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TRASPORTI – Il comitato torna alla carica

TRENO – I pendolari tornano alla carica per chiedere un nuovo collegamento ferroviario per Padova e Venezia

CHIOGGIA – Ferrovia Chioggia – Padova – Venezia, il comitato va all’attacco e chiede una risposta al Governatore Zaia. Dopo una pausa estiva per non interferire con le elezioni di maggio e per attendere gli sviluppi dell’inchiesta Mose, il comitato promotore per la realizzazione di una legge regionale con finanziamento decennale che permetta il collegamento della città clodiense con i due capoluoghi torna a farsi sentire. Giovedì prossimo, alle 18.30 in via Cassiopea 33 (nella sede del Consorzio ConChioggiaSi) i rappresentanti si incontreranno per studiare le prossime mosse.

In particolare si chiederà ancora una volta alla Regione di permettere la presentazione dello studio di fattibilità dell’opera in una seduta pubblica da fare a Chioggia. Lo studio era stato commissionato a una ditta di Monselice dalla Regione stessa ed è pronto già da diverso tempo. L’allora assessore alla mobilità Renato Chisso ha però bloccato tutto.

«Ora Chisso è uscito di scena – afferma il portavoce del comitato promotore, l’avvocato Giuseppe Boscolo – Fu lui a bloccare a marzo la già programmata presentazione pubblica. La competenza sulle Infrastrutture è passata direttamente al presidente Luca Zaia al quale chiediamo di pronunciarsi al riguardo. La città ha infatti diritto di conoscere lo studio di fattibilità sulla nuova ferrovia per poter assumere valutazioni consapevoli sul tema fondamentale della rottura dell’isolamento. Ricordiamo che ad aprile avevamo già raccolto circa 700 firme (con indicazione di indirizzo e documento di identità), superando la soglia minima di 500 sottoscrizioni prevista dallo Statuto comunale per una delibera di iniziativa popolare».

(m.bio.)

 

Nuova collocazione, il sindaco non convince il governatore

Per evitare la causa Zaia acquisterebbe il progetto già pronto

PADOVA – La Regione mette a punto una exit strategy nel ginepraio amministrativo e legale che ostacola il decollo del nuovo policlinico universitario padovano. Al tramonto definitivo dell’ipotesi Padova ovest – determinato dal veto opposto dal sindaco Massimo Bitonci che ha affossato così sette anni di iter amministrativo – la società vicentina Finanza & Progetti, coinvolta nell’operazione sul versante progettuale, ha replicato con un ricorso al Tar che lamenta un danno di 156 milioni di euro (tra perdita di chance, costo delle fidejussioni accese e risorse accantonate) sollecitandone il risarcimento. I destinatari della causa – accusati a vario titolo di inadempienza – sono l’amministrazione regionale, l’Azienda ospedaliera ed il municipio di Padova; quest’ultimo non dorme sonni tranquilli: la precedente giunta Zanonato-Rossi aveva sottoscritto l’accordo di programma versione Ovest, l’attuale ha cambiato bruscamente idea ed il governatore Luca Zaia avverte il compagno di fede leghista che un’eventuale condanna risarcitoria comporterà l’immediata rivalsa nei confronti del Comune. Ma il nocciolo della questione è un altro. La sensazione, a Palazzo Balbi, è che la società del finanziere Roberto Meneguzzo non intenda dare vita ad una battaglia legale pluriennale dall’esito imprevedibile bensì utilizzare il ricorso come strumento di pressione per evitare di essere estromessa da una partita ospedaliera che l’ha vista seriamente impegnata sul versante professionale e finanziario. Obiettivo che appare, almeno in parte, legittimo, visto che la redazione progettuale conclusiva, presentata il 30 marzo 2012, aveva raccolto l’unanime consenso dei partner amministrativi ed era stato dichiarato di pubblico interesse dalla Regione stessa. Così prende corpo l’idea di acquistare il progetto, compensando la società per il lavoro svolto, disinnescando un contenzioso preoccupante e – soprattutto – confermando un piano ritenuto adeguato alle esigenze della sanità padovana e veneta – non stiamo parlando di un ospedale cittadino ma di un polo clinico e universitario di valenza regionale – e perciò meritevole di essere realizzato. L’alternativa, quella di ripartire ex novo nell’elaborazione progettuale, è ritenuta priva di senso dai manager della sanità e perciò scartata. La condizione – fanno sapere da Venezia – è che Finanza & Progetti non alzi il prezzo ed eviti di accampare pretese superiori agli effettivi diritti acquisti, che non investono in alcun modo la realizzazione dell’opera. C’è materia per avvocati ma uno spiraglio si apre: staremo a vedere. L’altro corno della vicenda riguarda il sito destinato alla costruzione e non si tratta di una bazzecola. Dopo aver ritirato l’originaria proposta del “nuovo su vecchio” – cioè l’ipotesi di rifare l’ospedale sulle ceneri dell’esistente, nell’area Giustiniani, rivelatasi impraticabile per costi e tempi – Bitonci ha estratto dal cilindro l’opzione est, quella di via Corrado, indicando una superficie di 200 mila metri quadrati (a circa cinquecento metri dall’attuale policlinico) oggi occupata da alcuni uffici della multiutility AcegasAps e dagli impianti sportivi universitari del Cus. L’ideale, secondo il sindaco, per garantire continuità al circuito sanitario che include il Sant’Antonio e lo Iov. Zaia ha accolto con interesse la novità – che se non altro superava i veti incrociati precedenti – assicurando un esame attento e accurato. Così sarà ma non è difficile prevederne la conclusione. L’opzione via Corrado presenta due handicap di partenza. Sul piano spaziale, l’estensione limitata – a fronte dei 400 mila mq ritenuti ottimali dai tecnici – costringerebbe a ripensare in senso verticale il progetto, con i problemi e le lungaggini conseguenti. Ma è il rischio idraulico a rivelarsi un ostacolo insormontabile: Legambiente ha ricordato che il sito, collocato com’è nell’ansa tra due corsi d’acqua, è soggetto a vincoli idrogeologici dal Pat (il Piano di assetto territoriale) che classifica la zona come «non idonea» alle costruzioni. «Fandonie», secondo Bitonci «il bollino rosso sul perimetro in esame è stato posto nel 2009 per un rischio allagamenti, che ora risulta del tutto scongiurato. Non è plausibile alcuna esondazione dei canali in quanto il livello delle acque è controllato a monte e a valle e regolamentato da una serie di chiuse, quindi il vincolo potrà essere revocato». Rassicurazioni che non hanno convinto del tutto il governatore, lesto a consultarsi con Luigi D’Alpaos, il maggior esperto di ingegneria idraulica a Nordest. Il colloquio non è noto nei dettagli ma lo studioso avrebbe espresso pesanti e circostanziate riserve, tali da indurre Zaia – che in D’Alpaos ha una fiducia totale – a disporre un approfondimento: la commissione si metterà al lavoro a breve e la bocciatura sembra scontata. Se così sarà, ogni compromesso tra Regione e Comune diventerà impossibile e il fatidico policlinico (se mai spiccherà volo) migrerà al di fuori dei confini urbani di Padova. Nell’area universitaria di Legnaro, forse, oppure nella vicina Sarmeola. Entrambe ansiose di accoglierlo.

Filippo Tosatto

 

Il segretario del Pd chiede un dossier sulla sanità veneta

Il segretario regionale del partito democratico, Roger De Menech, invita i contendenti alle primarie democratiche – destinate ad eleggere lo sfidante a Luca Zaia nelle regionali della prossima primavera – a costruire un dossier sulla sanità veneta. «La totale assenza di pianificazione della Regione sotto la guida di Zaia rischia di costarci carissima», afferma «per l’ospedale di Padova, prima fanno un progetto di finanza “alla veneta”, poi annullano tutto per le beghe interne alla Lega Nord. Risultato, l’azienda che ha proposto il progetto di finanza, chiede 156 milioni di danni». Conclusione: «Zaia, invece di attaccare il governo Renzi che destina al Veneto un terzo delle risorse per infrastrutture, farebbe bene a organizzarsi per evitare che i veneti nei prossimi anni vedano aumentare tasse e ticket sanitari per coprire la sua totale incapacità di governare».

 

L’INTERVISTA: massimo malvestio

«I project spolpano il bilancio del Veneto»

VENEZIA – Nel novembre 2010, in un forum al nostro giornale, Piergiorgio Baita definì lo strumento del project «l’antibiotico delle opere pubbliche», da prendere «sotto controllo dell’amministrazione pubblica». Dall’altra parte del tavolo lo contraddiceva l’avvocato Massimo Malvestio, che per tempo denunciava i «projetc relazionali» dove il bando di gara era scritto direttamente dai concessionari. Così è stato: oggi Piergiorgio Baita, artefice e carnefice dei project, coltiva pomodori nel giardino di casa, pronto a rimettersi in campo. L’inascoltato Malvestio, invece, fa il Cincinnato nell’isola di Malta, dove lo raggiungiamo telefonicamente. A distanza di quattro anni «l’antibiotico», somministrato in dosi massicce, sta facendo morire il paziente. Centro protonico (causa da cento milioni di euro), nuovo ospedale di Padova ovest (156 milioni di richiesta danni), metropolitana di superficie (30 milioni di danni da pagare): l’assedio alle casse regionali sembra concentrico. «La situazione venutasi a creare anche con i project, realizzati o mancati, sta mettendo seriamente a rischio i conti, stanno spolpando il bilancio della Regione. Perché i canoni, remunerati a doppia cifra, sottraggono risorse agli investimenti». Sulla vicenda del nuovo ospedale di Padova c’è una causa da 156 milioni di euro. «Finanza e progetti ha le sue ragioni, perché la pubblica amministrazione deve essere in grado di rispondere sì o no nei tempi previsti, senza tirarla per le lunghe». Perché i project non hanno funzionato? «La mia tesi è sempre stata quella che il project sia una forma residuale di finanziamento delle opere pubbliche, ma dove dev’essere molto chiaro il rischio d’impresa» Nel Veneto ne sono stati realizzati una decina: ospedali e infrastrutture. Tutti sbagliati? «I progetti di finanza realizzati nel Veneto non hanno praticamente rischio d’impresa, perché il pubblico ci mette del suo. Erano project a rischio garantito. Ma così son buoni tutti» É un sistema da riformare? «Lo strumento in sè è valido, nel mondo anglossassone è usato da molti anni con norme trasparenti e regole chiare. In Veneto no, c’è stata un’interpretazione distorta dello strumento». I concessionari scrivono i bandi di gara ai quali loro stessi, spesso da soli, concorrono: non è così? «In Italia esiste un capitalismo di relazione, dove succedono anche queste cose. Poi va detto che nella pubblica amministrazione c’è una carenza di professionalità in grado di gestire questo genere di procedure». Quali i punti più spinosi dei progetti di finanza veneti? «La distorsione è legata a gestioni a lungo termine, in cui le condizioni possono mutare sensibilmente; i costi finanziari molto alti; e un margine di discrezionalità troppo alto» Come andavano usati? «Il project può essere usatoper realizzare infrastrutture che rispondono a servizi a domanda individuale: il Comune che vuol fare la piscina con il privato che scommette sugli incassi dagli utenti. Regole chiare e rischio d’impresa. Se non sei bravo a far fruttare l’impianto, chiudi». In un tempo di risorse calante come finanziare le infrastrutture? «Al Veneto servono l’Alta Velocità, una razionale rete ospedaliera, la banda larga. La Regione catturi i finanziamenti della Bei, la banca europea degli investimenti, con tassi altamente più favorevoli che i progetti che ha fatto. C’è un nuovo ospedale da realizzare al posto di tre? Lo faccia la Regione, andando a prendere i soldi direttamente alla Bei: costa sicuramente meno che mettere in piedi l’ennesimo project». Quali sono i più scandalosi? «I project del centro protonico e quello dell’Ospedale di Mestre davano rendimenti a doppia cifra, quando adesso il denaro costa meno dell’uno del cento. Mi dicono che l’ampliamento del pronto soccorso di Mestre sta costando quattromila euro al metro quadro, vi pare?» Lo strumento del project avrà un futuro? «Credo di no, se lo avrà bisognerà stare bene attenti, visto quel che è accaduto».

Daniele Ferrazza

 

MIRA – Una petizione diretta al presidente della Regione Luca Zaia per chiedere di verificare se il progetto del completamento dell’Idrovia Padova Venezia, non provoca inquinamento in laguna. Questa l’iniziativa del “Comitato Acque del Mirese” presieduto dall’ex Consigliere Gian Omar Bison , ma appoggiato a Mira trasversalmente da Pd, Movimento 5 Stelle, Pdl e lista “Noi per Mira”, in contrapposizione al resto della Riviera. «Chiediamo», spiega Bison, «sia eseguito uno studio tecnico-scientifico che stabilisca con chiarezza che le opere in questione siano risolutive dei gravi problemi idrogeologici che affliggono i territori di Vicenza, Padova e Venezia. Chiediamo poi l’eventuale completamento dell’Idrovia non comprometta idrogeologicamente il fragile territorio di Mira che si trova alla fine del bacino scolante di un’ampia area del vicentino, del padovano e del veneziano. E chiediamo poi sia fatto uno studio tecnico-scientifico sull’impatto che le piene del Brenta e del Bacchiglione, scaricate in laguna, avrebbero sull’ecosistema lagunare, anche sotto il profilo socio-economico, in previsione dell’attivazione del Mose e comunque in condizione di marea sfavorevoli».

(a.ab.)

 

Il pasticcio sull’ospedale di Padova Ovest: Finanza e Progetti si rivolge al Tar

«Vanno annullate le delibere regionali che hanno fatto naufragare l’opera»

IL CONTESTO – La costruzione del complesso è andata a monte dopo una lunga gestazione. Ma la società vicentina legata al finanziere Meneguzzo non ci sta e contrattacca

VENEZIA – Non è bastata l’aggiudicazione della nuova Cittadella della salute a Treviso, considerato quale gesto «distensivo» dopo il pasticcio del nuovo ospedale di Padova Ovest. La società vicentina Finanza e Progetti Spa, legata al finanziere Roberto Meneguzzo, ha depositato il 15 ottobre scorso un ricorso al Tribunale amministrativo regionale contro la Regione del Veneto, l’Azienda ospedaliera e il Comune di Padova, avanzando una richiesta di risarcimento del danno che sfiora i 156 milioni di euro. Quanto basta per togliere il sorriso ai contabili di Palazzo Balbi e di Palazzo Moroni, già alle prese con i tagli della finanza pubblica. La vicenda del nuovo ospedale di Padova Ovest, abortito dopo otto anni di procedure perché la soluzione è ritenuta dalla nuova amministrazione comunale non idonea, da scontro politico diventa a tutti gli effetti un caso di giustizia amministrativa. Con un ricorso dagli esiti difficilmente prevedibili, anche se appare evidente come la società vicentina – che si è appena aggiudicata il project da 200 milioni della nuova Cittadella della salute a Treviso – voglia mostrare i muscoli alla Regione e al Comune di Padova per indurli a riconsiderare la realizzazione di un nuovo ospedale, secondo il loro progetto. Il ricorso al Tar quantifica il danno in diverse voci: 133 milioni di euro per la perdita di chance e 22 milioni di costo delle fidejussioni accese dalla società a garanzia del progetto. I legali fanno riferimento anche a 68 milioni di accantonamenti per far fronte agli obblighi della concessione, che avrebbe dovuto avere durata trentennale. A sottoscrivere il ricorso, per conto del presidente di Finanza e progetti Maurizio Casubolo, è un team di legali amministrativisti del calibro di Vittorio Domenichelli, Stefano Bigolaro, Giovanni Sala, Andrea Leoni e Franco Zambelli. Finanza e Progetti chiede l’annullamento di due delibere della giunta regionale e di una delibera della giunta municipale di Padova: quelle che affossano in pratica l’ipotesi di realizzare il nuovo ospedale a Padova Ovest, dopo il clamoroso stop imposto dal nuovo sindaco di Padova Massimo Bitonci. La prima delibera regionale, del 5 agosto scorso, è quella in cui si dichiara per la prima volta l’impossibilità ad adempiere alla procedura amministrativa proposta da Finanza e Progetti; la seconda, del 15 settembre scorso, nella quale la Regione diffidava il Comune di Padova a dare corso alle sollecitazioni regionali; la terza è una delibera della giunta padovana, che porta la data del 23 settembre, che annuncia la volontà di perseguire la strada della «rigenerazione» dell’ospedale esistente. Nel ricorso, in cui non si chiede alcuna sospensiva degli atti amministrativi, la società Finanza e Progetti ricorda di aver presentato il proprio progetto il 30 marzo 2012, epoca in cui la Regione del Veneto e la giunta comunale di centrosinistra abbracciavano lo stesso obiettivo, quello di realizzare il nuovo ospedale a Padova Ovest. Ma l’iter procedurale nasce negli atti amministrativi addirittura nel 2006, in epoca Galan, con una serie di provvedimenti regionali, tra cui l’adozione della pianificazione ospedaliera nel 2007, la classificazione dei requisiti regionali, il ridimensionamento della nuova struttura voluta dalla giunta Zaia, il riavvio della procedura. Tra gli elementi a sostegno del ricorso, Finanza e progetti spa riporta la mancata risposta – entro tre mesi – della Regione alla proposta di project financing. La Regione, impegnata in una delicata fase di approfondimento, ha impiegato due anni prima di concludere la procedura. Ma durante questo tempo ha ripetutamente chiesto – attraverso l’Azienda ospedaliera, per quattro volte – alla società privata di rinnovare le garanzie fidejussorie. L’ultima richiesta in tal senso risale a pochi mesi e ha fatto «vivere» la fidejussione fino al 30 settembre scorso. Nel frattempo, Padova ha cambiato colore (e idea) sul nuovo ospedale di Padova Ovest. E alla Regione del Veneto, rimasta con il cerino in mano, non è rimasto che chiudere la procedura. Provocando la reazione della società vicentina che, interpellata, non rilascia dichiarazioni.

Daniele Ferrazza

 

Scacco in 36 pagine

«Tutto è cambiato all’arrivo di Bitonci»

VENEZIA – Trentasei pagine di ricorso amministrativo e ventisei allegati per puntualizzare nel dettaglio l’iter amministrativo e il ruolo speso da Finanza e Progetti spa per il nuovo Ospedale regionale universitario, inteso nella localizzazione di Padova Ovest. Il ricorso predisposto da Vittorio Domenichelli svela alcuni elementi finora tenuti sotto traccia nella vicenda che ha visto contrapposti il governatore del Veneto Luca Zaia e il sindaco di Padova Massimo Bitonci, entrambi leghisti. La società dichiara che la società «si è sempre dichiarata disponibile a modificare la propria proposta anche in relazione ad una nuova individuazione del sito di localizzazione dell’opera». Secondo il ricorso la decisione del Comune di Padova sarebbe viziata da «eccesso di potere sotto il profilo dell’irragionevolezza e incongruità manifeste, nonché dell’erroneità dei presupposti di fatto e di diritto». In particolare, i legali sostengono che la «situazione improvvisamente è mutata dopo le elezioni nel Comune di Padova, allorché il sindaco appena eletto ha mostrato contrarietà alla prevista localizzazione del nuovo ospedale». «Risulta indimostrata – ed anzi smentita dalla realtà delle cose – l’affermazione secondo cui l’ipotesi di ristrutturazione del complesso ospedaliero esistente sarebbe da preferire a quella della realizzazione ex novo». I legali smontano anche l’asserita situazione di rischio idrogeologico dell’area di Padova Ovest: «Le linee generali per la messa in sicurezza idraulica sono chiaramente delineate e consentono di far fronte alle problematiche dell’area attraverso una serie di misure di sicurezza volte a svincolare la funzionalità del nuovo ospedale dalle problematiche causate da eventi meteorologici, anche estremi. In particolare, è stata individuata una quota che garantisca la sicurezza idraulica della nuova infrastruttura ospedaliera (più 13 metri sul livello del mare), superiore rispetto a quella delle infrastrutture che circondano l’area (ferrovia Milano-Venezia e Corso Australia, comprese tra i più 11,50 e 12,50: in questo modo, in caso di eventi anche estremi, l’ospedale si configura come un’isola, più alto rispetto a tutte le aree che lo circondano». Quanto alle delibere regionali impugnate (la Dgr 1391 del 5 agosto e la 1700 del 15 settembre scorso), il ricorso al Tar ritiene di rilevare una «violazione del principio di affidamento, insufficienza della motivazione, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, perplessità assoluta». «Il procedimento di valutazione del pubblico interesse era stato attivato dalla Regione. Era la Regione che doveva giustificare le ragioni dell’inopinato arresto. In realtà dalle deliberazioni regionali impugnate traspare evidente il desiderio della Regione di scaricare sul Comune di Padova la responsabilità, politica ma anche giuridica, del cambio di indirizzo e dell’inadempimento all’Accordo di programma». Il danno subito, secondo Finanza e Progetti, «va rapportato al mancato conseguimento dell’utilità economica derivante dalla costruzione e gestione del nuovo polo ospedaliero» secondo il piano economico finanziario dell’opera.

(d.f.)

 

Un calvario lungo otto anni: da Galan al duello governatore-sindaco

PADOVA. Uno scontro senza precedenti. Uno stop a una procedura che durava almeno da otto anni. L’elezione di Massimo Bitonci, leghista, a sindaco di Padova ha mandato in frantumi il patto pazientamente costruito prima dall’ex sindaco Flavio Zanonato con Giancarlo Galan e poi con il suo successore Luca Zaia per realizzare il nuovo policlinico universitario.A suggerire l’area di Padova Ovest era stata proprio l’amministrazione comunale patavina a guida di centrosinistra, che si era impegnata ad adottare tutte le soluzioni urbanistiche coerenti con questa scelta, nonché a valorizzare l’area dell’attuale ospedale, in via Giustiniani. Nel marzo 2012 la società vicentina Finanza e Progetti spa, guidata da Roberto Meneguzzo, il finanziere arrestato nello scandalo Mose per una presunta mazzetta da 500 mila euro, presenta una proposta di nuovo ospedale da 1,2 miliardi di euro a concessione trentennale. Nel frattempo, attorno al tavolo la Regione aveva messo, oltre al Comune di Padova, la Provincia di Padova, l’Università e lo Iov, l’istituto oncologico veneto. Tutto bene fino all’inattesa vittoria di Bitonci a Padova. Come promesso in campagna elettorale, il sindaco ha spazzato con un colpo di penna l’ipotesi di Padova Ovest,dichiarando la propria intenzione a «rigenerare» l’attuale sito di via Giustiniani. A restare in mezzo proprio il governatore Luca Zaia, quest’estate protagonista di un durissimo braccio di ferro con il suo compagno di partito. Niente da fare: il Comune di Padova ha incaricato un gruppo di tecnici di smontare l’ipotesi Padova Ovest, giudicata troppo costosa (nel gruppo di lavoro, curiosamente, anche l’ex dg dell’Azienda ospedaliera Adriano Cestrone che aveva sostenuto l’ipotesi opposta). E alla Regione non è rimasto che prendere atto del venire meno di uno degli interlocutori indispensabili a realizzare l’opera. Così, il 28 luglio scorso in Regione il sindaco e il governatore si sono scontrati a muso duro ribadendo le proprie posizioni. Il Comune di Padova ha quindi deliberato di prendere atto dello studio per la rigenerazione dell’ospedale esistente dichiarandosi non disponibile a prendere in considerazione altre ipotesi. Fino all’ennesimo colpo di scena, qualche giorno fa: quando lo stesso sindaco Bitonci ha indicato in un’area di via Corrado, nei pressi della Stanga (Padova Est) la possibilità di ospitare il nuovo ospedale. Un’ipotesi impraticabile per gli alti costi di bonifica, con interferenze archeologiche e le dimensioni dell’area, un terzo rispetto a Padova Ovest. Insomma, siamo punto a capo.

(d.f.)

 

Disagi e forti ritardi per i pendolari del mattino: soppressi il Venezia-Verona e il Venezia-Vicenza. Il 31 ottobre incontro in Regione per la Mestre-Portogruaro

Mattinata di disagi quella di ieri, per chi da Venezia doveva spostarsi per andare a lavorare a Mestre, Padova, Verona, Vicenza e viceversa. Nell’ora di punta, tra le 7 e le 9, quando la maggior parte dei pendolari si accalca sui convogli, due treni sono stati soppressi, con i conseguenti disagi e attese che hanno portato a ritardi al posto di lavoro. I due treni soppressi sono: il Venezia-Verona delle 7.12, che stando alle dichiarazioni ufficiali di Trenitalia è stato cancellato a Venezia per un malfunzionamento alle porte e il Vicenza-Venezia delle 7.02. Dopo la soppressione del treno delle 7.12, chi doveva andare a Padova ha atteso il treno regionale per Bologna,delle 7.42; mentre chi doveva andare oltre la città del Santo, ha aspettato l’arrivo del regionale per Verona. Il treno poi è andato in assistenza, dove è stato aggiustato. Altro treno cancellato invece, è il Venezia Vicenza che doveva arrivare nella città lagunare alle 7.48, soppresso ancora prima di partire alle 7.02 per problemi legati al personale, secondo fonte Trenitalia. «Un impiegato di turno si è ammalato e non c’è stato il tempo materiale per sostituirlo», è stato spiegato. Niente personale, niente treno insomma. Evidente che ciò ha causato ritardi a catena, specialmente perché i convogli nelle fasce di punta del mattino, sono sempre affollati. Diversa la versione di un pendolare che ieri mattina è partito con il treno delle 7.12 con le porte malfunzionanti. «Siamo saliti a Venezia direzione Padova», spiega, «il treno che a quell’ora non era molto affollato, non ha però fatto a tempo ad arrivare a Mestre che le porte si sono bloccate. Non funzionavano più, tanto che un controllore ha dovuto aprirle una ad una. Siamo rimasti senza poter uscire per un quarto d’ora e poi siamo riusciti a montare su un Intercity per non fare troppo tardi». Insomma, ennesimi disagi, sostengono i pendolari. Disguidi, malfunzionamenti, ritardi, soppressioni e pure personale che manca. Sul fronte della tratta Venezia-Trieste, la battaglia continua: è stato fissato per il 31 ottobre alle 9.30 in Regione e precisamente a palazzo Linetti, l’incontro dei sindaci della linea della Mestre-Portogruaro per discutere dei problemi legati all’orario cadenzato. La nota ufficiale di convocazione dell’incontro è stata spedita a tutti i primi cittadini, i quali sperano di incontrare il governatore Luca Zaia. Nel frattempo ieri il comitato pendolari del Veneto Orientale ha visto Francesco Piccolo, consigliere regionale del Gruppo misto. Piccolo ha annunciato un’interrogazione prima del 31 ottobre, giorno dell’incontro.

Marta Artico

 

L’assessore Conte: progetti da finanziare con i 2 miliardi stanziati contro l’emergenza idrogeologica

VENEZIA – Fondi del «Salvaitalia» per l’emergenza idrogeologica, il Veneto batte cassa a Roma e presenta due richieste a Matteo Renzi che ha garantito 2 miliardi di euro contro le alluvioni: si tratta della nuova vasca di espansione a Montebello Vicentino, un progetto da 50-60 milioni, e del completamento dell’idrovia Padova-Venezia, ferma a Vigonovo. Per sbucare in laguna mancano 15 km, ma tutti i ponti sul tragitto del canale navigabile sono già stati costruiti. Paradosso del Veneto dc, che sapeva guardare lontano anche con le tasche vuote. La pratica idrovia è sul tavolo dell’assessore all’Ambiente Maurizio Conte, messo in croce dalla sua maggioranza per la legge sulle cave che slitterà alla prossima legislatura, ma più che mai determinato a concludere la legislatura con due nuovi traguardi raggiunti. Assessore, che succede se riprende a piovere dopo questa splendida estate d’ottobre: non è che si rompe l’argine del Roncajette com’è avvenuto per lo Scrivia in Toscana? «No, siamo tranquilli. I lavori sugli argini distrutti dall’alluvione 2011 sono stati eseguiti a regola d’arte. È l’evento imprevedibile che produce disastri immensi: si pensi alla bomba d’acqua caduta su Refrontolo. Certo, l’occupazione del territorio crea problemi di sicurezza idraulica ma noi abbiamo fatto la lista delle priorità. In testa ci sono le casse di espansione. Quella di Caldogno verrà conclusa tra due anni e stiamo quindi guardando a due nuove opere fondamentali: a Montebello e all’idrovia Padova-Venezia. Qui si tratta di un intervento fondamentale per la messa in sicurezza del nodo idraulico di Padova e del Piovese: la progettazione sarà affidata a breve e così avremo le basi per capire come intervenire, la dimensione dello scavo va concordata con gli enti locali. Certo, la Regione non può mettere da sola tutte le risorse: appena avremo il quadro esatto dei costi con il relativo piano di navigabilità dell’idrovia, faremo i nostri passi sia in Europa che a Roma per raccogliere i fondi», dice Conte. E su Montebello? «Siamo più avanti, il comitato Via ha già approvato il progetto preliminare e siamo pronti ad un’eventuale gara, ma si tratta di trovare almeno 55-60 milioni. I soldi li abbiamo chiesti al premier Renzi e il dottor D’Angelis, dirigente della presidenza del consiglio dei ministri, ha da tempo la nostra pratica sul suo tavolo. Attendiamo solo la risposta e siamo convinti che Renzi dovrà inserire il Veneto nella lista delle priorità del Salvaitalia: in ballo ci sono 2 miliardi per il rischio idraulico, spero che parte di quelle risorse arrivino in Veneto. Noi siamo pronti». Ultime due questioni: il piano rifiuti speciali e la modifica delle commissioni Via. In commissione Ambiente approderanno entrambi i provvedimenti: per i rifiuti speciali si tratta di evitare il proliferare selvaggio di impianti per lo smaltimento di sostanze pericolose. L’altra legge riguarda la modifica della Via, la valutazione di impatto ambientale fonte di tanti guai giudiziari come dimostra l’ultima inchiesta su Fior. Cosa cambia? «I commissari saranno in supporto alle istruttorie fatte dagli uffici regionali, per evitare il rapporto diretto tra commissari e soggetti proponenti. La nuova legge vuole rendere più trasparente la procedura. Il caso Fior? Quando sono arrivato io ho applicato la regola del turn over e Fior è stato sostituito dal dottor Benassi, che arrivava dall’Arpav», conclude Maurizio Conte.

(al.sal.)

 

La pista ciclabile dei santi

Partirebbe da Fusina e arriverebbe a Padova attraverso un percorso attrezzato

PROGETTO – Una pista ciclabile di circa 16 chilometri da Fusina a Padova: lunedì si presenta il progetto

La splendida via d’acqua lungo il naviglio da Venezia a Padova costeggiata da un altrettanto suggestiva pista ciclabile. È il progetto di due architetti Francesco Volpato e Alessandro Meggiato, con una lunga esperienza anche come amministratori locali, che verrà presentato domani lunedì alle 20.30 nell’auditorium della biblioteca comunale di Oriago e che ha già ottenuto il patrocinio della Fiab la Federazione Italiana Amici della bicicletta. Un lungo percorso che partirebbe da Fusina, attraverserebbe il Malcanton, passerebbe dietro villa La Malcontenta e poi verso Oriago, Mira Porte, Dolo, Fiesso d’Artico, Stra e fino a Padova. «L’idea che abbiamo chiamato »Da San Marco a San Antonio in bicicletta e a piedi” «Da San Marco a San Antonio in bicicletta e a piedi» c’è da sempre – spiega l’architetto Volpato – e di fatto la pista coinciderebbe in gran parte con quella che in Riviera i residenti chiamano «la bassa» ovvero il percorso lungo il Naviglio dalla parte opposta alla Regionale. L’ipotesi progettuale prevede la sistemazione di alcuni nodi pericolosi o di difficile percorribilità”. Il progetto che potrebbe soddisfare i tanti turisti, sempre più in aumento secondo le agenzie di viaggio, che chiedono percorsi ciclabili dedicati per visitare non solo la città di Venezia ma anche il territorio lagunare e la Riviera ma soprattutto molti residenti della zona che chiedono una viabilità più sicura per chi sceglie la bicicletta come mezzo di trasporto. Un progetto che rischia però di rimanere un sogno se le amministrazioni locali non avranno il coraggio di sostenere, anche economicamente magari attraverso specifici bandi europei, una proposta che potrebbe rivelarsi un valore aggiunto importante per la Riviera. «Abbiamo fatto una stima di massima – spiega l’architetto Volpato – ipotizzando per la realizzazione dell’opera un impegno economico di circa 300 Mila euro iniziali per i primi 15 chilometri fino ad una spesa più importante, circa un milione, se poi si vuole realizzare una pista ciclabile con servizi all’avanguardia. Non tanto se si pensa a quanta valenza ambientale e turistica potrebbe avere una pista ciclabile di almeno una ventina di chilometri lungo il Naviglio». Insomma il progetto c’è, un preventivo di spesa anche, basterebbe che dalle parole si passasse ai fatti attraverso lo sforzo delle amministrazioni locali.

 

BASSANO – Continuano i disservizi per i passeggeri sulla linea per Venezia: «È da terzo mondo»

Pendolari infuriati protestano dal sindaco

Treni sporchi, corse in ritardo, vagoni stipati all’inverosimile. Una ragazza è svenuta nella calca

LA PROTESTA – Non c’è pace per gli utenti del servizio di trasporto ferroviario che collega la città del Grappa a Padova o a Venezia. I disagi e di disservizi sulle linee sono all’ordine del giorno. Il comitato locale che rappresenta i viaggiatori ha illustrato la pesante situaziane anche al sindaco Poletto, che a sua volta si è impegnato a coinvolgere nella questione i colleghi delle Amministrazioni limitrofe.

TRENI SPORCHI «Ormai lo stato di sopportazione di chi deve prendere un treno è giunto al limite – afferma il portavoce del Pd Luigi Tasca – Non è possibile che ai nostri giorni si assista a tali disservizi: persone stipate come sardine, treni sporchi e in ritardo sono la regola¨».

 

Una ragazza sviene per la ressa sul treno Bassano-Padova. Scoppia la protesta

Non c’è pace per gli utenti del servizio di trasporto ferroviario che collega la città del Grappa a Padova o a Venezia. I disagi e di disservizi sulle linee sono all’ordine del giorno. Il comitato locale che rappresenta i viaggiatori ha illustrato la pesante situaziane anche al sindaco Riccardo Poletto, che a sua volta si è impegnato a coinvolgere nella questione i colleghi delle Amministrazioni limitrofe nel tentativo di unire le forze per risolvere l’annosa questione.
Sulle problematiche sollevate dai pendolari, interviene anche il Partito Democratico del Bassanese. «Ormai lo stato di sopportazione di chi deve prendere un treno è giunto al limite – afferma il portavoce del Pd Luigi Tasca – Non è possibile che ai nostri giorni si assista a tali disservizi: persone stipate come sardine, treni sporchi e in ritardo sono la regola piuttosto che l’eccezione, ed è dei giorni scorsi la notizia di una studentessa che si è sentita male in un treno sulla tratta Bassano – Padova a causa dell’eccessivo sovraffollamento nei vagoni».
«La Regione – continua Tasca – si è tanto riempita la bocca in questi anni di espressioni come «metropolitana di superficie» piuttosto che di «valorizzazione dei trasporti», ma la verità è che il governatore Luca Zaia ha deciso di non incrementare nel bilancio di quest’anno le risorse del fondo per il trasporto ferroviario».
Sul tema interviene anche la senatrice bassanese del Pd Rosanna Filippin. «Fino ad oggi Zaia se l’è cavata facendo ricadere tutta la colpa su Trenitalia, ma per migliorare il servizio non basta dirlo o annunciare roboanti interventi futuri – ha dichiarato la parlamentare – Per risolvere il problema serve stanziare fondi sulla ferrovia. Non è Trenitalia che deve fare di più, ma la Regione e i suoi rappresentanti: perché il servizio migliori servono soldi».
«Le elezioni regionali si avvicinano – chiosa Filippin – e sono sicura che i cittadini bassanesi ci penseranno due volte prima di votare qualcuno che ha isolato la loro città per quanto riguarda le ferrovie».

Raffaella Forin

 

Lunedì a Oriago la presentazione del primo progetto low cost per la ciclopista

Sarà in grado di offrire a turisti e residenti un percorso alternativo e sicuro

MIRA – Una pista ciclabile lunga oltre quaranta chilometri da Fusina a Padova che costeggia il Naviglio del Brenta. Questo il progetto che sarà presentato lunedì prossimo all’Auditorium di Oriago alle 20,30 dall’ex assessore alla Cultura, l’architetto Francesco Volpato, assieme al collega Alessandro Meggiato con il patrocinio della Federazione italiana amici della bicicletta. L’opera costa molto poco, meno di un milione, ma porterebbe in Riviera dai 50 ai 60 mila turisti in più senza creare ingorghi. «Il progetto», spiega l’architetto Francesco Volpato, «evocativamente si chiama “Da San Marco a San Antonio in bicicletta e a piedi” e punta a creare una grande pista ciclabile in grado di unire le due città venete cioè Venezia e Padova nel segno di un turismo lento e sostenibile. La grande pista ciclabile a cui abbiamo pensato si divide in due tratti. Il primo di 16 chilometri da Fusina a Dolo e il secondo da Dolo a Padova di altri 24 che invece va sviluppato, ma che abbiamo visto fattibile. In questo ultimo tratto la pista ciclabile dovrebbe svilupparsi da Dolo a Stra lungo il Naviglio e poi seguire il corso del Piovego da Stra a Padova». Volpato spiega che tutta la pista ciclabile sarà sviluppata lungo i corsi d’acqua nella parte bassa cioè non sulla Brentana (che già dispone di piste ciclabili appena realizzate per i residenti), ma sulle strade che si trovano sul lato sud del canale. Sono state ideate anche delle stazioni di servizio. Una potrebbe essere in via Pallada a Fusina, un’altra in Riviera Bosco Piccolo e un’altra poco distante dall’incrocio fra la ferrovia e la Brentana accanto a via Valmarana. «L’idea forte è quella di caratterizzare la Riviera con una pista ciclabile conosciuta a livello internazionale», dice Volpato, «un po’ come succede per la San Candido – Linz fra Alto Adige e Tirolo. La bici in Riviera deve essere pensata come la gondola sul Canal Grande insomma». Molti sindaci, compreso quello di Mira, appoggiano l’idea. «Questa pista ciclabile», conclude Volpato, «servirà anche per sgravare il traffico dalla Brentana e potrà pure essere utilizzata dai residenti per muoversi senza l’auto e in sicurezza». A sostenere il progetto anche la Fiab e in tanti sognano che qualcosa sia pronto prima dell’Expo 2015 per dare alla marea di turisti previsti in arrivo a Venezia anche un percorso alternativo fatto di bicicletta passeggiate, buoni prodotti e gastronomia tutto fatto in Riviera del Brenta.

Alessandro Abbadir

 

A Caldogno i lavori del bacino di laminazione sono al 20% di realizzazione

Gli altri quattro vasconi antialluvione saranno pronti forse solo nel 2018

VENEZIA – Il bacino di laminazione di Caldogno, opera prima tra quelle del post alluvione 2010, è al 20 per cento della sua realizzazione. Per questo il governatore Luca Zaia andrà personalmente a vedere lo stato di avanzamento, venerdì prossimo, dell’invaso per contenere le acque del Timonchio, affluente di quel Bacchiglione che costantemente minaccia Vicenza e, quando salta gli argini, allaga anche Padova. A quasi quattro anni dall’alluvione del novembre 2010 a che punto sono le opere di difesa del suolo? Gli interventi sono quasi trecento, piccoli e grandi, per un investimento complessivo di 105 milioni di euro. La Regione del Veneto ne fornisce l’elenco puntuale: ma – ammettono a palazzo Balbi – per usufruire degli effetti delle infrastrutture di sicurezza idraulica bisognerà aspettare almeno l’inizio del 2018. Questi sono i tempi: dalla ricerca dei finanziamenti alla progettazione di massima, preliminare, esecutiva; dalle procedure di gara all’assegnazione; dalla consegna del cantiere all’impresa al completamento e collaudo dei lavori. Una corsa a ostacoli che prevede che almeno dieci diversi enti formulino i loro pareri sulle procedure: salvo ricorsi amministrativi, per aprire un cantiere servono almeno tre anni di procedure burocratiche. Un ginepraio più volte denunciato da tutti. I lavori del più importante dei bacini, quello del Timonchio a Caldogno, è stato assegnato «in via d’urgenza» all’associazione temporanea di imprese che ha vinto l’appalto, saltando gli ultimi passaggi dopo il pressing esercitato dai vertici della Regione. Ma l’avanzamento fisico delle opere è attualmente pari al 20 per cento dei lavori di progetto: un quinto. Per vederlo ultimato bisognerà attendere il febbraio 2016: poi il collaudo e finalmente la sua entrata in funzione, con la speranza che non debba servire mai. A Zaia va riconosciuto l’avvio di un piano strategico di difesa del suolo («Quando sono arrivato, nel 2010, di tutte queste opere non c’era nemmeno uno schizzo» ha dichiarato più volte) ma l’avanzamento appare a passo di lumaca. Del resto, la messa in sicurezza del Veneto appare un’impresa ciclopica: due miliardi i danni provocati dall’alluvione del 2010, 120 milioni nel 2012, 54 milioni nel 2013 e ben 301 quest’anno.

Il Veneto è una regione fragilissima, dove un terzo dei comuni è considerato «a elevato rischio idrogeologico», un’intera provincia (quella di Belluno) a rischio frana, larga parte della pianura esposta a esondazione, quasi novanta comuni classificati a medio rischio sismico.

Se poi ci mettiamo del nostro, come la cementificazione e l’impermeabilizzazione del suolo (con le sempre più frequenti tombinature dei fossi, naturali scoli delle acque meteoriche) il primato del Veneto è nazionale. Secondo un recente studio dell’Ispra, la nostra regione è dopo la Lombardia la regione dove maggiore è il consumo del suolo, con una percentuale superiore al dieci per cento. Con una crescita esponenziale subita negli ultimi quindici anni, anche dopo gli exploit delle leggi Tremonti.

La Regione, da par suo, fa l’elenco delle opere finanziate dopo l’alluvione 2010. I trecento interventi (277) finanziati, per un importo complessivo di 105 milioni di euro, non bastano: si va da opere di regimazione dei fiumi a messa in sicurezza di alcuni punti critici. Quanto ai bacini di laminazione, i principali sono quelli del Timonchio a Caldogno (40 milioni di euro, invaso di 3,8 milioni di metri cubi), del bacino Trissino (22,7 milioni di euro, 2,5 milioni di metri cubi), dell’invaso San Lorenzo (cinque milioni di euro, 860 mila metri cubi), l’invaso Colombaretta (12,7 milioni e 935 mila metri cubi) e il bacino Muson (16,8 milioni di euro per un milione di metri cubi). Dei cinque «vasconi» destinati ad ospitare le piene di fiumi e torrenti solo quello di Caldogno è partito e la conclusione dei lavori attesa per il febbraio 2016. Per il Trissino la consegna dei lavori è attesa a giorni e la conclusione del cantiere per il dicembre 2016. I lavori del bacino San Lorenzo inizieranno nel settembre 2015 per concludersi un anno dopo. L’appalto dell’invaso della Colombaretta, invece, è previsto per dicembre e la conclusione lavori per il settembre 2016. Il bacino del Muson, infine, strategico per salvare Castelfranco e l’Alta Padovana, dovrebbe andare in appalto a dicembre e concludere i suoi lavori entro il dicembre 2016. A cinquantun anni dalla tragedia del Vajont, il Veneto riparte insomma quasi da zero. Ma continua lo stesso, tragico errore: quello di dimenticare troppo in fretta.

Vera Mantengoli

 

«Non sono bombe d’acqua ma tragedie annunciate»

TREVISO – Marco Tamaro, direttore della Fondazione Benetton, lavora da trent’anni nel campo della difesa del suolo. La sensibilità è cresciuta o diminuita negli ultimi anni? «É certamente cresciuta, soprattutto a causa delle tragedie che puntualmente si abbattono sull’Italia e sul Veneto». Cosa fare per scongiurare nuovi disastri? «L’ennesima tragedia di Genova è figlia dell’insipienza. Certo, ci sono stati ritardi, ma si assiste a uno scaricabarile improduttivo: chi dà la colpa alle imprese, chi alla magistratura amministrativa, chi alla politica. Ma la verità è che siamo rimasti indietro». Gli enti che coordinano alla difesa del suolo sono stati spogliati, non è così? «Un tempo dentro a questi organi c’erano fior di professionalità: rispettate, temute, insindacabili. Oggi mancano i numeri e talvolta le competenze, si è deciso di non investire più in questo campo». Salvo poi ricorrere agli interventi di emergenza. «Ma siamo ancora fermi agli interventi post alluvione del 1966. Peccato che in 40 anni sia radicalmente cambiato l’assetto del territorio, l’urbanizzazione, il consumo del suolo. Certo, anche il clima» Come si può prevedere l’arrivo di una bomba d’acqua? «Ecco, mi sembra ipocrita usare questo neologismo. è come dare la colpa all’Altissimo. Sposta il problema lontano, è un inutile e dannoso gioco di parole per schivare responsabilità. Se dico bomba d’acqua evoco la guerra, condizioni straordinarie, terribili. Così cerco di attribuire colpe all’eccezionalità della situazione. E invece no. Il dissesto è figlio delle nostre decisioni, della nostra superficialità, di una politica del territorio inadeguata. Certo, anche dei cambiamenti climatici, ma insieme a una serie di cause che hanno negli uomini e nelle loro decisioni la responsabilità» Quali gli esempi da seguire? «A Copenagen c’è un ufficio per la gestione del suolo alla luce dei cambiamenti climatici, il suo dirigente gira l’Europa per spiegare cosa stanno facendo. A Venezia c’è un eccellente Centro di ricerca sui cambiamenti climatici, guidato da Carlo Giupponi, non ascoltato abbastanza». Da dove ripartire? «Su una cosa Renzi ha ragione: che bisogna rifare il paese, azzerare le procedure, ripartire da zero. Se toccasse a me chiamerei le migliori competenze a lavorare su questi temi: con procedure chiare e tempi snelli». Cosa pensa del Piano casa della Regione? «É assolutamente contrario a una politica di corretto uso del territorio: al Veneto serve piuttosto un grande piano di demolizione del patrimonio esistente non più funzionale». Ma rappresenta un ottimo volano economico. «Un’altra pietosa ipocrisia. Se c’è qualcosa, oggi, che può muovere interessi economici è proprio la rottamazione dei volumi e il riassetto del territorio: c’è molto lavoro da fare e molti posti da lavoro da occupare. Ma bisogna crederci».

Daniele Ferrazza

 

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