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Gazzettino – Tangenti Mose, in manette Milanese

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5

lug

2014

L’INCHIESTA – La mazzetta pagata nella sede di Palladio. Durissimo il gip: persona di eccezionale pericolosità sociale

Tangenti Mose, in manette Milanese

L’ex consigliere di Tremonti avrebbe incassato mezzo milione per sbloccare alcuni finanziamenti al Cipe

Atti trasmessi alla Procura di Milano per competenza

La mazzetta versata nella sede lombarda della Palladio Finanziaria

CORRUZIONE – Mezzo milione di euro pagato da Mazzacurati per “oliare” il Cipe

Tangenti in laguna arrestato Milanese ex uomo di Tremonti

IL PERSONAGGIO – Da Mani Pulite a Montecitorio ascesa e caduta di un finanziere

L’ex tenente colonnello delle Fiamme gialle ed ex deputato Pdl, oggi 55enne ha avuto come sponsor il “superministro economico” dei governi Berlusconi

MILANO – E pensare che si era messo in luce, giovane e brillante ufficiale della Guardia di finanza, lavorando con Antonio Di Pietro e con il pool investigativo della Procura di Milano che aveva scoperchiato il pozzo nero dello scandalo di Tangentopoli vent’anni fa. Era il 1994.
Da allora Marco Milanese, nato a Milano 55 anni fa da genitori venuti dall’Irpinia – il padre era il direttore dell’ufficio delle imposte del capoluogo lombardo – di carriera ne ha fatta parecchia. Nelle Fiamme gialle è arrivato al grado di tenente colonnello, partendo da un diploma di ragioniere e dall’arruolamento in Accademia. Prima di congedarsi dall’Arma nel 2004 ha collezionato una decina di encomi. Ma è stata la politica, grazie al legame con Tremonti, a dare a Milanese la spinta propulsiva.
Nel 2001 viene nominato addetto nel rinnovato dicastero dell’Economia e delle Finanze guidato da Giulio Tremonti che Berlusconi ha appena nominato “superministro” per gli affari economici nel suo secondo governo. Tremonti è colpito dalle qualità di Milanese e lo vuole al suo fianco come consigliere politico. Gli dà l’incarico delicatissimo della scelta dei dirigenti degli enti pubblici; incarico mantenuto dal 2002 al 2006 e poi ripreso dal 2008 al 2011 quando Tremonti torna ministro nel quarto governo Berlusconi. Milanese nel frattempo si laurea in giurisprudenza a Salerno, diventa avvocato e tributarista e apre un proprio studio professionale a Milano ottenendo importanti consulenze: da Alitalia alle Ferrovie. Sponsorizzato in Forza Italia dal suo padrino politico, Tremonti, Milanese si candida deputato nel 2008 e viene eletto in Campania. Diventa vice del coordinatore regionale Pdl Nicola Cosentino – il deputato di Casal di Principe in seguito arrestato con l’accusa di collusione col clan camorristico dei casalesi – e nel frattempo continua a fare il consigliere a fianco del ministro Tremonti. Nel luglio del 2011 però il vento cambia: Marco Milanese entra nel mirino della magistratura inquirente che ne chiede l’arresto per corruzione. A parlarne è un avvocato con grossi interessi economici, che avrebbe dato un milione di euro, e “benefit” vari a Milanese per evitare guai con le Fiamme gialle. Un’altra vicenda vede Milanese nell’inchiesta degli appalti Enav e Finmeccanica. Nel 2012 – due anni prima di finire nell’inchiesta Mose – Milanese è indagato dalla Procura di Milano, accusato di aver favorito grazie a una legge ad hoc, una società del gioco d’azzardo.

 

Intercettazioni rivelate e intromissioni nelle indagini

L’ex deputato già condannato: «Attività criminose sistematiche»

EX UFFICIALE – Intermediario tra la “cricca” e il generale Spaziante

Ancora un clamoroso arresto nell’inchiesta sul cosiddetto “sistema Mose”. Nella tarda mattinata di ieri, la Guardia di Finanza ha notificato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere all’ex onorevole Marco Milanese, consigliere politico dell’allora ministro all’Economia, Giulio Tremonti: l’accusa formulata dalla Procura di Venezia nei suoi confronti è di corruzione, in relazione a 500mila euro che l’ex presidente del Consorzio venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, sostiene di avergli versato nella primavera del 2010, al fine di sbloccare una serie di finanziamenti del Cipe per la realizzazione del Mose. Mazzacurati ha raccontato di aver versato la somma a Milano, nella sede della Palladio Finanziaria: è per questo motivo che la posizione di Milanese sarà trasmessa per competenza territoriale, subito dopo l’interrogatorio di garanzia, alla Procura di Milano, dove nei giorni scorsi è già stato trasferito il fascicolo che riguarda anche il presidente della Palladio, il vicentino Roberto Meneguzzo, accusato di aver fatto da tramite tra Mazzacurati e Milanese. Il manager è attualmente agli arresti domiciliari: ammette di aver favorito i contatti tra i due, ma nega di aver saputo nulla della “mazzetta”.
I pm Stefano Ancilotto, Stefano Buccini e Paola Tonini avevano già chiesto una prima volta l’arresto di Milanese nel 2013, per poi revocare l’istanza. La nuova richiesta è stata presentata lo scorso 10 giugno (dopo la prima ondata di arresti, avvenuti il 4 giugno), sulla base di una serie di nuovi elementi emersi a carico dell’ex parlamentare Pdl. Il gip Alberto Scaramuzza ha disposto il carcere per Milanese, nonostante non più competente per territorio, ritenendo urgente il provvedimento. Dall’ordinanza si apprende che l’ex stretto collaboratore di Tremonti, malgrado fosse a conoscenza dell’inchiesta a suo carico ha «continuato anche di recente in comportamenti analoghi», scrive il giudice, facendo riferimento a contatti con alti esponenti della Guardia di Finanza «per influire su dinamiche interne ai Corsi dell’Accademia della Gdf» e per «intervenire su una questione relativa alla sospensione da parte del ministero della Salute di un decreto di autorizzazione a imbottigliamento e commercializzazione di un’acqua minerale».
Dopo l’arresto, Milanese è stato trasferito nel carcere di Santa Maria Capua Vetere.
Lo scorso mese, dopo aver appreso di essere iscritto nel registro degli indagati per questa vicenda, il legale dell’ex deputato, Bruno Larosa, aveva dichiarato la «sua assoluta estraneità ai fatti per come riportati dalla stampa» e aveva spiegato che il suo assistito era «come sempre, a disposizione dell’Autorità giudiziaria per i chiarimenti che dovessero essere necessari, non avendo al momento mai potuto interloquire con la stessa a causa della mancata conoscenza dell’indagine». Ora Milanese avrà la possibilità di fornire la propria versione dei fatti agli inquirenti.
Mazzacurati ha raccontato che fu Meneguzzo a dirgli che era necessario pagare. E ha aggiunto che, oltre a Milanese, incontrò a Roma, al ministero dell’Economia, anche l’allora ministro Giulio Tremonti: è probabile che la Procura di Milano vorrà approfondire anche la posizione di quest’ultimo, attualmente non indagato.

Gianluca Amadori

 

L’ORDINANZA «Le sue conoscenze consentono interferenze nei pubblici poteri»

GUARDIA DI FINANZA – Il generale Spaziante ritenuto uno degli uomini “comprati” dal Consorzio Venezia Nuova

«Asservito all’interesse privato»

Durissimo il gip con l’ex deputato del Pdl: «Pericolosità sociale eccezionalmente elevata»

VENEZIA – La condotta contestata all’ex onorevole Pdl, Marco Milanese, è «molto grave, dimostrativa di un totale asservimento della propria funzione all’interesse privato in luogo dell’interesse pubblico… una totale subordinazione ad un gruppo privato…»
Lo scrive il gip di Venezia, Alberto Scaramuzza, nell’ordinanza notificata ieri al consulente politico dell’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Il giudice giustifica l’arresto di Milanese sulla base di «una pericolosità sociale eccezionalmente elevata ed un intenso pericolo di reiterazione, dimostrato dalla capacità di condizionamento dei pubblici poteri al di la del ruolo di volta in volta ricoperto, essendo stato in grado diagire all’interno delle pubbliche istituzioni al massimo livello per anni, al fine di pilotare e modificare delibere di finanziamento nell’esclusivo interesse di gruppo economico privato, dietro pagamento di somma consistente proveniente da fondi neri formati mediante frodi fiscali».
ALTE CONOSCENZE – Milanese, si legge nell’ordinanza «è ancora in grado di contare su elevatissime relazioni che gli permettono di interloquire e soprattutto di interferire nell’esercizio dei pubblici poteri».
Nel motivare le esigenze cautelari, il gip Scaramuzza elenca anche i precedenti di Milanese, «condannato il 28 marzo 2013 dal Tribunale monocratico di Roma per finanziamento illecito ai partiti politici» e rinviato a giudizio a Napoli «per fatti di corruzione, addirittura in forma associata», circostanze che «dimostrano una sistematicità in attività criminose».
500 MILA EURO – A ricostruire nei dettagli la vicenda relativa alla presunta tangente da 500mila euro è stato Mazzacurati, il quale ha raccontato che inizialmente doveva essere versata a Vicenza. L’appuntamento, però, fu improvvisamente spostato a Milano, negli uffici della Paladio Finanziaria, in quanto la Finanza iniziò una verifica fiscale al Cvn. Mazzacurati ha spiegato che era stato proprio Roberto Meneguzzo, l’ad della Palladio, a dirgli «che bisognava dare dei soldi per “avere queste cose” dicendogli anche che il “cip” di apertura doveva essere nell’ordine di 500mila euro». A sua volta l’onorevole Milanese avrebbe poi precisato a Mazzacurati che «sarebbe riuscito a “combinare queste cose”», ovvero far approvare la delibera Cipe numero 31 del 2010, all’interno della quale rientrarono i finanziamenti per il Mose.
LA RIUNIONE – L’ex presidente della Mantovani, Piergiorgio Baita, ha aggiunto che, subito dopo l’approvazione della delibera Cipe, il 25 maggio 2010, fu convocata una riunione urgente al Cvn per reperire i soldi da versare a Milanese; riunione alla quale seguì il giorno successivo una telefonata tra Meneguzzo a Mazzacurati «per aver riscontro sulla bontà del risultato conseguito, garantendo la prosecuzione dell’intervento del Milanese anche per la fase successiva, che si concluderà il 18 novembre 2010». Infine, il 28 maggio Mazzacurati rassicurò che si sarebbe personalmente occupato di versare i soldi, visto l’esito positivo della vicenda.
IL GENERALE – Nell’ordinanza si fa riferimento anche al ruolo di Milanese come intermediario per mettere in contatto Consorzio Venezia Nuova e Gruppo Mantovani con il generale della Guardia di Finanza Emilio Spaziante, a sua volta accusato di corruzione e rivelazione di segreti d’ufficio per aver fornito a Mazzacurati e Baita informazioni in merito alle inchieste che li riguardavano. Anche la posizione di Spaziante è stata trasmessa a Milano per competenza territoriale, in quanto la presunta mazzetta (anche questa di 500mila euro) sarebbe stata versata sempre nella sede della Palladio Finanziaria, l’8 settembre del 2010.
LA “TALPA” – Dagli atti di queste filone, emergono telefonate fatte da Spaziante all’allora comandante provinciale della Finanza di Venezia, Walter Manzon, il quale a sua volta avrebbe chiesto al suo gruppo investigativo di relazionarlo in merito alle persone oggetto di intercettazione. Pochi giorni più tardi Mazzacurati, conversando all’interno del proprio ufficio, riferì di essere a conoscenza dell’attività di intercettazione da parte delle Fiamme Gialle. Secondo la Procura è più di una semplice coincidenza. Così come viene ritenuto singolare l’improvviso trasferimento del colonnello che si è occupato di quasi tutta l’inchiesta sul “sistema Mose”, Renzo Nisi, spostato in altra sede prima che le indagini si fossero concluse.

Gianluca Amadori

 

 

 

VENEZIA NUOVA – Carlo Giacomini illustra le norme che rendono irregolari gli affidamenti al Consorzio

«La concessione unica illegittima da vent’anni»

Impossibile sciogliere il Consorzio Venezia Nuova, che è un soggetto privato. Qualcuno ipotizza di revocare la concessione unica rilasciata nel 1984 – la prima pietra del Mose è del 2003 – dimenticando che questo meccanismo, illegittimo in Europa, lo è anche in Italia da vent’anni.
Carlo Giacomini, per decenni al Ministero dell’Ambiente, fa una lucida disamina normativa di tre provvedimenti che si sono succeduti e che basterebbe far rispettare per bloccare i cantieri di un’opera che non ha mai superato la valutazione di impatto ambientale.
«Nel 1995 con la legge 206 il Parlamento ha abrogato i commi di legge con i quali per l’attuazione delle opere statali di riequilibrio e salvaguardia della laguna era stata autorizzato il ricorso a una concessione a trattativa privata – spiega Giacomini – dove trattativa privata non equivale a senza gara. Ma dal 1995 non esiste più alcuna norma che consenta atti e disposizioni attuative di concessione a privati, e quindi, quella concessione del 1984 è ormai priva di ogni legittimazione. Sarebbero fatti salvi solo gli impegni già oggetto di atto di convenzione operativa già dotata di copertura finanziaria, ratificata e perfezionata entro il 31 maggio 1995 per un valore di poco meno di un miliardo di euro». Nel mirino anche la riduzione dei corrispettivi dal 12 al 6 per cento nelle spese generali del Consorzio stabilito per legge nel ’94, “che invece – conclude Giacomini – continua ad essere applicato al 12 per cento con sovraccosto per l’Erario”.

(r.v.)

 

LA REPLICA – I soldi del Mose tra libri, strenne e incarichi

Caro direttore,
“Welcome to Venice. Cento volte imitata, copiata, sognata”, il libro che ideai e curai nel 2007 per il Consorzio Venezia Nuova, era un volume a più firme: oltre alla mia (fui curatore e autore), quelle delle scrittrici americane Judith Stiles e Rita Ciresi, dello scrittore argentino Enrique Butti, della giornalista brasiliana Elza Fraga, dello scrittore Alessandro Carrera e del giornalista Carlo Benucci. Era un libro corredato di tante immagini, molte delle quali acquistate negli Usa. Il mio compenso personale fu di 7.000 euro, e tasse relative, su un costo complessivo di 39.000 euro, che il Gazzettino (“Una laguna di soldi”) attribuisce interamente a me. Il volume fu il diciannovesimo di una serie iniziata nel 1989, con le “Fondamenta degli incurabili” di Iosif Brodskij. Dopo lo scrittore russo-americano figurano autori come André Chastel, Giuseppe Sinopoli, Harold Brodkey, Acheng, Gianni Riotta, Pedrag Matvejevic, Paolo Barbaro, Vittorio Gregotti, Antonio Alberto Semi, Valerio Massimo Manfredi, Lorenzo Finocchi Ghersi, Derek Walcott, Sergio Bettini. Nel 2007, appunto, il mio “Welcome to Venice”. Di questa folta schiera di autori di alto rango, il Gazzettino cita me, oltre a Irene Bignardi, Valerio Massimo Manfredi e Lorenzo Mattotti. Immagino che mi abbia messo in luce non tanto per il lustro della mia firma, ma perché il libro che ideai e curai fu accolto molto bene (al Consorzio, anche in tempi recenti, ne chiedevano copie) ed ebbe numerose e lusinghiere recensioni, in Italia e all’estero, tra le quali ricordo con piacere quella a tutta pagina del Gazzettino. Alla sua presentazione, in un salone di palazzo Cavalli-Franchetti, c’era tantissima gente, tanto che fu utilizzata una sala adiacente collegata con uno schermo. Venne anche il sindaco di allora, Massimo Cacciari. Oggi non più, perché sono tempi di sobrietà, ma fino a poco tempo fa era “normale” che aziende pubbliche e private, grandi e piccole, banche, fondazioni, cooperative dedicassero somme anche considerevoli alle pubbliche relazioni e, in particolare, alle strenne natalizie (regali, agende, calendari, libri e molto altro), e i giornalisti ne erano tra i principali beneficiari (io che ho sempre lavorato in piccoli giornali di sicuro non ero tra questi). Credo che sia improprio e sia fuorviante equiparare e confondere questo tipo di spese – alla luce del sole e del fisco fin dall’inizio, da 25 anni a questa parte – come quelle destinate ai libri-strenna, con soldi elargiti, sia pure a fin di bene, a soggetti ed enti, in modo discrezionale, arbitrario e opaco, che nulla avevano a che fare con la “missione” del Cvn.

Guido Moltedo


Caro Moltedo, pubblichiamo volentieri la tua lettera e la precisazione che il tuo compenso fu di 7mila euro e ci scusiamo per l’errore. Quanto al resto, ci dispiace ma non abbiamo confuso proprio nulla. Abbiamo dato conto correttamente dei contributi e dei finanziamenti erogati dal Consorzio. O meglio, di quelli che siamo riusciti a ricostruire, considerata la difficoltà ad avere un quadro completo di ciò che nel corso degli anni è stato speso. Sul fatto poi che la “missione” del Consorzio Venezia Nuova prevedesse anche la pubblicazione di strenne natalizie su Venezia, ognuno può pensarla come vuole. Un fatto è certo: noi siamo stati forse beneficiari di qualche volume natalizio del Cvn. Ma mai di incarichi professionali.

 

PRECISAZIONE LA BIENNALE E IL MOSE

Con riferimento all’articolo “Una laguna di soldi” a firma di Paolo Navarro Dina, si tiene a precisare che, come già detto in altre sedi e contrariamente a quanto ivi scritto, la Biennale non ha mai ricevuto “liberalità” o “sostegni liberali” dal Consorzio Venezia Nuova. Con il Consorzio sono stati stipulati due contratti di sponsorizzazione (dove quindi il corrispettivo viene erogato a fronte di pubblicità) di 100mila euro ciascuno per gli anni 2010 e 2011, come chiunque potè allora, e può oggi, rilevare dalla presenza dei loghi del Consorzio stesso nei cataloghi delle rispettive mostre di Architettura e d’Arte.

Ufficio Stampa – la Biennale di Venezia

 

A MALAMOCCO – Mose, i lavori non si fermano due ore di blocco alla navigazione

Non si fermano i lavori alle tre bocche di porto. Oggi inizia il varo del primo cassone di “soglia” della barriera del Mose alla bocca di porto di Malamocco. Nel pomeriggio il cassone verrà calato in acqua tramite il syncrolift e verrà agganciato al mezzo speciale che lo trainerà e lo affonderà nello scavo predisposto lungo il canale di Malamocco. Il provvedimento di interdizione totale della navigazione è dalle 16.30 alle 19. Mentre per tutto il tempo necessario ai lavori di posa, in ottemperanza all’ordinanza della Capitaneria di Porto di Venezia, il transito sarà autorizzato attraverso la conca di navigazione.
Prosegue poi l’installazione delle paratoie alla bocca di Lido nella barriera di Treporti (Lido Nord). Nove sono già installate e la decima sarà agganciata domani. La barriera prevede in totale 21 paratoie. Ogni paratoia misura 20 metri di larghezza, 18,50 di lunghezza e 3,60 di altezza. Per l’installazione viene utilizzata un’apposita impalcatura metallica ancorata ai cassoni di soglia nel fondale. Mentre vengono calate le paratoie sono progressivamente riempite d’acqua.
Infine alla bocca di porto di Chioggia si è conclusa ieri la fase di varo del terzo cassone (secondo di “soglia”).

 

Gazzettino – Camminata anti Nuova Valsugana

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4

lug

2014

VALBRENTA – Domenica col Gruppo Informazione ” sui luoghi dello scempio”

Una «Camminata di Valle in Valle» per dire «No alla Nuova Valsugana» e «esplorare i luoghi che verranno devastati dai cantieri della superstrada». L’iniziativa in programma domenica prossima, «per riscoprire e difendere i tesori della Valle», è stata promossa dal Gruppo Informazione San Nazario ed è rivolta a tutta la popolazione, in particolare ai giovani. La partenza è fissata alle 9.30 da via XXV Aprile, in prossimità quindi dell’area designata a diventare un cantiere per la prevista discenderia (condotto a forte inclinazione per buttar giù i materiali scavati) di località Pianari, per raggiungere poi la Val del covolo, in contrada Merlo, la Val Sarzé, la Val Lanari, dove sono previste le uscite della galleria da realizzare sotto il Massiccio del Grappa e i Fontanazzi. In attesa degli sviluppi sulle indagini giudiziarie in corso sui project financing della Regione Veneto, il Gruppo Informazione San Nazario intende con questa iniziativa portare la gente sui luoghi direttamente interessati dal progetto della Nuova Valsugana, affinché tutti possano rendersi conto realisticamente dello scempio ambientale che l’opera provocherebbe nel territorio di San Nazario, il comune maggiormente interessato e più pesantemente colpito.
Nel capoluogo, infatti, sono previsti tre passaggi critici del tracciato: un ponte sulla Valle dei Lanari, con discenderia di grande impatto ambientale; il passaggio in viadotto della Valle di Sarzé e la discenderia in galleria a nord del centro abitato, a ridosso di contrada Pianari, con allestimento del cantiere sull’attuale campo sportivo, dove gioca in campionato la Football Valbrenta, e trasporto del materiale di scavo mediante un nastro trasportatore al cantiere, con allestimento inoltre di un binario ferroviario.
Senza contare l’uscita della galleria di località Pian dei Zocchi e la realizzazione di un ponte sul Brenta per collegare la borgata isolata di Rivalta con contrada Sasso Stefani, in territorio di Valstagna. Criticità sottolineate anche dal consiglio comunale, le cui proposte alternative non sono state tenute in considerazione.

Roberto Lazzarato

 

Mose, il governo parte civile

Un mese fa gli arresti. Il pm Nordio critica le norme del decreto svuotacarceri

Il governo Renzi si costituirà parte civile nel processo per lo scandalo Mose. Potrà così chiedere i danni al Consorzio Venezia Nuova per i fondi neri e le tangenti. Il pm Carlo Nordio critica il decreto svuotacarceri, che nel caso di Giancarlo Galan, però, non potrà essere preso in considerazione della Giunta della Camera.

La concessione unica all’origine del malaffare

Il meccanismo lanciato nel 1984 per “salvare Venezia” dall’acqua alta si è trasformato nel grimaldello per azzerare i controlli e tacitare le critiche

‘‘L’ITER DEL PROGETTO Un’opera “spinta” anche quando i pareri tecnici risultavano negativi. Già stanziati quattro miliardi di euro.

VENEZIA – La madre di tutte le tangenti ha compiuto trent’anni. Si chiama concessione unica, meccanismo inventato nel 1984, in piena Prima Repubblica, per riconoscere «l’unicità del progetto Mose». Si doveva salvare Venezia. Parola d’ordine lanciata dopo l’alluvione del 4 novembre 1966. Messaggio piuttosto facile da far passare in Italia e nel mondo: chi non è favorevole a salvare Venezia? Il sistema ideato dal Consorzio prevede di cementare i fondali della laguna e innestare sui cassoni 78 paratoie in metallo che si riempiono d’aria e si sollevano legate l’una all’altra in caso di acqua alta. Sistema complesso e pensato tutto sott’acqua, dalla manutenzione costosa e complicata. Ma il governo ha scelto. È del 1984 la seconda legge Speciale per Venezia. Approvata all’unanimità dal Parlamento, ricalca in buona sostanza la prima, quella del 1973. Undici anni dopo si sceglie di puntare tutto sulla grande opera. Affidandone lo studio, la progettazione e la realizzazione a un unico soggetto, il Consorzio Venezia Nuova. Raccoglie le più importanti imprese edili del Paese, capofila è l’Impregilo di Romiti (poi sostituita dalla Mantovani), ma ci sono anche Lodigiani, Iri-Italstat, Condotte, le Cooperative. Concessione unica. Significa che il concessionario dello Stato non ha alcun bisogno di indire gare d’appalto. Lavora in regime di monopolio e decide i prezzi che vuole, può accantonare per legge il 12 per cento del costo dei lavori. 5 miliardi e mezzo di euro – era uno e mezzo alla fine degli anni Ottanta – gestione e manutenzione escluse. A volte è lo stesso soggetto attuatore a scegliersi i controllori. A pagarli, anche senza tangenti, in quanto «concessionario dello Stato». Piano piano il Consorzio diventa una macchina potente, capace di coagulare intorno a sè interessi e attenzioni della politica. Il progetto di massima «Mose» (acronimo di Modello sperimentale elettromeccanico ») viene approvato nel 1988. La prima paratoia fotografata davanti a San Marco, inaugurazione con il ministro Prandini e il vicepresidente del Consiglio, il «doge» Gianni De Michelis. Il progetto muove i primi passi. Il Consiglio superiore dei Lavori pubblici lo ferma nel 1991 per alcuni dubbi di natura tecnica. Ma il governo decide di andare avanti lo stesso. Un film che si rivedrà più avanti. Nei passaggi decisivi, il progetto Mose viene «spinto» anche quando i pareri tecnici sono negativi. Così è nel 1998: Valutazione di Impatto ambientale negativa. Mai più rifatta. Il governo (D’Alema prima, Amato poi) va avanti. Nel 2001 torna Berlusconi. Il Mose entra a far parte delle «grandi opere strategiche». Cambia il modo di finanziarlo, i soldi arrivano direttamente dal Cipe. La nuova Legge Obiettivo toglie i poteri decisionali agli enti locali. Il 5 maggio del 2003 Berlusconi getta in laguna la prima pietra del Mose. Ad applaudire ci sono il governatore Giancarlo Galan, la presidente del Magistrato alle Acque Maria Giovanna Piva, l’allora sindaco Paolo Costa, il patriarca Angelo Scola. I lavori cominciano. E i finanziamenti arrivano copiosi, sottratti tra le proteste del Comune alla manutenzione della città. Il flusso di denaro che arriva in laguna diventa sostanzioso. Raggiungerà in dieci anni i 4 miliardi di euro. Il Mose scivola senza danni tra le tante obiezioni. Anche quando il Comune, nel 2006 (sindaco Cacciari), presenta al governo le alternative. «Prodi non ci ha nemmeno ricevuto », ricorda l’ex sindaco. Il governo (ministro dei Lavori pubblici era Antonio Di Pietro, presidente del Consiglio superiore Antonio Balducci) si fa forte di un parere positivo firmato dai suoi esperti ingegneri e dal Comitato tecnico di magistratura, formato da tecnici nominati dal Magistrato alle Acque. Nel frattempo anche la commissione di Salvaguardia presieduta da Galan aveva dato a maggioranza il suo parere favorevole. Senza nemmeno consultare i 63 volumi di carte e di critiche all’opera. Nel 2009 è la società di ingegneri franco-canadese Principia a sollevare dubbi di natura tecnica sulla tenuta delle paratoie in caso di mare agitato. «Sciocchezze», le definisce il nuovo presidente del Magistrato alle Acque Patrizio Cuccioletta. Avanti tutta. Senza ascoltare critiche né prendere in considerazione proposte di modifica. Il Mose non trova ostacoli e adesso è arrivato – almeno per la parte delle strutture in calcestruzzo – quasi al punto di non ritorno, oltre l’80 per cento dei lavori. Mancano le paratoie e le cerniere, il punto più delicato. Ma qualcuno adesso si chiede: visto quello che è successo, siamo sicuri che la sicurezza di strutture e materiali sia garantita?

Alberto Vitucci

 

Fondi neri e tangenti

Burattinai e marionette del grande scandalo

Politici e supertecnici insieme per dividersi un miliardo di euro

Alleanza ferrea fra Consorzio Venezia Nuova e giunta veneta

E il centrosinistra si opponeva? No, gestiva il lato B del potere

Il patto tra Baita, Mazzacurati e Chiarotto: dagli appalti stradali ai lavori in laguna

Assordante il “silenzio degli innocenti” di quanti a suo tempo erano pronti a pagare

VENEZIA- Per «far fuori» un miliardo di euro in una decina d’anni – questa è la stima della Procura di Venezia sulle dimensioni della corruzione nell’inchiesta Mose – non basta essere voraci. Bisogna sentirsi onnipotenti. E due onnipotenze gestivano il grande affare del nuovo secolo, finanziato con i soldi delle tasse: quella tecnica del concessionario unico Venezia Nuova e quella politica imperniata sulla giunta regionale del Veneto. Saldandosi insieme, hanno industrializzato il sistema delle tangenti, rispetto alla Tangentopoli del 1992. I costi del Mose sono stati sparati verso quote astronomiche per contenere gli appetiti dei singoli, non più dei partiti. Su circa quattro miliardi e mezzo di euro finora erogati dallo Stato per il Mose (ma bisognerà superare quota sei), un miliardo rappresenta quasi un quarto: siamo passati dal 2-3% delle tangenti di Mani Pulite al 25% del Consorzio Venezia Nuova. Percentuale da capogiro. Di Pietro è un lampo giallo al parabrise, come cantava Paolo Conte: sono i pm veneziani Tonini, Ancilotto e Buccini i nuovi protagonisti positivi. Non parliamo di eroi. E la Guardia di Finanza che ha trovato i riscontri. Il Consorzio. L’onnipotenza tecnica non era imperniata solo sul «grande burattinaio» Giovanni Mazzacurati e su Piergiorgio Baita, che ha quantificato il «fabbisogno sistemico» in un centinaio di milioni l’anno. C’era mezzo mondo a libro paga: tutti consapevoli e consenzienti. Mazzacurati, ingegnere idraulico, «fluidificava» gli snodi amministrativi e di controllo del Mose, ma condizionava anche le imprese che lavoravano fuori dal Mose. Troviamo lui a trattare del nuovo ospedale di Padova con il sindaco Flavio Zanonato. È Mazzacurati che decide i collaudatori nelle ferrovie, se dobbiamo credere al direttore generale del ministero dei Trasporti. Per questo è assordante il silenzio di quelli che ieri si lamentavano di essere esclusi. Si direbbe “il silenzio degli innocenti”, se lo fossero davvero. Invece gli operatori sapevano. Tutti, è da credere. Solo per stare a Chioggia, le cronache riferiscono di piccole imprese che erano disposte a pagare come le altre, pur di rientrare nei lavori del Mose. Inutilmente. Neanche con la tangente alla mano, quelli dentro aprivano la porta. La giunta regionale. L’onnipotenza politica non vuol dire solo l’ex presidente del Veneto Giancarlo Galan e il suo braccio destro Renato Chisso, che mettevano al vento gli uffici regionali e li obbligavano a manovrare come chiedeva Mazzacurati. Dopo la pericolante legislatura 1995-2000, il patto Bossi-Berlusconi aveva tolto a Galan l’opposizione della Lega. All’alba del 2000 il presidente non ha più oppositori né controllo nel centrodestra. Fa il vuoto in Forza Italia, promuove e defenestra chi gli pare, governa il partito solo con Lia Sartori. A rompergli le scatole resta solo il centrosinistra, ma ci mette poco a renderlo inoffensivo. Il consociativismo. L’intesa di Galan con gli ex Pci business oriented, come all’epoca li aveva ribattezzati il nostro giornale, non ha bisogno del coinvolgimento di Piero Marchese, come politico che attinge al Consorzio per finanziare la campagna elettorale, con l’epilogo di Orsoni e di altri, se emergeranno. L’opposizione di facciata, a coprire scelte consociative, è nel ruolo del Coveco, che retrocede denaro al Consorzio ben sapendo, attraverso Pio Savioli, che servirà a Piergiorgio Baita per pagare Giancarlo Galan. Come rivela Mazzacurati negli interrogatori. Ma prima ancora è scritta nei grandi appalti di opere pubbliche dell’ultimo decennio, dalle autostrade agli ospedali costruiti in project financing: la presenza delle cooperative rosse in associazione d’impresa con Mantovani, Gemmo Impianti, Studio Altieri e pochi altri, è sistematica e non casuale. La scalata alla Save. Il centrosinistra si accontenta di gestire «il lato B» del potere. Do ut des. Anzi, non do ut des, probabilmente. Qualcuno dovrebbe spiegare per esempio perché improvvisamente, dopo il 2000, frana l’opposizione, che fino ad allora aveva retto, alla scalata in Save di Enrico Marchi. In Consiglio regionale arrivano persone diverse, il veneziano Valter Vanni è pensionato, nuovo capogruppo dei Ds diventa il padovano Flavio Zanonato. Sostenuto dalle quote della Regione manovrate da Giancarlo Galan, Marchi arriva alla presidenza di Save e si impadronisce dell’aeroporto. In concessione, naturalmente, ma senza concorrenti e fino al 2030.Unaliberalizzazione che è stata archiviata da tutti come una privatizzazione per gli amici, con quel che significa. La scalata al Mose. Piergiorgio Baita aveva già conosciuto il carcere nella Tangentopoli del 1992 (patteggiamento rifiutato, assolto nel 1995 per non aver commesso il fatto). La sua “assicurazione” per non tornarci, si capisce oggi, era pagare tutti. Non è bastato, benché solo in operazioni di controspionaggio se ne siano andati 6 milioni di euro. Quando si rimette in pista, Baita trova Mazzacurati, con il quale aveva lavorato nell’impresa Furlanis. E Romeo Chiarotto, titolare della Mantovani, anche lui reduce dal carcere, per tangenti su appalti stradali. Il terzetto capisce che in terraferma è finita l’epoca dei partiti, con i quali mungere lo Stato. Lasciano gli appalti stradali e si buttano negli interventi lagunari del Mose, in fase di avvio. Mazzacurati è direttore generale del Consorzio, concessionario unico di tutto. Ha il coltello dalla parte del manico. Baita ha la tecnologia e una piccola società, Laguna Dragaggi, con la quale entra in Mantovani spa. Diventa prima amministratore delegato e poi presidente. Oggi è ancora titolare del5%della società. La Mantovani si fa largo nel Consorzio rilevando la quota di Fincosit per 70 milioni di euro. Lì Baita apprende da Mazzacurati del patto non scritto: per ogni lavoro preso bisogna retrocedere al Consorzio una quota necessaria al «fabbisogno sistemico ». Deve sovrafatturare a manetta e inventarsi fatture false. Tra i due comincia a non correre più buon sangue.

Renzo Mazzaro

 

I PERSONAGGI IN ROSA

Abili e spregiudicate: le donne dell’inchiesta

Nelle intercettazioni Claudia Minutillo che ordina a Chisso: «Alza il culo e vieni qui»

VENEZIA – La segretaria dal cappottino d’oro, il politico garante del sistema, il pigro funzionario del Magistrato delle acque, l’ingegnere del Consorzio capace di tutto. L’inchiesta sul Mose è anche un grande affresco del mondo femminile e dei suoi rapporti con l’altra fetta dell’universo di genere. Abili, convincenti, spregiudicate, le donne del Mose non sono meno protagoniste. Accanto a loro le mogli: di Mazzacurati («Caro, mi compri questa casa a Roma?), di Galan («Mio marito è una persona perbene»), di Cuccioletta (viaggi e vacanze a Cortina). Capaci di dare ordini agli uomini come Claudia Minutillo, l’ex segretaria di Galan; autorevoli come Amalia Sartori, autentica dispensatrice di pratica politica verso l’ex governatore; competenti in materia come Maria Teresa Brotto, ingegnere numero due del Consorzio Venezia Nuova, persona di cui Mazzacurati si fida ciecamente, capace di affidare al marito gli incarichi più diversi in campo idraulico; pigramente oberate di lavoro come Maria Giovanna Piva, Magistrato delle Acque, che si faceva scrivere i propri atti direttamente dagli uffici del Consorzio. Su tutte, naturalmente, l’intraprendente ed avvenente Claudia Minutillo, 51 anni, l’ex segretaria di Giancarlo Galan dal cappottino da sedicimila euro, che inchioda l’ex assessore regionale Renato Chisso con una frase che rimane scolpita nelle intercettazioni: «Scusa vai sempre a mangiare da Ugo, alza il culo e vieniqua» gli ordina il 5 dicembre 2012. C’era da sbloccare una pratica e lei, la Claudia, non aveva tempo da perdere: un caterpillar in gonnella e tacchi a spillo. Paciosa e regale, la «matrona » vicentina di Valdastico Amalia Sartori, 67 anni, da due giorni agli arresti domiciliari dopo aver mancato la riconferma all’europarlamento. Socialista di lunga data, oracolo di Galan, prima donna assessore regionale e poi presidente del consiglio regionale, è vedova di un altro ingegnere, Vittorio Altieri, tra i grandi studi del Veneto. Mazzacurati l’accusa di averle pagato fino a 200 mila euro per le campagne elettorali, mai registrati. Lei nega, ma non ha fatto una piega. Poi Maria Teresa Brotto, 51 anni, vicentina di Rosà, ingegnere responsabile del servizio progettazione del sistema Mose del Consorzio Venezia Nuova, ma anche amministratore delegato del braccio progettuale Thetis. Dodici ore in ufficio, una macchina da guerra, in costante contatto con Mazzacurati che la chiama a tutte le ore per ogni dettaglio. Troppo intelligente per non sapere qual era il sistema.

Daniele Ferrazza

 

«Decreto svuotacarceri? Dilettantismo legislativo»

Il procuratore aggiunto Carlo Nordio: la nostra inchiesta regge molto bene

«Galan non è stato interrogato perché la sua memoria difensiva scritta è più utile»

«Le reazioni sono le stesse di 20 anni fa: la gente è esasperata»

«Per sconfiggere i corrotti regole chiare e pene ridotte ma certe»

VENEZIA «Da un punto di vista giuridico la nostra inchiesta regge molto bene: il Tribunale del Riesame ha riconosciuto la gravità degli indizi per tutti gli indagati, anche in relazione a persone attualmente non sottoposte a misura cautelare. Da garantista non sono mai soddisfatto per le persone in carcere, ma da un punto di vista investigativo la nostra attività è stata riconosciuta con successo». Il procuratore aggiunto Carlo Nordio è il responsabile del pool per i reati contro la Pubblica amministrazione . Il Riesame ha confermato che il Consorzio Venezia Nuova ha creato fondi neri con soldi pubblici, destinandoli a tangenti e finanziamento illecito. Emergenza sociale? «Le reazioni sono le stesse di 20 anni fa: l’opinione pubblica è esasperata, le persone ci fermano chiedendo pene esemplari, c’è la necessità di controllare l’ira popolare, perché qui non c’è solo la colpa dei singoli, ma di un sistema. Da parte nostra, registro una sorta di frustrazione nel verificare che la dura lezione che Tangentopoli ha dato 20 anni fa non è servita: esiste il pericolo che un’opera che è l’orgoglio della tecnologia italiana possa essere rallentata dalle indagini e c’è il rammarico perché è stata macchiata dalla malattia mortale della corruzione». Mazzette per quanti milioni di fondi pubblici? «Il danno globale è in via di quantificazione. C’è il prezzo del reato, tangenti o prebende pagate con soldi pubblici attraverso le sovraffatturazioni, e c’è il danno fiscale legato ai fondi neri: decine di milioni, almeno 50. Ma ancora più grave è il pretium sceleratum dello spreco: per raggiungere consensi si sono anche sprecate risorse in 100 mila attività che con la salvaguardia non c’entravano nulla. Somme ancora maggiori. In tutto il mondo si pagano tangenti sulle opere, ma in Italia si costruisce la corruzione sull’opera pubblica». C’è il rischio che la prescrizione lasci colpevoli impuniti? «Con il sistema attuale giudiziario, il rischio esiste. Per alcuni reati, come il finanziamento illecito, i termini sono più brevi rispetto alla corruzione. Faremo di tutto per evitarlo, stralciando le posizioni a rischio». È normale che Giovanni Mazzacurati, presidente del Consorzio Venezia Nuova, al vertice del sistema nero, sia nella sua villa in California? «Non mi pronuncio sui singoli casi e una persona fa della sua libertà l’uso che crede. Certo se proveremo che le ricchezze sono frutto di attività illecite si può cercare di recuperarle, anche se in effetti è operazione complessa talvolta». Il sindaco Orsoni arrestato per finanziamento illecito ai partiti: la Procura aveva accettato una pena patteggiata a 4 mesi, che il gip ha rigettato come troppo bassa: non è sproporzionato arrestare un sindaco per 4 mesi di pena? «La Procura ha accolto il patteggiamento proposto da Orsoni perché c’era stata una collaborazione convincente, una partecipazione esigua al fatto ed era una pena certa per un reato a forte rischio prescrizione. Una soluzione pragmatica. Il finanziamento illecito ai partiti deruba il cittadino due volte, come civis economicus e come civis politicus: sottrae risorse pubbliche e le destina a partiti diversi da quelli per cui un cittadino voterebbe». L’ex ministro Galan ha chiesto alla commissione per le autorizzazioni a procedere di negare il sì al suo arresto, appellandosi anche al decreto governativo che negava la carcerazione preventiva se l’ipotesi di pena è inferiore ai 3 anni. Il testo è stato corretto in corsa dal ministro Orlando dopo le critiche, lasciando la discrezionalità ai giudici. «Il Parlamento è sovrano, sul caso Galan dico solo che non è stato interrogato perché abbiamo ritenuto che una sua memoria scritta articolata fosse più utile a noi e alla difesa. Chiuso sul caso specifico, uno spunto polemico generale c’è: il governo vuole che i processi funzionino e siano rapidi? Eppure agisce in senso contrario. Manda in pensione i magistrati tra i 70 e i 75 anni, decapitando tutti gli uffici giudiziari: senza 500 magistrati ci sarà la paralisi della giustizia, alla faccia del processo veloce. C’è poi una schizofrenia legislativa: da una parte leggi che impongono l’arresto per reati come lo stalking e subito dopo norme che vietano la carcerazione preventiva in ipotesi fino a 3 anni di pena minima, come lo stesso stalking per incensurati. Anche il cambiamento repentino delle ultime ore è riprova del dilettantismo assoluto della politica nell’affrontare i problemi della giustizia». Come se ne esce? «Da 20 anni dico e scrivo che la corruzione si sconfigge con poche regole certe e pochi controlli sicuri, perché ogni livello in più di verifica è una porta da aprire che può essere oliata. E servono pene, magari anche ridotte, ma certe: guai a quello Stato che minaccia pene epocali e poi non le applica. Così, invece, si fa del sistema penale una barzelletta: ci si fa belli introducendo reati – come l’inutile autoriciclaggio – poi sfasciano la giustizia togliendole i magistrati».

Roberta De Rossi

 

il deputato di fi chiarelli

«Non c’è il salva-Galan ma va evitato l’arresto»

Il dietrofront del ministro della Giustizia Andrea Orlando, ha impedito a Giancarlo Galan di utilizzare la norma che non prevedeva il carcere per i reati la cui pena è inferiore ai tre anni. Quella norma non esiste più: il Parlamento aveva approvato un testo «garantista» che metteva al riparo deputati e senatori dal rischio delle manette,mail ministro Orlando ha imposto lo stop e tutto resta come prima. «Sarà il giudice a esprimere in concreto una prognosi sulla pena concretamente applicabile all’esito del processo, al solo scopo di evitare che l’imputato subisca una limitazione della propria libertà in via cautelare rispetto a una pena che non dovrà essere eseguita all’esito della condanna», scrive il ministro Orlando. E che non esista una norma salva-Galan lo conferma Giancarlo Chiarelli (Fi) relatore di minoranza per la richiesta di arresto dell’ex ministro veneto. «Nessuna norma salva-Galan ,ma solo l’analisi complessiva di una situazione che suscita molte perplessità sulla richiesta di arresto; per questo, e per analizzare le carte depositate il primo luglio ho chiesto un aggiornamento alla prossima settimana. La richiesta di arresto è sbagliata perché «Non c’è il pericolo di fuga, nè di inquinamento delle prove e il rischio di reiterazione del reato. Si è accertato che ci sono delle firme false: penso che il magistrato abbia molti modi per salvare e tutelare la sua inchiesta senza che Galan sia arrestato. Ora rischia 5 anni al massimo, è vero,matra attenuanti generiche, speciali e di rito, come il patteggiamento, è molto probabile che si arrivi a scendere sotto i tre anni. Di questo si deve tener conto valutando quegli elementi che ci possono far trovare altre forme di tutela della inchiesta diverse dall’arresto. Ci sono molte strategie difensive e sarebbe facile per i difensori di Galan scendere sotto quella soglia che non porta in galera in caso di condanna. Non serve quindi un salva-Galanmauna norma attualmente in vigore di cui si deve tener conto». Chi non ha dubbi sull’esito della vicenda è Ignazio Messina, segretario Idv. «No alla norma salva Galan. Con tutti gli scandali di corruzione che l’Italia ha alle spalle, non possiamo sottrarre corrotti e corruttori alla giustizia, ancor più se si tratta di politici».

 

Arresti e accuse-choc, il Veneto terremotato

Il governo parte civile: chiederà i danni al Consorzio Venezia Nuova

La Procura vuole chiudere la prima fase per evitare il rischio prescrizione

Il 4 giugno 32 arresti per un colossale giro di tangenti

Sei indagati ancora in carcere, ai domiciliari altri diciotto

VENEZIA – Il governo ha deciso di costituirsi parte civile contro gli indagati nell’ambito del processo per lo scandalo del Mose: l’avvocatura dello Stato di Venezia si è già attivata per fare le copie dell’intero procedimento. Ad essere interessati sono in particolare i ministeri delle Infrastrutture e dell’Ambiente, quelli che fin dall’inizio si sono occupati delle opere per proteggere la laguna dalle maree. I soldi che il presidente del Consorzio Venezia Nuova distribuiva a destra e a manca provenivano infatti dai finanziamenti che l’amministrazione statale via via stanziava per le opere di salvaguardia della laguna di Venezia ed in particolare del Mose. Soldi che Giovanni Mazzacurati gestiva come se fossero suoi e che sono finiti nelle tasche di politici accusati di corruzione o finanziamento illecito al partito, a servitori infedeli dello Stato di varie amministrazioni. Per formalizzare la costituzione di parte civile gli avvocati dovranno attendere che il procedimento finisca davanti ad un giudice, per l’udienza preliminare o in aula in seguito al rito immediato, per ora comunque possono inserirsi in qualità di parte offesa. Oggi, intanto, è trascorso un mese dal giorno in cui sono scattate le manette ai polsi di 32 persone: il 4 giugno scorso 22 erano finite in carcere e altre dieci agli arresti domiciliari, uno era ed è latitante e due in quel momento erano coperti dall’immunità parlamentare. Da quel giorno il tempo trascorso e soprattutto i giudici del Tribunale del riesame con il loro intervento hanno trasformato la situazione: adesso in carcere sono rimasti soltanto sei indagati, mentre ben 18 sono agli arresti domiciliari, due sono sottoposti ad alcuni obblighi (quello di dimora nel Comune di residenza o quello si stare fuori dal territorio regionale), sette hanno ottenuto la scarcerazione e soltanto uno attende che il Parlamento decisa la sua sorte. Per Venezia e non solo è stato un vero terremoto: sindaco e giunta comunale hanno dovuto dimettersi e due giorni fa è arrivato il commissario del governo per gestire l’amministrazione nei mesi che mancano per le nuove elezioni. Ma soprattutto la città ha avuto la certezza che le grandi imprese del Consorzio hanno utilizzato la legge Speciale (1984) prima e la legge obiettivo poi (2001) per procedere spedite con i lavori, per rimuovere qualsiasi possibile ostacolo al progetto, per addomesticare i controlli tecnici e di legge ha pagato e finanziato politici, funzionati pubblici, un generale, un giudice amministrativo e altri ancora. E non solo nei palazzi del potere a Venezia, ma anche a Roma, penetrando in alcuni ministeri, quelli chiave per i finanziamenti al Mose, e addirittura a Palazzo Chigi. Schizzi di fango hanno raggiunto la Destra e la Sinistra, macchiando sia il partito di Silvio Berlusconi sia il Pd, seppur con accuse molto più pesanti per gli esponenti di Forza Italia. L’inchiesta è partita da una verifica fiscale alla Cooperativa San Martino di Chioggia nel 2008 e poi da un altro controllo fiscale, due anni dopo, agli uffici della Mantovani a Padova. I finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria hanno lavorato duro e soprattutto in gran segreto per anni, un segreto che però è stato svelato agli interessati da un generale infedele, ma i pubblici ministeri Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini hanno proseguito egualmente, affrontando maggiori difficoltà e anche tentativi di boicottaggio. Nonostante l’apparato di sicurezza organizzato da Piergiorgio Baita a suon di milioni di euro e le talpe nelle forze dell’ordine gli accertamenti sono proseguiti, anche perché chi era controllato riteneva di avere solo il telefono intercettato mentre c’erano microspie nelle automobili e addirittura piccole telecamere negli uffici. Quando, nel febbraio 2013 Piergiorgio Baita è finito in manette per una colossale evasione fiscale, e così pure nel luglio dello stesso anno Giovanni Mazzacurati per aver truccato una gara d’appalto dell’Autorità portuale, da almeno due anni gli inquirenti avevano raccolto importante materiale probarotio sulla corruzione in alcune amministrazioni dello Stato. E c’era da tempo la documentazione sull’esistenza dei fondi neri delle imprese del Consorzio grazie alla falsa fatturazione e alla retrocessione del denaro. La prima a «crollare», di fronte alle intercettazioni e alla documentazione, è stata l’ex segretaria di Giancarlo Galan, Claudia Minutillo, quindi l’ha seguita Baita che non si è militato a indicare i grandi sistemi come aveva fatto nel 1992-93,maha fatto nomi e cognomi. Infine, ha cominciato a «vuotare il sacco » il principale artefice della grande corruzione all’ombra del Mose, l’ingegner Giovanni Mazzacurati. Dopo gli arresti del 4 giugno si sono aggiunti altri (Patrizio Cuccioletta, i Boscolo, Tomarelli), tanto da far pensare che non sia finita qui. Per ora la Procura vuole chiudere questa fase velocemente, e arrivare alle condanne prima della metà del prossimo anno, in modo da evitare la prescrizione.

Giorgio Cecchetti

 

Nuovi interrogatori su Matteoli

Sequestrato anche l’aereo del commercialista […], latitante a Dubai

VENEZIA – Dopo aver ascoltato la difesa dell’ex ministro Altero Matteoli, indagato per corruzione, il Tribunale dei ministri del Veneto si è messo al lavoro e mercoledì i giudici Monica Sarti, Priscilla Valgimigli e Alessandro Girardi hanno interrogato due coindagati: mercoledì il costruttore romano Erasmo Cinque e ieri l’ex presidente del Magistrato alle acque Maria Giovanna Piva. A tirare in ballo sia Matteoli sia Cinque sono stati Giovanni Mazzacurati, Piergiorgio Baita e anche Nicolò Buson, ragioniere della «Mantovani». Stando alle accuse, l’ex ministro ora senatore di Forza Italia, aveva fatto pressioni perché la società dell’imprenditore romano, la «Socostramo », venisse inserita nell’appalto per la bonifica di Porto Marghera, che aveva vinto anche la «Mantovani». Cinque è sospettato di essere il collettore delle tangenti per Matteoli anche perché, come lui, è uno dei fondatori di Alleanza nazionale ed è stato negli organi dirigenti di quel partito. L’imprenditore ha negato di aver mai parlato con Matteoli di appalti e lavori edili e di conoscerlo da anni perché avevano fatto parte dello stesso partito. Ha sostenuto di non aver mai raccolto mazzette da altre imprese per consegnarle a Matteoli. Dopo aver sequestrato a La Spezia lo yacht del commercialista milanese […], l’unico latitante dell’indagine Mose (c’è il sospetto che grazie ai suoi appoggi si trovi a Dubai) la Guardia di Finanza di Venezia ha individuato presso un’avio superficie a Ozzano dell’Emilia – totalmente estranea ai fatti – anche un aereo privato da quattro posti appartenente al professionista milanese del valore commerciale di oltre 300 mila euro. Grazie alla collaborazione dei carabinieri del paese le Fiamme Gialle hanno assestato un altro colpo al commercialista latitante, sul quale il cerchio degli inquirenti nazionali e internazionali si sta stringendo sempre di più, nella parte che fa più male: il portafoglio. L’aereo è registrato negli Stati Uniti, dove è più facile ottenere il brevetto di pilota privato, ed è per tali motivi intestato ad un trust del Delaware. Ricorrendo a una società maltese quale “schermo”, […] risulta però essere il vero proprietario e utilizzatore dell’aereo, da lui acquistato nel 2012 a Miami. Dai piani di volo registrati nel computer di bordo risultano tutti i suoi spostamenti,che coprono l’Europa.

(g.c.)

 

SACCHEGGIO DI SOLDI PUBBLICI

di FRANCESCO JORI

LA REAZIONE – Occorre far sentire che in alternativa ai predoni esiste e pesa la contro società degli onesti

Guasto prima ancora di entrare in funzione. In attesa di verificare se riuscirà a salvare Venezia dalle acque alte dell’Adriatico, il Mose ha già fatto cilecca di fronte a quelle del mare grande della corruzione: lungi dal fare barriera, le sue paratie sono rimaste abbassate come un ponte levatoio su cui far transitare ingenti carichi di regalie a favore dei signorotti e loro vassalli saldamente insediati a palazzo. E se nel primo caso è in gioco il destino di una città, sia pure tra le più belle al mondo, nel secondo ne esce sommersa un’intera regione. Il Veneto virtuoso di tante narrazioni ha ceduto il passo a uno squallido racconto di saccheggio delle pubbliche risorse, e non solo in casa propria: tra le voci dell’export in cui primeggia ha incluso pure il malaffare, come insegnano le vicende giudiziarie dell’Expo milanese. Che vedono protagonista il venetissimo imprenditore Maltauro, alla faccia del codice etico decantato nel sito internet della sua impresa. Se a oltre vent’anni da tangentopoli l’Italia rimane un Paese a illegalità diffusa, il Veneto ne rappresenta oggi come allora una sua deteriore vetrina. L’accordo spartitorio denunciato dalla magistratura veneziana nelle sentenze di condanna dei grandi e piccoli mariuoli dei primi anni Novanta, risulta ancor più rafforzato dalle 160 mila pagine della meticolosa inchiesta condotta da giudici di comprovata professionalità. Grandi beneficiari e accattoni della prebenda uniti nella riscossione; politici e imprenditori, militari e funzionari, controllori e controllati, associati in una per nulla santa alleanza della malversazione di cui dovremo pagare il conto a lungo. Tranne loro, magari, e sarebbe davvero una beffa: l’obiettivo che li accomuna è tirarla per le lunghe fino a beneficiare della prescrizione. E intanto proclamano la totale estraneità alle accuse: i soldi sono circolati a vagonate, su questo non ci piove; ma nessuno li ha intascati. Che siano finiti in mance ai camerieri, nelle varie colazioni di lavoro della confraternita? O qualcuno facendo le pulizie di casa non ha ancora trovato una busta gonfia di euro lasciata lì per caso da qualche discreto benefattore? La giustizia farà il suo corso. Ma quali che siano i verdetti finali, sulla sostanza non si gioca. Se uno ha intascato, è un ladro; se in anni di incarico non si è accorto di chi intascava intorno a lui, è un incapace. E l’incapacità non si prescrive: rimane a vita. In entrambi i casi, le persone coinvolte vanno tenute rigorosamente lontane dai beni della comunità,e dev’essere loro precluso qualsiasi ruolo: dai più impegnativi ai minori, fosse anche un comunello di cento anime. Tuttavia, la bonifica non può fermarsi qui. Corruttori e corrotti sono due facce di un’identica categoria trasversale, in cui rientrano figure pubbliche ma pure personaggi privati. Perciò è indispensabile che categorie economiche e ordini professionali adottino a loro volta misure severe ed esemplari nei confronti dei loro associati coinvolti nel malaffare, senza ambiguità e zone franche. Ma tocca anche a ciascuno di noi non lasciarsi anestetizzare dal cloroformio del disimpegno: «Disinteresse e rassegnazione dei cittadini sono il terreno più fertile per il ricorso o l’adattamento alla pratica della corruzione», avverte Piercamillo Davigo, uno dei protagonisti di Mani Pulite. Occorre far sentire che in alternativa ai predoni delle pubbliche risorse, esiste e pesa quella contro società degli onesti di cui parlava Italo Calvino nel 1980, in un celebre apologo su “Repubblica”: che non vuole rassegnarsi all’estinzione, che non valuta tutto in denaro, che «a questo modo magari avrebbe finito per significare qualcosa di essenziale per tutti ». Facendo sapere, con la sua sola presenza, che l’impegno civile non cade mai in prescrizione.

 

L’INCHIESTA – Contributi per tutti: dalla Coppa America a Emergency

Così il Mose foraggiava Venezia 32 milioni a enti e associazioni

Finanziamenti a pioggia a enti, associazioni, amici, società sportive, iniziative varie, progetti editoriali, culturali e umanitari. Per 18 anni il Consorzio Venezia Nuova presieduto da Giovanni Mazzacurati ha tenuto aperti i rubinetti delle elargizioni: oltre 32 milioni, ecco le cifre che risultano dai bilanci. Dalla chiesa alla Coppa America, dalle feste veneziane ad Emergency, dal calcio alla Venice Marathon.

Offerte in serie alla chiesa: dai 250mila euro per il Marcianum ai 100mila per due anni alla Conferenza episcopale triveneta. Senza dimenticare la Mensa dei poveri

SCRITTORI E GIORNALISTI – Da Irene Bignardi a Manfredi, gli autori pagati per le strenne stampate da Marsilio

2.900 – L’ISCRIZIONE AL FAI

5.000.000 – COPPA AMERICA

200.000 – AL CALCIO VENEZIA

17.000 – ARCHEOLOGO-SCRITTORE

ISTITUZIONI – Ateneo Veneto: 20mila euro all’anno e 5mila per la Fondazione Pellicani

I CONTI Sostegno alla cultura, dalla Fenice alla Biennale, e al mondo delle regate.

Maxi elargizione (5 milioni) per le formula 1 del mare

“Liberalità” e “informazione”: ecco dove finivano i fondi del Consorzio Venezia Nuova

DAL 1995 AL 2013 – Enti, associazioni e amici tutti in fila per i contributi del padre delle dighe mobili

IN PROPRIO – Ma il denaro sarebbe stato usato anche per la villa californiana della moglie

Una laguna di soldi: da Emergency alla Coppa America

VENEZIA – Non c’era solo La Fenice, ma una vera e propria galassia con tanti satelliti, grandi e piccoli. E tutti – goccia a goccia nel mare dei 5 miliardi spesi per il Mose – hanno ottenuto dal Cvn, ognuno per proprio conto, finanziamenti o sostegni. Grandi, medi o infinitesimali. Anche per questo, quei 32 milioni di euro ufficialmente usciti tra liberalità e pubbliche informazioni, potrebbero essere solo una parte delle erogazioni effettuate. Ma, come diceva Pirandello: così è, se vi pare. E allora, detto dei soldi concessi nell’arco degli anni all’ente lirico veneziano, e noto il “contributo” dato nel tempo alla Fondazione Marcianum (almeno 250 mila euro all’anno dal 2008 al 2013), cerchiamo di capire come nel corso degli anni il dinamismo del Consorzio Venezia Nuova gestione Mazzacurati ha innervato la realtà sociale veneziana. Denari, è bene sottolinearlo, usciti dalle casse del Cvn in modo legale e spesso importanti per l’attività di realtà sociali o culturali di indubbio valore. È il caso, oltreché de La Fenice, della Biennale di Venezia che ottiene un sostegno “liberale” di 100 mila euro all’anno almeno fino al 2013, indipendentemente dall’inizio della gestione Fabris. Tra i beneficiari c’è poi anche la prestigiosa Fondazione Banca degli Occhi di Mestre che negli anni, a partire dal 2006, vede oscillare il proprio finanziamento da parte del Cvn tra i 300 ai 500mila euro. Un po’ come butta il “convento”. Parola, che non vuole essere una battuta perché il mondo ecclesiastico o della Chiesa è sicuramente ben rappresentato negli elenchi dei contributi offerti dal Consorzio Venezia Nuova. E in questo senso si va dai 10mila euro nel 2012 a sostegno della Diocesi di Venezia per transitare agli assegni da 100 mila euro ciascuno per gli anni 2011 e 2012 alla Conferenza episcopale Triveneta sotto la presidenza dell’allora Patriarca, cardinale Angelo Scola. E poi addirittura i 220mila euro per l’Istituto di Santa Maria della Carità come ente beneficiario in previsione dell’organizzazione della visita di papa Ratzinger a Venezia nel 2011 fino a raggiungere quote di beneficenza vera e propria rivolta ad alcune parrocchie del centro storico per lavori e riassetti di piccole e medie dimensioni senza dimenticare un sostegno alla Mensa dei poveri di Mestre.
Ma quello che più emerge è soprattutto la ramificazione dei finanziamenti “liberali” che il Consorzio Venezia Nuova mette in atto negli anni. E c’è veramente di tutto. Innanzitutto l’”aiutino” dato al Comune in alcune occasioni. Si è già detto dei 5 milioni offerti per l’allestimento, gestione e organizzazione delle gare di Coppa America 2012, ma vanno segnalati anche gli “oboli” offerti per altri eventi veneziani come la compartecipazione all’organizzazione delle feste tradizionali come quelle del Redentore, terzo sabato di luglio con barche e fuochi pirotecnici, o della Regata Storica alla prima domenica di settembre. Nella maggior parte dei casi, secondo la nuova dirigenza del Consorzio Venezia Nuova che sta studiando la documentazione, il Cvn offriva cifre che andavano tra i 25mila e i 30mila euro alla bisogna, e per più anni a seguire. Ma si tratta solo di alcuni esempi. Anche perché l’erogazione di denaro “stornato” dalle necessità istituzionali (si intende) ha riguardato non solo le grandi istituzionali culturali della città, ma anche altri organismi vedi l’Ateneo Veneto (con cifre all’incirca attorno ai 20mila euro per sei/sette anni) e la Fondazione Querini Stampalia (sempre per più anni e con cifre analoghe di 20mila euro) e pure la dinamica Fondazione Pellicani, di Mestre, che si occupa di politica, con erogazioni però sensibilmente minori (5mila euro per alcuni anni).
Ma non solo. Mazzacurati ci teneva anche ad essere socio sostenitore del Fai, il Fondo Ambiente Italiano, sborsando a titolo di adesione una somma d’iscrizione attorno ai tremila euro (2900) per alcuni anni. E poi c’è anche Emergency, la creatura di Gino Strada che ottiene un finanziamento, di qualche migliaio di euro, per la fornitura di alcuni servizi e organizzazione di convegni. E non è finita. Non mancano le “erogazioni liberali” ai teatri veneziani. Ci sono denari (comunque cifre modeste) al Teatro a l’Avogaria di Venezia; al Teatro Fondamente Nuove, mentre per il prestigioso Teatro Goldoni, il Cvn gestione Mazzacurati per sostenere l’ente acquista una decina di abbonamenti. E soldi, ancora in fase di quantificazione, sono serviti a sostenere attività, corsi ad hoc e seminari dell’università di Ca’ Foscari oppure dell’Istituto di architettura (Iuav). E finanziamenti vanno a raggiungere anche la società Dante Alighieri di Venezia per le “Letture dantesche” (3mila euro) oppure per partecipare alla gara di solidarietà di Telethon (settemila euro), ma qualche spicciolo va anche al circolo scacchistico di Venezia “Ernesto Canal”. Tra gli enti locali non mancano sostegni alla Municipalità del Lido per iniziative culturali, e pure al Comune di Cavallino-Treporti.
E infine lo sport. Anche qui il Cvn di Mazzacurati non badava a spese: si contano 20 mila euro per la Compagnia della Vela (2011); per il Calcio Venezia 1907 della vecchia gestione della famiglia Marinese (200 mila euro) fino al Cus Venezia (15 mila euro) nel 2009. E poi ancora la Venice Marathon con fondi che oscillano tra i 5mila/8mila euro fino ai diecimila per la realizzazione della gara podistica.
A completare il quadro c’era poi l’attività editoriale, concentrata essenzialmente nella pubblicazione di strenne natalizie. Ogni anno il Consorzio proponeva a un giornalista di vaglia o a un personaggio famoso la realizzazione di un libro con tema Venezia. Il tomo veniva poi regalato, in occasione delle festività di fine anno, a migliaia di persone in tutta Italia. Dal 2002 la stampa dei libri viene affidata in esclusiva alla casa editrice veneziana Marsilio. Gli autori sono invece in larga parte “foresti”. Come il giornalista, ex Manifesto, Guido Moltedo, autore di “Welcome to Venezia. Cento volte imitata, copiata, sognata” (39mila euro di compenso più 31mila a Marsilio per la stampa) o la critica cinematografica Irene Bignardi che nel 2011 riceve dal Cvn 37mila euro per realizzare il libro “Storie di cinema a Venezia”. Ma c’è anche spazio per il disegnatore Lorenzo Mattotti che per il suo “Scavando nell’Acqua” incassa 49mila euro mentre 57mila vanno a Marsilio per la stampa e per il celebre archeologo-scrittore Valerio Massimo Manfredi che per la sua “Isola dei Morti” si deve però accontentare di 17mila euro.

Paolo Navarro Dina

 

Gli oboli di Mazzacurati oltre 32 milioni a pioggia

I concetti base erano due: liberalità e pubblica informazione. Due facce della stessa medaglia. Una sorta di “cassa continua” con la quale il sistema Mazzacurati erogava fondi, contribuiva alle cause più disparate o soltanto puntava a sostenere iniziative, incontri, dibattiti o riunioni sportive o parasportivi. Insomma di tutto un po’. E a batter cassa erano veramente tutti. Un sistema che erogava a chiunque e dovunque, senza tralasciare nessuno. In qualche modo, visto che i soldi erano tanti, il denaro affluiva ad enti, associazioni, sodalizi sportivi e non, gruppi di volontariato e fondazioni private. Tutti pronti a fare una richiesta con il Consorzio Venezia Nuova pronto ad esaudire senza discriminazione.
E così, secondo i primi calcoli, dal 1995 al 2013 (ma in alcuni casi gli impegni finanziari giungono anche in questo burrascoso 2014) il Consorzio Venezia Nuova pare abbia speso oltre 32 milioni di euro per impegnarli nelle due fonti di spesa indicate. Attenzione però: non è affatto detto che questa cifra sia comprensiva di tutti i soldi usciti a vario titolo dalla casse del Cvn nel corso degli anni. Infatti secondo un rapido calcolo pare che solo per le liberalità siano stati spesi dal 1995 al 2013 circa 13 milioni e qualche ulteriore spicciolo. Discorso non molto diverso per l’altra “voce”, quella della pubblica informazione. In questo settore, sempre dal 1995 al 2013, i soldi versati per iniziative promozionali (editoria, libri, visite guidate ai cantieri, convegni, dibattiti, merchandising, sito internet etc etc.) si aggirerebbero sui 19 milioni di euro che conterrebbero tra l’altro anche il milione che il Consorzio mise a disposizione della società Argonauti del figlio di Mazzacurati, Carlo, il regista recentemente scomparso. E qui rientrerebbero anche i soldini per la famosa villa in California a La Jolla, usata ancor oggi da Mazzacurati. In ogni modo il “sistema” di erogazioni liberali e di pubblica informazione è ora allo studio della nuova governance del Consorzio Venezia Nuova che, con il nuovo presidente Mauro Fabris, ha di fatto “staccato la spina” ad ogni forma di contribuzione o “obolo” concesso limitandosi a rispettare gli impegni come nel caso del sostegno al Teatro La Fenice che dura da tempo, per un valore che oscilla tra i 250mila e i 350mila euro all’anno.
Ed è proprio con il contributo dato al teatro veneziano che Mazzacurati, in qualche modo, negli anni scorsi, prese atto che le erogazioni liberali non solo davano lustro al Consorzio, ma potevano essere importanti come strumento di raccolta del consenso nel tessuto cittadino. Così per esempio nel 2006 investe 450mila euro per l’allestimento de “Il Flauto Magico” di Mozart, raccogliendo in qualche modo l’appello dell’ente lirico che aveva invitato gli enti e gli imprenditori veneziani a sostenere le spese di allestimento degli spettacoli. Un’operazione di grande marketing che lo stesso Mazzacurati rivendicherà, vergando la prefazione di un libro “Forma di Venezia” scritto da Sergio Bellini.
Ma è solo l’inizio. E sarà da allora in poi un vero e proprio “crescendo rossiniano”, tanto che secondo l’attuale Cvn, nel corso degli anni, c’è un aumento esponenziale dei fondi per le cosiddette “liberalità” che passano dai 60mila euro del 1995 al milione e 750mila euro del 2012. Un incremento che parallelamente riguarda anche la voce “pubbliche informazioni” che aumenta vertiginosamente dai 173mila euro del 1995 al 1 milione 779mila del 2011, per scendere poi al 2012 a 973mila. Insomma, cifre importanti in un ginepraio di stanziamenti e finanziamenti a pioggia. Che vanno valutati considerando però anche l’altra “faccia della medaglia”. Se è vero infatti che il Consorzio non diceva – praticamente – mai di no a nessuno – dall’altra erano la stessa società civile (!), il mondo dell’associazionismo e l’arcipelago di enti e sodalizi a bussare alla porta di Giovanni Mazzacurati & Co. sapendo di poter ottenere un robusto finanziamento o almeno qualche spicciolo. E qui si apre veramente un mondo. Perchè nel corso degli anni, come raccontiamo nell’altro articolo in queste pagine, l’intera Venezia, dalla grande alla piccola organizzazione, ha chiesto, ottenuto e utilizzato i fondi concessi dal Consorzio Venezia Nuova.

Paolo Navarro Dina

 

CAMBIO DI ROTTA – Il nuovo vertice ha sospeso gran parte dei finanziamenti

UN MESE DOPO IL BLITZ – Resta aperto il caso-Galan Forza Italia: no al carcere

MESTRE – (m.d.) È passato un mese esatto dalla maxi retata del Mose. All’alba del 4 giugno, come annunciò per primo il Gazzettino.it, i finanzieri avevano bussato alla porta di 35 persone e le avevano portate in caserma. Dopo l’identificazione e le foto segnaletiche, 25 erano state smistate nelle carceri di tutta Italia mentre alcune erano finite ai domiciliari. Nel giro di poche ore l’inchiesta aveva fatto il giro del mondo anche perché agli arresti domiciliari era finito pure il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni. Ebbene, trenta giorni dopo il blitz, all’appello manca l’ex ministro Giancarlo Galan, 57 anni. E’stato chiesto dai giudici veneziani l’arresto e per Galan bisogna attendere il voto del Parlamento, atteso per fine mese. Proprio ieri la Guardia di finanza ha trovato e sequestrato in un’aviosuperficie in provincia di Bologna un aereo privato a quattro posti appartenente al commercialista che aveva inventato il nuovo sistema della fatture false – utilizzando alcune società canadesi – dopo che era saltato quello messo in piedi a San Marino da William Colombelli. Il valore commerciale dell’aereo – che si aggiunge allo yacht da 3 milioni di euro sequestrato a La Spezia – è di 300mila euro: immatricolato con la sigla N, che indica la provenienza statunitense, è di proprietà di un trust del Delaware.
Intanto, è polemica sulla richiesta di Galan, nella memoria depositata alla Giunta per le autorizzazioni, di considerare il suo caso alla luce del recente decreto che evita la custodia cautelare a chi viene accusato di un reato che comunque non sarebbe punito con una pena superiore ai tre anni. Secondo il relatore di minoranza Gianfranco Chiarelli (Forza Italia) «non si propone alcuna norma “salva-Galan”, ma solo l’analisi di una situazione che suscita molte perplessità sulla richiesta di arresto». Ecco le ragioni del rinvio dopo la seduta dell’altro ieri: «Galan ora rischia cinque anni – conviene Chiarelli – ma tra attenuanti generiche, speciali e di rito, come il patteggiamento, è molto probabile che si scenda sotto i tre anni».

 

MOSE GALAN COME NICCOLAI

Comunardo Niccolai, arcigno difensore del Cagliari scudettato, è passato alla storia suo malgrado per le splendide autoreti con cui sovente faceva disperare il proprio portiere e i suoi tifosi. Giancarlo Galan me l’ha fatto ritornare alla mente quando ho ascoltato la conferenza-stampa di “autodifesa” trasformatasi in un’incredibile, stupefacente autogol. Alla Niccolai, appunto. Nelle quasi due ore di appassionato e urlato show, infatti, la palla di dati, foto, nomi e cognomi l’ex ministro non l’ha tirata affatto nella rete di chi aveva sollevato le contestazioni ma direttamente nella propria, per un grave errore iniziale d’impostazione: l’aver voluto calciare protetto dallo scudo dell’immunità parlamentare. Trincerarsi dietro questa barriera, aspettando le decisioni dei propri pari – leggi Giunta per le autorizzazioni a procedere – invece di dimettersi affrontando l’eventuale processo ha reso, ai nostri occhi di cittadini, tutto il resto stucchevole. Solo in Italia siamo riusciti a rendere odioso questo cardine democratico, nato per consentire una serena attività politica, trasformandolo in paravento per ogni sorta di malaffare. I nostri cuginetti d’Oltralpe stanno per processare, proprio in questi giorni, l’ex presidente Sarkozy ” un cittadino come tutti gli altri”, parola del premier Hollande. Vien da dire, a malincuore, “vive la France!” e, purtroppo ancora una volta ” tiens les Italiens! “.

Vittore Trabucco – Treviso

 

NO MOSE – Protesta ieri a San Tomà per i gruppi ambientalisti

«Adesso Renzi rottami il Consorzio»

Appello al premier in visita in città per la Settimana digitale

Un “caldo benvenuto” attenderà il premier Matteo Renzi il prossimo 8 Luglio quando, in occasione della visita programmata all’Arsenale, ci saranno ad attenderlo anche gli attivisti della “Rete Veneta contro le Grandi Opere per la difesa del Territorio e dei Beni Comuni”. Ad annunciarlo è Tommaso Cacciari, che, nel corso di una conferenza pubblica contro le “Grandi Opere”, tenutasi ieri mattina a San Tomà, si è detto sicuro di riuscire ad incontrare il premier per fargli capire le necessità di Venezia: “Dalle 10 saremo davanti all’ingresso principale dell’Arsenale – afferma – dovrà incontrarci per dimostrare se davvero è il rottamatore che si dichiara. Del resto, non abbiamo rappresentanti politici in Comune, quindi chi meglio di lui sarà l’interlocutore ideale”.
È lo stesso Cacciari a formulare, a nome degli attivisti, le richieste, che sono lo scioglimento del Consorzio Venezia Nuova e l’abolizione del Mose, definiti “mele marce da tranciare sin dalle radici”.
Infatti ieri si è parlato molto di Mose e impatto ambientale, con interventi bipartisan di chi ha a cuore il territorio come MariaRosa Vittadini, docente Iuav ed ex-presidente della Commissione tecnica che in passato ha bocciato il Mose: ”È un’opera devastante e senza garanzie. C’è la possibilità di modificarlo, andare avanti così non ha senso, è una macchina mangia soldi dove il business vero sta nella manutenzione, con 40 milioni di Euro annui necessari”. Oppure Don Albino Bizzotto che, con Gianluigi Salvador, consigliere del Wwf Veneto, si sono più volte spesi per la protezione della terra e dell’agricoltura. Patrimoni necessari da preservare ed aiutare a crescere in maniera rispettosa, visto l’alto impatto che i pesticidi hanno nei confronti della salute. Salute che è stato un tema molto sentito da parte di Carlo Costantini, dell’Associazione Altro Veneto, che ha rimarcato come gli ospedali di Mestre e Padova siano costati troppo rispetto ai preventivi.

Tomaso Borzomi

 

COMUNICATO STAMPA RETE VENETA DEI COMITATI 3 LUGLIO 2014

MORATORIA IMMEDIATA SULLE “GRANDI OPERE” INUTILI E DANNOSE

“Grandi Opere” uguale malaffare: ora ci sono le prove inconfutabili di quanto denunciato in tutti questi anni dai comitati e dalle associazioni ambientaliste.

Va abbattuto il sistema perverso delle “Grandi Opere”, vera causa sistemica della corruzione nella quale sono coinvolti partiti di entrambi gli schieramenti, dal P.d.L. al P.D., dalla Lega all’UDC, a dimostrazione delle completa trasversalità del “Il Partito degli Affari”.

Per i comitati, le associazioni e i movimenti che da anni si battono in tutto il territorio del Veneto contro le decine di “Grandi Opere” inutili e dannose non c’è nessuna sorpresa rispetto a tutto il marciume che emerge dall’inchiesta veneziana, ma solo la conferma di quanto da anni denunciano con dossier, esposti, ricorsi e mobilitazioni. Il livello così pervasivo della corruzione, che ha coinvolto pezzi importanti della Giustizia (compresi T.A.R., Consiglio di Stato e Corte dei Conti), delle Forze dell’Ordine, degli apparati amministrativi pubblici, delle Università, degli organi di informazione, e prima di tutti, delle istituzioni politiche di governo della Regione e del Paese, spiega molto bene perché le istanze dei comitati non siano mai state prese in considerazione.

La Rete Veneta dei Comitati rifiuta la retorica delle “mele marce”: qui è l’intero albero, ad iniziare dal fusto e dalle radici, ad essere incancrenito! In molti, a cominciare dal Presidente Renzi, vorrebbero far credere che il problema sta solo nel malcostume di qualche individuo, e che invece le regole vanno bene così come sono e, soprattutto, che le opere devono andare avanti! Per i cittadini questo significherebbe una cosa sola: un enorme danno ambientale ed economico, oltre alla beffa di essere stati derubati da chi doveva rappresentarli e tutelarli.

Perché quello che emerge in Veneto, come in Lombardia, come in tante altre parti d’Italia, è che proprio le “Grandi Opere” pubbliche, gestite attraverso la Legge Obiettivo, i Commissari straordinari, il project financing, l’affidamento in concessione, sono state il mezzo, il terreno di coltura per costruire e alimentare vere e proprie cricche malavitose di stampo politico-affaristico; sodalizi che non si sono fatti il minimo scrupolo nel devastare interi territori pur di intascare miliardi di euro di denaro pubblico a proprio esclusivo vantaggio. La riprova di ciò sta nel fatto che nessuna delle “Grandi Opere” previste in Veneto risponde ai requisiti di sostenibilità ambientale ed economica, né di necessità rispetto agli effettivi bisogni delle popolazioni; tutte sono pensate in funzione di un unico scopo: massimizzare il profitto che se ne può ricavare.

E proprio su questo punto, al Presidente del Consiglio Matteo Renzi e a chi come il Presidente Luca Zaia ora finge di essere estraneo a tutto, va ricordato che oltre alle responsabilità penali esistono anche quelle politiche.

Ciò che conta veramente è quindi mettere la parola fine al sistema delle “Grandi Opere”, e a tutto quel complesso di norme ordinarie e straordinarie pensate ad arte per promuoverle e gestirle senza trasparenza e fuori dal controllo democratico delle comunità locali.

Per questo la Rete Veneta dei Comitati per la difesa dei territori e dei Beni Comuni lancia una Campagna pubblica per ottenere una moratoria immediata sui grandi progetti in corso di realizzazione e in progetto in Veneto. La campagna prevede l’avvio di una petizione popolare, azioni di mobilitazione, di informazione e di sensibilizzazione sui territori. Il tutto si concluderà con una grande manifestazione unitaria nel prossimo autunno.

Questa la piattaforma della Campagna:

Moratoria immediata su tutte le “Grandi Opere” in corso di realizzazione o in progetto in Veneto per potere svolgere una approfondita verifica della loro utilità, affidabilità tecnica e sostenibilità economica. Stop al MOSE, alle nuove autostrade, alle linee TAV, al carbone nella centrale di Porto Tolle, allo scavo nuovi canali per portare le grandi navi in laguna, agli inceneritori, ai prelievi indiscriminati d’acqua dai fiumi, agli Ospedali unici in finanza di progetto.

Scioglimento del Consorzio Venezia Nuova e sequestro cautelativo dei cantieri, dei macchinari e dei beni delle imprese che hanno messo in atto azioni criminali ai danni della pubblica amministrazione, compreso il finanziamento illecito ai partiti;

Revoca e annullamento di ogni autorizzazione, concessione, contratto, affidamento di lavori che possa essere il frutto di corruzioni, favoreggiamenti o altro tipo di pressioni e attività illecite da parte di imprese, loro consorzi o altri mandatari;

Annullamento di tutte le leggi, i provvedimenti, i regolamenti che – a partire dalla “Legge Obiettivo” Lunardi-Berlusconi sulle “Grandi Opere” del 2001 – hanno “semplificato” le procedure in materia di “Grandi Opere” derogando alla normativa sugli appalti e attribuito poteri immensi ai “commissari straordinari”. In particolare, chiediamo il divieto di affidamento di lavori senza gara d’appalto e in mancanza dei progetti definitivi, così come di ricorso al sub-appalto.

Azzeramento del sistema della Finanza di Progetto (“Project Financing”) attraverso cui le banche e le grandi imprese riescono a scaricare sui cittadini e sul debito pubblico (tariffe, pedaggi, affitti, contratti di esercizio, ecc.) i costi delle opere.

Avvio delle procedure per il recupero del denaro pubblico che le imprese hanno “devoluto” ad altri scopi rigonfiando i costi realizzazione.

Immediata approvazione di una legge che vieti alle imprese che intrattengono rapporti economici con enti pubblici di devolvere denaro a qualsiasi titolo (finanziamenti, sponsorizzazioni, ecc.) a partiti, fondazioni, esponenti politici. “Liberiamo” così le imprese dal pizzo della politica.

Ricostruzione degli organismi di valutazione e controllo ambientale per renderli indipendenti dai poteri politici ed economici: eliminazione dei conflitti d’interesse, di competenze e la concentrazione dei poteri in una sola figura.

Garantire pubblicità, trasparenza e partecipazione piena dei cittadini sull’operato della pubblica amministrazione e su tutte le decisioni che riguardano le opere ed i beni pubblici.

Per firmare la petizione saranno allestiti vari presidi nei territori, ma le adesioni saranno raccolta anche on-line attraverso la piattaforma Firmiamo.it all’indirizzo http://firmiamo.it/no–grandi-opere–in-veneto–per-la-difesa-dei-territori . Obiettivo 50.000 firme.

Rete Veneta dei Comitati/Associazioni contro le Grandi Opere

per la Difesa dei Territori e dei Beni Comuni

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L’articolo di Eco-Magazine con alcune interviste

 

Firma e fai firmare queste due petizioni

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3

lug

2014

no_grandi_opere_ospedale

 

Cliccare sui link sotto per leggere e firmare le petizioni

 

– Moratoria immediata sulle grandi opere inutili e dannose per la difesa dei territori e dei beni Comuni.

 

– Petizione per difendere l’ospedale di Dolo e l’ULSS 13

 

Nuova Venezia – “Renzi sciolga subito il Consorzio”

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3

lug

2014

No Grandi Navi martedì in presidio all’Arsenale, per la Digital Week con il premier

Il premier Matteo Renzi troverà un presidio del Comitato No Grandi Navi e altre associazioni ambientali cittadine, ad attenderlo martedì 8 luglio all’Arsenale, dove presiederà l’appuntamento “di vertice” della Digital Venice Week, la settimana sulle politiche di sviluppo della cultura ed economia digitale, con la quale l’Italia aprirà il proprio semestre di presidenza al Consiglio europeo. Obiettivo dei manifestanti è quello di consegnare al presidente del Consiglio un documento con il quale si chiede lo scioglimento immediato del Consorzio Venezia Nuova e una moratoria sulle grandi opere, iniziando dallo stop a un possibile scavo del canale contorta dell’Angelo, come nuovo ingresso delle navi da crociera in Marittima, così come chiede l’Autorità portuale. «Un progetto da 170 milioni di euro che, per legge obiettivo, verrebbe realizzato proprio dal Cvn», commenta Tommaso Cacciari, nell’annunciare la protesta, «è evidente che – oltre a una ferma opposizione di merito per l’impatto sulla salvaguardia della laguna – è del tutto inammissibile un nuovo mega progetto chiavi in mano a un concessionario unico. Le indagini hanno fatto emergere il meccanismo infernale per cui non è stato il Mose a determinare la corruzione a tutti i livelli, ma è la corruzione ad aver condizionato la decisione di realizzare il Mose». Appuntamento alle 10 davanti all’Arsenale: i manifestanti chiederanno di essere ricevuti dal presidente del Consiglio per consegnargli il loro documento. Ieri, intanto, Rifondazione comunista – nel ribadire che cercherà di costituirsi parte civile nel processo Tangenti Mose – ha protocollato un’istanza con la quale si chiede al procuratore Delpino «un Suo autorevole intervento affinché siano sottoposti a sequestro cautelativo i beni, mobili ed immobili dei principali indagati nella vicenda su indicata» (in realtà il gip ha già posto su richiesta dei pm i sigilli a beni per qualche milione di euro, come ad esempio la villa dell’ex presidente Galan): «Avvertiamo nella cittadinanza la preoccupazione, che facciamo nostra, che i maggiori responsabili del malaffare, possano salvaguardare buona parte degli illeciti guadagni accumulati in anni di attività corruttiva, usufruendo di varie agevolazioni di legge ». Il Pd, invece, torna a parlare di grandi navi, annunciando per il 14 luglio la direzione comunale: «L’attuale situazione di stallo », scrive il segretario Rosteghin, « non riesce né a garantire un importante settore produttivo per l’economia veneziana né a risolvere l’ormai insostenibile passaggio delle “Grandi navi” nel cuore del centro storico».

Roberta De Rossi

 

Scaduta l’immunità per l’ex europarlamentare

Ore 9, alla porta bussa la Finanza: Lia Sartori agli arresti domiciliari

VICENZA – Arrestata. I finanzieri hanno suonato il campanello alle 9 in punto. Amalia Sartori, 66 anni, li stava aspettando all’interno del suo appartamento in centro città a Vicenza. Da quasi un mese si stava preparando: per questo aveva fatto anche un salto in libreria, nei giorni scorsi, per prendersi dei volumi da leggere durante quella che spera essere una breve permanenza obbligata in casa. I militari del nucleo di polizia tributaria di Venezia le hanno consegnato l’ordinanza di custodia cautelare firmata poco più di un mese fa dal giudice Alberto Scaramuzza, che ha disposto per lei gli arresti domiciliari. La misura cautelare era rimasta sospesa fino a ieri, quando è scaduta l’immunità per la vicentina. L’ex eurodeputata, una lunga militanza politica fra Forza Italia e Pdl, è accusata dal pool di magistrati che hanno coordinato l’inchiesta sulla Tangentopoli veneta collegata al Mose di finanziamento illecito: avrebbe incassato in totale 225 mila euro dal 2006 al 2012 per le sue campagne elettorali da Giovanni Mazzacurati del Consorzio Venezia Nuova, incaricato di realizzare il Mose. Lo avrebbe fatto per garantirsi una copertura politica, come del resto avveniva anche con l’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni e con Giampietro Marchese del Pd, accusati dello stesso reato. Sartori non avrebbe registrato quelle somme, che peraltro nega di aver mai ricevuto. Sartori, che all’indomani della retata si era dimessa da tutti gli incarichi, è certa di dimostrare la sua estraneità alle accuse. «Era tranquilla, ha offerto il caffè ai finanzieri ed ha seguito le varie fasi della perquisizione in casa, dopo aver consegnato telefono e pc», ha spiegato l’avvocato Moscatelli, che era con lei. Lia Sartori, che è stata anche candidato sindaco a Vicenza, è stata poi accompagnata al comando delle Fiamme gialle vicentine per essere foto segnalata. Quindi è stata scortata fino al suo appartamento a due passi da piazza dei Signori, dove è ristretta in attesa dell’interrogatorio. «Mi occuperò di riordinare tutte le mie carte personali, un lavoro che rimando ormai da tanto tempo – ha spiegato Sartori alle persone vicine – e mi leggerò qualche libro e soprattutto le carte dell’inchiesta, che non avevo avuto il tempo di approfondire». La posizione della politica vicentina è decisamente meno grave, secondo gli inquirenti coordinati dal procuratore aggiunto Carlo Nordio che per quattro anni hanno seguito l’indagine, rispetto a quella di altri politici coinvolti, a partire da Galan e da Renato Chisso, accusati di corruzione. Per gli inquirenti però quegli oltre 200 mila euro versati dal Consorzio a Sartori sono un reato. L’unico al momento contestato: da tempo si parla infatti di altri tronconi dell’indagine, in particolare sul fronte sanitario, che riguarderebbero Sartori. La quale, pur provata anche da un grave lutto che l’ha colta ad inizio anno, resta combattiva: «Mi difenderò».

Diego Neri

 

Mose, salvagente per Galan

La Camera valuta se applicare il decreto svuotacarceri

Un salvagente per Galan grazie allo svuota carceri

Un deputato di Fi solleva la questione e chiede un rinvio. La Russa: valuteremo

L’ex governatore veneto : «Non mi aggrappo a questo ma all’amore di verità»

VENEZIA – Potrebbe essere il decreto legge 92, pubblicato il 27 giugno scorso in Gazzetta ufficiale, a salvare Giancarlo Galan dal carcere. Si tratta di un decreto approvato dal consiglio dei ministri in coda allo «svuota carceri» che prevede sostanzialmente la non applicabilità della custodia in carcere nei casi in cui «il giudice ritenga che la pena detentiva da eseguire non sarà superiore a tre anni». Una «presunzione » di pena che dovrebbe essere il magistrato giudicante a valutare, prima di aderire o meno alla richiesta di arresto per l’indagato. La norma, pur varata nell’ambito delle procedure per lo «svuota carceri » e del tutto indipendente dalla vicenda degli indagati del Mose, calza a pennello per il caso di Galan, nei confronti dei quali pende una richiesta di arresto per corruzione per fatti in gran parte destinati alla prescrizione e la cui pena effettivamente potrebbe essere calcolata in misura inferiore ai tre anni. Lui, tuttavia, fa spallucce: «Non mi aggrappo a questo,mi aggrappo alla verità» ha dichiarato l’ex ministro. Al penalista di fiducia dell’ex governatore, il parlamentare Niccolò Ghedini, non è parso vero scoprire tra gli ultimi decreti pubblicati in Gazzetta ufficiale la norma che potrebbe evitare il carcere al suo assistito e collega di partito. Puntuale ieri mattina, alla ripresa dei lavori della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera, il deputato di Forza Italia Gianfranco Chiarelli ha sollevato la questione chiedendo il rinvio della discussione. Alla luce di questa nuova norma giuridica anche il Pd ha votato per il rinvio, mentre il Movimento 5 stelle ha votato contro, pur riconoscendo l’opportunità di una proroga precauzionale in attesa di approfondimenti. Il presidente della giunta, Ignazio La Russa, ha spiegato: «La richiesta di rinvio è stata avanzata per la necessità di una maggiore riflessione per la nuova memoria presentata da Galan e per una nuova norma introdotta che modifica le condizioni per la custodia cautelare in carcere. Il termine ultimo dell’11 luglio rimane invariato, ma dare un respiro di pochi giorni può essere utile sia ai commissari che che alla magistratura stessa». Il relatore del caso Galan, Mariano Rabino (Scelta civica) ha aggiunto: «abbiamo deciso di utilizzare la richiesta di proroga di una settimana che ci ha concesso la presidente Boldrini. Sarei stato pronto a dare il mio parere e secondo me nell’ulteriore memoria di Galan non ci sono novità siderali. C’è una novità che riguarda una nuova norma, ma francamente questa novità non ci aiuta a capire se c’è o meno fumus persecutionis e la Giunta deve esprimersi su questo». L’inaspettato regalo dal cielo potrebbe, secondo i difensori di Galan, salvarlo dall’eventualità che l’ex ministro teme e che tuttavia continua a giudicare come inevitabile. Anche perché il voto della giunta per le autorizzazioni, nonostante il rinvio deciso, è slittato alla settimana prossima e comunque non andrà oltre il prossimo 11 luglio. Ma proprio il diverso atteggiamento della magistratura veneziana nei prossimi giorni (potrebbe revocare la richiesta di arresto e accontentarsi dei domiciliari, oppure confermare la misura cautelare in carcere) potrebbe prestare il fianco alla delicata questione del «fumus persecutionis», in realtà l’unico aspetto cui la giunta per le autorizzazioni a procedere è chiamata a valutare. Se la magistratura di Venezia non dovesse mutare la propria richiesta motu proprio (perché la richiesta è scattata prima dell’entrata in vigore della norma) i parlamentari potrebbero effettivamente considerare il «fumus». E così anche se, sollecitati dalla difesa, decidessero che non sussistano le condizioni per applicare le nuove norme al caso concreto. Nell’uno e nell’altro caso, insomma, una scivolosa buccia di banana per i pm nel percorso giudiziario che attende il parlamentare Galan. E il governo ieri, alle prime avvisaglie della tempesta politica che rischia di abbattersi, è corso ai ripari con una nota ufficiale del dicastero della Giustizia: «Il governo ha corretto la norma, che inizialmente stabiliva il divieto di qualunque misura cautelare detentiva» nel caso di pene inferiori ai tre anni, stabilendo che sia il giudice ad esprimere in concreto una prognosi sulla pena. «Non è stato previsto alcun automatismo» ha precisato il ministro, lasciando aperta tuttavia la porta all’intervento in aula in sede di conversione del decreto.

Daniele Ferrazza

 

 

SCANDALO EXPO – Maltauro, spettro commissario. E l’azienda nomina un nuovo ad

VICENZA – Lo spettro del commissariamento per gli appalti Expo aggiudicati al gruppo vicentino Maltauro. L’ha prospettato lo stesso Raffaele Cantone, presidente dell’autorità nazionale anticorruzione. La questione Maltauro «entro la prossima settimana sarà oggetto di una mia richiesta al prefetto di Milano Paolo Francesco Tronca», ha detto il presidente dell’autorità anticorruzione. «Valuteremo, in base agli atti acquisiti, che richiesta fare» ha aggiunto Cantone ricordando la possibilità di commissariamento o di mutamento della governance dell’azienda finita nell’inchiesta sulla cosiddetta “cupola degli appalti”. In relazione all’Expo, la Maltauro è aggiudicatario degli appalti per le architetture di servizio del sito espositivo e quelle per le Vie d’acqua: proprio per queste gare Enrico Maltauro è stato arrestato. Cantone ha poi ribadito che sta studiando «una soluzione per chiarire le modalità di permanenza dell’impresa al servizio di Expo. Devo approfondire ancora, perché la norma è molto complicata e deve essere calata nella realtà». Intanto il gruppo Maltauro cerca di distinguere la propria posizione da quella dell’ex manager finito in carcere, ma anche di andare incontro alle mosse di Cantone per l’aspetto della governance aziendale. Così il cda dell’impresa vicentina, che ha già deliberato un’azione di responsabilità nei confronti del proprio ex manager, ieri ha reso nota la nomina di Alberto Liberatori come nuovo amministratore delegato. Liberatori succede proprio a Enrico Maltauro, a cui era stato revocato l’incarico lo scorso 8 maggio dopo il suo arresto per l’inchiesta sugli appalti Expo della procura di Milano. In una nota il cda della Maltauro ha annunciato poi di avere «posto in essere una revisione della propria governance societaria, ritenendola azione di garanzia al fine indiscutibilmente di ribadire la propria assoluta estraneità ai fatti collegati alla persona del proprio ex amministratore». Sull’eventuale commissariamento degli appalti Maltauro, ieri è intervenuto il governatore della Lombardia Roberto Maroni. «Se devono prendere una decisione, la prendano in fretta: ogni giorno che passa è un giorno perso », ha detto Maroni.

 

Gazzettino – Lia Sartori agli arresti

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3

lug

2014

MOSE – I verbali del manager di Condotte. La Sartori ai domiciliari

Tomarelli:«Mazzacurati mi parlò di soldi dati a Orsoni e Milanese»

GLI AVVOCATI «L’onorevole Sartori aspetta con serenità di potersi difendere nell’interrogatorio di garanzia, nel quale verranno contestati fermamente gli addebiti mossi dalla Procura veneziana»

VICENZA – I domiciliari notificati ieri dopo che ha perduto il posto da eurodeputato

Lia Sartori agli arresti

Mazzacurati: pagata 4 volte. La difesa: non chiederà il patteggiamento

POTENTE Lia Sartori con Giancarlo Galan nel 2005: per molti anni è stata la politica più in vista del Veneto

Ieri mattina alle 8 i finanzieri hanno suonato alla porta di casa di quella che fu una delle donne più potenti del Veneto ai tempi di Giancarlo Galan. E da ieri mattina Amalia “Lia” Sartori, 67 anni, è agli arresti domiciliari. Sarebbe già stata arrestata con tutti gli altri nel mega blitz del 4 giugno se non fosse stata ancora in carica come europarlamentare, ma siccome da ieri non è più deputato – non è stata rieletta e ieri si è insediato il nuovo parlamento europeo – da libera cittadina è diventata in poche ore cittadina agli arresti domiciliari. Lia Sartori, non è un mistero per nessuno, è la donna che ha fatto grande Galan, insegnandogli tutto quello che c’era da insegnare sulla politica. Ex socialista, era diventata potentissima nelle fila di Forza Italia fino a diventare presidente del Consiglio regionale del Veneto ed eurodeputato dal 1999 a ieri. In Regione decideva molto soprattutto nel settore della sanità del Veneto, dai nuovi ospedali ai direttori generali, dai primari ai finanziamenti dei reparti.
Lia Sartori è accusata dalla Procura di Venezia di aver accettato finanziamenti “in nero” e “in bianco” dal Consorzio Venezia Nuova. Nel 2009, quando correva per il parlamento europeo, ha accettato dalla Coveco 25mila euro “in bianco”. Lo testimonia Pio Savioli. Questi 25mila euro derivano da false fatturazioni che poi il Consorzio Venezia Nuova “rimborsa” alla Coveco. La Sartori – sempre stando all’accusa – sapeva perfettamente che i soldi arrivavano dal Consorzio. Dice infatti Giovanni Mazzacurati che il finanziamento, «l’ha chiesto a me la Sartori». Dunque, il meccanismo era il solito: il politico chiede a Mazzacurati e Mazzacurati fa fare una fattura falsa per un lavoro inesistente a qualche ditta che lavora per il Consorzio Venezia Nuova e che, di sicuro, non può dire di no se vuole continuare a lavorare per il Consorzio. Anche Piergiorgio Baita conferma: «Il Consorzio credo che abbia finanziato la campagna elettorale per le europee del 2009». E poi Baita specifica che era stato «lo stesso Mazzacurati nella sede del Consorzio a consegnare 50 mila euro in nero alla Sartori».
In realtà Mazzacurati ricorda 4 “dazioni” alla Sartori dal 2006 al 2012. Ogni volta erano mazzette in nero da 50mila euro e quindi il conto finale è di 200mila euro “in nero” più i 25mila “in bianco”. Ma una di queste volte è “certificata” dalla stessa Guardia di finanza che assiste all’incontro tra Mazzacurati e Lia Sartori all’Holiday Inn – ex Motel Agip di Marghera – il 6 ottobre 2010. Poi ci sarebbero una valanga di intercettazioni telefoniche che però non possono essere utilizzate in Tribunale perché Lia Sartori era eurodeputato e quindi le intercettazioni che la riguardano devono essere buttate alle ortiche.
Ma lei, la donna che fu tra le più potenti del Veneto, come si difende? «L’onorevole Sartori – riferiscono in una nota gli avvocati Pierantonio Zanettin e Alessandro Moscatelli – aspetta con serenità di potersi difendere nell’interrogatorio di garanzia, che avrà luogo a breve, nel quale verranno contestati fermamente gli addebiti mossi dalla Procura veneziana. Non ricercherà quindi facili vie di patteggiamento, né altre scorciatoie giudiziarie, ma si difenderà con ogni mezzo, affinché la propria immagine pubblica e privata rimanga specchiata, come lo è stata sino ad oggi».

Maurizio Dianese

 

GLI ATTI DEL RIESAME

«Piva, corruzione di inusuale gravità, Magistrato asservito al Consorzio»

VENEZIA – È «solido ed esauriente» il quadro indiziario a carico dell’ex presidente del Magistrato alle acque, Maria Giovanna Piva, accusata dalla Procura di essere stata al soldo del Consorzio Venezia Nuova. Lo scrive il Tribunale del riesame nelle motivazioni del provvedimento con cui le ha concesso gli arresti domiciliari, ritenendo che non lavorando più a Venezia dal 2008 (dopo il trasferimento a Bologna) la misura cautelare meno afflittiva sia sufficiente ad evitare «il ripristino di quelle relazioni e di quelle situazioni che l’hanno coinvolta per anni in questa attività criminosa». Nel provvedimento si rileva che «la ricostruzione del quadro indiziario configura, in modo univoco, un reato di corruzione di inusuale gravità; la Piva infatti non ha compiuto solo qualche atto di favore in cambio di somme di denaro, ma è andata oltre, consegnando la gestione del suo ufficio non tanto a soggetti terzi, quanto piuttosto al personale e ai tecnici dell’ente controllato». Un vero e proprio «asservimento dell’Ufficio Pubblico agli interessi privati, ricompensato con un flusso costante di denaro». Il Tribunale scrive che il Magistrato alle acque fu lasciato per soldi «in mano ad un gruppo di privati che ha potuto così delinquere in varie forme per un periodo di tempo durato molti anni».
Dalle indagini emerge che la dottoressa Piva ha accettato che «all’interno del Mav operassero dipendenti dello stesso ente controllato e percependo da Mazzacurati e dai suoi collaboratori flussi di denaro costante». L’allora presidente del Consorzio ha riferito ai magistrati di aver retribuito la Piva con 400mila euro all’anno e l’ex presidente della Mantovani, Piergiorgio Baita, ha raccontato di essersi occupato di corrispondere metà di quella somma. L’allora presidente del Mav sarebbe stata ricompensata anche attraverso l’assegnazione, da parte della Regione Veneto, del collaudo dell’ospedale di Mestre, per oltre 300mila euro. La Piva, assistita dall’avvocato Emanuele Fragasso, ha respinto ogni addebito, ammettendo soltanto di aver fatto parte della commissione di collaudo dell’ospedale, ma nessuna corruzione: sostiene, infatti, di essere stata sempre in contrasto con il Cvn. Quanto al personale del Consorzio utilizzato dal Magistrato, ha spiegato che serviva per far fronte alla carenza di organico. Versione che, secondo il Riesame, sarebbe smentita dai documenti rinvenuti nel computer dell’ingegner Brotto, responsabile della progettazione del Mose, ma anche dalle dichiarazioni dell’ex vicedirettore del Cvn, Roberto Pravatà, secondo il quale l’80% degli atti formalmente redatti dal Mav «erano in realtà prodotti da personale del Cvn», e la Brotto avrebbe «redatto perfino i voti che sarebbero stati espressi dai componenti del Comitato tecnico, poi integralmente recepiti nel documento ufficiale del Mav». (gla)

 

IL CASO – Polemiche su Incalza, Lupi conferma la fiducia al dirigente del ministero che non voleva mazzette

ROMA – Il ministro Maurizio Lupi conferma la fiducia a Ercole Incalza, l’alto funzionario che non voleva i “soldi sporchi” del Mose. Il dirigente a capo della struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture era finito nel mirino dei deputati del M5S, che avevano chiesto la revoca dell’incarico perché il suo nome «è apparso nelle intercettazioni delle inchieste sul Mose, Expo, indagato dalla procura di Firenze per la Tav». Incalza – ha risposto Lupi – ha ricoperto «importanti incarichi da molti anni» e «gli organi giuridici mai hanno rilevato elementi di reato né di irregolarità amministrativa». In effetti negli atti dell’inchiesta sul Mose il nome di Incalza appare negli interrogatori dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati: era lui per anni il referente ai vertici del ministero, ma non gli venne elargita alcuna somma. E come lui anche l’ex presidente del Magistrato alle acque, Felice Setaro. La spiegazione di Mazzacurati ai pm: «Alcuni i soldi non li vogliono».

 

 

 

ALLA CAMERA Il relatore: dalle carte emerge un quadro corruttivo ramificato

Galan, la giunta non conclude: il voto resta fissato per l’11 luglio

GIUNTA – Il presidente Ignazio La Russa

MESTRE – Il voto resta fissato per l’11 luglio, ma ieri la Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera ha deciso di non concludere il dibattito sulla richiesta di carcerazione per Giancarlo Galan. Secondo il presidente Ignazio La Russa, ci vogliono altre due sedute per ragionare sulle integrazioni alla memoria di Galan, che il Gazzettino ha anticipato ieri. «Il rinvio non farà slittare il voto della Giunta, fissato per l’11 luglio», assicura La Russa il quale ha ricordato che dal 27 giugno non è necessario il carcere «nel caso in cui il giudice ipotizzi una pena finale detentiva inferiore ai 3 anni». E questo sarebbe proprio il caso di Galan. Alla dichiarazione soft di La Russa fa da contraltare quella di Mariano Rabino, di Scelta Civica, relatore sul caso Galan. «Quello che risulta dal materiale che ci è arrivato dalla Procura di Venezia e dalle memorie difensive di Galan è un quadro corruttivo sistemico e ramificato».
Dunque, par di capire che il relatore appoggerà la richiesta di arresto di Galan. Poi si tratta di vedere se l’ex governatore passerà l’estate ai domiciliari nella sua villa con parco e fiume incorporato o nelle patrie galere. Galan spiega nella sua memoria difensiva che i giudici veneziani non possono mandarlo in galera dal momento che molti reati sono in prescrizione e per tutti gli altri messi insieme, nel caso di condanna, non si arriverebbe, per l’appunto, a superare i 3 anni di carcere e dunque si rientrerebbe nella nuova legge svuotacarceri – ma in questo caso si tratta di mancato riempimento – appena approvata. Alla memoria difensiva Galan ha allegato anche l’ordinanza del Tribunale del riesame di Venezia su Boscolo Bacheto Stefano. Quell’ordinanza contiene la certificazione che il Consorzio era un soggetto di natura pubblica che aveva come riferimento il Cipe, il ministero per le Infrastrutture e quello dell’Economia. Come dire che la Regione non c’entra un bel nulla con il Mose dopo il 2006. E tutto quello che è avvenuto prima è coperto dalla prescrizione.

(m.d.)

 

MOSE, GALAN, POVERO O MILIARDARIO?

In un articolo apparso sul Gazzettino nel luglio 2011, in occasione di un’intervista all’allora ministro Galan, lo stesso si lamentava perchè era “il meno pagato fra i ministri, godendo di un netto mensile di 8.100 euro, di cui la metà gli serviva per vivere a Roma. In quell’occasione ho provato molta pena per il povero ministro, in difficoltà, quando invece molti godevano delle famose “pensioni d’oro” da 1500 euro lordi, il cui adeguamento fu bloccato proprio in quei giorni dal Governo di cui faceva parte.In questo periodo, alla luce delle recenti dichiarazioni dello stesso sig. Galan, che afferma di essere miliardario da sempre, cosa dobbiamo pensare noi poveri pensionati? Viste le ultime vicende relative allo scandalo Mose, e a quanto sembrerebbe fosse emerso nei suoi confronti, qual è la verità: ci prendeva in giro nel 2011 o dobbiamo pensare che in questi ultimi tre anni ha avuto la fortuna e la possibilità di arricchirsi nel modo e nella quantità che ha dichiarato? Qualche dubbio sorge spontaneo anche perchè, in tempi abbastanza recenti, qualcuno diceva che a pensar male si fa peccato ma spesso si indovina.

Augusto Verza – Treviso

 

SCANDALO MOSE – Il manager Tomarelli: «Era arrabbiato per lo scontro sull’Arsenale»

E Mazzacurati disse: «Orsoni ingrato»

«Orsoni? Un ingrato». Giovanni Mazzacurati avrebbe definito così il sindaco di Venezia quando, un anno fa, “scippò” una parte dell’Arsenale di Venezia al Consorzio Venezia Nuova con l’obiettivo di aprirlo alla città. A raccontarlo ai pm è stato il manager romano Stefano Tomarelli, spiegando che all’epoca Mazzacurati gli confidò «che lui l’aveva aiutato a farlo eleggere sindaco, dandogli i soldi… aveva un forte risentimento verso Orsoni», ha spiegato il dirigente della società Condotte. La versione fornita da Tomarelli conferma, anche se indirettamente, quella di Mazzacurati sul finanziamento elettorale, ma anche la difesa di Orsoni che ritiene di pagare proprio la sua battaglia sull’Arsenale.

 

IRRICONOSCENTE – Il “re” del Mose sosteneva di aver contribuito all’elezione a sindaco

IL VERBALE – Il manager romano parla anche dei rapporti diventati problematici col Comune

LA PROCURA – La testimonianza per i pm è la conferma che la versione di Mazzacurati è attendibile

E Mazzacurati sbottò: «Orsoni ingrato»

Tomarelli: «Giovanni era arrabbiato per l’atteggiamento sugli spazi dell’Arsenale»

Mazzacurati finanzò la campagna elettorale per l’elezione di Giorgio Orsoni a sindaco di Venezia e si aspettava da lui riconoscenza. Lo ha raccontato il manager romano della società Condotte, Stefano Tomarelli, nel corso del lungo interrogatorio sostenuto lo scorso 25 giugno davanti ai sostituti procuratore Paola Tonini, Stefano Buccini e Stefano Ancilotto. Il verbale con le sue dichiarazioni sono state depositate ieri mattina al Tribunale del riesame e, tra le 95 pagine di cui è composto – numerose delle quali coperte da omissis – ce n’è anche una dedicata al sindaco di Venezia. Tomarelli riferisce ai pm lagunari ciò che gli raccontò Mazzacurati nel periodo in cui era scoppiato un feroce scontro tra amministrazione comunale e Consorzio Venezia Nuova in relazione all’utilizzo di alcuni spazi all’interno dell’Arsenale (tra fine 2012 e inizio 2013); spazi che Mazzacurati voleva in concessione e che, al contrario, il sindaco volle per la città: «Di Orsoni mi disse che era un ingrato, che lui l’aveva aiutato a farlo eleggere sindaco, dandogli i soldi, insomma». Ingrato perché? gli chiede il difensore, l’avvocato Pisani: «Perché praticamente lui l’aveva fatto eleggere sindaco. Bella domanda… dando sol.. non lo so, però qui lui aveva un grosso risentimento verso Orsoni».
La versione di Tomarelli, seppure di seconda mano, costituisce per il magistrati della Procura l’ennesima conferma dell’attendibilità della confessione di Mazzacurati, il quale ha raccontato di aver consegnato personalmente a Orsoni una cifra tra i 450 e i 500mila euro per finanziare la sua campagna elettorale. Il sindaco dimissionario nega di aver mai ricevuto personalmente quei soldi, ma nel corso dell’interrogatorio sostenuto davanti ai pm ha ammesso di essersi rivolto a Mazzacurati per chiedere un finanziamento. Orsoni ha poi dichiarato che a suo avviso i soldi arrivarono (all’epoca credeva fossero leciti) in quanto tutte le spese a rischio della campagna elettorale furono poi pagate. Ai magistrati ha ammesso di aver percepito l’inopportunità di farsi finanziare dal soggetto che stava realizzando l’opera pubblica più importante in città (la legge peraltro vieta a soggetto come il Cvn, destinatari di contributi statali, di finanziare i partiti), ma si è giustificato spiegando di aver dovuto cedere alle pressioni del Pd. In caso contrario avrebbe dovuto tirare fuori di tasca propria i soldi necessari. Lo stesso Orsoni ha dichiarato che Mazzacurati ce l’aveva con lui per la vicenda dell’Arsenale e che per questo motivo ha raccontato di avergli versato personalmente i soldi. Cosa che il sindaco continua a negare sia mai avvenuta, pur ammettendo che Mazzacurati andava spesso a casa sua e più di una volta lasciò buste con documenti: erano amici e si rivolgeva al suo studio di avvocato per varie pratiche.

 

Felice Casson: «La prescrizione può anche essere rifiutata»

«La prescrizione? Vale per Giorgio Orsoni, per altri imputati dell’inchiesta Mose e non solo per quelli. Sta a lui decidere se accettare o rifiutare». Firmato Felice Casson, ex magistrato e senatore del Pd. Che, invitato a esprimere un’opinione sulla concreta possibilità che il processo dell’ex sindaco possa non coprire tutti i gradi di giudizio per scadenza dei termini, precisa di non voler commentare la vicenda in sè, soffermandosi invece sulla prescrizione «che così com’è va modificata, perché all’origine della “decapitazione” di troppe inchieste». E sottolineando di avere già depositato in Senato un disegno di legge in tal senso. Quanto all’intento dell’ex primo cittadino di voler dimostrare la totale estraneità personale dai fatti contestatigli, Casson aggiunge che «è facoltà dell’imputato rifiutare la prescrizione, nella convinzione che l’onore gli possa essere restituito solo dall’esito di più processi».

(V.M.C.)

 

«Sequestrare i beni degli indagati»

Offensiva di Rifondazione Comunista che ha consegnato un’istanza di parte civile sul caso Mose

Si sono presentati ieri mattina alla segreteria del Procuratore capo Luigi Delpino con una richiesta chiara: chiedere il sequestro cautelativo dei beni, mobili e immobili, dei principali indagati nelle vicenda Mose. É questa l’iniziativa politica che ieri un drappello di esponenti di Rifondazione comunista (Renato Cardazzo, Pietrangelo Pettenò, Andrea Bonifacio e Sebastiano Bonzio) ha presentato ai magistrati che stanno conducendo l’indagine, una vera e propria istanza relativamente ai procedimenti penali in atto sulla vicenda del Mose e, per collegamento, sul Consorzio Venezia Nuova.
«Stiamo valutando con i nostri legali – sottolinea in una nota il Prc – la congruità della costituzione di parte civile/persona offesa nell’inchiesta veneziana sul Consorzio Venezia Nuova e sulle vicende ad esso collegate. Al fine di limitare i danni arrecati alla comunità veneziana, chiediamo un autorevole intervento affinché siano immediatamente sottoposti a sequestro cautelativo i beni, mobili ed immobili dei principali indagati nella vicenda su indicata. In particolare crediamo sia doveroso attivare tutte le procedure legali di merito verso quegli imputati che hanno già abbondantemente ammesso e illustrato i reati dei quali sono imputati. Nello specifico, vista l’entità del danno subito dalla città, verso gli amministratori del Consorzio Venezia Nuova e della ditta Mantovani». Insomma, una richiesta dettagliata e circostanziata che punta ad avere ulteriore chiarezza sul prosieguo dell’indagine e per offrire maggiore chiarezza ai cittadini.
«Avvertiamo nella cittadinanza tutta la preoccupazione, – sottolineano nella lettera i rappresentanti del Prc – che facciamo nostra, che i maggiori responsabili del malaffare, per loro stessa ammissione spontanea, possano salvaguardare buona parte degli illeciti guadagni accumulati in anni di attività corruttiva, usufruendo di varie agevolazioni di legge o patteggiando la pena. Fatte salve le legittime garanzie per gli imputati pensiamo sia doveroso e urgente garantire anche ai cittadini veneziani gravemente danneggiati dalla vicenda, un giusto risarcimento».

 

Nuova Venezia – Svuotacarceri, salvagente per i corrotti

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

2

lug

2014

Svuotacarceri, salvagente per i corrotti

Decreto del Governo subito in vigore: anche gli arrestati per il Mose fra i possibili beneficiari

Sarà il giudice a decidere Fuori di prigione gli indagati che rischiano condanne inferiori a tre anni: numerosi gli indiziati di stalking che verranno rimessi in libertà

VENEZIA – Il decreto del governo per svuotare le carceri è stato pubblicato in sordina nella Gazzetta ufficiale venerdì scorso, quindi è già entrato in vigore, e sta mettendo in allarme tutti i giudici italiani, i quali da lunedì si stanno accorgendo di quanti detenuti in custodia cautelare o già condannati in primo grado devono o dovranno uscire dal carcere. A Venezia, ieri, la Corte d’appello ha dovuto scarcerare due imputati, condannati a pene tra i due e i tre anni, lo stesso hanno fatto i giudici monocratici e quelli delle indagini preliminari del Tribunale per indagati in custodia cautelare per cui la previsione di pena non supera i tre anni. Il governo, con un decreto legge di cui nessuno sta scrivendo o parlando sta svuotando le carceri più ancora di quanto siano riusciti a fare altri provvedimenti tacciati di questo compito dall’opposizione. Il decreto influirà anche sui procedimenti per corruzione come quello veneziano sul Mose. Si tratta del numero 92 del 2014, conosciuto sotto il titolo «Risarcimento ai detenuti per la pena inumana» perché contiene una serie di indicazioni provenienti dalla Corte europea per quanto riguarda la detenzione nelle galere italiane, ma incide anche sul codice di procedura penale affermando che il giudice, in previsione di una pena inferiore ai tre anni, non potrà emettere un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, e in previsione di una pena inferiore ai due anni non potrà neppure disporre gli arresti domiciliari. Naturalmente chi si trova già in carcere e ricade in questa previsione deve essere immediatamente liberato. Saranno numerosi, ad esempio, gli indagati per stalking che verranno liberati, visto che la pena minima prevista è di due anni e se uno è incensurato davvero difficile che venga condannato ad una pena superiore, così per quanto riguarda gli autori dei furti. Toccherà ai giudici, invece, scegliere sul da farsi quando i reati contestati sono quelli legati alla corruzione. Il minimo della pena per questo reato previsto dal codice è di quattro anni, ma soprattutto se l’imputato è incensurato, grazie alle attenuanti difficilmente la condanna supera i tre anni. A meno che non scattino particolari aggravanti, come quella ad esempio della considerevole cifra della mazzetta pagata dal corruttore e riscossa dal corrotto. In teoria, quindi, gli indagati arrestati nell’ambito del procedimento sul Mose non dovrebbero rientrare tra coloro che possono usufruire della nuova normativa, difficilmente però tra loro ci sarà chi subirà una condanna superiore ai tre anni, soprattutto per coloro che sceglieranno i riti alternativi (patteggiamento e abbreviato) per i quali è previsto uno sconto di un terzo sulla pena finale. Sarà il giudice a dover valutare e decidere.

Giorgio Cecchetti

 

Tomarelli vuota il sacco e torna a casa

Il manager della Condotte ai domiciliari dopo un lungo interrogatorio.

Il Riesame: accuse fondate sulla villa di Galan

VENEZIA – L’imprenditore romano della «Condotte d’acqua» Stefano Tomarelli, uno che secondo l’accusa assieme a Giovanni Mazzacurati decideva come e chi pagare con i fondi neri, è stato scarcerato ieri con il parere favorevole dei pubblici ministeri Stefano Ancilotto, Stefano Buccini e Paola Tonini. Dopo un lungo interrogatorio in cui ha sostanzialmente confermato le dichiarazioni dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova ha ottenuto gli arresti domiciliari e non è escluso che nei prossimi giorni accada lo stesso per l’ex presidente del Magistrato alle acque Patrizio Cuccioletta, anche lui già sentito a lungo dagli inquirenti. Dal Tribunale del riesame di Venezia, seppur indirettamente, arriva una conferma dell’impianto accusatorio costruito dalla Procura veneziana nei confronti dell’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan. Nelle motivazioni dell’ordinanza in cui sono stati concessi gli arresti domiciliari per l’architetto Danilo Turato si sostiene che «si dece confermare la validità e completezza del compendio indiziario». Soprattutto grazie alle dichiarazioni di Piergiorgio Baita, il quale ha spiegato che per il corpo centrale e per la barchessa della villa di Cinto Euganeo ma «Mantovani » aveva speso una prima fetta di 700 mila euro e una seconda di 400 mila. Per i magistrati «la credibilità intrinseca delle dichiarazioni di Baita» è fuori discussione e possiedono «i requisiti di spontaneità e disinteresse ». «Basta rilevare», si legge nell’ordinanza, «che Baita si è accusato di numerosi reati del tutto ignoti all’accusa nel momento in cui era intervenuto il suo arresto che all’epoca, si riferiva solo a ipotesi secondarie rispetto a quanto successivamente emerso…Le dichiarazioni di un chiamante in correità possono anche ed eventualmente avere quale obiettivo quello (legittimo) di conseguire benefici, ma ciò non comporta automaticamente la loro inattendibilità». Anche alla dirigente tecnica del Consorzio, l’ingegnere Maria Tersa Brotto, il Tribunale concede gli arresti domiciliari pur scrivendo che «non solo è ad integrale conoscenza di tutte le iniziative di Mazzacurati, ma vi ha partecipato fornendogli un contributo di partecipazione adesivo e consapevole». Nei computer in uso alla Brotto, ad esempio, la Guardia di finanza ha trovato «centinaia di documenti formalmente riferibili al Magistrato alle acque e personalmente predisposti dalla Brotto». Una circostanza che dimostra quanto asservito al Consorzio fosse la struttura che doveva controllare l’attività delle imprese. La difesa, tra l’altro, ha depositato una dichiarazione dell’attuale direttore del Consorzio Hermes Redi, «il quale conferma che tale prassi è tuttora in atto». Inoltre, i giudici scrivono che la Brotto è perfettamente a conoscenza del tentativo di Mazzacurati di influire ad altissimi livelli sulla nomina del nuovo presidente del Magistrato alle acque.

Giorgio Cecchetti

 

SCANDALO MOSE – Strane le critiche alla grande opera

Siamo veramente il paese dei balocchi. Davanti alle notizie sullo scandalo del Mose assistiamo, giustamente, ai giudizi di molti cittadini, relativi allo scandalo stesso. Ma quello che trovo strano sono le critiche all’opera dal punto di vista tecnico-burocratico di gente e partiti (all’epoca) favorevoli all’opera nonostante i vari rilievi che emergevano. Ricordo anche chi mi diceva: «Non mi interessano i costi basta che l’opera funzioni”, e io ricordare che anche i costi erano importanti e si potevano contenere anche col mettere in campo altri progetti. La stranezza è che molti parlano senza sapere. Mi spiego. All’epoca (e parlo di molti anni fa)una parte della città (contraria all’opera) informava l’altra parte di tutta una serie di problemi che vanno dalla concessione unica (controllore – Controllato) ai rilievi tecnici vari (sperimentazione – economicità – reversibilità) e tanto altro (Valutazione Impatto Ambientale negativa ma anche il non rispetto della morfologia lagunare) a finire con i rilievi della società Principia sulle cerniere. Tutto questo istituendo anche dei punti informativi (bacino Orseolo per esempio). Ecco ricordo da ex presidente della X^ Commissione Consiliare Ambiente e LeggeSpeciale che ai rilievi fatti da vari Comitati riuniti nei No MosE, rilievi puntuali tra l’altro, in molti rispondevano che questi erano “ quelli del NO”a tutto. Ecco oggi spero che questi cittadini debbano ricredersi. Davanti al No degli anti Mose esistevano anche delle proposte ( altri progetti magari mai esaminati) ma vari interessi prevalevano su una discussione nel merito tesa a dimostrare non solo di un iter burocratico che non rispondeva ai dettati della legge ma anche dell’eccessività dei costi compresa la manutenzione che a mio avviso non è mai stata discussa abbastanza. Ho voluto ricordare questa vicenda che si può collegare anche al problema dell’entrata delle grandi navi in laguna e agli interessi che vi ruotano attorno. Oggi in molti dicono che Non fanno danni…. Non vorrei che a danno fatto questi cambiassero idea….Sempre quando è troppo tardi ma sempre presto per salire nel carro dei giusti.

Danilo Rosan – Venezia

 

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