impianto di produzione del calcestruzzo sito al Bivio Molona di Caltagirone, ha stipulato il contratti d’affitto del terreno dove è ubicato l’impianto e ha chiesto la fornitura di lavori di carpenteria. Stando all’accusa, Soffiato sapeva alla perfezione che il vero padrone delle due ditte siciliane era La Rocca, tanto che in un’intercettazione del 21 giugno 2011 è il bosso a chiedere a Soffiato informazioni sui documenti necessari per il contratto di subappalto: «Per quanto riguarda i nostri documenti tutto a posto?» domanda. E ancora, il 28 settembre dello stesso anno, sempre La Rocca, chiede a Soffiato di dare il nulla osta per il pagamento da parte della banca. Infine, due giorni dopo, sempre il capo della cosca, contatta un altro dipendente della «Fip» per chiedere conferma di quei bonifici. «Ora, il Soffiato», si legge ancora, «tiene costantemente informato Scaramuzza, che a sua volta dimostra nelle conversazioni intercettate di essere protagonista assolutamente consapevole dello stratagemma e delle finalità perseguite».

Giorgio Cecchetti

 

Il nuovo fascicolo già sul tavolo del pm veneziano

Quella di Catania è la terza inchiesta giudiziaria a coinvolgere le imprese del Consorzio Venezia Nuova che sta costruendo il Mose. Se la «Fip Industriale» è esterna al raggruppamento di imprese incaricato della salvaguardia di Venezia e della laguna, le altre due inchieste, entrambe avviate dalla Procura di Venezia e dal pm Stefano Ancilotto (nella foto), hanno invece preso di mira la «Mantovani spa», l’ossatura portante del Consorzio, e l’altra addirittura il presidente del Consorzio Giovanni Mazzacurati. Ora Ancilotto ha già sul suo tavolo le carte della nuova inchiesta.

 

Quella cena con i boss per scegliere le imprese

Incontri e telefonate tra gli indagati per stabilire tempi e procedure dei lavori

A Caltagirone una tangenziale di otto chilometri del costo di 122 milioni di euro

VENEZIA – Ci sono le telefonate, tra Francesco Gioacchino La Rocca figlio di “Ciccio” boss mafioso di Caltagirone e Achille Soffiato, 39 anni, responsabile del cantiere stradale in provincia di Catania per la società padovana Fip. Ma c’è anche una cena che vede sedere allo stesso tavolo «La Rocca con i rappresentanti delle società che riunite in Ati si erano aggiudicate i lavori di costruzione del primo lotto della Libertinia» a testimoniare lo spirito imprenditoriale del boss mafioso e i contatti avuti con le società vincitrici degli appalti per i cantieri in città, e tra queste la Fip. La società padovana capofila del’associazione temporanea di imprese con la L&C Lavori e costruzioni di Alcamo e della Tecnolavori Srl di Palermo che si è aggiudicata i lavori per la variante di Caltagirone, poco meno di 9 chilometri di strada per un appalto complessivo di quasi 122 milioni di euro. È quanto emerge dall’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Catania, Anna Maggiore, secondo la quale il 55enne mestrino Mauro Scaramuzza, amministratore delegato della Fip, e il responsabile del cantiere, Achille Soffiato, sarebbero stati consapevoli di essere in affari con il clan mafioso di Caltagirone, cui facevano riferimento le due società alle quali la Fip subappaltava lavori per un valore inferiore ai 154 mila euro, al di sotto della soglia oltre la quale scatta l’obbligo di informative e certificati antimafia. Titolare della società “To Revive” era infatti Giampietro Triolo, cognato di La Rocca, di cui ha sposato la sorella Francesca, mentre a capo della Edilbeta c’era il fratello Gaetano ma a tenere fin dall’inizio i rapporti con la Fip è sempre Gioacchino La Rocca, tanto che parlando al telefono con Soffiato si presenza come «quello della To Revive», e che andava e veniva dai cantieri. Per capire perché i due rappresentanti della Fip siano stati arrestati con l’accusa di aver favorito la mafia bisogna leggere quanto scrisse – un passaggio riportato nell’ordinanza – la Corte costituzionale in una sentenza del 2003 spiegando che c’è concorso esterno quando «si fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, occasionale o continuativo, purché questo abbia un’effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento dell’associazione e sia comunque diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima». Contesto nel quale, secondo il Gip, si muovo sia Scaramuzza sia Soffiato, perché, «pur incensurati, hanno agito con la consapevolezza di apportare un contributo al clan mafioso La Rocca di Caltagirone permettendogli di acquisire la gestione di attività economiche, il controllo di appalti pubblici e la realizzazione di profitti ingiusti mediante la percezione di finanziamenti pubblici che altrimenti non avrebbe ottenuto».

Francesco Furlan

 

Interrogazione ad Alfano di De Poli (Udc) «Fermare le infiltrazioni al Nord»

PADOVA. «Fermare il processo di infiltrazione della criminalità organizzata nel Nord Est è diventato prioritario per difendere il tessuto imprenditoriale del nostro territorio». Lo sostiene il senatore Udc Antonio De Poli che, da Palazzo Madama, rende noto di avere depositato un’interrogazione parlamentare al Ministero dell’Interno dopo gli arresti di ieri che hanno coinvolto la Fip, una ditta padovana che avrebbe affidato i lavoro ad imprese legate a Cosa Nostra. «Alla luce dei fatti è evidente – sostiene l’esponente Udc – che si sta abbassando la guardia: sono ragionevoli le preoccupazioni espresse dalle categorie di imprenditori come il presidente dell’Ance Veneto, Luigi Schiavo. Per salvare un territorio sano come il Veneto è indispensabile assicurare legalità e massima trasparenza negli appalti pubblici. Secondo quanto si apprende – continua De Poli – l’escamotage messo in atto consisteva nel frazione un maxiappalto in piccoli subappalti di 154 mila euro che sfuggono ai controllio antimafia. Chiedo al Ministero di adottare tutte le iniziative necessarie per fermare questo fenomeno che desta preoccupazione e allarme» conclude l’esponente Udc .

 

APPRENSIONE NEL COMUNE PADOVANO

«L’azienda è una risorsa da salvaguardare»

A Selvazzano appena approvato un progetto di riorganizzazione degli spazi industriali

SELVAZZANO – La Fip Industriale è un gioiello tecnologico e a Selvazzano, oltre ad andarne fieri anche perché porta il nome del comune in tutto il mondo, in un momento di difficoltà come quello che sta attraversando la difendono. Anche perché dà anni da vivere a centinaia di famiglie del territorio. «In paese la notizia dell’arresto dell’amministratore delegato e del capo cantiere ha alzato la soglia d’attenzione – afferma il sindaco di Selvazzano, Enoch Soranzo – . Siamo preoccupati perché Fip è una realtà che da lavoro a tanti nostri cittadini, seguiamo con ansia l’evolversi della vicenda che ci auguriamo che finisca nel migliore dei modi. Diversamente, se lo stabilimento ne subisse dei contraccolpi, in questo momento di crisi per l’occupazione diventerebbe un serio problema sociale». Fip è un’azienda in espansione che negli ultimi tempi, dopo aver passato un brutto periodo nel 2011, ha assunto personale per far fronte agli ordinativi che arrivano da tutto il mondo. «Non più tardi di qualche settimana fa abbiamo confermato la nostra disponibilità a dare il via libera ad una riorganizzazione degli spazi. Credo sia compito di ogni amministratore pubblico aiutare queste aziende che hanno ancora voglia di investire e di rimanere ancorate al territorio dove sono nate». I dipendenti temono che la vicenda legata al cantiere siciliano abbia ripercussioni sull’occupazione nel sito di via Scapacchiò dove vengono realizzate alcune delle strutture necessarie alla costruzione della strada statale nei territori di Caltagirone e San Michele di Ganzaria. Il sindacato è dell’avviso che i protocolli di legalità non bastano. «Oltre ai protocolli servono buone prassi e su questo il sindacato può fare qualcosa» commenta Sebastiano Grosselle della Filea /Cgil di Padova. All’uscita dai cancelli i dipendenti che hanno voglia di parlare sono pochi. «Quell’appalto al sud è uno di quelli che contano, se il cantiere si ferma andiamo in crisi anche noi. Speriamo che si faccia luce presto e che la produzione non subisca contraccolpi» si limita a dire un dipendente.

Gianni Biasetto

 

Il Consorzio del Mose «Parte offesa in tribunale»

VENEZIA Il Consorzio Venezia Nuova non ci sta al linciaggio mediatico indiretto che scaturisce dalle indagini in corso con società o dirigenti che, a vario titolo hanno partecipato alle opere di cui è responsabile – l’ultima è la società padovana Fip, che ha lavorato alla costruzione delle cerniere del Mose – e per questo ieri si è costituita alla Procura di Venezia come parte offesa nei procedimenti penali in corso che lo vedono come possibile soggetto danneggiato e che vedono indagati, tra l’altro, l’ex presidente della Mantovani Piergiorgio Baita e l’ex presidente dello stesso Consorzio Giovanni Mazzacurati. «Era un atto dovuto e per noi cautelativo – commenta il nuovo presidente del Consorzio Venezia Nuova Mauro Fabris – che non è per ora indirizzato a soggetti precisi, perché aspettiamo prima le risultanze delle inchieste in corso. È chiaro che per noi lavorare in questo clima all’esterno non è facile, ma vogliamo che sia evitato ogni tentativo di strumentalizzazione e di accostamento tra le attività di realizzazione del Mose e le attività, diverse ed estranee delle 50 società che fanno parte dello stesso Consorzio e della moltitudine di imprese che fanno parte del suo indotto». Il comunicato emesso ieri dal Consorzio – alla vigilia dell’inaugurazione della movimentazione delle prime quattro paratoie prevista per domani alla presenza del ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi – ricorda il radicale cambiamento nel Consiglio Direttivo dell’ente e poi nei vertici della società già da giugno, con il manifestarsi delle prime accuse riguardanti un sistema di corruzione legato ad alcune singole aziende del raggruppamento di imprese impegnato nella realizzazione del Mose e concessionario unico dello Stato per le opere di salvaguardia in laguna. Il nuovo Consiglio direttivo ha avviato anche un controllo sul corretto svolgimento delle attività passate del Consorzio, che – riferisce ancora il comunicato – . avrebbe certificato la totale estraneità di Venezia Nuova alla vicenda oggetto di indagini penali. «Questi accadimenti – conclude il comunicato – non hanno interferito sulle attività in corso e sullo stato di avanzamento lavori. La conferma del buon operato è stata ratificata dalla delibera del Cipe del 9 settembre 2013 che ha ulteriormente finanziato l’opera — per 974 milioni di euro — permettendo così la continuità della buona gestione finalizzata al completamento del Mose nel tempi previsti dal contratto». «Stiamo rispettando i tempi previsti – insiste il presidente Fabris – e ci aspettiamo ora che la Legge di Stabilità, che sarà presentata entro pochi giorni, ci restituisca i 120 milioni di euro che ci erano stati sottratti per garantire i costi dell’esenzione dalla prima rata dell’Imu e ci fornisca anche le risorse per il completamento dei lavori. La presentazione della movimentazione delle prime quattro paratoie, prevista per domani, è un momento di svolta, anche se programmato – che abbiamo voluto mantenere, nonostante il clima di polemiche esterne alle nostra attività legato alle inchieste giudiziare in corso non ci abbia certo aiutato – perché consentirà ai tecnici di verificare pubblicamente la funzionalità del sistema. Ma nessuna autocelebrazione, come ho letto da qualche parte, né feste e cotillons legati all’evento. Non faremo nemmeno un brindisi, ma ci limiteremo a illustrare l’andamento di un’opera che è previsto sia terminata per il 2016». Secondo quanto riferito dallo stesso Consorzio, i lavori del Mose sarebbero ormai giunti all’80 per cento del loro totale completamento, anche se a una visione esterna pare che molto manchi ancora da fare. Ma intanto, con la costituzione come parte offesa in Procura nei procedimenti in corso, il Consorzio tenta almeno parzialmente di sottrarsi all’assedio mediatico che inevitabilmente, anche domani, si farà sentire.

(e.t.)

 

Gazzettino – “Mafia, i manager Fip sapevano”

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11

ott

2013

IL CASO – Dalle intercettazioni emergerebbero le responsabilità dei dirigenti dell’azienda di Selvazzano

Nelle telefonate si parla di assunzioni pilotate e di Rolex da 6mila euro regalati

Il gip di Catania: «Scaramuzza e Soffiato consci di apportare contributi al clan La Rocca»

«Mauro Scaramuzza e Achille Soffiato seppur incensurati hanno agito con la consapevolezza di apportare un contributo al clan mafioso La Rocca di Caltagirone, permettendogli di acquisire la gestione delle attività economiche e il controllo degli appalti pubblici».

Così il gip di Catania, Anna Maggiore, definisce il ruolo svolto dall’amministratore delegato Fip di Selvazzano e dal responsabile del cantiere nell’ambito dell’appalto per la “Variante di Caltagirone” che l’altro giorno ha portato in carcere oltre a loro anche altre quattro persone. Un’inchiesta clamorosa che ha fatto emergere legami tra l’azienda che ha realizzato le cerniere del Mose e il clan mafioso. Con la loro attività, quindi, i due veneti, residenti a Mestre e a Padova, avrebbero dato la possibilità ai La Rocca “di realizzare profitti ingiusti mediante la percezione di finanziamenti pubblici che altrimenti non avrebbero ottenuto”. È anche da questi elementi che è scattata la decisione del gip di optare per la custodia cautelare in carcere. Dall’ordinanza, poi emergono anche altri particolari che secondo la Procura confermano un quadro abbastanza nitido. Una parte consistente del quadro accusatorio, come spesso accade in queste circostanze, arriva dalle intercettazioni telefoniche. In un contatto tra Scaramuzza e la padovana Daniela Vedovato (responsabile dei contratti e anche lei indagata), l’amministratore delegato racconta di una persona che prima ha chiesto l’assunzione di un suo parente e ora l’orologio.

«L’orologio se lo scorda – dice Scaramuzza – perchè suo cugino ormai lo abbiamo assunto». E in un’altra conversazione Scaramuzza parla di un orologio Rolex di circa 6000 euro «che doveva regalare evidentemente per ricambiare un favore. Il destinatario era colui che gli aveva chiesto a settembre l’assunzione del cugino». Poi ci sono le telefonate di Soffiato.

«È emerso – si legge nell’ordinanza – che Gioacchino Francesco La Rocca agiva affinchè i lavori venissero dati in subappalto alle ditte To Revive e Edilbeta (controllate dal clan) con contratti di subappalto artificiosamente frazionati in modo da eludere la normativa antimafia». Stando a quanto è emerso a Catania, sarebbero stati abbastanza chiari i rapporti tra Soffiato e Gioacchino la Rocca.

«La Rocca – si legge – chiede a Soffiato informazioni sui documenti della società con riferimento al contratto di subappalto “per quanto riguarda i nostri documenti tutto a posto? Stanno andando avanti?” A queste domande Soffiato risponde che “sono già andati, è tutto all’Anas, adesso aspettiamo il ritorno dalla Prefettura”.

Poi, logicamente, ci sono i rapporti tra gli stessi protagonisti veneti. «Soffiato che è il responsabile del cantiere tiene costantemente informato Scaramuzza, amministratore Fip che a sua volta dimostra nelle conversazioni, in particolare con la co-indagata Vedovato, di essere un protagonista assolutamente consapevole dello stratagemma».

A livello più generale emerge poi che uno degli indagati aveva «acquistato in leasing nel luglio del 2011 quattro autovetture intestate alla ditta L&C, due della quali erano state messe a disposizione del responsabile dell’Anas e del direttore dei lavori del cantiere, soggetti a cui spettano i controlli sull’operato delle ditte impegnate sull’appalto».

Oggi gli arrestati saranno interrogati dal gip. «La Fip ha fatto di tutto per avere trasparenza – attacca l’avvocato Rampinelli che difende Scaramuzza – chiedendo anche un protocollo più rigoroso alla Prefettura. Sulla prima ditta di subappalto ci era stato detto che non c’erano problemi, sulla seconda appena saputo delle difficoltà l’abbiamo allontanata dal cantiere. E questa ci ha anche fatto causa».

Gianpaolo Bonzio

 

L’INCHIESTA – Sono cinque le persone arrestate nell’operazione siciliana

Sono cinque le persone arrestate nell’ambito dell’operazione dei Carabinieri di Caltagirone tra i quali il veneziano Mauro Scaramuzza. L’accusa dei cinque è a vario titolo per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, intestazione fittizia di beni per eludere le norme in materia di prevenzione patrimoniali, concorso esterno nell’associazione mafiosa e altro. Nel mirino la costruzione di una strada per 112 milioni di euro da parte di un’associazione temporanea di imprese tra cui la Fip industriale di Padova amministrata da Scaramuzza.

 

Il Consorzio: «Siamo noi la parte lesa»

E decide di azzerare il Cda di Thetis, dove sedevano Mazzacurati, Baita e Claudia Minutillo

Ora il Consorzio Venezia Nuova ha deciso di dire basta. E di partire al contrattacco ritenendo di essere estraneo ai fatti contestati negli scorsi mesi in sede penale.

«In relazione alle recenti notizie di stampa – sottolinea in una nota l’ente presieduto da Mauro Fabris – il Consorzio rileva il continuo tentativo di strumentalizzazione nei confronti del proprio operato e respinge con fermezza ogni accostamento indebito tra la realizzazione del Mose e le attività diverse e estranee delle 50 società che sono nel Consorzio e della moltitudine che fanno parte del proprio indotto».

Il riferimento è all’ultima vicenda, quella della Fip Industriale di Selvazzano Dentro (come riferiamo qui sopra). E quindi il Consorzio Venezia Nuova, già finito nella tempesta giudiziaria per il caso Baita-Mazzacurati, ha deciso di presentare ieri alla Procura della Repubblica di Venezia, un “atto di intervento”. «Si è deliberato – aggiunge il Consorzio – di volersi costituire come parte offesa nei procedimenti penali che vedano il nostro ente quale possibile soggetto danneggiato ribadendo così la totale estraneità ai fatti e alle persone oggetto di indagini». Ma non c’è solo questo. Al di là dell’azione di tutela, il Consorzio ha deciso anche l’«azzeramento» del consiglio di amministrazione di un altro consorzio, il Thetis, con sede all’Arsenale, già coinvolto parzialmente con la raffica di arresti legati al caso Baita. A farne le spese il vecchio cda e l’amministratore delegato, Maria Teresa Brotto. Oggi, dopo l’assemblea di alcuni giorni fa che ha designato alla presidenza, l’imprenditore Duccio Astaldi, verrà scelto il nuovo Ad, probabilmente Hermes Redi, direttore del Consorzio Venezia Nuova.
Infine non si placano le polemiche sugli arresti dei giorni scorsi, ieri il consigliere comunale ambientalista Beppe Caccia ha polemizzato con il ruolo dei cosiddetti “collaudatori” del Mose sulla base di un’interrogazione presentata in consiglio comunale a Venezia nella quale metteva in dubbio l’«imparzialità di giudizio» di alti funzionari dell’Amministrazione centrale dello Stato, scelti dal Magistrato alle Acque per esprimere un parere sui lavori del Mose.

 

La difesa del tecnico mestrino arrestato «La Fip era in regola con l’antimafia»

IL RITRATTO – Scaramuzza l’ingegnere dei grandi appalti

Mauro Scaramuzza è poco noto a Mestre e persino ai suoi vicini di casa, ma nei grandi appalti è quasi sempre presente.

PARTE OFFESA – Dopo le mille polemiche che hanno accompagnato il suo nome alle recenti inchieste della Procura veneziana su Mose e Mantovani, il nuovo direttivo del Consorzio Venezia Nuova è passato al contrattacco e ha deciso di costituirsi parte offesa. «Ora basta, troppe strumentalizzazioni. Siamo noi il soggetto danneggiato».

LA CONTROLLATA – Il Consorzio ha fatto saltare l’intero cda della società controllata Thetis e anche l’amministratore delegato Maria Teresa Brotto. Il nuovo presidente è Duccio Astaldi e tra i consiglieri figurano molti nomi già presenti ai vertici del Consorzio.

LE POLEMICHE – Orsoni: «Negato al Comune l’accesso agli atti»

«Al Magistrato alle acque avevo chiesto informazioni sulle cerniere – dice il sindaco Giorgio Orsoni – ma non mi hanno mai risposto».

VENEZIA – Terremoto nella controllata Thetis: cambia tutto il cda, Duccio Astaldi nuovo presidente

Mose e inchieste, offensiva del Consorzio

Venezia Nuova si costituisce parte offesa: «Basta strumentalizzazioni, i danneggiati siamo noi»

LA PROCURA – Il Pm veneziano Stefano Ancilotto chiederà di avere gli atti dell’inchiesta

LA STORIA – Un veneziano e un padovano arrestati dai carabinieri di Catania

INTERROGATORI – Scaramuzza e Soffiato oggi compariranno davanti al giudice

L’INCHIESTA SICILIANA – Subappalti pilotati a favore di aziende legate a Cosa Nostra

L’Inchiesta della Procura della Repubblica di Catania mira a far luce sulle infiltrazioni mafiose in particolare nei confronti dei lavori alla Variante di Caltagirone che doveva ammodernare la viabilità della zona. Per questo gli arrestati veneti devono rispondere dell’ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa. In particolare alcuni contratti, secondo la tesi accusatoria, sarebbero stati frazionati per evitare controlli. Ma gli avvocati contestano duramente questa impostazione ed hanno già fatto sapere che su questo terreno ci sarà battaglia.

 

LA TESTIMONIANZA – Il sacerdote: «Il cantiere siciliano era sempre sorvegliato dai carabinieri»

C’era sempre un presidio dei carabinieri fuori dal cantiere “Variante di Caltagirone”, una nuova strada in fase di costruzione in provincia di Catania. Le forze dell’ordine dovevano controllare che i lavori si svolgessero regolarmente. Achille Soffiato – 39 anni, ingegnere di Albignasego – era il responsabile del medesimo cantiere. È stato arrestato mercoledì per concorso esterno all’associazione mafiosa. Un fulmine e ciel sereno per la comunità di Albignasego. Soffiato è considerato «una persona eccezionale»; si sempre dato da fare in parrocchia: a Sant’Agostino e, dopo il matrimonio, ai Ferri. Ora la sua famiglia è stretta nel massimo riserbo. «Non abbiamo nulla da dire», il commento dei parenti. In questo momento l’unico pensiero è poter riabbracciare presto il loro caro. Don Alessandro Martello, parroco dei Ferri, conosce bene Soffiato. È convinto che sia stato incastrato da un sistema più grande di lui: «Domenica scorsa abbiamo cenato insieme in occasione dell’incontro coppie. L’ho visto tranquillo. Mi ha confidato che non vedeva l’ora di ritornare a lavorare vicino casa. Qui siamo tutti certi che Achille non centra nulla. Probabilmente è stato coinvolto in un sistema di cui non era nemmeno a conoscenza. C’erano sempre le forze dell’ordine all’esterno del cantiere: impossibile che abbia commesso qualche illegalità». Soffiato sarebbe dovuto rientrare definitivamente a casa nel giro di qualche settimana. Il sindaco di Albignasego, nonché assessore provinciale al lavoro, Massimiliano Barison non conosce di persona Soffiato. «Non voglio entrare nel merito della vicenda – commenta – Non so come funzionino gli appalti in Sicilia. Posso parlare solo del nostro Comune. Qui esiste un ufficio gare e appalti che ha il compito di gestire dall’inizio alla fine tutti i bandi».

Francesco Cavallaro

 

«Noi, in regola con l’antimafia»

Il difensore del tecnico mestrino della Fip: «Inchiesta fantascientifica, avevano fatto tutte le verifiche del caso»

«Abbiamo fatto di tutto per evitare di avere problemi con la malavita. Davvero, tutto il possibile. Ed ora il mio assistito si trova in carcere come i mafiosi».

Alessandro Rampinelli, l’avvocato difensore di Mauro Scaramuzza, ribatte con forza, punto su punto, alle accuse della Procura della Repubblica di Catania. E definisce “fantascientifiche” le impostazioni che ha avuto l’inchiesta (di cui scriviamo nel fascicolo nazionale a pagina 8). Oggi, nel corso dell’interrogatorio in carcere, Scaramuzza negherà addebito e illustrerà la propria versione dei fatti.

«Era stata costituita questa associazione temporanea di imprese – attacca Rampinelli da Catania – e due ditte avevano avuto il subappalto. La Fip inizia a far lavorare le aziende dopo aver comunicato all’Anas l’avvio dei lavori. Insieme all’Anas si chiede un protocollo ancora più impegnativo alla Prefettura di Catania, un protocollo così stringente che non è ancora attuato a livello provinciale. Un testo, in pratica, che mira ad avere verifiche davvero serie sulle aziende».

E qui arriva la svolta. «Della prima imprese finita nel mirino, la Edilbeta, non ci viene segnalato alcun problema, mentre solo nell’ottobre del 2012, quando l’attività era iniziata ormai da un anno, ci viene detto che ci sono problemi con la To Revive. A questo punto la Fip allontana questa azienda dal cantiere e questa si rivolge al Tribunale per fare chiarezza».

Secondo l’avvocato, dunque, nessun addebito può essere mosso all’azienda di Selvazzano che in tutti questi mesi ha incalzato le autorità del luogo per avere chiarimenti. Ed ora si trova bloccata in una vicenza delicata.

«Per tutti questi motivi – aggiunge Rampinelli – il mio assistito ha davvero intenzione di dire tutto quello che sa al giudice. Abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare e per questo replicheremo ad ogni accusa di questa vicenda». Sempre questa mattina, in carcere a Catania, sarà interrogato anche Achille Soffiato che è difeso dall’avvocato Augenti del foro di Padova.

Intanto l’effetto dell’inchiesta siciliana è arrivato anche in Procura a Venezia. Il pubblico ministero Stefano Ancilotto è infatti intenzionato a chiedere, in tempi abbastanza brevi, tutta la documentazione sul caso della Variante di Caltagirone. È probabile che il magistrato, da tempo impegnato sul fronte Mantovani, voglia far luce su alcuni aspetti della vicenda.


L’IMPRENDITORE – Parla Romeo Chiarotto, 84enne patròn della Fip

«Mai frazionato lavori per i clan»

«Non è vero che davamo subappalti inferiori a 154 mila euro per eludere i certificati antimafia. Anzi le autorizzazioni e i certificati antimafia ce li abbiamo in mano. Voglio dire che abbiamo documenti che attestano come fosse tutto regolare». Romeo Chiarotto ha visto nascere la Fip di Selvazzano («l’ho fondata io negli anni ’60») ed è uno dei suoi orgogli di imprenditore. Un’azienda metalmeccanica che ha realizzato fra l’altro le cerniere che legano le paratoie del Mose e che oggi ha 430 addetti «di cui 60 laureati e 40 ingegneri».

Chiarotto ha 84 anni e non ci sta a far credere che al sud il ramo edile della sua società fosse colluso con la mafia. Secondo l’accusa infatti attraverso il direttore del cantiere e l’amministratore della Fip edilizia, sarebbero stati affidati in subappalto lavori a società che erano controllate dalla famiglia “La Rocca”. Sui cento milioni e oltre dell’appalto per gli 8,7 chilometri della statale 683 chiamata “variante di Caltagirone”, 36 sarebbero stati subappaltati. Un milione alla ditta “To revive” e qualche centinaia di migliaia di euro alla “Edilbeta costruzioni” gestita dal figlio del boss.

«Prima di tutto quello della To Revive non è un subappalto ma un contratto con un fornitore da 1 milione e 40mila euro» continua Chiarotto. «E poi come ho già detto, la Edilbeta aveva il certificato antimafia, mentre quello della To Revive l’abbiamo chiesto alla Prefettura di Catania e ci hanno risposto dopo 14 mesi. La legge però applica il silenzio-assenso se la Prefettura non risponde entro 75 giorni e noi siamo partiti affidando i lavori. Quando la Prefettura ci ha informato che la la To Revive non era a posto li abbiamo messi alla porta e non pagati, tanto che ci hanno fatto causa».

«Insomma – conclude – non abbiamo mai fatto appalti irregolari. Anzi ai carabinieri di Caltagirone segnaliamo ogni giorno chi lavora in cantiere e il curriculum dei fornitori. Abbiamo firmato del resto un Protocollo per la legalità con la Prefettura». Dunque cosa può essere successo? «Domani (oggi per chi legge) quando torneranno i nostri avvocati faremo un comunicato».

Mauro Giacon

 

Dal sisma dell’Aquila all’Expo. L’ingegnere dei grandi appalti

MAURO SCARAMUZZA – L’amministratore della Fip passa il suo tempo nei cantieri dell’azienda, nella sua casa in via Terraglietto si vede poco

Una villetta nascosta nel verde di via Terraglietto, protetta da telecamere e da un cancello che si apre con dei comandi a distanza. Mauro Scaramuzza da due giorni non torna più la sera nella sua residenza mestrina. Una villetta al civico 17/B, immersa nel verde della zona Terraglio. Ci si arriva imboccando via Terraglietto prima del cavalcavia della Favorita. Una strada stretta, con tante curve a gomito conosciuta perché conduce ad un centro sportivo dove si gioca a tennis e calcetto. Ad un certo punto un cancello in ferro di colore grigio chiaro e tre campanelli. Al 17/B il nome di Mauro Scaramuzza e del figlio Nicola, oltre a quello di una ditta e di una donna. «Non abbiamo nulla da dire e da dichiarare. Scusateci. Buongiorno», risponde una voce femminile. Un risposta secca, un no comment gentile. È chiusa dunque nel silenzio la famiglia dell’ingegnere mestrino, amministratore delegato della Fip di Selvazzano (Padova), finito in carcere su disposizione della Dda della procura di Catania con accuse gravissime.

I vicini conoscono poco Mauro Scaramuzza, ingegnere di 55 anni, perché il suo tempo lo passa soprattutto nei cantieri sparsi per l’Italia che la Fip ha aperti. D’altronde, non ci sono state occasioni perché il suo nome fosse di dominio pubblico. La prima volta che i media hanno parlato di lui è stato solo nel gennaio 2011, quando la Fip finì nel mirino della magistratura nell’ambito dell’inchiesta sulla realizzazione di 4mila 500 appartamenti del progetto C.a.s.e. per dare un tetto alle famiglie sfollate dal terremoto de l’Aquila. Un progetto finito poi tra mille polemiche per le promesse non mantenute dall’allora Governo Berlusconi. Secondo gli investigatori, la Fip avrebbe fornito una partita di 2mila 200 ammortizzatori sismici a pendolo privi di omologazione. Poi però la posizione di Scaramuzza e quella della presidente della Fip Donatella Chiarotto è stata archiviata. Il contratto con la Protezione Civile, che allora gestiva il business della ricostruzione, superava i tre milioni di euro.

Il nome di Scaramuzza è comparso poi nell’ambito di numerosi cantieri importanti, tra cui quello per il rifacimento di un ponte sul Po in provincia di Piacenza e di un altro ponte questa volta nell’ambito dei lavori dell’Expo 2015 di Milano. Più di recente, Scaramuzza è stato sentito come teste dalle Fiamme Gialle nell’ambito dell’inchiesta del Pm veneziano Stefano Ancilotto sugli appalti dell’autostrada Venezia-Padova. Una persona riservata, quindi, naturale che Scaramuzza fosse conosciuto dai vicini solamente di vista.

Come la signora Chinellato che abita poco distante dal civico 17. «Io vivo qui da un sacco di tempo ma quelli che abitano dietro quel cancello li conosco poco – spiega – Sono tre villette costruite di recente. Gente riservata, con macchine di grossa cilindrata. Qualche “buongiorno” e “buonasera”. Uno fa il dentista. Il signor Scaramuzza? Sì, forse, mi pare di aver capito chi è. Lo vedo qualche volta, molto riservato. Forse qualche saluto ma nulla di più». La signora non sa nulla de suo arresto.

«A me pare una brava persona poi, per gli affari non so cosa si può arrivare a fare».
Un uomo d’affari, Scaramuzza, che poco lasciava alle pubbliche relazioni con il vicinato. Dal civico 17/B di via Terraglietto esce un’auto di grossa cilindrata. Non si ferma neppure ad un cenno. Le telecamere del cancello comandato a distanza si richiudono e assieme a lui anche la famiglia.

(ha collaborato  Raffaele Rosa)

 

I COLLAUDATORI «Tecnici ministeriali. L’elenco è segreto»

LA COMUNICAZIONE ALLA PROCURA «Dobbiamo tutelare le nostre imprese dal rischio di strumentalizzazioni»

IL MAGISTRATO ALLE ACQUE – Tre gestioni dell’ente di controllo: «La Fip è solo un’esecutrice»

«Le ditte? Le ha sempre scelte Venezia Nuova»

«Che cosa c’entrano i risvolti giudiziari odierni della Fip con il Magistrato alle Acque e con le cerniere del Mose?». L’ex magistrato alle Acque Ciriaco d’Alessio, in pensione dal 30 aprile scorso, è estremamente diplomatico quanto ricorda la vicenda che scatenò la bufera in Comitatone all’epoca della scelta della tecnologia delle cerniere del Mose.

«La Fip non era tra i progettisti dell’opera, ma semplicemente una ditta esecutrice, una consorziata, sia pure controllata dalla Mantovani. E il fatto che non ci sia stato un appalto ma l’affidamento diretto da parte del Consorzio Venezia nuova è frutto della legge sul concessionario unico. È vero che ci furono delle discussioni e delle varianti in corso d’opera, ma è anche vero che le dimensioni delle cerniere sono state sostanzialmente modificate e sono circa il doppio di quelle previste nel progetto originario».

D’Alessio dribbla anche l’ipotesi di collaudatori dell’opera in conflitto d’interessi: «Vengono scelte persone con competenze specifiche che possano collaudare l’opera per step. Ma la normativa è talmente vincolante da non lasciare margine di intervento e se ci fossero state delle irregolarità a Venezia si sarebbe saputo subito».

E mentre il predecessore – anch’egli pensionato – Patrizio Cuccioletta non è rintracciabile, il Magistrato alle Acque fino al 2008 Maria Giovanna Piva con la consueta gentilezza si schermisce e preferisce non ricordare quel periodo della sua vita in cui era a capo di Palazzo X Savi e durante i quali si era opposta a tecnologie diverse da quelle previste dal progetto esecutivo. Piva aveva invitato tecnici esperti a partecipare al Comitatone perchè riteneva che in un organismo in cui si deliberava l’assegnazione di un ammontare così imponente di fondi si dovessero avere quanto meno delle competenze specifiche sui materiali utilizzati, sulle dinamiche strutturali, sugli impianti che sarebbero entrati in funzione. Ma della commissione dei collaudatori non c’è traccia neanche in rete. Nonostante la normativa sulla trasparenza amministrativa. «Sono centinaia i collaudatori – spiega l’ingegner Fabio Riva, responsabile dell’ufficio Salvaguardia del Magistrato alle Acque, attualmente retto ad interim dall’ing. Roberto Daniele – c’è un ufficio apposito che si occupa di questo. Ma credo si tratti di atti ministeriali non divulgabili»

Raffaella Vittadello

 

Domani la prova di innalzamento della paratoia

LA RIVOLUZIONE – Cda ridotto da 7 a 5, entrano amministratori legati al Consorzio

Incarico revocato all’ad Brotto. Oggi la ratifica del nuovo presidente Duccio Astaldi

PRESA DI DISTANZE – Presentato anche un “atto di intervento” come soggetto danneggiato e per rimarcare l’estraneità dalle inchieste

Domani alle 14.30 è prevista la prima movimentazione ufficiale delle paratoie alla bocca di porto del Lido, alla presenza del Ministro alle Infrastrutture Maurizio Lupi, il presidente della Regione Luca Zaia, il sindaco Giorgio Orsoni e tutti i rappresentanti delle istituzioni che operano in seno al Comitatone. La delegazione si muoverà alla 10 dalla Marittima.
La prima delle 21 paratoie era stata posizionata solo nel giugno scorso e sistemata in posizione “di riposo” in fondo al mare. Le prove di movimentazione prevedono che vengano alzati questi dispositivi come nel caso di previsione di acqua alta, in modo da mitigare l’effetto dell’allagamento della marea in città.

 

INTERROGAZIONE – Documento presentato al Senato

De Poli (Udc) al Viminale: «Combattere la mafia a Nordest»

Un’interrogazione al ministro dell’Interno, Angelino Alfano per conoscere che tipo di provvedimenti intenderà mettere in atto per rafforzare i controlli nei confronti delle ditte aggiudicatrici delle opere pubbliche e per difendere il tessuto imprenditoriale del Nordest dalle infiltrazioni della criminalità organizzata. É questo il senso di un intervento del senatore Udc, Antonio De Poli nei confronti del Viminale.

«Dopo la notizia dell’arresto dell’amministratore delegato della Fip Industriale di Selvazzano Dentro (Pd) – sottolinea De Poli – e di altri professionisti e i conseguenti ordini restrittivi eseguiti nell’ambito di un’inchiesta su un appalto pubblico da 140 milioni di euro per la variante Caltagirone, chiedo di conoscere quali provvedimenti si intendano adottare per combattere la criminalità».

Nella sua interrogazione, De Poli ricorda come le indagini dei Carabinieri abbiano permesso di accertare come i protagonisti della vicenda avrebbero ingiustificatamente e senza alcuna documentazione affidato lavori importanti in subappalto a ditte direttamente controllate del clan, con contratti frazionati in modo da eludere la normativa antimafia che viene applicata oltre la soglia dei 154 mila euro.

«Tutto ciò visti i numerosi arresti effettuati negli anni anche nel Veneto – aggiunge De Poli – che testimoniano la diffusione della criminalità e i numerosi appelli dell’Ance (associazione costruttori) e dei sindacati che più volte hanno denunciato come per colpa della crisi, le aziende possano essere preda della mafia.

 

Terremoto in Thetis. Via l’intero Consiglio

Un vero e proprio “terremoto”. Per carità, tra i corridoi del consorzio Thetis ce lo si aspettava da un momento all’altro. E così è stato. Il “ribaltone” è arrivato: fulmineo. Con una decisione netta i vertici del Consorzio Venezia Nuova, insieme agli soci (Actv, Adria Infrastrutture Spa; Co.Ve.Co.; Grandi Lavori Fincosit; Ing. E. Mantovani Spa; Ing. Mazzacurati Sas; Palomar Srl; Società Condotte Spa; VI Holding Srl) ha deciso di mandare a casa l’intero consiglio di amministrazione della Thetis spa, la società di ingegneria incaricata di sviluppare progetti e applicazioni tecnologiche per l’ambiente e il territorio, direttamente coinvolta nel progetto Mose e non solo, e che ha sede all’Arsenale Nord, non distante dai Bacini.

Così, i soci hanno deciso di cambiare un consiglio di amministrazione, già ampiamente provato dopo gli arresti legati al caso Baita. Infatti sedevano nel cda di Thetis, prima della tempesta giudiziaria, Giovanni Mazzacurati come presidente; e nel ruolo di consiglieri Piergiorgio Baita; Claudia Minutillo, Pio Savioli, Federico Sutto oltre ad altri manager in rappresentanza degli altri soci (Maurizio Castagna per Actv; Nicoletta Doni, Alessandro Mazzi, Luciano Neri, Antonio Paruzzolo che si era già dimesso in precedenza per ricoprire il ruolo di assessore nella giunta Orsoni, Johann Stoker, Stefano Tomarelli). Ora si è deciso di mutare registro: azzerato il consiglio di amministrazione è stata sollevata dall’incarico anche Maria Teresa Brotto, amministratore delegato di Thetis fino a pochi giorni fa.

Ora il cambio con la decisione da parte del Consorzio Venezia Nuova e dei dieci soci di dare anche una sfoltita ai posti in consiglio di amministrazione che passeranno da sette a cinque. Oggi infatti si dovrebbe tenere la prima riunione del nuovo Cda di Thetis dopo l’assemblea dei soci tenutasi la scorsa settimana. Nel nuovo organismo siederanno soprattutto persone che potranno rappresentare ancor più il trait d’union tra Consorzio Venezia Nuova e Thetis. Di sicuro, nel nuovo staff dovrebbero entrare a far parte il direttore del Consorzio, Hermes Redi insieme ad altri componenti del Cda di Venezia Nuova come Duccio Astaldi (al quale è già stata assegnata la presidenza di Thetis) e Mauro Gnech in rappresentanza di Co.Ve.Co; Alessandro Mazzi, (che poi sarebbe l’unico a transitare dal vecchio al nuovo Cda) e Francesco Zoletto, come “new entry”.

P.N.D.

 

IL MOSE E IL COMUNE «Non abbiamo poteri Ma se ci saranno problemi la città si muoverà»

Non è andata a buon fine l’istanza di accesso agli atti che nell’ottobre dello scorso anno il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni si era impegnato ad inoltrare al Magistrato alle Acque di fronte al Consiglio comunale.

«Ho chiesto le informazioni e non le ho ricevute – commenta Orsoni – avevamo presentato un’istanza di accesso agli atti e questa non è stata evasa. Parlerò con il nuovo presidente del Magistrato e se poi anche questi non ci darà gli atti, faremo un passo formale».

La richiesta riguardava materiale richiesto dal consigliere Beppe Caccia in merito alle cerniere prodotte proprio dalla Fip di Selvazzano, poiché nella trasmissione “Report” c’erano state testimonianze che non deponevano a favore della scelta.

Inoltre, si chiedeva di conoscere come il Ministero avesse messo in piedi un sistema di monitoraggio indipendente sui lavori e che fosse reso pubblico l’elenco dei tecnici collaudatori. Secondo Caccia, ci sarebbero state situazioni di conflitto di interesse tutte da verificare.

Sabato, intanto, ci sarà la presentazione del funzionamento delle prime paratoie del Mose messe in opera a Treporti, proprio con le cerniere Fip, realizzate in metallo saldato e non fuso, come invece avrebbe prescritto il progetto iniziale.
Che cosa ha intenzione di fare adesso il Comune?

«Francamente – continua il sindaco – non credo che il Comune abbia competenze in merito. Non riesco neppure a fermare le navi (scherza) figuriamoci se riesco a fermare il Mose, ammesso che il Mose sia da fermare. Secondo me è interesse della città avere un Mose che funzioni bene. Non ho elementi per dire ora che il Mose non funziona per via di quelle cerniere o per chissà quale ragione. Se poi non dovesse funzionare, la città farà certamente le sue valutazioni e si muoverà di conseguenza».

Sul fatto che il Consorzio Venezia nuova abbia annunciato la costituzione di parte civile e che abbia azzerato i vertici di Thetis, Orsoni non si sbilancia.

«Era nell’aria. Si sapeva più o meno di questo cambiamento, dal momento che Thetis dipende direttamente dal Consorzio ed è naturale che dopo il cambio della presidenza nel Consorzio ci possa essere un cambio nei vertici delle controllate. Per me – conclude – è un normale avvicendamento».

 

IL CASO – I dubbi sul sistema di aggancio delle dighe e il ruolo dei collaudatori. Anche la Finanza ha acceso un faro.

BEPPE CACCIA – Nuovo affondo del consigliere

(pnd) Ora Beppe Caccia preme il pedale sull’acceleratore. E torna alla carica. All’indomani dell’operazione dei Carabinieri di Caltagirone che hanno messo le manette a Mauro Scaramuzza, amministratore delegato della Fip Industriale di Selvazzano Dentro (Pd), azienda direttamente coinvolta nelle forniture delle “cerniere” per le dighe mobili, per i suoi contatti con le cosche mafiose di Caltagirone, il consigliere comunale di “In Comune” punta il mirino su una altro aspetto delicato della “partita Mose”: il ruolo dei collaudatori inviati dal Magistrato alle Acque (e quindi dal ministero per le Infrastrutture) chiamati ad esprimere un giudizio sui lavori del Mose, ma che nel corso di questi anni ha sollevato parecchi dubbi sulla loro imparzialità di giudizio.

Una “perplessità” da parte di Caccia che ha avuto come risultato anche la presentazione nel maggio del 2012, di una interrogazione al sindaco Giorgio Orsoni dal titolo emblematico:

“Sono sicure le cerniere del sistema Mose? E chi controlla i controllori (leggasi collaudatori ndr) in materia di salvaguardia?”.

Un documento corposo che solleva dubbi e criticità sull’operato dei “collaudatori” del Mose e sui gangli amministrativi legati alle loro nomine.

«In questi giorni – sottolinea Caccia – abbiamo appreso di un ennesimo blitz delle Fiamme Gialle nella sede del Magistrato alle Acque a Palazzo X Savi a Rialto per raccogliere documentazione relativa ai cantieri presenti in laguna e ai collaudi svolti sui lavori del Mose. Di fronte al cortese invito del presidente del Magistrato alle Acque, Roberto Daniele, di partecipare alla “prima movimentazione” delle paratoie al Lido, ho gentilmente chiesto che rispondesse alle mie richieste di trasparenza e chiarezza già illustrate nell’interrogazione e sulle quali non ho avuto risposta. Ho chiesto e richiedo con forza che il Magistrato alle Acque renda pubblico e trasmetta al Comune, il dettagliato elenco dei componenti delle commissioni di collaudo con relativi importi liquidati e corrispondenti posizioni nella pubblica amministrazione. Mi risulta che tra i collaudatori ci siano figure apicali dell’Amministrazione centrale dello Stato che altresì hanno assicurato e assicurano la continuità dei flussi di cassa allo stesso Consorzio».

E proprio su questo aspetto già nel luglio scorso, i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria che hanno condotto l’indagine sul Consorzio Venezia Nuova, segnalavano come “opaco” il rapporto tra Cvn e Magistrato alle Acque e “scarsità di controlli” soprattutto facendo presente che tra i collaudatori ci sarebbero personaggi di rilevanza nazionale come Lorenzo Quinzi e Vincenzo Fortunato, oggi rispettivamente capo e ex di gabinetto del ministero dell’Economia nonchè l’ex presidente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici, Angelo Balducci, coinvolto in ben altre note inchieste.

 

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